Siena Libera 80

La mostra Siena libera 80 si presenta come un percorso in 15 tappe, segnate da altrettanti pannelli esplicativi, dedicato alle vicende che tra il settembre 1943 e il luglio 1944 interessarono la città e la provincia. Accompagnata da un ricco corredo di immagini, documenti e dati numerici, l’esposizione non si limita a raccontare la Resistenza e la Liberazione, ma ripercorre anche alcuni dei passaggi più importanti della travagliata storia di quei mesi.

Lo spettatore viene calato direttamente nella quotidianità dei senesi nelle fasi finali del conflitto mondiale, partendo dalla tragedia nazionale dell’8 settembre 1943 e dall’occupazione della provincia da parte delle truppe naziste, cui sarebbe seguito il ritorno dei fascisti con la nascita della Repubblica sociale italiana. Da lì, le prime azioni repressive contro gli oppositori, la cattura e la deportazione degli ebrei senesi nella notte tra il 5 e il 6 novembre 1944, tragico epilogo di una persecuzione avviatasi anni prima, con le leggi razziali del 1938.

Le sofferenze dell’inverno 1943 sono ricostruite partendo dalle condizioni di prigionia estrema degli Internati militari senesi, detenuti nei campi nazisti dopo essersi rifiutati di combattere per lo Stato fascista di Salò. Mentre le forze alleate combattevano incessantemente all’altezza di Cassino, la provincia era battuta da formazioni di bombardieri: obiettivi degli attacchi divenivano le linee e le stazioni ferroviarie, i ponti, le strade e ogni altra infrastruttura utilizzata dalla Wehrmacht per portare uomini e armi verso Sud. Anche Siena, in un primo momento risparmiata, fu più volte bombardata tra il gennaio e l’aprile 1944, mentre la propaganda fascista sempre più a stento riusciva a mascherare la realtà di un paese in ginocchio, di una popolazione affamata e stanca della guerra.

Mentre il malcontento montava nelle città, nella provincia prendevano corpo le formazioni partigiane che, a partire dal gennaio 1944, si sarebbero rese protagoniste di oltre 250 azioni di guerriglia e sabotaggio contro le forze occupanti: appoggiate da larghi strati della popolazione civile, dalle donne ai giovanissimi, fino al clero e ai più anziani, le bande operarono sotto la direzione di Comitati di Liberazione composti dai rappresentanti di tutte le forze politiche antifasciste.

Uno sforzo costato talvolta caro ai combattenti – tanti quelli caduti e i prigionieri torturati nei locali del comando fascista, la cosiddetta Casermetta, e sommariamente giustiziati – e anche ai civili, sui quali le forze nazifasciste sfogarono a più riprese la propria frustrazione nelle settimane precedenti l’arrivo delle truppe alleate nel luglio 1944. Anche di quel sacrificio, tuttavia, furono figlie la Liberazione e la nascita della Repubblica.

La mostra, esposta a Siena in piazza Matteotti e nel quartiere di San Miniato nell’aprile e nel giugno 2024, è adesso consultabile online sulla pagina web dell’Istituto storico della Resistenza senese e dell’età contemporanea. Il progetto è stato realizzato con la collaborazione di Anpi provinciale di Siena, Arci Siena, Cgil Siena, Comitato Siena 2, Ecpad Images Defense, con il sostegno tecnico di Betti Editrice, il patrocinio del Comune di Siena e il contributo del Consiglio Regionale della Toscana.

Articolo pubblicato nel settembre del 2024.




La Liberazione di Siena

Fra la rocca di Radicofani, nel sud della provincia di Siena, e Radda in Chianti, a nord, la distanza è di un centinaio di chilometri. Le truppe alleate impiegarono un mese, dal 18 giugno al 18 luglio 1944, per percorreli. Velocità media: meno di 3 chilometri e mezzo al giorno. L’avanzata dei reparti inglesi a est del terrirorio provinciale, di quelli americani a ovest e del Corpo di spedizione francese al centro incontrò, infatti, un forte contrasto da parte dei tedeschi, i quali si ritiravano ordinatamente, combattendo attestati su una serie di linee difensive predisposte, volta per volta, laddove la conformazione del terreno rendeva più efficace il fuoco di sbarramento di mitragliatrici e cannoni.

