Come un fiume che prende acqua da immissari diversi e scorre talora impetuoso

Nei mesi scorsi mi è stato proposto dall’antropologo Pietro Clemente di presentare il libro Io e il mondo di Michele Della Corte. Le poche notizie da me conosciute su Della Corte (1915-1999) si limitavano all’essere stato un fisico della scuola fiorentina di Arcetri. E io sono uno storico della Medicina: non riuscivo a cogliere punti di contatto con un personaggio tanto lontano dalla mia formazione. Al contempo, tuttavia, le parole con le quali Pietro Clemente mi invitò a leggerlo crearono in me una grande curiosità. Ed è stato così che è iniziata la conoscenza di una personalità assolutamente inaspettata, che ha vissuto una vita singolare.

Io e il mondo non è semplicemente un libro. È il racconto di tante vite che si dipanano su uno scenario che attraversa il ventennio fascista, la guerra, la Resistenza, la ricostruzione dell’Italia dopo il secondo conflitto mondiale. Ed è la storia del lavoro di Della Corte come ricercatore di Fisica e uno dei primi tre professori ordinari di Fisica medica. Nelle pagine di questo libro ogni aspetto si intreccia all’altro, senza soluzione di continuità, andando a completarlo e ad arricchirlo.

È un racconto autobiografico che Michele Della Corte, ormai anziano, dedica ai suoi nipoti, spinto da un bisogno di scrivere per “rivivere in tempi passati episodi distillati dalla maturità di giudizio, cose da ricordare e cose da dimenticare, ma che dimenticare non si possono”.

Questo nucleo fondamentale che Della Corte ha lasciato è stato depositato presso l’Archivio Storico dei Diari di Pieve Santo Stefano[i], ma grazie al lavoro della figlia Laura è divenuto un libro, arricchito di molti inserimenti che “rappresentano il punto di vista di Liliana, amata compagna di una vita” di Michele[ii].

Quello che il lettore si trova di fronte sfogliando le pagine di questo libro è una sorta di fiume che scorre talora placido, altre volte impetuoso, raccogliendo acqua da tanti diversi immissari.

Due famiglie, i Della Corte e i Ciupi, sono protagoniste del libro che si apre con pagine nelle quali si descrive la vita di una famiglia borghese nella villa Il Giardino a Santa Colomba, nei pressi di Siena, dove, bambino, Michele trascorreva le sue vacanze. È un universo di zie che si muovono intorno al capofamiglia che, spinto da una irrefrenabile passione per il gioco, perde tutto, provocando un dissesto non solo economico alla famiglia ma soprattutto sociale.

Presto alla tranquilla vita senese si aggiunge la frequentazione di un nuovo luogo che risulterà fondamentale nella vita e nella formazione di Della Corte: la sede storica del Dipartimento di Fisica sulla collina di Arcetri alle porte di Firenze.

Negli anni in cui Della Corte iniziò a frequentarlo Arcetri rappresentava un luogo molto importante per la fisica italiana, che era riuscita a raggiungere una fama internazionale grazie al lavoro di due eccellenti studiosi, Orso Mario Corbino (1876-1937)[iii] e Antonio Garbasso (1871-1933)[iv]. Il primo era all’Università di Roma, il secondo in quella di Firenze. Entrambi avevano un atteggiamento positivo nei confronti della nuova Meccanica quantistica e riuscirono a dar vita a due scuole che raggiunsero fama internazionale: la scuola dei ragazzi di Via Panisperna, intorno a Enrico Fermi, e la scuola di Arcetri, intorno a Bruno Rossi, assistente di Garbasso e fondatore della scuola fiorentina di Fisica dei raggi cosmici.

In questo contesto Della Corte giunse a metà degli anni Trenta, iscrivendosi al corso di laurea in Fisica all’Università di Firenze nel 1934.

Si laureò nel 1938, nel periodo in cui molti fisici della scuola fiorentina lasciavano Arcetri, sia per migliori opportunità di lavoro che per l’entrata in vigore delle leggi razziali.

Dall’anno accademico 1938-1939 Della Corte ricoprì la carica di assistente all’Università di Firenze, iniziando a collaborare con Carlo Ballario (1915-2002)[v] sugli sciami della radiazione cosmica. Insieme realizzarono un

esperimento sull’assorbimento dei raggi cosmici nella galleria ferroviaria della direttissima Firenze-Bologna: nelle pagine del libro Michele racconta quanto questo studio si intrecciò con avvenimenti politici che lo portarono a incontrare, inconsapevolmente e a distanza, addirittura il Duce del Fascismo che si recava a un colloquio con Hitler[vi].

Della Corte si preparava così a essere tra quei giovani ricercatori che hanno contribuito alla rinascita della Fisica fiorentina nel Dopoguerra.

