Siena Libera 80

La mostra Siena libera 80 si presenta come un percorso in 15 tappe, segnate da altrettanti pannelli esplicativi, dedicato alle vicende che tra il settembre 1943 e il luglio 1944 interessarono la città e la provincia. Accompagnata da un ricco corredo di immagini, documenti e dati numerici, l’esposizione non si limita a raccontare la Resistenza e la Liberazione, ma ripercorre anche alcuni dei passaggi più importanti della travagliata storia di quei mesi.

Lo spettatore viene calato direttamente nella quotidianità dei senesi nelle fasi finali del conflitto mondiale, partendo dalla tragedia nazionale dell’8 settembre 1943 e dall’occupazione della provincia da parte delle truppe naziste, cui sarebbe seguito il ritorno dei fascisti con la nascita della Repubblica sociale italiana. Da lì, le prime azioni repressive contro gli oppositori, la cattura e la deportazione degli ebrei senesi nella notte tra il 5 e il 6 novembre 1944, tragico epilogo di una persecuzione avviatasi anni prima, con le leggi razziali del 1938.

Le sofferenze dell’inverno 1943 sono ricostruite partendo dalle condizioni di prigionia estrema degli Internati militari senesi, detenuti nei campi nazisti dopo essersi rifiutati di combattere per lo Stato fascista di Salò. Mentre le forze alleate combattevano incessantemente all’altezza di Cassino, la provincia era battuta da formazioni di bombardieri: obiettivi degli attacchi divenivano le linee e le stazioni ferroviarie, i ponti, le strade e ogni altra infrastruttura utilizzata dalla Wehrmacht per portare uomini e armi verso Sud. Anche Siena, in un primo momento risparmiata, fu più volte bombardata tra il gennaio e l’aprile 1944, mentre la propaganda fascista sempre più a stento riusciva a mascherare la realtà di un paese in ginocchio, di una popolazione affamata e stanca della guerra.

Mentre il malcontento montava nelle città, nella provincia prendevano corpo le formazioni partigiane che, a partire dal gennaio 1944, si sarebbero rese protagoniste di oltre 250 azioni di guerriglia e sabotaggio contro le forze occupanti: appoggiate da larghi strati della popolazione civile, dalle donne ai giovanissimi, fino al clero e ai più anziani, le bande operarono sotto la direzione di Comitati di Liberazione composti dai rappresentanti di tutte le forze politiche antifasciste.

Uno sforzo costato talvolta caro ai combattenti – tanti quelli caduti e i prigionieri torturati nei locali del comando fascista, la cosiddetta Casermetta, e sommariamente giustiziati – e anche ai civili, sui quali le forze nazifasciste sfogarono a più riprese la propria frustrazione nelle settimane precedenti l’arrivo delle truppe alleate nel luglio 1944. Anche di quel sacrificio, tuttavia, furono figlie la Liberazione e la nascita della Repubblica.

La mostra, esposta a Siena in piazza Matteotti e nel quartiere di San Miniato nell’aprile e nel giugno 2024, è adesso consultabile online sulla pagina web dell’Istituto storico della Resistenza senese e dell’età contemporanea. Il progetto è stato realizzato con la collaborazione di Anpi provinciale di Siena, Arci Siena, Cgil Siena, Comitato Siena 2, Ecpad Images Defense, con il sostegno tecnico di Betti Editrice, il patrocinio del Comune di Siena e il contributo del Consiglio Regionale della Toscana.

Articolo pubblicato nel settembre del 2024.




La Liberazione di Siena

Fra la rocca di Radicofani, nel sud della provincia di Siena, e Radda in Chianti, a nord, la distanza è di un centinaio di chilometri. Le truppe alleate impiegarono un mese, dal 18 giugno al 18 luglio 1944, per percorreli. Velocità media: meno di 3 chilometri e mezzo al giorno. L’avanzata dei reparti inglesi a est del terrirorio provinciale, di quelli americani a ovest e del Corpo di spedizione francese al centro incontrò, infatti, un forte contrasto da parte dei tedeschi, i quali si ritiravano ordinatamente, combattendo attestati su una serie di linee difensive predisposte, volta per volta, laddove la conformazione del terreno rendeva più efficace il fuoco di sbarramento di mitragliatrici e cannoni.