Alcuni centri abitati (Radicofani, Chiusi, Poggibonsi) furono teatro di scontri duri e prolungati fra i soldati dei due eserciti contrapposti. Altri (Casole d’Elsa, S. Gimignano) subirono cannoneggiamenti da entrambi. Ad altri ancora vennero invece risparmiate vittime e distruzioni perché ubicati in luoghi di scarsa rilevanza tattica.

Le bande partigiane, che avevano fortemente destabilizzato l’apparato militare fascista della RSI fra i mesi di marzo e maggio, nel giugno-luglio moltiplicarono l’attività tesa a ostacolare gli spostamenti dei tedeschi e accrebbero così il loro contributo di sangue alla libertà, un contributo che superò i trecento caduti fra uccisi in combattimento e fucilati in rastrellamenti e rappresaglie.

È in questo contesto che, il 3 luglio, avvenne la Liberazione di Siena ad opera dei tirailleurs e dei fantassins del generale J.G. De  Monsabert, rimasto un benemerito nella storia cittadina per non aver dato l’ordine di aprire il fuoco dei suoi cannoni sia per non colpire i monumenti senesi che conosceva ed apprezzava, sia perché era stato informato che i tedeschi se ne stavano andando da un luogo che non era inserito lungo le loro linee difensive.

Si trattò di circostanze fortunate che limitarono i danneggiamenti. Andarono ad aggiungersi ad un’altra circostanza non meno fortunata, ovvero l’ubicazione della stazione ferroviaria, bersaglio principale dell’aviazione alleata, quasi in aperta campagna. Un fatto che, a sua volta, aveva contenuto gli effetti sul centro storico dei ripetuti bombardamenti aerei.

Nelle settimane precedenti l’arrivo del Corpo di spedizione francese le forze antifasciste e il CLN di Siena si erano arrovellati intorno ad un’alternativa drammatica: tentare un’insurrezione o cercare un compromesso e una convivenza con le autorità fasciste in attesa degli Alleati? La prima ipotesi, oltre che dal  timore dei combattimenti fra case, piazze, palazzi, chiese, era stata ostacolata dal fatto che le bande partigiane, abbastanza forti, come ricordato, nelle campagne, si trovavano lontane dalla città. La più vicina, il 2° Distaccamento della Brigata Garibaldi “S. Lavagnini”, era a una quindicina di chilometri, nella zona di Tegoia. Un rastrellamento tedesco, avvenuto il 24 giugno, ne aveva bloccato l’intento di attraversare le linee in direzione di Siena. L’altra ipotesi si era scontrata, invece, con la difficoltà morale, prima ancora che politica, di scendere a patti con nemici quali il prefetto fascista Giorgio Alberto Chiurco e con rastrellatori di partigiani come Alessandro Rinaldi.

Fra spinte contrapposte e comunicati contraddittori, alla fine era prevalsa la linea che, dall’esterno del Comitato, aveva tracciato l’autorevole esponente dell’antifascismo Mario Bracci. Consultatosi con una cerchia di amici, fra i quali Ranuccio Bianchi Bandinelli, il Bracci si era recato in prefettura nell’intento di convincere Chiurco a rimanere in città per mediare con i tedeschi, con i quali aveva un ottimo rapporto.

Annotò Bracci nel suo diario: «Colloquio quasi drammatico: deve restare al suo posto […]. E se il mio governo mi ordina di ritirarmi? Disobbedire […]. Io ero commosso, lui piangeva. Si è persuaso».

Conseguenza implicita dell’accordo era l’incolumità di Chiurco. Nessun GAP avrebbe dovuto sparargli. Bracci non faceva parte del CLN, agiva un po’ da battitore libero. E il CLN non se l’era sentita di sposare ufficialmente la sua iniziativa, suscitandone il sarcasmo: «Naturalmente l’ineffabile Comitato […] mi ha quasi sconfessato e non si è voluto impegnare[…]. Vorrebbero che [Chiurco] rimanesse, ma liberi loro di ammazzarlo in qualunque momento. Bei tipi».

D’altra parte, neppure Chiurco era stato del tutto ai patti. Asserragliato in prefettura, aveva lasciato Siena un giorno e mezzo o due prima dell’ingresso dei francesi, mentre le retroguardie germaniche abbattevano le mura cittadine a Porta S. Marco, facevano saltare in aria ponti e infrastrutture, saccheggiavano i negozi portando via le merci esposte sui banchi e quelle imboscate nei retrobottega. Che erano molte di più, come avrebbe annotato con una punta di perfidia l’arcivescovo Mario Toccabelli.