Gli anni del secondo conflitto mondiale significarono per tutti un periodo difficile e di perdita di certezze e di quanto ciascuno aveva costruito o pensava di realizzare. Lo stesso fu per Della Corte che nel 1941 fu chiamato alle armi, prima nei corpi della fanteria poi, dal 1942, presso la Scuola di Guerra Aerea delle Cascine, dove conobbe il capitano dell’aeronautica Italo Piccagli, convinto antifascista[vii]. Questo incontro fu determinante per il giovane Della Corte che apparteneva al Partito d’Azione fin dal 1936. Egli stesso scrisse: “Intorno al 1936, fu proprio attraverso un vecchio amico, Mario Delle Piane, che entrai a far parte del Partito d’Azione, allora in clandestinità”[viii]: una scelta nella quale furono fondamentali gli insegnamenti dello zio Nello Ticci, dirigente della Lega dei Ferrovieri, militante socialista, prima ferroviere e poi gestore di una famosa libreria nel centro di Siena, sede segreta della sezione senese del Comitato di Liberazione Nazionale.

Fu così che nel periodo immediatamente precedente all’8 settembre 1943, Della Corte ebbe un ruolo non secondario nel trasferimento suggerito da Piccagli degli strumenti e degli apparecchi dei Laboratori di Meteorologia e di Navigazione Aerea all’Istituto di Fisica di Arcetri, per sottrarli alle requisizioni dell’esercito tedesco. L’Istituto fu poi oggetto di perquisizione da parte delle SS tedesche, che avevano avuto una segnalazione sulla presenza in quei locali del materiale dell’aeronautica. Della Corte fu costretto ad accompagnare l’ufficiale delle SS durante la perquisizione. Fortunatamente, il materiale era stato ben nascosto e i tedeschi portarono via solo pochi oggetti. Un’esperienza assai dura e particolarmente pericolosa per un giovane assistente universitario!

Sempre su proposta del capitano Piccagli, Della Corte e Ballario entrarono a far parte dell’emittente clandestina promossa dalla Commissione Radio del Partito d’Azione, radio CORA. La radio, che aveva il compito di trasmettere informazioni ai comandi alleati e alle truppe partigiane, aveva varie basi a Firenze tra le quali lo stesso Istituto di Fisica di Arcetri.

Nel frattempo Michele aveva sposato la sua Liliana il 1° giugno 1940, dopo 5 anni di fidanzamento e il 18 aprile 1941 era nata la loro prima figlia, Laura.

Il racconto degli anni della guerra offre una rappresentazione corale di episodi di politica nazionale e locale, di vicende legate alla carriera universitaria e di avvenimenti familiari, che culminarono nel 1949 con la morte dello zio Nello che dopo l’8 settembre 1943 era stato arrestato e imprigionato nella famigerata Casermetta a Siena e che durante la prigionia aveva contratto una grave forma di tubercolosi.

Il dopoguerra vide Della Corte profondamente impegnato nel suo lavoro di fisico ad Arcetri.

La disciplina intanto andava sviluppandosi intorno a tre principali aree di ricerca:

– la Fisica delle alte energie, che vide il passaggio dagli esperimenti con i raggi cosmici a quelli effettuati agli acceleratori con fasci di particelle,

– la Fisica del nucleo, dove, anche in questo caso, avvenne il passaggio dall’uso di sostanze radioattive all’utilizzo di fasci di acceleratori per bombardare i nuclei da attivare,

– la Fisica teorica.

Nel 1950 Della Corte ottenne dal CNR una borsa di studio per attività di ricerca sui raggi cosmici: si recò così a Parigi all’Ecole Polytechnique, laboratorio all’avanguardia nel settore delle emulsioni (o lastre) nucleari, per imparare questa tecnica. Tornato a Firenze ha creato un “gruppo di ricerca che, con le «lastre», ovvero le emulsioni fotografiche, ha studiato i processi di radiazione cosmica e poi i processi di particelle elementari, utilizzando i fasci di particelle provenienti dai primi acceleratori costruiti al CERN”[ix]. Era il nucleo iniziale che darà vita al gruppo fiorentino di Fisica delle Alte Energie.

Alla fine degli anni Sessanta, avendo maturato un interesse sempre maggiore per le applicazioni della Fisica alla Medicina, passò alla Medicina nucleare, abbandonando le ricerche di particelle elementari che richiedevano grandi gruppi di lavoro, in cui il ruolo del singolo ricercatore diventava sempre più anonimo.

In quegli anni, il suo interesse si rivolse anche al rapporto tra Fisica e Medicina maturato, sin dal 1942, nei lunghi anni di appassionato insegnamento universitario della disciplina fisica ai futuri medici.

“Da un lato volevo interessare i medici ad un approccio fisico dei loro problemi e dall’altro interessare i fisici a considerare la realtà biomedica come un loro possibile campo di studio, una delle Fisiche applicate. – scriveva – È vero che c’era la Biofisica, ma per tradizione era un approccio fisico alla Biologia e non alla Medicina. La mia idea base era molto semplice: La realtà dell’universo è una. La distinzione fra universo fisico ed universo biologico è solo funzionale alla ricerca. La condizione ottimale per arrivare al modello più vero è considerare la Fisica e la Biologia come due modi complementari di studiare le realtà”[x].

