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Farestoria, n. 2, 2019, Effetto Sessantotto

Il fascicolo affronta il periodo storico compreso tra il 1968 e gli anni Settanta e mira a indagare come quegli anni incisero sulla cultura politica, sociale e religiosa degli italiani, con effetti visibili ancora oggi sulla società. Il numero si inserisce quindi nel dibattito storiografico sul tema del “lungo Sessantotto”, senza dare per scontato che quanto avvenne in Italia negli anni Settanta possa definirsi una diretta conseguenza delle proteste scoppiate in quell’anno. I contributi mettono in luce il cambiamento, in particolare sociale e culturale, che l’Italia affrontò alla fine degli anni Sessanta e nel decennio successivo.

Presentazione di Roberto Barontini – p. 5
Introduzione di Francesca Perugi, Perché parlare ancora del ‘68 – p. 7

Saggi
Giulia Bassi, Servendo il popolo. Il discorso sulla violenza nelle riviste della sinistra extraparlamentare italiana (1968-1972) – p. 9
Francesca Perugi, «Se lo Stato stesso ha il volto della violenza». Le ambiguità del dissenso cattolico di fronte al terrorismo (1968-1978) – p. 29
Chiara Melacca, Mamma, come si fanno i bambini? La sessualità invisibile delle figlie (1960-70): una ricerca di storia orale 45
Maria Elena Cantilena, «Il potere nasce dall’erba e dal fucile». La droga tra consumo e contestazione nel lungo Sessantotto italiano – p. 61
Filippo Mazzoni, La nascita dei Consigli di Circoscrizione a Pistoia – p. 79

Contributi
Santina Musolino, Il movimento femminista e la questione della violenza politica negli anni Settanta: una riflessione sociologica – p. 99

Testimonianze
Stefano BartoliniIntervista collettiva a Renzo Innocenti, Andrea Ottanelli e Rossella Dini – p. 107

Recensioni
Chiara Martinelli, “Monica Galfrè, La scuola è il nostro Vietnam. Il ’68 e l’istruzione secondaria italiana” – p. 137
Alice Vannucchi, “Francesca Socrate, Sessantotto. Due generazioni”  – p. 139




Farestoria, n. 1, 2019, Fascismo e violenza

Questo numero mira a indagare il rapporto tra il fascismo e la violenza, nella duplice accezione di violenza fascista e di violenza “nel” fascismo, di violenza agita e di violenza rappresentata.
Ereditata, praticata, celebrata, esaltata, teorizzata, osannata, raccontata, mitizzata ed infine negata, la violenza si situa alle origini del fascismo stesso, quando lo squadrismo ne fece in maniera inedita uno strumento e un linguaggio politico dirompente. Lungo tutto l’arco dell’esperienza storica
del movimento mussoliniano, da piazza San Sepolcro al crepuscolo della RSI, la violenza è stata un elemento centrale, declinato in forme diverse e rinnovatosi più volte, tanto dell’ideologia che della prassi politica del fascismo, sia come movimento politico che come Stato.

Quali e quante furono le sue forme specifiche, gli ambiti di azione e le sue declinazioni in epoca fascista? Quali equilibri si realizzarono storicamente fra gli obiettivi politici ricercati attraverso la violenza e la propensione connaturata dei fascisti e del fascismo al suo esercizio? Che bilancio storiografico possiamo trarne oggi?

Presentazione di Roberto Barontini – p. 5

Saggi
Donatello Aramini, La violenza nazionalista (1919-1926): padri nobili o rivali
del movimento fascista? – p. 9
Roberto Carocci, Fascismo e questione operaia. Violenza, normalizzazione
e “consenso” tra i lavoratori romani all’inizio degli anni Venti – p. 27
Gabriele Bassi, Asimmetrie e parallelismi nella violenza d’Oltremare: il caso della Libia – p. 43
Stefano Campagna, Forme e rappresentazioni della violenza coloniale nel cinema di propaganda fascista: il caso dei documentari dell’Istituto Luce sulla conquista dell’impero in Africa Orientale – p. 59
Anna Di Giusto, Vignette coloniali. De Seta e lo stereotipo dell’Etiopia fascista – p. 75
Carlo Bianchi, Dei suoni della violenza. Metafore, analogie e gesti musicali
nel ventennio fascista – p. 93
Lorenzo Pera, «Chi non è con noi è contro di noi». Appunti sulla violenza
del fascismo repubblicano pistoiese -p. 113

Recensioni
Edoardo Lombardi, “Mimmo Franzinelli, Fascismo anno zero – 1929” – p. 127
Tommaso Artioli, “Emilio Gentile, Chi è fascista“- p. 129




La città perduta.