Alcuni centri abitati (Radicofani, Chiusi, Poggibonsi) furono teatro di scontri duri e prolungati fra i soldati dei due eserciti contrapposti. Altri (Casole d’Elsa, S. Gimignano) subirono cannoneggiamenti da entrambi. Ad altri ancora vennero invece risparmiate vittime e distruzioni perché ubicati in luoghi di scarsa rilevanza tattica.

Le bande partigiane, che avevano fortemente destabilizzato l’apparato militare fascista della RSI fra i mesi di marzo e maggio, nel giugno-luglio moltiplicarono l’attività tesa a ostacolare gli spostamenti dei tedeschi e accrebbero così il loro contributo di sangue alla libertà, un contributo che superò i trecento caduti fra uccisi in combattimento e fucilati in rastrellamenti e rappresaglie.

È in questo contesto che, il 3 luglio, avvenne la Liberazione di Siena ad opera dei tirailleurs e dei fantassins del generale J.G. De  Monsabert, rimasto un benemerito nella storia cittadina per non aver dato l’ordine di aprire il fuoco dei suoi cannoni sia per non colpire i monumenti senesi che conosceva ed apprezzava, sia perché era stato informato che i tedeschi se ne stavano andando da un luogo che non era inserito lungo le loro linee difensive.

Si trattò di circostanze fortunate che limitarono i danneggiamenti. Andarono ad aggiungersi ad un’altra circostanza non meno fortunata, ovvero l’ubicazione della stazione ferroviaria, bersaglio principale dell’aviazione alleata, quasi in aperta campagna. Un fatto che, a sua volta, aveva contenuto gli effetti sul centro storico dei ripetuti bombardamenti aerei.

Nelle settimane precedenti l’arrivo del Corpo di spedizione francese le forze antifasciste e il CLN di Siena si erano arrovellati intorno ad un’alternativa drammatica: tentare un’insurrezione o cercare un compromesso e una convivenza con le autorità fasciste in attesa degli Alleati? La prima ipotesi, oltre che dal  timore dei combattimenti fra case, piazze, palazzi, chiese, era stata ostacolata dal fatto che le bande partigiane, abbastanza forti, come ricordato, nelle campagne, si trovavano lontane dalla città. La più vicina, il 2° Distaccamento della Brigata Garibaldi “S. Lavagnini”, era a una quindicina di chilometri, nella zona di Tegoia. Un rastrellamento tedesco, avvenuto il 24 giugno, ne aveva bloccato l’intento di attraversare le linee in direzione di Siena. L’altra ipotesi si era scontrata, invece, con la difficoltà morale, prima ancora che politica, di scendere a patti con nemici quali il prefetto fascista Giorgio Alberto Chiurco e con rastrellatori di partigiani come Alessandro Rinaldi.

Fra spinte contrapposte e comunicati contraddittori, alla fine era prevalsa la linea che, dall’esterno del Comitato, aveva tracciato l’autorevole esponente dell’antifascismo Mario Bracci. Consultatosi con una cerchia di amici, fra i quali Ranuccio Bianchi Bandinelli, il Bracci si era recato in prefettura nell’intento di convincere Chiurco a rimanere in città per mediare con i tedeschi, con i quali aveva un ottimo rapporto.

Annotò Bracci nel suo diario: «Colloquio quasi drammatico: deve restare al suo posto […]. E se il mio governo mi ordina di ritirarmi? Disobbedire […]. Io ero commosso, lui piangeva. Si è persuaso».

