Antifascismo, Antifascismi

Lo scorso marzo si è tenuto a Lucca il convegno nazionale “Antifascismi, antifasciste e antifascisti. Pratiche, ideologie e percorsi biografici”, organizzato dall’Istituto storico della Resistenza e dell’Età contemporanea, e curato da Gianluca Fulvetti e Andrea Ventura. L’appuntamento si è svolto su due intense giornate di studio e si è inserito all’interno del filone di iniziative promosse dagli istituti storici della Resistenza toscani per l’anniversario della marcia su Roma. La particolarità di questo convegno è che ha rappresentato la tappa in cui per la prima volta al centro del dibattito storiografico collettivo è stato posto il fenomeno stesso dell’antifascismo. Infatti, se negli altri momenti di discussione si era comunque sempre tenuto in considerazione l’intreccio indissolubile al fine della comprensione storica tra fascismo e antifascismo, quest’ultimo ne era rimasto ugualmente in qualche modo schiacciato, visto che ci si era concentrati prettamente sul primo fascismo, sul suo avvento e sul consolidamento del potere durante il ventennio nei vari territori.

L’incontro nazionale ha avuto alcuni importanti meriti, tra cui innanzitutto la capacità di affrontare la riflessione sull’antifascismo in tutta la sua complessità e secondo diversi livelli di analisi: esplicito fin dal titolo, la discussione si è mossa a partire dalla pluralità delle forme del fenomeno, delle sue varie declinazioni, senza dare per scontato un’univoca pratica antifascista, e con la scoperta (o riscoperta) di alcuni percorsi individuali biografici che hanno permesso di dare dignità a singoli spaccati di vita e al tempo stesso di comprendere meglio le specificità dell’agire politico. Anche in questo caso le singolarità non sono state rappresentate come fine a se stesse, ma ricondotte all’interno di una cornice unitaria, seppur multiforme, con un’attenzione non scontata al transnazionalismo come elemento sostanziale alla comprensione dell’antifascismo e delle sue riflessioni teoriche che troveranno poi una concretizzazione nel dopoguerra democratico. Altra caratteristica che secondo chi scrive ha dato un valore aggiunto al convegno è stata la scelta da parte degli organizzatori di raccogliere i contributi grazie ad una call for paper di ampio respiro tematico: ciò non solo ha dato la possibilità a storiche e storici di varie zone d’Italia di avanzare le proprie proposte, indipendentemente dalla provenienza accademica, ottenendo di fatto un allargamento democratico dell’offerta, degli spunti di riflessione e degli ambiti di ricerca, ma ha anche consentito una composizione intergenerazionale fra coloro che hanno esposto la propria relazione, una compresenza fra giovani che per la prima volta si confrontavano con l’esperienza convegnistica, con studiose e studiosi navigati, in una contaminazione che è parsa vincente.

Le relazioni selezionate dal comitato scientifico si sono tenute su due giorni e sono state suddivise all’interno di quattro sessioni: antifascismi come ideologie politiche, biografie dentro la guerra civile europea e le resistenze, antifascismi come vissuto quotidiano, storia e memoria. Assente ufficialmente come blocco tematico, ma presente trasversalmente in molte delle relazioni è stato quello del metodo storico e dell’approccio all’uso delle fonti per la storiografia dell’antifascismo. Durante ogni fase della discussione l’antifascismo, o meglio gli antifascismi, sono stati inquadrati in elaborazioni storiche di lungo periodo, che non di rado guardavano direttamente, pur mantenendo chiare le dovute differenze, anche alla Resistenza (e alle resistenze), se non addirittura al dopoguerra e all’Italia contemporanea. In particolare, in questo senso è stata pensata l’ultima sessione del convegno, in cui i vari interventi hanno portato i risultati di alcune ricerche ancora in corso che dimostrano come la narrazione di determinati avvenimenti storici sia cambiata nel tempo e come questa esprima molto della memoria pubblica. La storiografia e la memoria dell’antifascismo, quindi, come lenti privilegiate per analizzare l’Italia repubblicana.