Questo libro raccoglie, oltre ad alcuni testi inediti, più di sessanta articoli e saggi di Rosaria Bertolucci – dedicati a Carrara e al territorio apuano-versiliese – pubblicati tra il 1978 e il 1990 sulle cronache locali di quotidiani, tra cui «La Nazione» e «le Città», in libri collettivi o riviste. L’idea della raccolta era nei progetti dell’autrice, che già a metà degli anni Ottanta aveva in mente una pubblicazione complessiva sulla storia della città del marmo, un tema questo che è stato al centro dei suoi interessi di studiosa negli ultimi quindici anni della sua vita.

Questo libro è, dunque, prima di tutto una testimonianza viva dell’amore che la scrittrice provava per la storia di questa città e del suo territorio e il maggior pregio degli scritti che proponiamo nelle intenzioni dell’autrice dovevano svolgere quella funzione di traghettare verso le nuove generazioni la consapevolezza e la conoscenza critica del suo ricco e vivace passato.
Rosaria Ciampella nei Bertolucci (1927-1990) romana di nascita ma “versiliese d’adozione” è stata una poetessa, scrittrice e giornalista che ha posto sempre alla propria attenzione lo studio per la letteratura e la storia. Tre le sue opere di critica letteraria, sempre corredate da una ricca documentazione, si ricordano: Pea, uomo di Versilia, Viareggio 1978; Il principe dimenticato, Sarzana 1979; Cardarelli sconosciuto, Firenze 1980; Lorenzo Viani parole come colore, Firenze 1980: Sibilla Aleramo una vita, Carrara 1983. A questi lavori si sono affiancati poi saggi storici come Milleottocentonovantaquat tro storia di una rivolta, Carrara 1981; A come anarchia o come Apua: un anarchico a Carrara Ugo Mazzucchelli, Carrara 1988 e infine Ilario Bessi, Luci di Marmo, Pisa 1989.




I carretti della solidarietà

Questo libro nasce dall’idea di ricordare la figura di Ernesto Pierucci, antifascista massese, recentemente scomparso. Nel biennio 1943-1945 le strade ed i sentieri che valicavano il Passo della Cisa e le Alpi Apuane erano percorsi da civili, soprattutto donne e ragazze che, spingendo carretti a mano ma perlopiù a piedi con i sacchi in spalla, si recavano nel Parmense o in Garfagnana e nel Modenese per scambiare il sale con altri cibi e soprattutto con farina per fare il pane necessario alla sopravvivenza. Queste “formiche apuane” – come le definì felicemente Piero Calamandrei – svolsero un ruolo fondamentale per lenire la fame della popolazione durante la guerra.

Il ragazzino Ernesto contribuì alla costruzione di un carretto speciale perché facilmente manovrabile, che la famiglia utilizzò sia per gli sfollamenti tra Massa e Carrara sia per andare alla disperata ricerca di cibo in Lunigiana e, attraverso il Passo della Cisa, nel Parmense. Questo carretto divenne un simbolo di solidarietà tra la popolazione apuana perché il suo carico di generi alimentari veniva diviso fra le famiglie affamate.

Con le sue interviste alle testimoni civili e alle ultime staffette partigiane, l’autore si incammina in un viaggio a ritroso nel tempo della fame e della guerra restituendoci il contesto storico e le dinamiche sociali dei fatti narrati, in cui le microstorie personali si intrecciano con la Grande Storia: le testimonianze raccolte con cura, prive di retorica ma vive e concrete, fanno rivivere il decisivo contributo dato dalle donne alla Resistenza apuana, le paure per i bombardamenti alleati e i cannoneggiamenti tedeschi, le difficoltà dell’attraversamento del fronte di guerra della popolazione civile sulla “via della Libertà”, l’orrore degli eccidi nazifascisti, le speranze accese dalla creazione del Battaglione internazionale ad opera del maggiore inglese Gordon Lett in Lunigiana, le azioni svolte dai partigiani carrarini, dal Gruppo Patrioti Apuani e dalla Brigata Beretta Pontremolese, fino alla liberazione di tutto il territorio apuano nell’aprile 1945: da Montignoso, Massa, Carrara fino a Pontremoli.

L’opera di ricerca storica si è avvalsa della consulenza ISRA ed è impreziosita da un’ampia sezione di documenti e fotografie dell’epoca tratti, oltre che da quelli familiari dei protagonisti, dagli Archivi dell’Istituto Storico della Resistenza Apuana, dell’ANPI di Massa “Patrioti Apuani-Linea Gotica”, dell’ANPI di Carrara e degli USA National Archives.