Sta di fatto che l’opzione insurrezionale era stata accantonata. Alla guida del Comune si trovava il notabile Luigi Socini Guelfi. In quanto podestà aveva accettato tutte le scelte del fascismo, comprese le leggi razziali, e non si era dissociato dal rastrellamento degli ebrei del novembre 1943 né dalla fucilazione di partigiani alla caserma Lamarmora avvenuta nel marzo dell’anno successivo. Non gli venivano però attribuite responsabilità dirette. Era stato dunque considerato un fascista con cui si poteva collaborare.

E così, per vari giorni, Socini Guelfi e e gli esponenti del CLN avevano convissuto nelle sale del Palazzo pubblico e insieme avevano formato una Guardia Civica, con compiti “esclusivamente difensivi” e di “ordine pubblico”.

Alcuni fascisti (fra di essi il federale Giovanni Brugi e il milite della X Mas Walter Cimino) erano stati uccisi, i prigionieri politici ancora detenuti nel carcere di S. Spirito, a disposizione dei tedeschi, erano stati liberati con un’irruzione dei GAP, ma il “patto” aveva retto. E gli Alleati alla fine erano arrivati.

Tuttavia, proprio in quel 3 luglio, mentre la popolazione festeggiava la libertà, il nemico era ancora a due passi, appena al di là delle rovine della stazione ferroviaria, sulla collina di Vicobello. Lì morirono tre giovani della Guardia Civica che, precedendo le pattuglie francesi, si scontrarono con una retroguardia tedesca. Furono i primi caduti della schiera di oltre ottocento partigiani della provincia di Siena i quali, dopo la liberazione del loro territorio, si sarebbero arruolati nel “Cremona”, il gruppo di combattimento italiano a fianco degli Alleati, e avrebbero partecipato nel nord Italia alla liberazione dell’intero Paese.

 

Articolo pubblicato il 1° luglio 2024.




Il nuovo inventario dell’Archivio dell’Istituto Storico della Resistenza Senese e dell’Età contemporanea

Nelle prossime settimane sarà presentato al pubblico il nuovo Inventario dell’Archivio dell’Istituto Storico della Resistenza Senese e dell’Età contemporanea – ISREC (consultabile qui), realizzato con il patrocinio del Ministero della Cultura, e già disponibile e scaricabile in formato PDF dal sito istituzionale, nella sezione ‘Archivio e Biblioteca’. Questo testo nasce dall’esigenza di aggiornare e dare una nuova forma a quello che era stato redatto al momento della catalogazione curata da Antonietta Cutillo e Cecilia Rosa nel 1999. Da allora l’Archivio dell’ISRSEC ha acquisito nuova documentazione e preso in deposito diversi fondi archivistici di persona, donati dai diretti interessati o da eredi, e catalogati via via da Aldo Di Piazza e da altri collaboratori dell’Istituto, in singoli file di lavoro, disponibili presso la Sala studio dell’Ente. Il progetto iniziato tra la fine del 2022 ed il 2023, si è prefisso lo scopo di compiere una revisione di tutti questi cataloghi, frutto del lavoro di mani diverse, ed elaborati in tempi diversi, al fine uniformare il testo e di ottenere uno strumento di ricerca completo ed esaustivo, ma di facile lettura per l’utente che fosse interessato a compiere ricerche all’interno del vasto materiale che compone l’Archivio storico dell’Istituto.

Il risultato è un inventario che si compone della descrizione dei documenti raccolti dall’ISREC nel corso della sua attività, prevalentemente materiali, in originale ed in copia, relativi agli eventi che hanno interessato Siena durante il Governa fascista, la Seconda Guerra Mondiale e la lotta di Resistenza partigiana; la serie che risulta senz’altro essere quella più consistente, è quella che raggruppa la documentazione prodotta dalle Brigate partigiane e dei Gruppi di combattimento, in particolare quella relativa all’attività della Brigata Garibaldi “Spartaco Lavagnini”, operante con i suoi distaccamenti in buona parte della provincia senese. Il catalogo passa poi a descrivere gli archivi aggregati, come ad esempio quelli che raccolgono i documenti relativi all’attività dell’ANPI, a partire dal 1945, e dell’ANPIA, ma soprattutto archivi di persona. Questa sezione è ampia e composita: alcuni fondi raccolgono poche carte specificatamente legate alla Resistenza e all’attività politica – come quelli di Giorgio Salvi e di Giovanni Guastalli –, altri molto consistenti raccontano anche la vita privata e lavorativa dei loro produttori. Così incontriamo, uno dopo l’altro, gli archivi personali del libraio ed editore senese Nello Ticci, di Vittorio Meoni – unico sopravvissuto all’eccidio del Montemaggio, ma anche presidente per molti anni dell’Istituto Storico della Resistenza Senese e dell’ANPI provinciale di Siena –, di Sergio Vieri – partigiano e in seguito esponente del Partito Comunista Italiano e dirigente della CGIL –, di Martino Bardotti – Deputato della Repubblica sotto le fila della Democrazia Cristiana –, e di Fortunato Avanzati – partigiano, presidente dell’ANPI provinciale di Siena, assessore al Comune di Siena e membro della Segreteria della Federazione senese del PCI. I documenti raccolti in questa serie di archivi aggregati sono variegati e ricchi di contenuti; lo studio e l’approfondimento di questi materiali possono fornire allo studioso della storia contemporanea del territorio senese – e non solo- ampi spunti di indagine.