Conseguenza implicita dell’accordo era l’incolumità di Chiurco. Nessun GAP avrebbe dovuto sparargli. Bracci non faceva parte del CLN, agiva un po’ da battitore libero. E il CLN non se l’era sentita di sposare ufficialmente la sua iniziativa, suscitandone il sarcasmo: «Naturalmente l’ineffabile Comitato […] mi ha quasi sconfessato e non si è voluto impegnare[…]. Vorrebbero che [Chiurco] rimanesse, ma liberi loro di ammazzarlo in qualunque momento. Bei tipi».

D’altra parte, neppure Chiurco era stato del tutto ai patti. Asserragliato in prefettura, aveva lasciato Siena un giorno e mezzo o due prima dell’ingresso dei francesi, mentre le retroguardie germaniche abbattevano le mura cittadine a Porta S. Marco, facevano saltare in aria ponti e infrastrutture, saccheggiavano i negozi portando via le merci esposte sui banchi e quelle imboscate nei retrobottega. Che erano molte di più, come avrebbe annotato con una punta di perfidia l’arcivescovo Mario Toccabelli.

Sta di fatto che l’opzione insurrezionale era stata accantonata. Alla guida del Comune si trovava il notabile Luigi Socini Guelfi. In quanto podestà aveva accettato tutte le scelte del fascismo, comprese le leggi razziali, e non si era dissociato dal rastrellamento degli ebrei del novembre 1943 né dalla fucilazione di partigiani alla caserma Lamarmora avvenuta nel marzo dell’anno successivo. Non gli venivano però attribuite responsabilità dirette. Era stato dunque considerato un fascista con cui si poteva collaborare.

E così, per vari giorni, Socini Guelfi e e gli esponenti del CLN avevano convissuto nelle sale del Palazzo pubblico e insieme avevano formato una Guardia Civica, con compiti “esclusivamente difensivi” e di “ordine pubblico”.

Alcuni fascisti (fra di essi il federale Giovanni Brugi e il milite della X Mas Walter Cimino) erano stati uccisi, i prigionieri politici ancora detenuti nel carcere di S. Spirito, a disposizione dei tedeschi, erano stati liberati con un’irruzione dei GAP, ma il “patto” aveva retto. E gli Alleati alla fine erano arrivati.

Tuttavia, proprio in quel 3 luglio, mentre la popolazione festeggiava la libertà, il nemico era ancora a due passi, appena al di là delle rovine della stazione ferroviaria, sulla collina di Vicobello. Lì morirono tre giovani della Guardia Civica che, precedendo le pattuglie francesi, si scontrarono con una retroguardia tedesca. Furono i primi caduti della schiera di oltre ottocento partigiani della provincia di Siena i quali, dopo la liberazione del loro territorio, si sarebbero arruolati nel “Cremona”, il gruppo di combattimento italiano a fianco degli Alleati, e avrebbero partecipato nel nord Italia alla liberazione dell’intero Paese.

 

Articolo pubblicato il 1° luglio 2024.




Maria Luigia Guaita

Presentando la prima edizione de La guerra finisce la guerra continua Ferruccio Parri, il capo-partigiano “Maurizio” poi, nel giugno 1945, Presidente del Consiglio dell’Italia liberata, ricorda Maria Luigia Guaita come «una delle staffette più brave, ardite, estrose e generose» che hanno partecipato alla lotta di Liberazione, una «donna della Resistenza» fidata, coraggiosa e capace.

Nata a Pisa l’11 agosto 1912 Maria Luigia Guaita trascorre l’infanzia a Torino per poi raggiungere Firenze nel 1926. Qui, grazie al fratello Giovanni, allora giovane studente, inizia a frequentare gli ambienti dell’antifascismo di estrazione liberalsocialista entrando in consuetudine con personaggi come Nello Traquandi, già tra gli animatori del periodico clandestino «Non mollare» e del Circolo di cultura politica di Borgo S. Apostoli, ed Enzo Enriques Agnoletti, uno dei principali esponenti dell’azionismo fiorentino durante la Resistenza.