In generale sono emersi, tra le altre cose, il consolidamento di riflessioni e persino gli avanzamenti sull’uso di fonti considerate classiche per lo studio dell’antifascismo, come ad esempio il Casellario Politico Centrale: da una parte continua ad essere proficuamente utilizzato per riscoprire biografie e costruire dizionari biografici o altre raccolte, dall’altra si studia per valutazioni innovative che riguardano il dopoguerra, per avere un riflesso di come all’indomani del 1945 veniva gestito l’ordine pubblico, quindi sostanzialmente analizzare chi fossero i funzionari dediti a tale lavoro, quali i soggetti controllati dal nuovo Cpc, quali le categorie considerate come possibili sovvertitrici delle nuove istituzioni. Ci permette, cioè, di osservare le ombre dell’Italia del dopoguerra, i motivi dietro la scelta di recuperare uno strumento liberticida e di controllo sociale all’interno di una cornice democratica, che risente fin da subito dell’incombere della guerra fredda. Inoltre, una certa attenzione degna di nota è stata posta alle riflessioni sul metodo riguardo lo studio delle figure femminili dell’antifascismo e della Resistenza con la consapevolezza di dover volgere con maggiore cura uno sguardo alle carte secondo la loro parzialità e contemporaneamente la necessità di fare approfondimenti attraverso un affinamento e fonti non convenzionali e non istituzionali.

Il convegno è stato inaugurato dalla lectio del professor Renato Camurri dell’Università di Verona, che ha posto al centro della sua relazione il carattere transnazionale dell’antifascismo, la particolarità di come biografie, culture e rotte di migrazioni si intreccino e si influenzino nello sviluppo di un’analisi politica collettiva. L’antifascismo degli esuli europei è stato osservato come laboratorio politico e culturale, come una comunità in cui la circolazione dei saperi e la riflessione teorica danno avvio ad un pensiero anticonformista e antitotalitario. All’estero gli antifascisti e le antifasciste si riuniscono e provano a immaginarsi oltre la crisi totalitaria del nazionalsocialismo e del fascismo, si proiettano verso un futuro democratico e iniziano in un certo qual modo a porre quelle che saranno le sue basi nel dopoguerra.

Infine, si riprende la valutazione conclusiva di Ventura su momenti collettivi di studio e discussione come quello lucchese: oltre all’importanza per quanto riguarda il piano della comprensione storica e della ricerca, che si arricchisce dei vari contributi e ci consente evoluzioni nella conoscenza del passato, ritornare ed esplorare i vissuti di uomini e donne che con le loro azioni hanno fatto dell’antifascismo una fondamentale scelta vita, è per noi oggi, a livello puramente personale, un modo per affrontare con maggiore fiducia questo presente così buio.

Tutti gli interventi divisi per sessioni di discussione sono consultabili online nel canale YouTube dell’Istituto storico della Resistenza e dell’Età contemporanea in provincia di Lucca.




La Città Bianca in camicia nera: dalla fine dell’Ottocento ai fatti di Piazza S. Michele

La Lucca prefascista: conservazione e tradizione

Regione rossa per eccellenza nell’immaginario collettivo assieme all’Emilia Romagna, la Toscana può vantare una “genealogia rivoluzionaria” che dagli studenti pisani volontari a Curtatone e Montanara arriva allo spartiacque di Livorno del 1921, passando per episodi meno noti come la feconda contaminazione reciproca tra socialismo e progressismo positivista d’ispirazione mazziniana nella Versilia a cavallo fra i due secoli [1].

In un simile panorama la città di Lucca spicca per il proprio conservatorismo, “fortemente connesso”, come evidenzia Luca Pighini, “con la difesa dei valori religiosi”; terra d’emigrazione e territorio a vocazione agricola, la Lucchesia conosce l’industrializzazione nell’ultimo ventennio dell’Ottocento, quando l’imprenditore genovese Vittorio Emanuele Balestrieri impianta uno jutificio in località Ponte a Moriano [2]. Il conflitto sociale, a fronte delle durissime condizioni di vita della classe operaia lucchese, stenta a decollare: soltanto nella primavera del 1914 si tiene il primo vero sciopero di massa, quello delle sigaraie della Manifattura Tabacchi, già protagoniste nei decenni precedenti degli unici, sporadici episodi di combattività operaia in Lucchesia [3], e che durante la Prima guerra mondiale saranno nuovamente al centro delle proteste del 1917 [4 ]. Ma le cose sono destinate a cambiare con la fine del conflitto e il doloroso lascito che questo si lascia alle spalle, a Lucca come nel resto del paese.