Essendo un uomo di scienza ma anche – come ampiamente dimostrato dalla sua vita – un uomo di azione, Della Corte con alcuni suoi colleghi pensò di “fondare una nuova materia: la Fisica Medica ed introdurre la Fisica, e quindi la Matematica, nelle facoltà mediche: una Fisica che fosse qualcosa di serio e non l’insegnamento risibile che esisteva allora”.

In quest’ottica Della Corte iniziò a occuparsi di radioprotezione in un periodo in cui la cultura della radioprotezione non era ancora diffusa. La sua collaborazione con i medici si estese successivamente anche alla Biofisica del sistema cardiocircolatorio, a modelli matematici per lo studio del metabolismo del glucosio e dell’insulina, allo studio dei ritmi circadiani e infine alle ricerche sulla soglia del dolore, generato da stimoli termici ed elettrici.

Il suo obiettivo era chiaro: creare nelle facoltà mediche delle Università italiane delle cattedre di Fisica Medica.

I risultati di tale attività hanno portato il 1° novembre 1969 alla nascita delle prime tre cattedre di Fisica nelle Facoltà di Medicina delle Università di Cagliari, Bologna e Firenze.

Michele Della Corte divenne uno dei primi tre Professori Ordinari di questa nuova disciplina in Italia, insieme a Mario Ladu (1917-2014), un fisico suo coetaneo che aveva una parte della sua produzione nell’ambito della Fisica delle radiazioni che si inquadrava bene nella Fisica Medica, e a un anziano fisico Bolognese, Stefano Petralia (1909-?), che aveva lavorato sugli ultrasuoni, altro ambito di studio della Fisica Medica.

Iniziava così un ulteriore fase della sua intensa vita professionale, che riassumeva quanto fatto negli anni e apriva un percorso completamente nuovo.

In questa veste è stato tra i fondatori della Associazione di Fisica biomedica (AIFB), della quale è stato presidente onorario, continuando a occuparsi di Fisica sanitaria e di radioprotezione fino alla morte, avvenuta nel 1999 a Firenze. Attraverso l’Associazione fu possibile chiedere e ottenere l’istituzione di una nuova disciplina universitaria: la Fisica Medica.

I Fisici non gradirono e la loro reazione non si fece attendere.

Non sappiamo cosa Della Corte avrebbe voluto rispondere ai suoi ‘vecchi’ Colleghi: il suo racconto si interrompe nel marzo 1999, quando Michele Della Corte si ammala. Morirà pochi mesi dopo, il 21 giugno.

Oggi sappiamo che il seguito non fu facile per la nuova disciplina. I Fisici non volevano rinunciare ma alla fine quanto Della Corte, Ladu e Petralia avevano pensato è divenuto realtà. La Fisica biomedica è oggi un insegnamento caratterizzante del primo anno degli studi di Medicina ed è assolutamente inquadrato nello studio del corpo umano e della sua fisiologia.

Quello che emerge dalle pagine della “Lettera ai nipoti” che Della Corte ci ha lasciato e dal libro che sua figlia Laura Della Corte ha voluto donarci, arricchendo lo scritto originale con pensieri di sua madre Liliana e sue riflessioni, è lo straordinario percorso di un giovane studioso che si muove tra passione per lo studio della Fisica, un forte impegno politico vissuto più che ostentato e un amore senza limiti per la sua grande famiglia.

 

Note

[i] Le carte di Michele Della Corte sono state donate in copia all’Istituto storico della Resistenza in Toscana dalla figlia dottoressa Laura Della Corte nella primavera 2015. Gli originali sono conservati presso la Biblioteca di Scienze dell’Università di Firenze, all’interno del più ampio fondo Della Corte là depositato. https://siusa-archivi.cultura.gov.it/cgi-bin/siusa/pagina.pl?TipoPag=comparc&Chiave=416755

[ii] M. Della Corte, Io e il mondo, Effigi Edizioni 2024.

[iii] Orso Mario Corbino (1876-1937) è stato un Fisico e politico italiano. Nel 1926, chiamando a Roma Enrico Fermi e Franco Rasetti, diede avvio alla Scuola dei Ragazzi di via Panisperna. Tale denominazione venne infatti data al gruppo di scienziati italiani, quasi tutti molto giovani e con a capo Enrico Fermi, che negli anni Trenta operò presso il Regio istituto fisico dell’Università di Roma, ubicato fino al 1935 al numero civico 90 di via Panisperna, producendo studi di importanza storica nell’ambito della Fisica nucleare.

[iv] Antonio Garbasso (1871-1933), Fisico. Dopo un periodo di studio in Germania, rientrato in Italia ha insegnato nelle Università di Torino, Pisa e Genova. Nel 1913 divenne professore a Firenze. Grazie al suo decisivo intervento venne creato tra il 1914 e il 1920 l’Istituto di Fisica di Arcetri, a lui poi intitolato. Ricoprì anche il ruolo di sindaco di Firenze dal 1920 al 1927 e di podestà fino al 1928.

[v] Carlo Ballario (1915-2002), Fisico, è stato assistente all’Università di Firenze fino al 1944. Si trasferì quindi all’Università di Bologna e infine, nel 1947, a quella di Roma.

