La vita quotidiana dei senesi durante il Secondo Conflitto Mondiale.

Il sogno di una guerra rapida e vittoriosa, promessa dal duce nel 1940, si rivelò presto una vana speranza e gli italiani pagarono a duro prezzo la scelta di Mussolini di condurre l’Italia nel conflitto, a causa delle privazioni dovute ai razionamenti e dei bombardamenti sulle principali città italiane, Siena compresa, da parte degli anglo-statunitensi.

Ben presto, i senesi poterono constatare lo stato di impreparazione della città, quindi iniziarono a temere per la loro sorte, soprattutto dopo l’occupazione nazista e la nascita della Repubblica sociale italiana nell’autunno 1943.

A Siena i rifugi erano insufficienti per proteggere l’intera popolazione dai bombardamenti, mancavano inoltre, nei primi tempi, le sirene sostituite dalle campane delle chiese cittadine. Un ruolo di rilievo fu svolto anche dalle Contrade, che chiamarono i loro tamburini perché avvertissero i senesi dei bombardamenti, ponendosi al centro del proprio rione.

Fino all’estate 1943 in città si respirò un clima di relativa tranquillità trasmessa dall’assenza dei bombardamenti e la popolazione dimostrava poca attenzione nei confronti delle indicazioni date dal comitato provinciale di protezione antiaerea. Le norme sull’oscuramento venivano ignorate dalla popolazione, infatti le abitazioni, le vetrine e le insegne dei negozi continuavano ad essere normalmente illuminate, mentre le biciclette circolavano senza la schermatura dei fari.

Il 9 dicembre 1943, i primi attacchi sulla provincia non sembrarono spaventare più di tanto la popolazione del capoluogo; quindi, la vita continuava a scorrere regolarmente e ciò avvenne fino al 23 gennaio 1944, data del primo bombardamento aereo su Siena.

Verso il mese di aprile si ruppero le sirene di allarme e si decise di avvertire la popolazione con il suono delle campane, ma non tutte le campane suonavano all’unisono; quindi, si scelse di far suonare prima quella del Duomo, ma alla pratica effettiva dell’11 aprile, si vide che il metodo non funzionava, perché anche la campana del Duomo suonava prima delle altre.

In seguito alle esequie delle vittime del bombardamento del 23 gennaio 1944 (avvenute

il 26 gennaio con grande partecipazione della popolazione senese e delle autorità cittadine) lo sgomento si diffuse. L’esperienza del bombardamento era stata traumatizzante per tutti e al dolore per la morte dei propri cari si aggiunse l’incredulità per un fatto che prima non si credeva immaginabile e che le autorità fasciste, locali e non soltanto, non avevano saputo affrontare in maniera adeguata.

Oltre a questo, un altro motivo di preoccupazione era il razionamento dei generi di prima necessità. All’inizio della guerra, gli italiani avevano conosciuto pochi razionamenti (come lo zucchero e il caffè), perché si credeva che la guerra sarebbe stata molto breve, ma ben presto la situazione cambiò.

Addirittura, il 4 marzo 1944 il capo della provincia di Siena, il medico e docente universitario Giorgio Alberto Chiurco, emanò un’ordinanza sulla base di un precedente decreto ministeriale del 9 febbraio 1942, relativa alla produzione e consumo della carta; si vietava così la pubblicazione di partecipazioni per i matrimoni, annunci di nascita e di morte. La disposizione, affissa ai muri, chiedeva alla popolazione di rispettare con rigore il provvedimento diffidando persino le tipografie.

 

Nel febbraio 1943, il Prefetto di Siena aveva già emanato un’altra ordinanza, per la quale sarebbe stata eseguita una «totalitaria e accurata vigilanza sulla confezione del pane», in ottemperanza ad un’ordinanza ministeriale del 28 novembre 1943. Su un esame di 30 campioni prelevati dai fornai, 16 corrispondevano ai parametri richiesti ma 14 risultavano difformi.