Dal primo dopoguerra al “biennio rosso”

“Al di là dell’entusiasmo per la vittoria e della retorica di celebrazione”, scrivono Eugenio Baronti e Leana Quilici, “la fine della grande guerra lascia in tutta Italia una tragica eredità: all’elevato numero di morti, mutilati e invalidi si aggiungono i problemi della disoccupazione, della mancanza di generi di prima necessità […]” [5]. Lucca, alle prese con la crisi della produttività agricola e salari sempre più deboli di fronte all’inflazione, non costituisce certo un’eccezione nel quadro nazionale: a denunciare la difficoltà del momento non sono soltanto le organizzazioni socialiste, ma anche una parte del mondo religioso cittadino (“Lucca, città della fame” titola il Serchio, erede di quell’Esare che sin dalla sua fondazione nel 1886 era stato la voce della Curia lucchese)[6 ]. Nel febbraio 1919 vedono la luce le prime leghe sindacali bianche grazie al contributo del parroco di San Marco don Pietro Tocchini, animato certamente da volontà concorrenziale nei confronti dei socialisti, ma anche da una genuina presa di coscienza della dura realtà quotidiana dei propri parrocchiani. Nel novembre dello stesso anno le elezioni nazionali a Lucca premiano il Partito popolare italiano, diviso però al suo interno tra un’ala di sinistra “quasi socialista” – come la definì il Giornale di Valdinievole – e un’ala destra ferocemente conservatrice e ostile a qualsiasi forma di associazionismo operaio, incluso quello cattolico [7].

L’ondata delle proteste lucchesi negli anni del dopoguerra e del “biennio rosso” culminano con il massiccio sciopero del marzo 1920 e l’occupazione della fabbrica S.M.I. a Fornaci di Barga nel settembre dello stesso anno; scarso invece il riverbero in città della rivolta viareggina del 2-5 maggio [8]. Sostanziali le conquiste ottenute, dagli aumenti salariali all’alleggerimento della disciplina di fabbrica. Gli echi delle dimostrazioni di piazza hanno appena cominciato a spegnersi quando la violenza squadrista piomba sulla città – e sulle organizzazioni del movimento operaio.

Il fascismo a Lucca: dalla fondazione all’aggressione di piazza San Michele

Poco più di un anno prima, il 23 marzo 1919, Benito Mussolini ha fondato i Fasci di combattimento, il cui avvenire non sembra roseo fino al 1920 quando – sull’onda del riflusso delle occupazioni operaie e del crescente declino del PSI – il nuovo soggetto politico si pone a capo della “reazione borghese antiproletaria” conoscendo una rapida crescita in termini di iscritti [9]. Anche a Lucca, che soltanto un paio di settimane prima ha subito gli effetti del devastante terremoto che vede il suo epicentro nella Garfagnana, nel settembre 1920 si avvia il processo volto alla fondazione di una sezione locale del fascio, per iniziativa del romagnolo Nino Malavasi, studente di veterinaria, e del farmacista ed ex ufficiale Baldo Baldi [10 ], entrambi provenienti dagli ambienti mazziniani, una cinquantina di simpatizzanti – perlopiù giovani di famiglie benestanti – al seguito [11]. Il fascismo lucchese nasce ufficialmente un mese dopo in via Guinigi, il 26 ottobre 1920, sotto la presidenza onoraria del colonnello Umberto Minuto; il 5 dicembre esce il primo numero de L’intrepido, periodico della sezione.