Avvicinatasi al Partito d’Azione (PdA) la giovane Maria Luigia ne cura l’organizzazione dell’attività clandestina sfruttando, in un primo tempo, quel contatto giornaliero col pubblico – e, quindi, con altri antifascisti – consentitole dalle mansioni di impiegata di sportello presso una filiale fiorentina della Banca Nazionale del Lavoro. Durante la lotta di Liberazione, poi, opera come staffetta, contribuisce alla diffusione di stampa antifascista e all’organizzazione delle cellule clandestine legate al partito.
Agli ordini del Comando militare azionista si adopera, inoltre, per il collegamento tra il Comitato Toscano di Liberazione Nazionale (CTLN), gli Alleati e le formazioni partigiane presenti nell’area compresa tra Viareggio, Massa Carrara, la Lunigiana e il Pistoiese garantendo un servizio – rileva Carlo Francovich – «particolarmente delicato e pericoloso», ma di fondamentale importanza ai fini dell’organizzazione tattico-strategica della lotta di resistenza e generalmente svolto «da giovani donne, la cui audacia era talvolta temeraria»: tra queste, oltre alla Guaita, si ricordano Orsola Biasutti, Anna Maria Enriques Agnoletti, Gilda Larocca, Adina Tenca, Andreina Morandi. Quest’ultima – sorella di Luigi Morandi, il radiotelegrafista del gruppo Co.Ra ferito a morte il 7 giugno 1944 durante l’irruzione dei tedeschi nell’appartamento in Piazza d’Azeglio, ultima sede della radio clandestina azionista –, nei mesi dell’occupazione germanica collabora con la Guaita e, anni dopo, ne ricorda mediante un curioso aneddoto la versatilità e l’instancabilità operativa: «[Maria Luigia Guaita] Non disdegnava nessun tipo di impegno; sapeva trasformarsi anche in vivandiera, come quando riuscì ad ottenere dal proprietario del famoso ristorante Sabatini due sporte piene di conigli, destinati (e purtroppo non arrivati per una serie di contrattempi) alla formazione di Lanciotto Ballerini, che operava dalle parti di Monte Morello» e, nel gennaio 1944, resterà ucciso nella battaglia di Valibona.
Nel quadro più ampio dell’impegno antifascista di Maria Luigia Guaita assume particolare rilievo l’attività di falsificazione di documenti, permessi e timbri in soccorso a partigiani e perseguitati politici alla quale viene iniziata da Tristano Codignola, uno dei più brillanti e capaci dirigenti azionisti: «Con Pippo [Codignola] – ricorda – sarebbe stato duro lavorare, pensavo, ma avrebbe capito e Pippo capì sempre la buona volontà di tutti noi. Ricercato dalla polizia, braccato dalle SS, riuscì a creare insieme a Rita [Fasolo] e a Nello [Traquandi] tutta l’organizzazione politica del partito. Attivo, infaticabile, riempiva le lacune, colmava i vuoti imprevedibili – e di giorno in giorno, d’ora in ora – sfuggiva alla cattura».
L’efficacia del servizio ricorre, altresì, nelle parole lette dallo stesso Codignola all’Assemblea regionale del PdA, tenutasi a Firenze nel febbraio 1945, con le quali rileva come, sotto la solerte guida di Traquandi, esso sia divenuto nel tempo «un magnifico strumento di resistenza, fornendo falsificazioni di ogni natura, tessere, fotografie, timbri, carte annonarie e via dicendo»: Maria Luigia, senza esitare nel mettere a disposizione la propria abitazione fiorentina di via Giovanni Caselli 4, coordina con perizia l’apprestamento e la distribuzione dei documenti falsi permettendo a tale attività di raggiungere un notevole grado di perfezione. Dopo la Liberazione, a riconoscimento dell’impegno resistenziale il Ministero della Guerra le riconosce la qualifica di partigiano afferente alla Divisione “Giustizia e Libertà”-Servizio Informazioni per il periodo compreso tra il 9 settembre 1943 e il 7 settembre 1944.