Ovviamente i razionamenti contribuirono a far allontanare la popolazione dal fascismo, aumentando la contrarietà della gente verso la guerra.

Da alcune lettere provenienti dal fondo della Censura, conservato presso l’Archivio di Stato di Siena, si può notare l’ostilità delle persone di fronte alla guerra, ostilità che cresceva via via, a partire dal 1943, abbandonando il tono cautamente ottimista delle prime settimane del 1941. Dalle lettere si possono notare molti aspetti della vita delle persone durante la guerra, con le relative difficoltà e preoccupazioni.

Molte lettere venivano inviate dai soldati al fronte e facevano capire quanto fosse dura la vita di guerra, al di là della propaganda portata avanti dal duce e dal fascismo. A titolo di esempio il carrista Romano Baruzzi, dalla Russia così scriveva, in data 25 ottobre 1941, al commilitone Dino Iacopetti, che si trovava a Siena.

«… ormai non facciamo più nulla perché il nostro gruppo è sfatto dopo tre mesi di campagna di Russia…»

Notizie come queste, anche se censurate, arrivavano anche tra le mura della città contribuendo a peggiorare ulteriormente il clima di apprensione generale.

 

[L’immagine di copertina del presente contributo è tratta da L. Luchini, Siena 1940-1944. Il dramma della guerra e la liberazione, il Leccio, Monteriggioni 2009]




Il nuovo inventario dell’Archivio dell’Istituto Storico della Resistenza Senese e dell’Età contemporanea

Nelle prossime settimane sarà presentato al pubblico il nuovo Inventario dell’Archivio dell’Istituto Storico della Resistenza Senese e dell’Età contemporanea – ISREC (consultabile qui), realizzato con il patrocinio del Ministero della Cultura, e già disponibile e scaricabile in formato PDF dal sito istituzionale, nella sezione ‘Archivio e Biblioteca’. Questo testo nasce dall’esigenza di aggiornare e dare una nuova forma a quello che era stato redatto al momento della catalogazione curata da Antonietta Cutillo e Cecilia Rosa nel 1999. Da allora l’Archivio dell’ISRSEC ha acquisito nuova documentazione e preso in deposito diversi fondi archivistici di persona, donati dai diretti interessati o da eredi, e catalogati via via da Aldo Di Piazza e da altri collaboratori dell’Istituto, in singoli file di lavoro, disponibili presso la Sala studio dell’Ente. Il progetto iniziato tra la fine del 2022 ed il 2023, si è prefisso lo scopo di compiere una revisione di tutti questi cataloghi, frutto del lavoro di mani diverse, ed elaborati in tempi diversi, al fine uniformare il testo e di ottenere uno strumento di ricerca completo ed esaustivo, ma di facile lettura per l’utente che fosse interessato a compiere ricerche all’interno del vasto materiale che compone l’Archivio storico dell’Istituto.

Il risultato è un inventario che si compone della descrizione dei documenti raccolti dall’ISREC nel corso della sua attività, prevalentemente materiali, in originale ed in copia, relativi agli eventi che hanno interessato Siena durante il Governa fascista, la Seconda Guerra Mondiale e la lotta di Resistenza partigiana; la serie che risulta senz’altro essere quella più consistente, è quella che raggruppa la documentazione prodotta dalle Brigate partigiane e dei Gruppi di combattimento, in particolare quella relativa all’attività della Brigata Garibaldi “Spartaco Lavagnini”, operante con i suoi distaccamenti in buona parte della provincia senese. Il catalogo passa poi a descrivere gli archivi aggregati, come ad esempio quelli che raccolgono i documenti relativi all’attività dell’ANPI, a partire dal 1945, e dell’ANPIA, ma soprattutto archivi di persona. Questa sezione è ampia e composita: alcuni fondi raccolgono poche carte specificatamente legate alla Resistenza e all’attività politica – come quelli di Giorgio Salvi e di Giovanni Guastalli –, altri molto consistenti raccontano anche la vita privata e lavorativa dei loro produttori. Così incontriamo, uno dopo l’altro, gli archivi personali del libraio ed editore senese Nello Ticci, di Vittorio Meoni – unico sopravvissuto all’eccidio del Montemaggio, ma anche presidente per molti anni dell’Istituto Storico della Resistenza Senese e dell’ANPI provinciale di Siena –, di Sergio Vieri – partigiano e in seguito esponente del Partito Comunista Italiano e dirigente della CGIL –, di Martino Bardotti – Deputato della Repubblica sotto le fila della Democrazia Cristiana –, e di Fortunato Avanzati – partigiano, presidente dell’ANPI provinciale di Siena, assessore al Comune di Siena e membro della Segreteria della Federazione senese del PCI. I documenti raccolti in questa serie di archivi aggregati sono variegati e ricchi di contenuti; lo studio e l’approfondimento di questi materiali possono fornire allo studioso della storia contemporanea del territorio senese – e non solo- ampi spunti di indagine.