[vi] M. Della Corte, Io e il mondo, cit., pp. 127-130.

[vii] Italo Piccagli (1909-1944) è stato Capitano dell’Aeronautica militare e partigiano. Aderì subito al movimento di Resistenza. Nel 1944 fondò il servizio informazioni di Radio CORA insieme ad Enrico Bocci (1896-1944), avvocato, partigiano e antifascista italiano conosciuto col nome di battaglia Placido.

Il 7 giugno 1944, nel tentativo di salvare i membri di Radio Cora arrestati, Piccagli e Bocci si consegnarono spontaneamente ai nazifascisti, assumendosi la responsabilità di tutta l’organizzazione, tacendo i nomi di tutti coloro che avevano partecipato al progetto, compreso quello di Michele Della Corte. Fucilati il 12 giugno 1944, hanno entrambi avuto il riconoscimento della Medaglia d’Oro al Valor militare alla memoria.

[viii] M. Della Corte, Io e il mondo, cit., p. 101.

[ix] D. Dominici, A fianco di Radio CORA: Arcetri ‘resistente’ nei ricordi di Michele Della Corte, PILLOLE DI STORIA https://www.fisica.unifi.it/upload/sub/storia/dominici2015.pdf

[x] M. Della Corte, Io e il mondo, cit., p. 237.




Le cittadinanze onorarie a Mussolini e la mistificazione della storia

Le persistenze del passato regime fasciste, nelle varie forme di intitolazioni, architetture, riferimenti toponomastici, sono spesso giunti alla ribalta della cronaca negli ultimi anni. Ne sono esempio le non lontane polemiche relative ai monumenti fascisti, oggetto di attenzione e di più o meno efficaci tentativi di risignificazione. Allo stesso modo, non sono mancate le polemiche attorno alle rimozioni di nomi di strade e piazze che ancora richiamavano a personaggi e vicende dell’esperienza fascista. Una tendenza, questa, che fa da sfondo ad altri dibattiti attorno a singole figure, talvolta oggetto di riletture e abilitazioni postume.

Il volume Il cittadino d’Italia si inserisce in tale contesto, prendendo in esame un caso specifico ma particolarmente significativo per vari motivi: innanzitutto, per il proprio oggetto d’indagine, concentrando la propria attenzione sulla figura di Benito Mussolini e sulla costruzione del suo mito personale; in secondo luogo, per il rilievo assunto in tempi recenti, con punte polemiche particolarmente acute nel 2020, dai dibattiti attorno alla revoca al dittatore delle proprie onorificenze onorarie.

Proprio da quest’ultimo spunto trae origine il libro di Michelangelo Borri, dedicato alla storia delle cittadinanze onorarie a Mussolini. Attraverso una ricerca condotta negli archivi nazionali, in alcune realtà comunali e sulla stampa dell’epoca, Borri indaga la storia e le motivazioni dei titoli onorifici al dittatore: avviata nel 1923, una volta concretizzatasi la presa del potere con la marcia su Roma, la tendenza si sarebbe sviluppata appieno nel 1924 grazie all’interessamento della segreteria particolare della Presidenza del Consiglio e del Partito nazionale fascista. Dalla ricostruzione emerge il carattere politico e talvolta coatto delle onorificenze, attribuite dai consigli comunali in seguito alle pressioni provenienti dalle prefetture e dalle federazioni provinciali fascista. Ne emerge il quadro di una dittatura immediatamente pronta a stringere la propria presa sul paese, imponendo le proprie scelte agli amministratori comunali italiani.

Assieme all’operazione politica, il volume ricostruisce alcune delle principali manifestazioni organizzate in corrispondenza dei riconoscimenti, seguendo il duce nelle città di Firenze, Bologna, Roma, Napoli, Perugia e analizzando i testi dei documenti con cui le assemblee municipali deliberarono i conferimenti. Da tale quadro appare chiara la volontà del nascente regime di imporre, immediatamente, la figura di Mussolini come quella del nuovo simbolo dell’Italia fascista. Una volontà sorretta dagli apparati di propaganda e dalla stampa, ma anche dalla violenza squadrista e dal potere coercitivo dello Stato, piegato alle esigenze politiche della dittatura. In tale ottica, scrive Borri, le folle di partecipanti alle manifestazioni organizzate in corrispondenza dei conferimenti avrebbero svolto la funzione di legittimare, a posteriori, la concessione dei titoli medesimi, tramite un meccanismo di mobilitazione dal basso caratteristico dell’esperienza fascista. La conclusione dell’autore, in tal senso, appare chiara e non lascia spazio a dubbi:

 

Lungi dal rappresentare sincere e spontanee manifestazioni di stima al nuovo presidente del Consiglio – come ancora oggi spesso sostenuto, a conferma dell’efficacia dell’operazione politica fascista – le cittadinanze mussoliniane costituiscono, al contrario, testimonianze eloquenti e rilevatrici del vero volto di un regime pronto a mobilitare ogni risorsa per raggiungere anche il più minuto degli obiettivi prefissati. Piuttosto che reminiscenze di scelte che gli italiani non furono affatto chiamati a compiere – ma, al massimo, a legittimare posteriormente –, esse sono l’ennesima conferma della presa soffocante esercitata dalla dittatura in ogni angolo del paese: anche in forme diverse da quelle tradizionalmente riconosciute, anche all’interno delle assemblee teoricamente più immediatamente rappresentative ed espressive della piena realizzazione democratica (p. 124).