Il “battesimo dello squadrismo” a Lucca si tiene il 14 dicembre 1920, in piazza S. Michele, dove circa 500 persone si sono riunite nella piazza in occasione di un comizio socialista contro il carovita: l’onorevole Lorenzo Ventavoli prende la parola, ma i fascisti lo interrompono continuamente, accusandolo di vivere nell’agio grazie all’indennità parlamentare [12 ]; dalle parole si passa ben presto alle vie di fatto, agli squadristi lucchesi si uniscono gli oltre 300 camerati pisani e senesi giunti in città, e la Guardia Regia spara sulla folla mentre le camicie nere rientrano indisturbate nella propria sede di via S. Andrea. Restano a terra 19 feriti e due morti, Valente Vellutini, proprietario di una filanda, e l’ex consigliere comunale liberale Angelo Della Bidia. A nulla valgono le denunce di Ventavoli e del comunista Luigi Salvatori: gli unici arresti effettuati dalla polizia vanno a colpire i socialisti. Anche a Lucca dunque, come a Milano e Bologna un anno prima, si registra la connivenza tra apparati dello Stato e fascisti [13]. Il mattino successivo in quella stessa piazza, a fianco della chiesa, compare una scritta minacciosa a caratteri cubitali: “A Lucca comanda il fascio”[14]. E chi comanda il fascio a Lucca sarà da lì a poco Carlo Scorza.

Il Ras di Lucca

Calabrese, classe 1897, Scorza si trasferisce quindicenne a Lucca con la famiglia e alla vigilia della Prima guerra mondiale si fa notare per il suo acceso attivismo interventista; durante il conflitto si distingue durante la difesa del Piave, venendo decorato al valore militare. L’adesione ufficiale al fascismo avviene proprio in quel fatidico 14 dicembre 1920 che ha lasciato dietro di sé due morti, numerosi feriti e ben più di qualche sospetto sulla complicità tra forze dell’ordine e camicie nere. La carriera del futuro “condottiero”[15] dentro il fascio lucchese è rapidissima, tanto da arrivare a ricoprire la carica di segretario a soli quattro mesi dalla sua iscrizione, nell’aprile 1921: sotto la guida di Scorza, ha evidenziato Nicola Laganà [16], si rafforza la componente più violenta del movimento, che si scatena contro le sedi e i luoghi di ritrovo del movimento operaio. Nel dicembre dello stesso anno, dopo la trasformazione dei fasci di combattimento in partito, diviene segretario federale per Lucca; nell’ottobre 1922 partecipa alla marcia su Roma, occupando con i suoi duemila legionari lucchesi Civitavecchia. Il lungo regno del “gangster” Scorza [17] è contraddistinto dalla costante scalata ai vertici del PNF, culminata (non senza contrasti con i capi nazionali e lo stesso Mussolini) nel 1943 con la nomina a segretario nazionale del partito: una strada macchiata di sangue – quello degli antifascisti, ma anche di qualche fascista – e caratterizzata da una gestione del potere che Ugo Clerici, collaboratore di Mussolini da questi inviato a Lucca per far luce sulle “cose poco pulite” che girano sul conto di Scorza e di suo fratello Giuseppe, definirà “camorristica”[18].

1 Per un quadro generale si rimanda alla lettura del recente volume di Edoardo Parisi e Maurizio Sacchetti Dario Calderai, medico mazziniano nella Versilia del marmo di fine Ottocento (2022), edita da Ed. l’Ancora e A.M.I. – Associazione Mazziniana Italiana – sez. Versilia, circolo “Mauro Raffi”.

2 Per una lettura approfondita del fenomeno si rimanda all’esaustivo saggio di Francesco Petrini Aspetti dell’industrializzazione in Lucchesia: 1880-1901, pubblicato per la prima volta sul n. 5 di “Documenti e Studi” del dicembre 1986 ed oggi consultabile a questo link.

3 Vedi anche il saggio di Luciana Spinelli 1914: la Manifattura di Lucca e lo sciopero generale nelle manifatture dei tabacchi, in “Documenti e Studi” n. 3/1985 (pp. 3-34), consultabile a questo link.

4 Per un quadro completo delle proteste lucchesi del 1917 si rimanda al saggio di Andrea Ventura “L’inizio del conflitto sociale? Il caso della provincia di Lucca“, in Roberto Bianchi, Andrea Ventura (a cura di), Il 1917 in Toscana. Proteste e conflitti sociali, Pacini Editore, Pisa 2019, pp. 35-51; altro significativo caso di conflittualità durante e dopo la guerra è costituito dalla SMI di Fornaci di Barga, oggetto del saggio di A. Ventura Fornaci di Barga 1915-1920, in “Documenti e Studi” n. 38/2015, pp. 61-72.