Questo nuovo strumento di ricerca, al momento consultabile unicamente in formato digitale, ha lo scopo di guidare il ricercatore a comprendere la quantità di tematiche diverse, che è possibile approfondire con lo studio attento di questi documenti, e di dare conto della consistenza e di una sintetica descrizione dei contenuti, per un primo approccio dell’utente all’Archivio. Una guida insomma, che non ha l’intento di descrivere analiticamente, carta per carta, tutto quello che si conserva presso l’Istituto storico della Resistenza senese, ma di invogliare gli studenti delle scuole, gli universitari, gli studiosi che si occupano della storia recente di questo territorio, a visitare questo archivio così ricco di informazioni, che raccontano episodi, più o meno noti, del nostro recente passato.




Giorgio Alberto Chiurco: un intellettuale militante nel regime fascista.

Giorgio Alberto Chiurco (1895-1974) è noto soprattutto come cronista ufficiale della rivoluzione fascista, autore di una delle più celebri opere edite sul tema negli anni del regime mussoliniano. Nato a Rovigno d’Istria ma trasferitosi presto in Toscana per motivi di studio, egli fu uno dei protagonisti della fascistizzazione delle province senese e grossetana. Ma non solo: medico e squadrista della prima ora, poi parlamentare, ufficiale pluridecorato, docente universitario e scienziato razzista, Chiurco fu un attore molto attivo nella vita politica e intellettuale del regime. Finora, il suo percorso biografico era stato soltanto parzialmente esplorato dalla storiografia ma il volume di Borri, esito di un’approfondita ricerca negli archivi nazionali e internazionali, si propone di fornire una ricostruzione complessiva delle vicende politiche e culturali del personaggio, che si intrecciano su più livelli con la storia italiana del Novecento.

Riportiamo di seguito un estratto del volume, dedicato al ruolo svolto da Giorgio Chiurco, come medico e intellettuale fascista, nella creazione di un nuovo prototipo di italiano, il cosiddetto «Uomo Nuovo» fascista inteso come modello di un’umanità superiore, destinata a fare le fortune dell’Italia e del regime.

 

Un intellettuale militante

V’è una cultura della rivoluzione che si esprime attraverso la polemica pubblicistica di uomini come Maccari e Malaparte. Ve ne è un’altra che parla per anatemi e per invettive ma che, andando al sodo, serve unicamente nei momenti di pericolo […]. V’è, infine la cultura della rivoluzione che ha avuto per cronisti Gorgolini e Chiurco, e che ha per storici Volpe ed Ercole. La prima cultura, della polemica pubblicistica, impedisce che le porte della rivoluzione si chiudano […]. La seconda cultura, quella degli oltranzisti, è sempre richiamabile in servizio, al primo segno del temporale. La terza cultura, quella dei cronisti della rivoluzione, rimane l’anima di ogni processo storico da istruirsi a carico di quei nemici che, rimasti nascosti durante il nostro cammino, tentano di uscire allo scoperto per sbarrarci, al momento che sembrerà loro opportuno, la strada.