Questo nuovo strumento di ricerca, al momento consultabile unicamente in formato digitale, ha lo scopo di guidare il ricercatore a comprendere la quantità di tematiche diverse, che è possibile approfondire con lo studio attento di questi documenti, e di dare conto della consistenza e di una sintetica descrizione dei contenuti, per un primo approccio dell’utente all’Archivio. Una guida insomma, che non ha l’intento di descrivere analiticamente, carta per carta, tutto quello che si conserva presso l’Istituto storico della Resistenza senese, ma di invogliare gli studenti delle scuole, gli universitari, gli studiosi che si occupano della storia recente di questo territorio, a visitare questo archivio così ricco di informazioni, che raccontano episodi, più o meno noti, del nostro recente passato.




Antifascismo, Antifascismi

Lo scorso marzo si è tenuto a Lucca il convegno nazionale “Antifascismi, antifasciste e antifascisti. Pratiche, ideologie e percorsi biografici”, organizzato dall’Istituto storico della Resistenza e dell’Età contemporanea, e curato da Gianluca Fulvetti e Andrea Ventura. L’appuntamento si è svolto su due intense giornate di studio e si è inserito all’interno del filone di iniziative promosse dagli istituti storici della Resistenza toscani per l’anniversario della marcia su Roma. La particolarità di questo convegno è che ha rappresentato la tappa in cui per la prima volta al centro del dibattito storiografico collettivo è stato posto il fenomeno stesso dell’antifascismo. Infatti, se negli altri momenti di discussione si era comunque sempre tenuto in considerazione l’intreccio indissolubile al fine della comprensione storica tra fascismo e antifascismo, quest’ultimo ne era rimasto ugualmente in qualche modo schiacciato, visto che ci si era concentrati prettamente sul primo fascismo, sul suo avvento e sul consolidamento del potere durante il ventennio nei vari territori.

L’incontro nazionale ha avuto alcuni importanti meriti, tra cui innanzitutto la capacità di affrontare la riflessione sull’antifascismo in tutta la sua complessità e secondo diversi livelli di analisi: esplicito fin dal titolo, la discussione si è mossa a partire dalla pluralità delle forme del fenomeno, delle sue varie declinazioni, senza dare per scontato un’univoca pratica antifascista, e con la scoperta (o riscoperta) di alcuni percorsi individuali biografici che hanno permesso di dare dignità a singoli spaccati di vita e al tempo stesso di comprendere meglio le specificità dell’agire politico. Anche in questo caso le singolarità non sono state rappresentate come fine a se stesse, ma ricondotte all’interno di una cornice unitaria, seppur multiforme, con un’attenzione non scontata al transnazionalismo come elemento sostanziale alla comprensione dell’antifascismo e delle sue riflessioni teoriche che troveranno poi una concretizzazione nel dopoguerra democratico. Altra caratteristica che secondo chi scrive ha dato un valore aggiunto al convegno è stata la scelta da parte degli organizzatori di raccogliere i contributi grazie ad una call for paper di ampio respiro tematico: ciò non solo ha dato la possibilità a storiche e storici di varie zone d’Italia di avanzare le proprie proposte, indipendentemente dalla provenienza accademica, ottenendo di fatto un allargamento democratico dell’offerta, degli spunti di riflessione e degli ambiti di ricerca, ma ha anche consentito una composizione intergenerazionale fra coloro che hanno esposto la propria relazione, una compresenza fra giovani che per la prima volta si confrontavano con l’esperienza convegnistica, con studiose e studiosi navigati, in una contaminazione che è parsa vincente.