5 Eugenio baronti, Leana Quilici, Lucca 1919: la vita politica e sociale della città raccontata dai giornali lucchesi, p. 7, in “Documenti e Studi” n. 1/1984, pp. 5-36.

6 Ivi, pp. 8-9

7 Vedi anche Antonella Dragonetti, Le vicende elettorali del Partito popolare lucchese nelle elezioni del 1919, in “Documenti e Studi” n. 4/1986, pp. 18-33.

8 Andrea Ventura, Italia ribelle. Sommosse popolari e rivolte militari nel 1920, Carocci, Roma 2020, p. 59.

9 Emilio Gentile, Il fascismo in tre capitoli, Laterza, Roma-Bari 2004, pp. 20-21.

10 Marco Pomella (a cura di), La storia di Lucca, Typimedia, Roma 2019, pp. 121-122.

11 Umberto Sereni, “Carlo Scorza e il fascismo in stile camorra”, p. 193, in Paolo Giovannini, Marco Palla (a cura di), Il fascismo dalle mani sporche. Dittatura, corruzione, affarismo, Laterza, Roma-Bari 2019, pp. 190-217.

12 Andrea Ventura, “Lorenzo Ventavoli”, in Gianluca Fulvetti, Andrea Ventura (a cura di), Antifascisti lucchesi nel casellario politico centrale. Per un dizionario biografico della provincia di Lucca, Maria Pacini Fazzi, Lucca 2018, pp. 183-185.

13 Per un quadro più approfondito si rimanda alla lettura del volume di Andrea Ventura Il diciannovismo fascista. Un mito che non passa, Viella, Roma 2021.

14 Luciano Luciani, Armando Sestani, Lucca e dintorni tra antifascismo, guerra e Resistenza, pp. 18-19, in Gianluca Fulvetti, Guida ai luoghi della memoria in provincia di Lucca (vol. 3), Pezzini, Viareggio 2016.

15 Titolo in origine attribuito al signore ghibellino di Lucca Castruccio Castracani degli Antelminelli (1281-1328), la cui figura sarà sfruttata in chiave propagandistica da Scorza proponendone l’identificazione con sé stesso; vedi anche Umberto Sereni, “Carlo Scorza e il fascismo stile camorra”, in Giovannini-Palla (a cura di), Op. cit.

16 Cit. in Pomella, Op. cit., p. 127

17 Secondo il ritratto che ne da il settimanale britannico Observer al momento della nomina di Scorza a nuovo segretario del PNF; in Mimmo Franzinelli, L’amnistia Togliatti, Feltrinelli, Milano 2016, p. 166

18 Cit. in Sereni, Op. cit., p. 203.




“Altri muri sono sorti…”

Virginio Monti (Lucca, 1947) negli anni ’60 milita nel movimento studentesco lucchese e nelle file della sinistra extraparlamentare marxista-leninista; dopo la militanza in Democrazia proletaria si iscrive a Rifondazione comunista, dalla quale esce per aderire al Movimento per la confederazione dei comunisti. Studioso della storia della Resistenza e del movimento operaio, argomenti ai quali ha dedicato numerose pubblicazioni per la casa editrice lucchese Tra Le Righe; il suo ultimo libro è “La questione ebraica in provincia di Lucca e il campo di concentramento di Bagni di Lucca” (2021).

Quali sono state le tue prime esperienze di militanza politica?

Quando ti sei avvicinato a Democrazia proletaria? E perché proprio DP e non il PCI?

Cosa significava la scelta comunista in un territorio tradizionalmente conservatore come la Lucchesia?

con la politica del PCI e della CGIL, scivolata verso strade concertative con il sistema capitalistico e i suoi tradizionali referenti politici.

della sinistra extraparlamentare e anarchica). Ambienti dove il cuore almeno si rifocillava.

perché la precarizzazione è aumentata e alla scadenza del contratto la storia lavorativa si conclude quasi sempre e senza bisogno di giustificazioni particolari.