Era in questi termini che Mussolini descriveva a Yvon De Begnac[1] l’attivismo politico racchiuso nell’opera degli intellettuali fascisti. Chiurco trovava posto nel gotha culturale fascista non tanto per meriti scientifici, ma come cronista del periodo rivoluzionario, a dimostrazione della forte impronta ideologica che ne caratterizzò il lavoro, come pure della pluralità di ambiti su cui tale operato si estese. L’eclettismo dell’istriano può leggersi come riflesso del pluralismo culturale sperimentato dal regime, inteso come sovrapposizione fra correnti e programmi diversi nei campi delle arti e della scienza, destinati però a convergere nella mobilitazione in favore della rivoluzione fascista.[2] La celebrazione totalitaria del primato della politica su ogni espressione della vita delle masse rappresenta probabilmente la sintesi più efficace per spiegare tale pluralità, senza con questo voler ridurre la cultura fascista alla sua sola funzione strumentale.[3]

Mario Isnenghi distingueva tra intellettuali militanti, produttori di senso, e intellettuali funzionari, organizzatori e propagandisti, rinviando alla funzione svolta dagli attori culturali nella società fascista. L’attenzione di Isnenghi non era rivolta alla sola conoscenza alta, ma all’organizzazione culturale latamente intesa, comprendendo quindi insegnanti, giornalisti, oratori i quali, per motivi e in modi diversi, portarono la dottrina fascista tra le masse.[4] Le convergenze e sovrapposizioni riscontrabili tra tali figure e funzioni,[5] lungi dallo sminuirne l’efficacia, riconfermano la pluralità di livelli su cui si mossero gli agenti culturali del fascismo, seppur all’interno della cornice tracciata dal regime. Anche intellettuali intransigenti come Chiurco, contrari a mediazioni che limitassero la forza rinnovatrice fascista, distinsero la propria attività per un doppio crisma culturale e politico, conoscendo convergenze e divergenze rispetto alle correnti dominanti.[6] Non ci sono soltanto opportunismo e spirito conformista nelle proposte del medico istriano, pronto a formulare idee e difendere le proprie posizioni, se ritenute meritevoli, anche quando difformi dagli orientamenti del regime. A rendere Chiurco un intellettuale militante, nel significato più letterale del termine, è la natura totalizzante della sua adesione al regime, che ne fa uno scienziato, medico e autore vissuto nel fascismo e del fascismo, criticandone talvolta decisioni e orientamenti, ma condividendone il progetto complessivo.

La produzione letteraria dell’istriano può essere ricompresa nelle due macrocategorie degli scritti scientifici e delle opere a carattere cronistico-letterario dedicate al fascismo rivoluzionario e ai suoi martiri. Una distinzione – come vedremo – comunque non priva di punti d’incontro, riflesso tanto del ricordato eclettismo dell’autore, quanto del progressivo prevalere del Chiurco politico rispetto allo scienziato. Gli scritti razzisti degli anni Trenta, piegati alle necessità della pseudoscienza di regime, sono in tal senso indicativi della politicizzazione di tutta la produzione letteraria dell’istriano, il quale appartenne alla cosiddetta «industria culturale» tratteggiata da Gabriele Turi, formata dall’insieme degli intellettuali di regime. Al centro di tale produzione, indipendentemente dalle singole aree di interesse, rimasero sempre la costruzione dello Stato nuovo e di una nuova generazione di italiani, i «fascisti integrali» evocati da Mussolini.[7] Il concetto dell’italiano nuovo ricorre tanto negli scritti scientifici, quanto nella produzione cronistico-letteraria del medico istriano, sempre attento a temi quali l’educazione dei giovani, lo sport, l’eugenetica, la salvaguardia della sanità razziale.