Le relazioni selezionate dal comitato scientifico si sono tenute su due giorni e sono state suddivise all’interno di quattro sessioni: antifascismi come ideologie politiche, biografie dentro la guerra civile europea e le resistenze, antifascismi come vissuto quotidiano, storia e memoria. Assente ufficialmente come blocco tematico, ma presente trasversalmente in molte delle relazioni è stato quello del metodo storico e dell’approccio all’uso delle fonti per la storiografia dell’antifascismo. Durante ogni fase della discussione l’antifascismo, o meglio gli antifascismi, sono stati inquadrati in elaborazioni storiche di lungo periodo, che non di rado guardavano direttamente, pur mantenendo chiare le dovute differenze, anche alla Resistenza (e alle resistenze), se non addirittura al dopoguerra e all’Italia contemporanea. In particolare, in questo senso è stata pensata l’ultima sessione del convegno, in cui i vari interventi hanno portato i risultati di alcune ricerche ancora in corso che dimostrano come la narrazione di determinati avvenimenti storici sia cambiata nel tempo e come questa esprima molto della memoria pubblica. La storiografia e la memoria dell’antifascismo, quindi, come lenti privilegiate per analizzare l’Italia repubblicana.

In generale sono emersi, tra le altre cose, il consolidamento di riflessioni e persino gli avanzamenti sull’uso di fonti considerate classiche per lo studio dell’antifascismo, come ad esempio il Casellario Politico Centrale: da una parte continua ad essere proficuamente utilizzato per riscoprire biografie e costruire dizionari biografici o altre raccolte, dall’altra si studia per valutazioni innovative che riguardano il dopoguerra, per avere un riflesso di come all’indomani del 1945 veniva gestito l’ordine pubblico, quindi sostanzialmente analizzare chi fossero i funzionari dediti a tale lavoro, quali i soggetti controllati dal nuovo Cpc, quali le categorie considerate come possibili sovvertitrici delle nuove istituzioni. Ci permette, cioè, di osservare le ombre dell’Italia del dopoguerra, i motivi dietro la scelta di recuperare uno strumento liberticida e di controllo sociale all’interno di una cornice democratica, che risente fin da subito dell’incombere della guerra fredda. Inoltre, una certa attenzione degna di nota è stata posta alle riflessioni sul metodo riguardo lo studio delle figure femminili dell’antifascismo e della Resistenza con la consapevolezza di dover volgere con maggiore cura uno sguardo alle carte secondo la loro parzialità e contemporaneamente la necessità di fare approfondimenti attraverso un affinamento e fonti non convenzionali e non istituzionali.

Il convegno è stato inaugurato dalla lectio del professor Renato Camurri dell’Università di Verona, che ha posto al centro della sua relazione il carattere transnazionale dell’antifascismo, la particolarità di come biografie, culture e rotte di migrazioni si intreccino e si influenzino nello sviluppo di un’analisi politica collettiva. L’antifascismo degli esuli europei è stato osservato come laboratorio politico e culturale, come una comunità in cui la circolazione dei saperi e la riflessione teorica danno avvio ad un pensiero anticonformista e antitotalitario. All’estero gli antifascisti e le antifasciste si riuniscono e provano a immaginarsi oltre la crisi totalitaria del nazionalsocialismo e del fascismo, si proiettano verso un futuro democratico e iniziano in un certo qual modo a porre quelle che saranno le sue basi nel dopoguerra.

Infine, si riprende la valutazione conclusiva di Ventura su momenti collettivi di studio e discussione come quello lucchese: oltre all’importanza per quanto riguarda il piano della comprensione storica e della ricerca, che si arricchisce dei vari contributi e ci consente evoluzioni nella conoscenza del passato, ritornare ed esplorare i vissuti di uomini e donne che con le loro azioni hanno fatto dell’antifascismo una fondamentale scelta vita, è per noi oggi, a livello puramente personale, un modo per affrontare con maggiore fiducia questo presente così buio.

Tutti gli interventi divisi per sessioni di discussione sono consultabili online nel canale YouTube dell’Istituto storico della Resistenza e dell’Età contemporanea in provincia di Lucca.




L’eccidio del Montemaggio

Lunedì 28 marzo 2022 alle ore 17:30 si terrà alle Stanze della Memoria di Siena (via Malavolti 9) la proiezione del video L’eccidio del Montemaggio, realizzato da Tommaso De Sando.