DP si è sempre dichiarata contraria al modello di socialismo proposto dall’Unione Sovietica. Il 9 novembre 1989 cade il muro di Berlino, e due anni dopo l’URSS si scioglie: il tuo pensiero su questi eventi?

Negli stessi anni il Partito comunista italiano avvia quel processo di trasformazione che nel 1991 porterà alla fondazione del PDS (Partito democratico della sinistra). Come studioso e militante di una formazione marxista ma critica nei confronti del PCI, qual è il tuo pensiero sulla svolta della Bolognina?

[1] A titolo di approfondimento si rimanda al volume AA. VV., E la vita cambiò. Il ’68 a Lucca (Carmignani, Pisa 2018), che raccoglie numerosi scritti di militanti del ’68 lucchese; la testimonianza di Virginio Monti, allora giovane studente dell’ITIS, si trova alle pagine 139-148, ed è tratta dal libro scritto da Monti stesso Il futuro passato. Gli anni ’60 e l’imperdibile ’68 (Tra Le Righe, Lucca 2018).




“Rifarei tutte quelle scelte”: essere comunisti a Massarosa

Silvano Simonetti (Massarosa, 1951) è stato rappresentante sindacale per la FIOM CGIL e membro del direttivo provinciale del sindacato metalmeccanico. Ha ricoperto per molti anni la carica di consigliere comunale nelle file del Partito comunista italiano, e dal 2006 al 2011 è stato assessore provinciale a Lucca per il Partito dei comunisti italiani(PdCI)1.

Quando ti sei avvicinato al PCI? Cosa significava la scelta della militanza comunista in un territorio come quello di Massarosa, tradizionalmente conservatore?

Mi sono avvicinato al PCI nel 1976, dopo tre anni come responsabile sindacale di una azienda metalmeccanica nelle file della FIOM. Quella scelta convinta in un territorio come Massarosa mi creò non poche inimicizie: molti conoscenti non mi salutarono più, e molti altri mi chiedevano come mai un giovane così intelligente aveva fatto quella scelta. Ovviamente questo rafforzò la mia decisione, mentre mi aprì le porte a nuove conoscenze e condivisioni – molte delle quali non si sarebbero più interrotte.

Perché proprio il PCI e non – ad esempio – il Partito socialista, le cui radici pure affondavano nella tradizione del movimento operaio?

Scelsi il PCI perché era un partito rigoroso e coerente, con solide radici nella gente più debole. Fu anche il desiderio di riscatto personale in ambito collettivo verso tutte quelle ingiustizie che venivano consumate ai danni dei familiari, amici e conoscenti.

Presidio davanti alla fabbrica “Apice” di Bozzano, anni ’70 (archivio PCI – circolo di Massarosa)

Tra il 1989 e il 1991 tanto l’Unione Sovietica quanto il PCI cessano di esistere, con quest’ultimo che intraprende quel percorso che lo porterà a mutare profondamente la propria fisionomia. Quale ruolo ricoprivi allora nel partito? E quale fu il tuo giudizio sulla “svolta della Bolognina”?

A partire dalla metà degli anni ’50 ci furono alcuni episodi che facevano intravedere una difficoltà a tradurre in buone pratiche correnti gli intenti della Rivoluzione d’ottobre. Cominciò a scricchiolare la fede quasi incondizionata nei confronti del blocco sovietico, fino allo strappo praticato da Enrico Berliguer che dichiarò esaurita la spinta propulsiva. Da lì si consolidò sempre più la via italiana al comunismo2.

All’epoca della Bolognina ero membro del comitato politico federale e della segreteria di sezione a Massarosa: fu un passaggio molto doloroso perché in pochi giorni ci fu una divisione tra semplici compagni, dirigenti e popolazione3. Fatto emblematico fu il riposizionamento di molti dei quadri dirigenti i quali, dopo una immediata contrarietà alla scelta, cambiarono subito la propria posizione. Da questa normalizzazione capii che il guasto era probabilmente e potenzialmente già latente. La disgregazione del Partito fu molto rapida e trovò il suo epilogo con il successivo congresso nazionale, articolato su tre mozioni.