Nell’ottica del regime, le nuove generazioni dovevano essere innanzitutto numerose, in salute e fisicamente prestanti, motivo per cui la medicina divenne una pratica «con etichetta nazionalistica e marchio fascista», come scritto da Giorgio Cosmacini.[8] Il regime sottopose la disciplina all’influenza dell’autorità politica, facendo dei medici i “sacerdoti” del progetto mussoliniano di ingegneria sociale, incaricandoli di salvaguardare la salute fisica e morale della popolazione, di «abituare gli italiani al moto, all’aria libera, alla ginnastica ed anche allo sport».[9] Nel 1921, Chiurco vedeva negli squadristi i protagonisti di una nuova era, «gli eletti, gli aristocratici del pensiero e dell’azione predestinati al comando da Dio e dalla patria». Per un corretto sviluppo dei giovani risultava fondamentale la «forza, equilibrio, volontà, disciplina che solo una razionale educazione fisica può dare».[10]

L’evoluzione del concetto di uomo nuovo ricalca nel pensiero di Chiurco la cronologia tracciata da Emilio Gentile, per cui a cavallo tra gli anni Venti e Trenta l’attenzione si concentra sul potenziamento fisico e demografico della popolazione, con l’emergere dell’imperialismo e del razzismo quali fattori di rilievo nel dibattito. Nel Manuale di cultura fascista del 1930, l’autore inseriva le politiche demografiche tra «i principi basilari del Fascismo nei riguardi della tutela fisica e morale della razza», vedendo nella crescita della popolazione «uno dei mezzi più efficaci per la sua valorizzazione ed espansione materiale e spirituale nel mondo».[11] Al numero doveva seguire la qualità, assicurata dallo sviluppo di qualità fisiche e mentali, favorite da politiche volte ad «accrescere la validità, l’energia e la resistenza morale e fisica del giovane», facendone un «cittadino soldato» e un cittadino-produttore.[12] Con la proclamazione dell’impero alla metà degli anni Trenta, alla formazione delle nuove generazioni si aggiunse il problema della loro protezione dal rischio di incroci genetici con le popolazioni indigene, la mescolanza con le quali rappresentava «sia per ragioni sanitarie e biologiche, che per la dignità della razza, un grave pericolo per il popolo italiano colonizzatore». Per questo motivo, diventava «un dovere della nostra dignità imperiale» la «formazione di una coscienza razziale per difendere la razza italica da qualsiasi imbastardimento», ricorrendo a leggi che «impediscono il mescolamento di italiani con indigeni».[13]

Al problema della preservazione si affiancava quello dell’educazione. Per questo motivo, il regime varò dagli anni Venti quello che Luca La Rovere ha definito «il più importante esperimento di pedagogia politica di massa mai tentato nella storia nazionale italiana».[14] L’educazione morale doveva riguardare il senso di disciplina e la fedeltà all’idea, per cui sui fascisti, secondo i postulati di Arnaldo Mussolini, incombeva «il dovere di essere, nella vita nazionale, sempre i primi, vigili contro gli avversari» ma anche pronti «a volgarizzare i postulati», a «tesserli ed a viverli nelle manifestazioni di ogni giorno».[15] Fascismo, aggiungeva Chiurco, significava «soprattutto spirito di abnegazione ed assoluta e cieca disciplina», poiché «il fascista deve essere in prima linea puro e senza macchia».[16] Nei manuali scolastici curati tra il 1930 e il 1934, l’istriano dedicò ampio spazio ai «doveri del cittadino verso la famiglia e verso la patria», sostenendo che ogni buon italiano «sentirà, e praticherà, prima di ogni altro, il dovere dell’ordine e della disciplina», poiché «dall’uno e dall’altra scaturiscono il rispetto delle leggi, il sentimento della gerarchia, l’ossequio all’Autorità».[17]