 

Alla luce di quanto verificatosi negli anni Venti, anche le discussioni odierne appaiono più chiare e, soprattutto, più immediatamente riconoscibili risultano i tentativi di strumentalizzazione politica attuati, in molti casi, dai rappresentanti locali dei partiti della destra. Anche grazie al puntuale saggio introduttivo di Andrea Mammone, il libro fornisce una panoramica ben dettagliata di quanto avvenuto negli ultimi decenni – ma partendo, con uno sguardo di lungo periodo, dall’immediato dopoguerra – nel dibattito pubblico attorno al fascismo e alla sua memoria. La sovrapposizione tra memorie deboli della dittatura, tra una certa nostalgia ancora persistente in alcuni strati della società italiana postbellica e interessi commerciali ed editoriali, ha favorito l’elaborazione di rappresentazioni in qualche modo deresponsabilizzanti rispetto alle colpe del fascismo e, con esso, degli italiani, aprendo la strada anche a riletture e riabilitazioni postume dell’operato di Mussolini. In questo panorama, già accuratamente descritto da studiosi come Filippo Focardi, le discussioni attorno alle cittadinanze onorarie mussoliniane rappresentano soltanto il più recente tassello: sulla loro persistenza, infatti, rappresentanti municipali delle destre postfasciste – e non solo – hanno spesso proposto l’immagine di un dittatore ammirato dalle popolazioni italiane, presentando le onorificenze come intitolazioni spontanee provenienti dal basso e, come avviene oggi in condizioni di democrazia, rispondenti effettivamente all’umore di almeno una buona parte della cittadinanza. Il libro Il cittadino d’Italia dimostra, in maniera ormai non più discutibile, come ciò sia palesemente falso e come i tentativi di mantenere i conferimenti a Mussolini nascondano, in realtà, ben più profonde motivazioni politiche ed ideologiche riconducibili a un senso di fascinazione e nostalgia ancora vivo, in alcuni ambiti politici, verso il dittatore e verso il suo criminale progetto politico.




Giorgio Alberto Chiurco: un intellettuale militante nel regime fascista.

Giorgio Alberto Chiurco (1895-1974) è noto soprattutto come cronista ufficiale della rivoluzione fascista, autore di una delle più celebri opere edite sul tema negli anni del regime mussoliniano. Nato a Rovigno d’Istria ma trasferitosi presto in Toscana per motivi di studio, egli fu uno dei protagonisti della fascistizzazione delle province senese e grossetana. Ma non solo: medico e squadrista della prima ora, poi parlamentare, ufficiale pluridecorato, docente universitario e scienziato razzista, Chiurco fu un attore molto attivo nella vita politica e intellettuale del regime. Finora, il suo percorso biografico era stato soltanto parzialmente esplorato dalla storiografia ma il volume di Borri, esito di un’approfondita ricerca negli archivi nazionali e internazionali, si propone di fornire una ricostruzione complessiva delle vicende politiche e culturali del personaggio, che si intrecciano su più livelli con la storia italiana del Novecento.

Riportiamo di seguito un estratto del volume, dedicato al ruolo svolto da Giorgio Chiurco, come medico e intellettuale fascista, nella creazione di un nuovo prototipo di italiano, il cosiddetto «Uomo Nuovo» fascista inteso come modello di un’umanità superiore, destinata a fare le fortune dell’Italia e del regime.

 

Un intellettuale militante

V’è una cultura della rivoluzione che si esprime attraverso la polemica pubblicistica di uomini come Maccari e Malaparte. Ve ne è un’altra che parla per anatemi e per invettive ma che, andando al sodo, serve unicamente nei momenti di pericolo […]. V’è, infine la cultura della rivoluzione che ha avuto per cronisti Gorgolini e Chiurco, e che ha per storici Volpe ed Ercole. La prima cultura, della polemica pubblicistica, impedisce che le porte della rivoluzione si chiudano […]. La seconda cultura, quella degli oltranzisti, è sempre richiamabile in servizio, al primo segno del temporale. La terza cultura, quella dei cronisti della rivoluzione, rimane l’anima di ogni processo storico da istruirsi a carico di quei nemici che, rimasti nascosti durante il nostro cammino, tentano di uscire allo scoperto per sbarrarci, al momento che sembrerà loro opportuno, la strada.