Telegramma di E. Berlinguer alla sezione massarosese del PCI, 1979: “Mi congratulo calorosamente con vostra sezione per positivo risultato tesseramento et reclutamento prime giornate campagna 1980 STOP proseguite iniziativa rafforzare partito et estendere suoi legami con masse popolari STOP nuovi successi tesseramento sono migliore risposta at attacchi et campagne contro nostro partito et garanzia sviluppo nostra azione per rinnovamento sociale et politico STOP fraterni saluti e buon lavoro.” (archivio PCI – Circolo di Massarosa)

Cosa guidò le tue successive scelte politiche? Prendesti in considerazione l’idea di aderire al neonato PDS?

Per ciò che mi riguarda aderii fin da subito alla costruzione del Movimento della Rifondazione comunista insieme a tante compagne e compagni, anche in Versilia e a Massarosa. Non ho mai pensato di aderire al PDS perché avevo ben capito che si trattava di una operazione che andava in altra direzione rispetto a quelle aspettative che mi avevano portato ad entrare nel PCI. A distanza di tempo posso dire che oggi rifarei tutte quelle scelte.

1 Formazione costituitasi nel 1998 da una scissione di Rifondazione comunista, in disaccordo con la scelta di quest’ultima di non continuare ad appoggiare il Governo Prodi I: il partito – fondato da Armando Cossutta e Oliviero Diliberto – nel 2016 confluisce nel nuovo Partito comunista italiano, che riprende nome e simbolo del PCI storico.

2 Dagli anni ’50 in avanti la sinistra italiana ripensa progressivamente il proprio rapporto con l’URSS: se nel 1956 il PSI è nettamente schierato contro l’intervento sovietico in Ungheria (“È tradito l’internazionalismo proletario!”, scriverà Pietro Nenni nel suo diario, in P. Mattera, Storia del PSI. 1892-1994, Carocci, Roma 2010, p. 166), nel PCI le voci contrarie sono minoritarie (ad es. Giuseppe Di Vittorio, che in qualità di segretario della CGIL emana un comunicato di condanna non gradito ai dirigenti comunisti; vedi anche A. Vittoria, Storia del PCI. 1921-1991, Carocci, Roma 2006, pp. 83-86); un decennio dopo ben altra analisi fornirà Luigi Longo, succeduto a Togliatti alla guida del partito, nell’approccio all’invasione della Cecoslovacchia: pur ribadendo la superiorità del modello socialista e il ruolo indiscutibilmente di primo piano dell’URSS nella lotta all’imperialismo e per la pace, Longo prende infatti le difese di Dubcek e dei suoi collaboratori, sostenendo che debbano esservi più vie per la costruzione del socialismo (per una lettura più approfondita si consiglia L. Longo, Sui fatti di Cecoslovacchia, Editori Riuniti, 1968).

3 Il documento più eloquente di questa profonda divisione in seno alla galassia del PCI è senz’altro il docu-film “La Cosa” di Nanni Moretti (1990, Sacher Film).




“La filosofia civile di Mario Casagrande”

Si terrà il 16 settembre (ore 17.00) a Viareggio presso il giardino del Palazzo delle Muse (sala Viani in caso di maltempo) la presentazione del libro di Stefano Bucciarelli “La filosofia civile di Mario Casagrande” (Edizioni ETS, Pisa 2021): il volume ricostruisce l’itinerario umano, culturale, politico, professionale di Mario Casagrande, sulla base di una estesa ricerca e di una inedita documentazione. A intervistare l’autore Riccardo Roni della Società Filosofica Italiana.

Professore di storia e filosofia che per un trentennio formò generazioni di allievi al Liceo scientifico di Viareggio, Casagrande (Sidney 1917- Viareggio 2011) fu, nei campi della cultura e della politica, tra le personalità vissute in Versilia più rappresentative del secolo scorso. Allievo della Normale, strinse significativi rapporti con Delio Cantimori e Cesare Luporini e si laureò con Guido Calogero, una delle guide del movimento liberalsocialista. Già in Normale il suo orientamento antifascista si manifestò in modo clamoroso. Nel dopoguerra ebbe una intensa esperienza politica nel partito comunista, sia localmente che a livello nazionale, all’epoca della commissione culturale di  Mario Alicata. La sua filosofia, ispirata agli ideali civili dell’illuminismo, dello storicismo laico, del marxismo, si sviluppò nel confronto tra cultura umanistica e cultura scientifica, nel vivo delle discussioni sul rinnovamento e sulla  riforma della scuola in senso democratico.