È infine evidente l’intento educativo della Storia della rivoluzione fascista. Non a caso, Mussolini medesimo, nel proprio Invito alla lettura, incluse tra i principali destinatari dell’opera «i giovani delle più fresche generazioni», che attraverso l’opera «impareranno a venerare i segni del Littorio e a rispettare i veterani che fecero la Guerra e la Rivoluzione».[18] La funzione didattica della Storia fu sottolineata da numerose riviste del tempo, con Carlo Capasso che la definì «una vera scuola per le generazioni nuove»,[19] mentre il periodico del ministero della Pubblica Istruzione, Accademie e Biblioteche d’Italia, inserì i volumi del Chiurco tra le opere che «inizieranno il giovine alla meditazione degli avvenimenti storici».[20] Pure i fuoriusciti antifascisti intuirono l’intento pedagogico di quella che definirono «una storia del fascismo ad uso dei balilla», e pur criticando l’opera e lo stile prolisso dell’autore, riconobbero come il poter disporre di «un’organizzazione di massa, inquadrata da migliaia di cavalier Chiurco» costituisse un punto di forza dell’Italia mussoliniana.[21]

Tramite l’apparato propagandistico fascista, la Storia divenne un testo importante per il progetto di rinnovamento nazionale, una presenza immancabile tra gli scaffali di biblioteche, circoli di lettura, scuole di ogni grado e tipologia, nonché dono per gli studenti che maggiormente si fossero distinti nell’apprendimento, i quali «nell’esempio dei pionieri della rigenerazione della patria» avrebbero trovato «i migliori esemplari per la loro formazione spirituale».[22]

 

[1] F. Perfetti (a cura di), Y. De Begnac, Taccuini mussoliniani, Il Mulino, Bologna 1990, pp. 402-3.

[2] A. Tarquini, Storia della cultura fascista, Il Mulino, Bologna 2011, p. 225.

[3] E. Gentile, La via italiana al totalitarismo. Il partito e lo Stato nel regime fascista, Carocci, Roma 2008 (ed. orig. 1995). In generale, R. Ben-Ghiat, La cultura fascista, Il Mulino, Bologna 2000.

[4] M. Isnenghi, Intellettuali militanti e intellettuali funzionari. Appunti sulla cultura fascista, Einaudi, Torino 1979.

[5] S. Luzzatto, The Political Culture of Fascist Italy, in Contemporary European History, vol. 8, 2, 1999, p. 322.

[6] A. Tarquini, Storia della cultura fascista, cit., pp. 86-89, 228-29.

[7] G. Turi, Lo Stato educatore. Politica e intellettuali nell’Italia fascista, Laterza, Roma-Bari 2002, p. 21. Sul tema, E. Gentile, Fascismo. Storia e interpretazione, Laterza, Roma-Bari, 2002, pp. 235-64; P. Bernhard, L. Klinkhammer (a cura di), L’uomo nuovo del fascismo. La costruzione di un progetto totalitario, Viella, Roma 2017.

[8] G. Cosmacini, Medici e medicina durante il fascismo, Pantarei, Milano 2019, p. 65. In riferimento al ruolo dei medici nel regime, R. Maiocchi, Scienza e fascismo, Carocci, Roma 2004, pp. 140-54.

[9] Discorso ai medici del novembre 1931, in E. e D. Susmel (a cura di), Opera Omnia, vol. 25, La Fenice, Firenze 1956, pp. 58-62. Circa la funzione educatrice dello sport, P. Dogliani, Educazione fisica, sport nella costruzione dell’«uomo nuovo», in P. Bernhard, L. Klinkhammer (a cura di), L’uomo nuovo del fascismo, cit., pp. 143-55.

[10] Lo squadrista incarnò il mito fascista dell’italiano nuovo, E. Gentile, Fascismo. Storia e interpretazione, Laterza, Roma-Bari, 2002, pp. 245-48. Per le citazioni cfr. L’inchiesta fascista sui fatti di Roccastrada, in L’Era Nuova, 30 luglio 1921; Fascismo ed educazione Fisica, in La Scure, 24 giugno 1922.