Era in questi termini che Mussolini descriveva a Yvon De Begnac[1] l’attivismo politico racchiuso nell’opera degli intellettuali fascisti. Chiurco trovava posto nel gotha culturale fascista non tanto per meriti scientifici, ma come cronista del periodo rivoluzionario, a dimostrazione della forte impronta ideologica che ne caratterizzò il lavoro, come pure della pluralità di ambiti su cui tale operato si estese. L’eclettismo dell’istriano può leggersi come riflesso del pluralismo culturale sperimentato dal regime, inteso come sovrapposizione fra correnti e programmi diversi nei campi delle arti e della scienza, destinati però a convergere nella mobilitazione in favore della rivoluzione fascista.[2] La celebrazione totalitaria del primato della politica su ogni espressione della vita delle masse rappresenta probabilmente la sintesi più efficace per spiegare tale pluralità, senza con questo voler ridurre la cultura fascista alla sua sola funzione strumentale.[3]

Mario Isnenghi distingueva tra intellettuali militanti, produttori di senso, e intellettuali funzionari, organizzatori e propagandisti, rinviando alla funzione svolta dagli attori culturali nella società fascista. L’attenzione di Isnenghi non era rivolta alla sola conoscenza alta, ma all’organizzazione culturale latamente intesa, comprendendo quindi insegnanti, giornalisti, oratori i quali, per motivi e in modi diversi, portarono la dottrina fascista tra le masse.[4] Le convergenze e sovrapposizioni riscontrabili tra tali figure e funzioni,[5] lungi dallo sminuirne l’efficacia, riconfermano la pluralità di livelli su cui si mossero gli agenti culturali del fascismo, seppur all’interno della cornice tracciata dal regime. Anche intellettuali intransigenti come Chiurco, contrari a mediazioni che limitassero la forza rinnovatrice fascista, distinsero la propria attività per un doppio crisma culturale e politico, conoscendo convergenze e divergenze rispetto alle correnti dominanti.[6] Non ci sono soltanto opportunismo e spirito conformista nelle proposte del medico istriano, pronto a formulare idee e difendere le proprie posizioni, se ritenute meritevoli, anche quando difformi dagli orientamenti del regime. A rendere Chiurco un intellettuale militante, nel significato più letterale del termine, è la natura totalizzante della sua adesione al regime, che ne fa uno scienziato, medico e autore vissuto nel fascismo e del fascismo, criticandone talvolta decisioni e orientamenti, ma condividendone il progetto complessivo.

La produzione letteraria dell’istriano può essere ricompresa nelle due macrocategorie degli scritti scientifici e delle opere a carattere cronistico-letterario dedicate al fascismo rivoluzionario e ai suoi martiri. Una distinzione – come vedremo – comunque non priva di punti d’incontro, riflesso tanto del ricordato eclettismo dell’autore, quanto del progressivo prevalere del Chiurco politico rispetto allo scienziato. Gli scritti razzisti degli anni Trenta, piegati alle necessità della pseudoscienza di regime, sono in tal senso indicativi della politicizzazione di tutta la produzione letteraria dell’istriano, il quale appartenne alla cosiddetta «industria culturale» tratteggiata da Gabriele Turi, formata dall’insieme degli intellettuali di regime. Al centro di tale produzione, indipendentemente dalle singole aree di interesse, rimasero sempre la costruzione dello Stato nuovo e di una nuova generazione di italiani, i «fascisti integrali» evocati da Mussolini.[7] Il concetto dell’italiano nuovo ricorre tanto negli scritti scientifici, quanto nella produzione cronistico-letteraria del medico istriano, sempre attento a temi quali l’educazione dei giovani, lo sport, l’eugenetica, la salvaguardia della sanità razziale.

Nell’ottica del regime, le nuove generazioni dovevano essere innanzitutto numerose, in salute e fisicamente prestanti, motivo per cui la medicina divenne una pratica «con etichetta nazionalistica e marchio fascista», come scritto da Giorgio Cosmacini.[8] Il regime sottopose la disciplina all’influenza dell’autorità politica, facendo dei medici i “sacerdoti” del progetto mussoliniano di ingegneria sociale, incaricandoli di salvaguardare la salute fisica e morale della popolazione, di «abituare gli italiani al moto, all’aria libera, alla ginnastica ed anche allo sport».[9] Nel 1921, Chiurco vedeva negli squadristi i protagonisti di una nuova era, «gli eletti, gli aristocratici del pensiero e dell’azione predestinati al comando da Dio e dalla patria». Per un corretto sviluppo dei giovani risultava fondamentale la «forza, equilibrio, volontà, disciplina che solo una razionale educazione fisica può dare».[10]

L’evoluzione del concetto di uomo nuovo ricalca nel pensiero di Chiurco la cronologia tracciata da Emilio Gentile, per cui a cavallo tra gli anni Venti e Trenta l’attenzione si concentra sul potenziamento fisico e demografico della popolazione, con l’emergere dell’imperialismo e del razzismo quali fattori di rilievo nel dibattito. Nel Manuale di cultura fascista del 1930, l’autore inseriva le politiche demografiche tra «i principi basilari del Fascismo nei riguardi della tutela fisica e morale della razza», vedendo nella crescita della popolazione «uno dei mezzi più efficaci per la sua valorizzazione ed espansione materiale e spirituale nel mondo».[11] Al numero doveva seguire la qualità, assicurata dallo sviluppo di qualità fisiche e mentali, favorite da politiche volte ad «accrescere la validità, l’energia e la resistenza morale e fisica del giovane», facendone un «cittadino soldato» e un cittadino-produttore.[12] Con la proclamazione dell’impero alla metà degli anni Trenta, alla formazione delle nuove generazioni si aggiunse il problema della loro protezione dal rischio di incroci genetici con le popolazioni indigene, la mescolanza con le quali rappresentava «sia per ragioni sanitarie e biologiche, che per la dignità della razza, un grave pericolo per il popolo italiano colonizzatore». Per questo motivo, diventava «un dovere della nostra dignità imperiale» la «formazione di una coscienza razziale per difendere la razza italica da qualsiasi imbastardimento», ricorrendo a leggi che «impediscono il mescolamento di italiani con indigeni».[13]