La primavera del 1945 segna l’avvio della rinascita democratica dell’Italia alla quale le donne, conquistato il diritto al voto, contribuiscono in prima persona. In Assemblea Costituente, ne sono elette 21: 9 democristiane, 9 comuniste, 2 socialiste – tra le quali la toscana Bianca Bianchi – e una proveniente dalle file dell’Uomo qualunque. In Toscana nessuna delle candidate nelle liste del PdA – Olga Monsani, Margherita Fasolo, Eleonora Turziani – ottiene i voti necessari per l’elezione. Maria Luigia Guaita è tra quanti, nei primi anni di vita della giovane Repubblica, confidano nel disegno politico azionista e nel progetto di rinnovamento palingenetico delle strutture dello Stato e della società italiani. Tali aspettative non trovano, però, concretezza e nelle parole da lei consegnate al proprio libro di memorie emergono con forza la delusione per la fine prematura del PdA e l’amara percezione del progressivo appannamento dei valori e delle speranze che hanno animato le donne e gli uomini della Resistenza: «Se devo necessariamente adoperare le parole che esprimono i concetti di libertà e di giustizia, – scrive – ho un attimo di esitazione, spesso ricorro a una perifrasi. “Giustizia e Libertà” mi ha cantato troppo nel cuore, per tutti gli anni della lotta clandestina. Allora mi sforzavo soltanto di essere disciplinata, ma sempre con un sottile struggimento di non fare abbastanza, anche per le perdite dolorose di tanti compagni, i migliori; e ognuno di loro si portava via una parte di me. Venne la liberazione; affascinata da questa parola sperai nell’affermarsi delle forze socialiste. Poi le giornate di Roma, il congresso al Teatro Italia. Ricordo Ragghianti, che tratteneva Parri per la giacchetta, il volto duro e caparbio di Carlo, quello tagliente e tirato di Pippo, la dialettica di La Malfa: il crollo del Partito d’Azione. Pensavo che il sacrificio di tanti compagni (e così di nuovo mi bruciava nel cuore il dolore per la loro morte) sarebbe stato sufficiente a disciplinare le forze, attutire gli screzi, frenare le ambizioni». Ciò, come noto, non avverrà e il PdA si scioglierà nel 1947.

All’assenza dalla vita politica partecipata corrisponde un intenso impegno della Guaita in attività di natura culturale e imprenditoriale. Donna emancipata da sempre legata al mondo intellettuale non solo fiorentino, ella contribuisce a fondare e animare le Edizioni “U” di Dino Gentili cui si devono, grazie all’opera editoriale di Enrico Vallecchi, la pubblicazione di numerosi volumi proibiti sotto la dittatura fascista. Maria Luigia Guaita collabora, inoltre, con «Il Mondo» di Mario Pannunzio, fa parte dell’Associazione Liberi Partigiani Italia Centrale (A.L.P.I.C.) e, nel 1957, dà alle stampe quel libro di memorie che Roberto Battaglia ha paragonato al Diario partigiano di Ada Gobetti definendolo «una spregiudicata narrazione delle vicende d’una staffetta partigiana che si muove o corre dalla città alla montagna e viceversa», nel quale l’autrice «insieme ai toni scanzonati del bozzetto, sa trovare, specie nelle ultime pagine del libro, quelli tragici ed ardui dell’epica partigiana, allorché descrive l’impiccagione di italiani e sovietici a Figline di Prato».
Degno di rilievo si rivela, infine, l’impegno della Guaita nel campo dell’imprenditoria tessile nella Prato della ricostruzione nonché, sul finire degli anni Cinquanta, la fondazione a Firenze della Stamperia d’arte «Il Bisonte», cui segue l’apertura sulle rive dell’Arno di una scuola per insegnare ai giovani le tecniche tradizionali dell’incisione. Nel 1981, a riconoscimento di questo importante impegno imprenditoriale, il Presidente della Repubblica Sandro Pertini le conferisce il titolo di Commendatore.
Maria Luigia Guaita muore a Firenze il 26 dicembre 2007, all’età di 95 anni. Con lei, dirà il sindaco di Firenze Leonardo Domenici, «scompare una delle personalità più rappresentative della nostra città»: una donna della Resistenza e un’indiscussa protagonista della vita imprenditoriale in Toscana, in Italia e all’estero.