[11] G.A. Chiurco, Manuale di cultura fascista, Morano, Napoli 1930, pp. 89-90.

[12] Id., L’educazione fisica nello Stato fascista. Fisiologia e patologia chirurgica dello sport, San Bernardino, Siena 1935, p. 7. Il modello di “cittadino-soldato” è posto al centro della pedagogia totalitaria del regime dalla seconda metà degli anni Venti.

[13] Id., La sanità delle razze nell’Impero italiano, Istituto Fascista dell’Africa Italiana, Roma 1940, pp. 1049-50.

[14] L. La Rovere, Totalitarian Pedagogy and the Italian Youth, in J. Dagnino, M. Feldman, P. Stocker (a cura di), The “New Man” in Radical Right Ideology and Practice. 1919-1945, Bloomsbury Academic, London 2018, p. 21. La traduzione è mia.

[15] A. Mussolini, Fascismo e civiltà, Hoepli, Milano 1937, pp. 134-35.

[16] G.A. Chiurco, Comandamento del fascista: onestà e disciplina, in Il Popolo Senese, 3 gennaio 1929.

[17] Id., Elementi di cultura fascista, Morano, Napoli 1934, p. 94.

[18] B. Mussolini, Invito alla lettura, in G.A. Chiurco, Storia della rivoluzione fascista, vol. 1, Vallecchi, Firenze 1929, pp. VII-VIII.

[19] C. Capasso, Storia della rivoluzione fascista di G.A. Chiurco, in Bibliografia fascista, 7, 1929, pp. 1-3. Capasso fu docente scolastico, studioso di didattica e professore universitario.

[20] G. Ruberti, Libri per una vita intera, in Accademie e Biblioteche d’Italia, 1, 1929, pp. 50-58.

[21] S. T., Una storia del fascismo ad uso dei balilla, in Lo Stato Operaio, 8, 1929, pp. 706-11.

[22] La citazione è di Ruggero Romano, deputato fascista dal 1924 al 1939, durante una cerimonia ufficiale a Noto, cfr. C. Sgroi (a cura di), R. Liceo-Ginnasio «A. Di Rudinì» di Noto. Annuario Scolastico 1929-1930, Studio Editoriale Moderno, Catania 1931, p. 22.




Presentazione della ristampa del volume “A cena col colonnello” di Elettra Giaconi

Sabato 19 febbraio alle ore 17, per il ciclo “Leggere raccontare incontrarsi”, presentazione della ristampa del volume “A cena col colonnello”, in cui Elettra Giaconi, già docente presso il Liceo scientifico “Amedeo Duca d’Aosta” di Pistoia e scomparsa nel marzo 2020, ripercorre gli anni della seconda guerra mondiale, trascorsi sulla montagna pistoiese.

Interventi di:

Telesforo Berardi (presidente Caript)

Anna Agostini, Maria Camilla Pagnini e Sonia Soldani (vicepresidente Isrpt)




“Curare la guerra a Lucca”: uomini di medicina nella Resistenza

Sarà presentato venerdì 17 settembre a Lucca presso la sala “Maria Eletta Martini” del CRED (via sant’Andrea 66) il numero doppio 45/46 di “Documenti e Studi”, rivista dell’Istituto storico della Resistenza e dell’Età contemporanea in provincia di Lucca: edito nel 2019, il volume raccoglie gli atti del convegno tenutosi il 5 ottobre 2018, incentrato sul ruolo dei medici nella Resistenza; un rilevante numero di “uomini di cura”, medici e studenti in formazione, militarono infatti – variamente collocati dal punto di vista politico e ideale – nella Resistenza a Lucca e in provincia. Alcuni impugnando le armi, altri individuando forme di opposizione e di contrasto al fascismo e al nazismo del tutto personali e originali, altrettanto efficaci e, al contempo, rispettose del Giuramento d’Ippocrate.