Assieme al regista, interverranno:

Pietro Clemente (Presidente ISRSEC)

Daniela Palazzi (UNICOOP Firenze – Sezione soci Siena)

Paola Lambardi (Attrice)

Francesco Burroni (Attore)

Luca Betti (Riprese)

Riccardo Bardotti (Testi)

 

Per info e prenotazioni: stanzedellamemoria@gmail.com




“La filosofia civile di Mario Casagrande”

Si terrà il 16 settembre (ore 17.00) a Viareggio presso il giardino del Palazzo delle Muse (sala Viani in caso di maltempo) la presentazione del libro di Stefano Bucciarelli “La filosofia civile di Mario Casagrande” (Edizioni ETS, Pisa 2021): il volume ricostruisce l’itinerario umano, culturale, politico, professionale di Mario Casagrande, sulla base di una estesa ricerca e di una inedita documentazione. A intervistare l’autore Riccardo Roni della Società Filosofica Italiana.

Professore di storia e filosofia che per un trentennio formò generazioni di allievi al Liceo scientifico di Viareggio, Casagrande (Sidney 1917- Viareggio 2011) fu, nei campi della cultura e della politica, tra le personalità vissute in Versilia più rappresentative del secolo scorso. Allievo della Normale, strinse significativi rapporti con Delio Cantimori e Cesare Luporini e si laureò con Guido Calogero, una delle guide del movimento liberalsocialista. Già in Normale il suo orientamento antifascista si manifestò in modo clamoroso. Nel dopoguerra ebbe una intensa esperienza politica nel partito comunista, sia localmente che a livello nazionale, all’epoca della commissione culturale di  Mario Alicata. La sua filosofia, ispirata agli ideali civili dell’illuminismo, dello storicismo laico, del marxismo, si sviluppò nel confronto tra cultura umanistica e cultura scientifica, nel vivo delle discussioni sul rinnovamento e sulla  riforma della scuola in senso democratico.

L’iniziativa si terrà nel rispetto delle norme anti-COVID: sarà pertanto necessario il possesso del green pass.




“Maestri e allievi contro il fascismo”

Martedì 21 settembre alle ore 17.00, presso la Casa della Memoria e della Pace di Lucca sulle mura urbane (porta s. Donato), sarà presentato il volume “Maestri e allievi contro il fascismo” a cura di Stefano Bucciarelli (Ed. ETS, Pisa 2021): il volume illustra biografie e vicende che si svolgono nella scuola nell’arco temporale tra  fascismo e secondo dopoguerra: percorsi della transizione dal fascismo alla democrazia, in cui è sottolineato  il valore esistenziale e politico di  scelte e prese di posizione che impegnarono docenti, presidi, studenti. Qui nacquero le ragioni della scelta resistenziale e i fondamenti su cui si baserà la nuova Italia democratica.

Interventi di: Silvia Angelini, Stefano Bucciarelli, Alda Fratello, Luciano Luciani, Stefano Sodi (autori); saluti istituzionali di Ilaria Vietina.

L’iniziativa si terrà nel rispetto delle norme anti-COVID.




“Curare la guerra a Lucca”: uomini di medicina nella Resistenza

Sarà presentato venerdì 17 settembre a Lucca presso la sala “Maria Eletta Martini” del CRED (via sant’Andrea 66) il numero doppio 45/46 di “Documenti e Studi”, rivista dell’Istituto storico della Resistenza e dell’Età contemporanea in provincia di Lucca: edito nel 2019, il volume raccoglie gli atti del convegno tenutosi il 5 ottobre 2018, incentrato sul ruolo dei medici nella Resistenza; un rilevante numero di “uomini di cura”, medici e studenti in formazione, militarono infatti – variamente collocati dal punto di vista politico e ideale – nella Resistenza a Lucca e in provincia. Alcuni impugnando le armi, altri individuando forme di opposizione e di contrasto al fascismo e al nazismo del tutto personali e originali, altrettanto efficaci e, al contempo, rispettose del Giuramento d’Ippocrate.

Interverranno Luciano Luciani (ISRECLU), Gianluca Fulvetti (Università di Pisa) e il dottor Raffaele Domenici; porterà il saluto istituzionale l’assessora Ilaria Vietina.

L’iniziativa si terrà nel rispetto delle norme anti-COVID.