Mirco Bianchi, dottore in Storia contemporanea, è responsabile dell’Archivio dell’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.




“Qualcosa di meglio” alla Casa del Popolo di Verciano

“Un impegno per il presente”. La città di Lucca e l’Istituto storico della Resistenza nel 75° anniversario della liberazione.

Sono le ore 10.00 della mattina del 5 settembre 1944 quando una pattuglia di soldati americani al comando del capitano Gandy fa il suo ingresso a Lucca, liberata dai partigiani nel corso della notte, dalla cinquecentesca Porta San Pietro, per essere festosamente accolti dalla popolazione civile: se per quei soldati – membri della “mitica” 92° divisione Buffalo, composta in gran parte da afroamericani – il conflitto era ancora lontano dalla sua conclusione, per la città e i suoi abitanti la guerra era finalmente finita. Sono passati ventiquattro anni da quel violento scontro in piazza San Michele tra fascisti e socialisti tante volte ricordato da Arturo Paoli (che all’epoca ha otto anni e assiste personalmente al fatto), ventidue dalla marcia su Roma (cui partecipa anche l’empolese Idreno Utimpergher, dal giugno 1944 a Lucca assieme a Pavolini per riorganizzare le squadre fasciste dopo aver seminato il terrore a Trieste) , e venti dal delitto Matteotti, apparente preludio alla disfatta del fascismo e che invece si traduce nel suo definitivo avvento al potere. Si combatte ancora a dire il vero, i tedeschi tentanto un ultimo attacco quella stessa mattina presso Porta Santa Maria e e Porta Elisa, ma vengono respinti: la guerra nella quale Mussolini ha portato un paese militarmente impreparato è finita per davvero a Lucca, non come il 25 luglio. Sei giorni dopo l’arrivo degli Alleati, l’11 settembre, la formazione Bonacchi viene sciolta: 18 dei suoi effettivi sono caduti nelle ore decisive della liberazione della città, e altrettanti sono i feriti gravi. È davvero finita per il fascismo a Lucca, per il regime che ha perseguitato, emarginato e imprigionato l’anarchico militante Urbano “Ferruccio” Arrighi, (che fu in corrispondenza addirittura con il “padre nobile” dell’anarchismo italiano Errico Malatesta), il popolare Arturo Chelini (tra i fondatori del Ppi lucchese, aggredito nell’agosto 1922 da alcuni squadristi in via Fillungo), l’allenatore della Lucchese Ernesto Erbstein (ebreo ungherese vittima delle leggi razziali), Silvio Laurini (emigrato da bambino in Spagna con la famiglia, combattente per il fronte repubblicano durante la guerra civile nelle brigate internazionali), il comunista Giorgio Ricci (dal 1940 al 1943 al confino a Ventotene) e molti altri ancora. Senza dimenticare il ruolo fondamentale del clero lucchese, protagonista di una straordinaria testimonianza di resistenza civile e assistenza e protezione agli ebrei perseguitati, ai prigionieri in fuga e alle bande partigiane durante la guerra: una resistenza disarmata ma non priva di rischi, che vede numerosi uomini di fede cadere vittime della ferocia nazista, da don Giorgio Bigongiari ai monaci certosini di Farneta fino a don Aldo Mei, fucilato proprio a Lucca un mese prima della liberazione della città.