Interverranno Luciano Luciani (ISRECLU), Gianluca Fulvetti (Università di Pisa) e il dottor Raffaele Domenici; porterà il saluto istituzionale l’assessora Ilaria Vietina.

L’iniziativa si terrà nel rispetto delle norme anti-COVID.




“Resistenza in provincia di Lucca – Il caso Pescaglia”

Sarà domenica 25 aprile alle ore 17.00 l’appuntamento con la video-rubrica VIVI Pescaglia, per l’occasione incentrata sulla storia della Resistenza nel comune montano, trasmessa in streaming sui canali Facebook e YouTube dell’amministrazione e dal titolo “La Resistenza in provincia di Lucca – il Caso Pescaglia”: presentano l’evento Gaia Bernardini (consigliere delegato alle politiche giovanili) e Francesco Maiorano (vicepresidente dell’associazione “I Giovani della Casa delle Idee”, che organizza l’iniziativa in collaborazione con ISRECLU e Comune di Pescaglia), che sarà anche relatore assieme al professor Gianluca Fulvetti, docente di storia contemporanea presso il Dipartimento di civiltà e forme del sapere dell’università di Pisa. Modera l’inc0ntro Sara Andreini.

Locandina dell’evento




“Un ponte di libri” a Lucca

Proseguono, nell’ambito delle iniziative previste per le giornate della Memoria e del Ricordo per iniziativa di Provincia di Lucca, Comune di Lucca, Istituto storico della Resistenza e dell’Età contemporanea, le attività del progetto dedicato a Jella Lepman, scrittrice, educatrice e giornalista ebrea che, sfuggita al nazismo, alla fine della guerra ritornò in Germania per collaborare alla ricostruzione di un tessuto diffuso di solidarietà e di rispetto dei valori umani, individuando nei bambini i principali destinatari di questi progetti ed usando la lettura come strumento primario.

Alla Casa della Memoria e della Pace di Lucca (Castello di Porta San Donato, Mura urbane), il prossimo giovedì 23 gennaio alle ore 17, sarà presentata l’autobiografia di Jella, Un ponte di libri, Sinnos editrice. Dopo il saluto dell’Assessora Ilaria Vietina, interverrà Anna Patrucco Becchi, curatrice e traduttrice del volume. L’incontro sarà coordinato da Maria Teresa Leone, Vicepresidente del Consiglio Comunale.

Alla Casa della Memoria è inoltre sempre allestita la Mostra fotografica Attraverso i libri, di Massimo Veracini, che sarà visitabile fino al 26 gennaio.

Un ponte di libri Jella Lepman 23 gennaio 2020 Casa della Memoria e della Pace Lucca

Programma dell’evento




Verso la Giornata della Memoria: gli appuntamenti della settimana a Lucca

Nel quadro delle iniziative che porteranno alla Giornata della Memoria 2020, l’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea in provincia di Lucca organizza due eventi sulle leggi razziali italiane (1938) e sul reclutamento di manodopera nell’Italia occupata da parte dei tedeschi: si comincia il 15 gennaio alle 17.oo presso la Casa della Memoria e della Pace di Lucca (Castello di Porta San Donato, mura urbane), con la presentazione del volume curato da Brunello Mantelli (Università della Calabria) Tante braccia per il Reich! Il reclutamento di di manodopera nell’Italia occupata 1943-1945 per l’economia di guerra della Germania nazionalsocialista (Mursia Editore).

Tante braccia per il Reich! 15 gennaio 2020

Programma del 15 gennaio

Si prosegue il 16 gennaio sempre alle 17.00 presso Palazzo Ducale, con la visita guidata alla mostra 1938. Il banco vuoto, a cura di Silvia Quintilia Angelini, Franco Anichini e Michele Paoli, che sarà visitabile fino al 15 febbraio.

Visita guidata a mostra banco vuoto 16 gennaio 2020

Programma della visita guidata del 16 gennaio

Per maggior informazioni vedi anche:

“Tante braccia per il Reich!”

“1938. Il banco vuoto”