Al problema della preservazione si affiancava quello dell’educazione. Per questo motivo, il regime varò dagli anni Venti quello che Luca La Rovere ha definito «il più importante esperimento di pedagogia politica di massa mai tentato nella storia nazionale italiana».[14] L’educazione morale doveva riguardare il senso di disciplina e la fedeltà all’idea, per cui sui fascisti, secondo i postulati di Arnaldo Mussolini, incombeva «il dovere di essere, nella vita nazionale, sempre i primi, vigili contro gli avversari» ma anche pronti «a volgarizzare i postulati», a «tesserli ed a viverli nelle manifestazioni di ogni giorno».[15] Fascismo, aggiungeva Chiurco, significava «soprattutto spirito di abnegazione ed assoluta e cieca disciplina», poiché «il fascista deve essere in prima linea puro e senza macchia».[16] Nei manuali scolastici curati tra il 1930 e il 1934, l’istriano dedicò ampio spazio ai «doveri del cittadino verso la famiglia e verso la patria», sostenendo che ogni buon italiano «sentirà, e praticherà, prima di ogni altro, il dovere dell’ordine e della disciplina», poiché «dall’uno e dall’altra scaturiscono il rispetto delle leggi, il sentimento della gerarchia, l’ossequio all’Autorità».[17]

È infine evidente l’intento educativo della Storia della rivoluzione fascista. Non a caso, Mussolini medesimo, nel proprio Invito alla lettura, incluse tra i principali destinatari dell’opera «i giovani delle più fresche generazioni», che attraverso l’opera «impareranno a venerare i segni del Littorio e a rispettare i veterani che fecero la Guerra e la Rivoluzione».[18] La funzione didattica della Storia fu sottolineata da numerose riviste del tempo, con Carlo Capasso che la definì «una vera scuola per le generazioni nuove»,[19] mentre il periodico del ministero della Pubblica Istruzione, Accademie e Biblioteche d’Italia, inserì i volumi del Chiurco tra le opere che «inizieranno il giovine alla meditazione degli avvenimenti storici».[20] Pure i fuoriusciti antifascisti intuirono l’intento pedagogico di quella che definirono «una storia del fascismo ad uso dei balilla», e pur criticando l’opera e lo stile prolisso dell’autore, riconobbero come il poter disporre di «un’organizzazione di massa, inquadrata da migliaia di cavalier Chiurco» costituisse un punto di forza dell’Italia mussoliniana.[21]

Tramite l’apparato propagandistico fascista, la Storia divenne un testo importante per il progetto di rinnovamento nazionale, una presenza immancabile tra gli scaffali di biblioteche, circoli di lettura, scuole di ogni grado e tipologia, nonché dono per gli studenti che maggiormente si fossero distinti nell’apprendimento, i quali «nell’esempio dei pionieri della rigenerazione della patria» avrebbero trovato «i migliori esemplari per la loro formazione spirituale».[22]

 

[1] F. Perfetti (a cura di), Y. De Begnac, Taccuini mussoliniani, Il Mulino, Bologna 1990, pp. 402-3.

[2] A. Tarquini, Storia della cultura fascista, Il Mulino, Bologna 2011, p. 225.

[3] E. Gentile, La via italiana al totalitarismo. Il partito e lo Stato nel regime fascista, Carocci, Roma 2008 (ed. orig. 1995). In generale, R. Ben-Ghiat, La cultura fascista, Il Mulino, Bologna 2000.

[4] M. Isnenghi, Intellettuali militanti e intellettuali funzionari. Appunti sulla cultura fascista, Einaudi, Torino 1979.

[5] S. Luzzatto, The Political Culture of Fascist Italy, in Contemporary European History, vol. 8, 2, 1999, p. 322.

[6] A. Tarquini, Storia della cultura fascista, cit., pp. 86-89, 228-29.

[7] G. Turi, Lo Stato educatore. Politica e intellettuali nell’Italia fascista, Laterza, Roma-Bari 2002, p. 21. Sul tema, E. Gentile, Fascismo. Storia e interpretazione, Laterza, Roma-Bari, 2002, pp. 235-64; P. Bernhard, L. Klinkhammer (a cura di), L’uomo nuovo del fascismo. La costruzione di un progetto totalitario, Viella, Roma 2017.