L’iniziativa si terrà nel rispetto delle norme anti-COVID: sarà pertanto necessario il possesso del green pass.




“Maestri e allievi contro il fascismo”

Martedì 21 settembre alle ore 17.00, presso la Casa della Memoria e della Pace di Lucca sulle mura urbane (porta s. Donato), sarà presentato il volume “Maestri e allievi contro il fascismo” a cura di Stefano Bucciarelli (Ed. ETS, Pisa 2021): il volume illustra biografie e vicende che si svolgono nella scuola nell’arco temporale tra  fascismo e secondo dopoguerra: percorsi della transizione dal fascismo alla democrazia, in cui è sottolineato  il valore esistenziale e politico di  scelte e prese di posizione che impegnarono docenti, presidi, studenti. Qui nacquero le ragioni della scelta resistenziale e i fondamenti su cui si baserà la nuova Italia democratica.

Interventi di: Silvia Angelini, Stefano Bucciarelli, Alda Fratello, Luciano Luciani, Stefano Sodi (autori); saluti istituzionali di Ilaria Vietina.

L’iniziativa si terrà nel rispetto delle norme anti-COVID.




“Curare la guerra a Lucca”: uomini di medicina nella Resistenza

Sarà presentato venerdì 17 settembre a Lucca presso la sala “Maria Eletta Martini” del CRED (via sant’Andrea 66) il numero doppio 45/46 di “Documenti e Studi”, rivista dell’Istituto storico della Resistenza e dell’Età contemporanea in provincia di Lucca: edito nel 2019, il volume raccoglie gli atti del convegno tenutosi il 5 ottobre 2018, incentrato sul ruolo dei medici nella Resistenza; un rilevante numero di “uomini di cura”, medici e studenti in formazione, militarono infatti – variamente collocati dal punto di vista politico e ideale – nella Resistenza a Lucca e in provincia. Alcuni impugnando le armi, altri individuando forme di opposizione e di contrasto al fascismo e al nazismo del tutto personali e originali, altrettanto efficaci e, al contempo, rispettose del Giuramento d’Ippocrate.

Interverranno Luciano Luciani (ISRECLU), Gianluca Fulvetti (Università di Pisa) e il dottor Raffaele Domenici; porterà il saluto istituzionale l’assessora Ilaria Vietina.

L’iniziativa si terrà nel rispetto delle norme anti-COVID.




“Comandante Andrea” e “Le Giornate Rosse di Viareggio”: gli appuntamenti di ANPI e ISREC per il fine settimana

Un fine settimana ricco di eventi per l’Istituto storico della Resistenza e dell’Età contemporanea in provincia di Lucca, che assieme all’ANPI organizza due iniziative online alle quali sarà possibile partecipare richiedendo il link Zoom all’indirizzo isreclucca@gmail.com , oppure seguendo la diretta sulla pagina Facebook dell’Istituto:

– Venerdì 30 aprile alle ore 18.30, nel quadro del calendario delle iniziative “Intorno al 25 Aprile”, si terrà l’evento “Comandante Andrea. Documenti e riflessioni in ricordo di Giuseppe Antonini (1920-2009)”, con la presentazione del sito realizzato da Filippo Antonini e la donazione dei materiali all’ISRECLU; interverranno Massimo Michelucci (Istituto storico della Resistenza apuana), Filippo Antonini (presidente di ANPI – Comitato provinciale di Lucca) e Stefano Bucciarelli (presidente ISRECLU).

– Domenica 2 maggio alle ore 21.o0, in occasione del 101° anniversario delle Giornate Rosse di Viareggio, sarà presentato il libro di Andrea Ventura “Italia ribelle” (Carocci 2020); oltre all’autore saranno presenti Luca Coccoli (presidente ANPI di Viareggio) e Stefano Bucciarelli.

Locandina dell’evento del 30 aprile

Locandina dell’evento del 2 maggio