Conferenza stampa di presentazione del calendario della liberazione a Lucca, 29 agosto 2019 (foto di S. Lazzari)

Tante storie diverse, “storie difficili e dolorose […] ma anche belle” come scrive il sindaco di Lucca Alessandro Tambellini nel suo contributo al volume edito dall’Anpi nel 2014 in occasione delle commemorazioni per il 70° anniversario della liberazione, “storie di gioventù e di buoni maestri, storie di resistenza in armi e di disobbedienze civili, percorsi individuali e gesti di impegno collettivo”. Storie che il comune di Lucca, in sinergia con le istituzioni provinciali e i numerosi enti e associazioni impegnati sul fronte della memoria e della ricerca storica – Anpi, Atvl, Ass. “Linea Gotica”, Fiap, Fivl, Isrec e Istituto storico lucchese – dal 1° settembre al 5 ottobre si impegna una volta di più a valorizzare, in quello che l’assessora alla memoria Ilaria Vietina, nella conferenza stampa a Palazzo Orsetti del 29 agosto, ha definito “un impegno per il presente”, volto a recuperare la consapevolezza di ciò che è stato il periodo bellico per i territori della Lucchesia, riscoprendo le radici della Costituzione, nata dalla Resistenza e dalla negazione del progetto politico nazifascista. Il recupero della memoria passa dalla scelta di servirsi di un linguaggio multimediale che vede il media del libro affiancato dal docufilm (quello sul veterano della Buffalo Ivan J. Houston, presente anche alla proiezione) e dal teatro (“Ich var da”, di e con Amanda Sandrelli e Marco Brinzi, dove troverà spazio anche la fotografia di Oliviero Toscani, che nel 2003 ha ritratto i sopravvissuti all’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, allora soltanto dei bambini). Varie iniziative hanno toccato e toccheranno tutti i territori della Lucchesia con lo scopo, sottolinea ancora Vietina, di dare la voce ai “salvati”, sulla scia degli studi di Anna Bravo: andare oltre la memoria delle vittime – senza che questo significhi sminuirne il ricordo – per restituire una storia che non sia appiattita unicamente sull’aspetto della violenza. Ma il progetto è più ambizioso, guarda oltre le celebrazioni ufficiali nel quadro di quella che potremmo definire una “memoria attiva” per la quotidianità, non legata alla “liturgia” laica degli anniversari: in questo senso è da leggersi l’inaugurazione, che si terrà sabato 21 settembre alle 12.00, della “Casa della Memoria e della Pace” presso il castello di Porta San Donato sulle mura, che si auspica possa diventare un punto di riferimento per tutti quei soggetti impegnati sul fronte della tutela della memoria. Ma quest’ultima ha il suo complemento insostituibile nel rigore scientifico della ricerca storica.

L’intervento di Andrea Ventura a Palazzo Santini il 5 settembre 2019 (foto di S. Lazzari)

L’Istituto storico della Resistenza e dell’Età contemporanea in provincia di Lucca, fondato nel 1977, è parte integrante anche quest’anno dei numerosi eventi legati a questo 75° anniversario, tenuti insieme da un filo conduttore che il direttore dell’Isrec, Andrea Ventura, individua nel ritorno alla testimonianza, al vissuto personale dei protagonisti: ma l’importanza di questo aspetto non deve far venire meno l’interesse per il documento, la fonte storica, essa stessa forma di testimonianza che rimanda agli individui che vissero quel periodo cruciale. Ed è proprio questa la via che l’Isrec ha scelto, in continuità con quanto già fatto in passato a partire dal 40° anniversario (1984) e poi ancora nel 60° (2004), pubblicando sulla rivista dell’Istituto – Documenti e Studi – fonti statistiche, relazioni e testimonianze allora inedite sul periodo dell’occupazione e l’attività partigiana nella provincia di Lucca. Un passaggio quindi dalla memoria – con tutti i rischi legati alla selettività della stessa e al rischio di rimozioni – alla storia fondata sui documenti, quelli delle commissioni incaricate di riconoscere ai richiedenti la qualifica di partigiano combattente. Sono queste carte, presentate a Palazzo Santini dal direttore Ventura il 5 settembre, a chiusura della giornata di celebrazioni della liberazione – che ci restituiscono i profili biografici degli uomini della formazione “Bonacchi” (giovani nati e cresciuti sotto il fascismo, privi di una vera educazione politica) e demoliscono il mito revisionista secondo cui “alla liberazione tutti partigiani” (in realtà i criteri di riconoscimento furono piuttosto restrittivi, e circa 71 domande furono respinte). Un lavoro scientifico che – ha sottolineato ancora Ventura nelle conclusioni del suo intervento del 5 settembre – non può essere appiattito su una presunta freddezza dello storico, immaginato come studioso completamente distaccato dall’argomento: al contrario, ogni ricerca non può prescindere da una certa empatia verso i protagonisti delle vicende indagate.