[8] G. Cosmacini, Medici e medicina durante il fascismo, Pantarei, Milano 2019, p. 65. In riferimento al ruolo dei medici nel regime, R. Maiocchi, Scienza e fascismo, Carocci, Roma 2004, pp. 140-54.

[9] Discorso ai medici del novembre 1931, in E. e D. Susmel (a cura di), Opera Omnia, vol. 25, La Fenice, Firenze 1956, pp. 58-62. Circa la funzione educatrice dello sport, P. Dogliani, Educazione fisica, sport nella costruzione dell’«uomo nuovo», in P. Bernhard, L. Klinkhammer (a cura di), L’uomo nuovo del fascismo, cit., pp. 143-55.

[10] Lo squadrista incarnò il mito fascista dell’italiano nuovo, E. Gentile, Fascismo. Storia e interpretazione, Laterza, Roma-Bari, 2002, pp. 245-48. Per le citazioni cfr. L’inchiesta fascista sui fatti di Roccastrada, in L’Era Nuova, 30 luglio 1921; Fascismo ed educazione Fisica, in La Scure, 24 giugno 1922.

[11] G.A. Chiurco, Manuale di cultura fascista, Morano, Napoli 1930, pp. 89-90.

[12] Id., L’educazione fisica nello Stato fascista. Fisiologia e patologia chirurgica dello sport, San Bernardino, Siena 1935, p. 7. Il modello di “cittadino-soldato” è posto al centro della pedagogia totalitaria del regime dalla seconda metà degli anni Venti.

[13] Id., La sanità delle razze nell’Impero italiano, Istituto Fascista dell’Africa Italiana, Roma 1940, pp. 1049-50.

[14] L. La Rovere, Totalitarian Pedagogy and the Italian Youth, in J. Dagnino, M. Feldman, P. Stocker (a cura di), The “New Man” in Radical Right Ideology and Practice. 1919-1945, Bloomsbury Academic, London 2018, p. 21. La traduzione è mia.

[15] A. Mussolini, Fascismo e civiltà, Hoepli, Milano 1937, pp. 134-35.

[16] G.A. Chiurco, Comandamento del fascista: onestà e disciplina, in Il Popolo Senese, 3 gennaio 1929.

[17] Id., Elementi di cultura fascista, Morano, Napoli 1934, p. 94.

[18] B. Mussolini, Invito alla lettura, in G.A. Chiurco, Storia della rivoluzione fascista, vol. 1, Vallecchi, Firenze 1929, pp. VII-VIII.

[19] C. Capasso, Storia della rivoluzione fascista di G.A. Chiurco, in Bibliografia fascista, 7, 1929, pp. 1-3. Capasso fu docente scolastico, studioso di didattica e professore universitario.

[20] G. Ruberti, Libri per una vita intera, in Accademie e Biblioteche d’Italia, 1, 1929, pp. 50-58.

[21] S. T., Una storia del fascismo ad uso dei balilla, in Lo Stato Operaio, 8, 1929, pp. 706-11.

[22] La citazione è di Ruggero Romano, deputato fascista dal 1924 al 1939, durante una cerimonia ufficiale a Noto, cfr. C. Sgroi (a cura di), R. Liceo-Ginnasio «A. Di Rudinì» di Noto. Annuario Scolastico 1929-1930, Studio Editoriale Moderno, Catania 1931, p. 22.




Perché il fascismo è nato in Italia.

Giovedì 24 novembre 2022 alle ore 17 si terrà alle Stanze della Memoria di Siena (Via Malavolti 9) la presentazione del volume di Marcello Flores e Giovanni Gozzini, Perché il fascismo è nato in Italia (Laterza 2022).

Discuterà con gli autori Alessandro Orlandini, direttore dell’Istituto storico della Resistenza senese e dell’età contemporanea.

Per informazioni: stanzedellamemoria@gmail.com




I neofascismi nell’Italia Repubblicana.

Nei mesi di marzo e aprile 2022 si terrà presso le Stanze della Memoria di Siena (via Malavolti 9) il corso di formazione per insegnanti – aperto anche alla cittadinanza interessata – dal titolo A 100 anni dalla marcia su Roma. I neofascismi nell’Italia repubblicana, organizzato dall’Istituto storico della Resistenza senese e dell’età contemporanea e dal Circolo Anpi Atenei senesi “Carlo Rosselli”.

Il corso di formazione prevede i seguenti incontri, che potranno essere seguiti in presenza o in modalità telematica a partire dalle ore 17:

16 marzo: Nicola Tonietto, La nascita del neofascismo italiano: lo stato delle ricerche e nuove prospettive;

24 marzo: Gregorio Sorgonà, La destra italiana e la politica internazionale: il caso del Msi;

31 marzo: Angelo Ventrone, Le marce su Roma. I tentativi di golpe degli anni ’70;

6 aprile: Luca Innocenti, La P2 tra eversione e gestione del potere;

20 aprile: Giacomo Pacini, Servizi segreti e strategia della tensione. Federico Umberto D’Amato e l’Ufficio Affari Riservati.

 

Per informazioni e prenotazioni: stanzedellamemoria@gmail.com