Articolo pubblicato nel settembre del 2019.




75° anniversario della Liberazione di Lucca: gli appuntamenti della settimana dell’ISREC

Giovedì 5 settembre alle 17.30 presso Palazzo Santini (sala consiliare), nel quadro delle commemorazioni ufficiali della liberazione di Lucca, si terrà un evento dedicato alla formazione partigiana “Bonacchi” con la partecipazione di Andrea Ventura, direttore dell’ISREC: per l’occasione verranno presentati alcuni documenti inediti riguardanti la brigata comandata da Mario Bonacchi. Porteranno il saluto istituzionale Francesco Battistini (presidente del consiglio comunale) e Alessandro Profeti (consigliere comunale). Introduce Ilaria Vietina, assessora alla continuità della memoria storica.

Programma dell’iniziativa

 

Venerdì 6 settembre alle 21.00 a Piazzano (Lucca), sul piazzale della chiesa si terranno le celebrazioni in ricordo del giovane partigiano versiliese Aldo Mazza; porterà il saluto istituzionale Roberto Guidotti (consigliere comunale di Lucca), mentre interverranno per l’ISREC Francesco Lucarini e Moreno Bertolozzi.

Programma dell’iniziativa




Festa della Liberazione di Pistoia

In occasione della Festa della Liberazione di Pistoia (8 settembre 1944), il Cudir (comitato unitario di difesa delle istituzioni repubblicane) organizza le seguenti attività:

8 settembre ore 11 – Omaggio alla resistenza, Piazza della Resistenza

8 settembre ore 12 – Deposizione di una corona in memoria degli internati nei campi di concentramento, Stazione di Pistoia

10 settembre ore 11 – Deposizione di una corona in memoria della piccola Jone Pacini, uccisa da un bombardamento tedesco a soli 5 anni – Palazzo di Giano

12 settembre ore 11 – Deposizione di una corona in ricordo della strage di Piazza San Lorenzo – Piazza San Lorenzo




Frammenti della nostra storia, una mostra alle Stanze della Memoria

Nell’ambito dei festeggiamenti per il 70° Anniversario della Liberazione di Siena dal nazifascismo avvenuta il 3 luglio 1944, l’Istituto Storico della Resistenza Senese e dell’Età Contemporanea ospiterà nel mese di giugno l’Associazione Gruppo Modellisti Senesi con modelli in scala ridotta, documenti, oggetti civili e militari dell’epoca.
L’esposizione, oltre ad integrare la bella mostra permanente già presente nei locali museali STANZE DELLA MEMORIA, fornirà ai visitatori più giovani uno sguardo “tridimensionale” su ciò che hanno vissuto i nostri nonni in quel tragico periodo della nostra storia patria.
Il Museo, ubicato a Siena in via Malavolti n.9, fino al 20 giugno resterà aperto ogni lunedì, mercoledì e venerdì, dalle ore 15:30 alle ore 18:30 (salvo aperture straordinarie su richiesta).
L’evento rientra anche nelle iniziative per la candidatura di Siena a Capitale Europea della Cultura 2019.