Pietre di libertà

Nomi, volti e storie di partigiani, militari e civili caduti nei venti mesi dell’occupazione nazifascista. In libreria e in edicola il libro pubblicato a cura delle sezioni ANPI di Pontremoli e di Zeri e dell’ISRA.
Da Pontremoli a Zeri, un percorso lungo 80 tappe sui sentieri della Resistenza: è “Pietre di Liberà”, il libro pubblicato in questi giorni dalle sezioni ANPI di Pontremoli e di Zeri con l’Istituto Storico della Resistenza Apuana per riscoprire e conoscere cippi, lapidi e monumenti eretti a partire dall’immediato dopoguerra in questi due territori dove la presenza delle formazioni partigiane fu fortissima e la lotta di Liberazione dal nazifascismo più lunga, dura e cruenta.
Il volume, curato da Paolo Bissoli, Mauro Malachina, Raffaello Nadotti, Caterina Rapetti, Vanessa Valenti con contributi di Angelo Angella e Anna Rapetti – vuole essere un vero e proprio “scrigno della memoria” ed è il frutto di un lavoro durato più di due anni e fatto di ricerche “sul campo” e di consultazione della pubblicistica esistente così da proporre, per ciascuna “pietra” la storia che la stessa custodisce.
Storie che risalgono ai venti mesi fra il settembre 1943 e l’aprile 1945, spesso poco note, a volte quasi dimenticate, che quasi sempre vedono protagonisti giovani partigiani caduti per quell’ideale di libertà che “per non chinare la testa” li aveva spinti a “prendere la strada dei monti”.
Ma la ricerca non si è fermata qui, si è spinta oltre e il libro propone, riuniti insieme e integrati con nomi dimenticati, gli elenchi delle vittime di quegli anni: partigiani, civili, militari italiani caduti in maggioranza sui fronti russo, greco o albanese, militari alleati morti qui durante missioni in territorio occupato. Un’impresa non facile, ma ora quelle centinaia di nomi incisi sulle “Pietre di Libertà” tornano ad essere persone e offrono lo spunto per un approfondimento e, magari, un’escursione su quei sentieri dove, anche e soprattutto a Pontremoli e a Zeri, “è nata la nostra Costituzione” come ebbe modo di dire Piero Calamandrei.

 

 

 

 




Un «Ponte» per la democrazia

«Preparo il numero di dicembre del Ponte dedicato al Piemonte (…). Anche tu naturalmente sei stato messo in prima linea tra le vittime designate a fare da collaboratori: e bisogna che tu non mi dica di no». È con questa sorridente determinazione che Calamandrei imposta il rapporto di collaborazione col più giovane collega e compagno azionista, Norberto Bobbio. Il carteggio tra queste due figure fondamentali della cultura e della politica italiana del Novecento consente di ricostruire alcuni retroscena della stagione del «Ponte» e della rinascita democratica dopo la Seconda guerra mondiale: il disperdersi e propagarsi della rete azionista, i tentativi di dialogo fra socialismo liberale e comunisti, il ruolo delle nuove riviste nel tener vivo lo «spirito della Resistenza». Nella confidenza di un colloquio fra amici, emergono gli interessi comuni, l’attenzione alle nuove correnti filosofiche e giuridiche, la difesa della cultura liberale dei diritti, le speranze nel laburismo inglese, i timori per il nascente assetto globale della Guerra fredda, l’interesse per il socialismo cinese, l’impegno in difesa di Danilo Dolci e delle sue battaglie per il lavoro e il rispetto della Costituzione, la preoccupazione per le inerzie fasciste nel nascente sistema giudiziario repubblicano. Nel corso degli anni, dall’ammirazione reciproca nascerà una profonda amicizia, che farà dire a Bobbio di Calamandrei: «era quello che avrei voluto essere». Pur con piglio e attitudini diverse, i due vivranno l’immediato dopoguerra come un periodo di impegno ineludibile, di cui il carteggio ci restituisce in controluce le speranze, i timori e le ragioni ideali.

Volume curato da Marcello Gisondi

Pubblicazione in collaborazione e con il patrocinio di Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea e del Centro Piero Gobetti.

In pdf allegato Indice del volume.




L’influenza spagnola del 1918-1919

«Si muore senza medici, senza preti, senza suono di campane, senza visita di parenti per paura di infettazione. Speriamo che cessi altrimenti quando vieni a casa non troverai più nessuno abitante», sono le parole utilizzate da un contadino molisano per descrivere l’infierire della “spagnola”.
Sono scene drammatiche che si ripetono in altre parti d’Italia, d’Europa e del globo. «Mai dalla “Morte nera” una tale piaga aveva invaso il mondo», scriverà il «New York Times».
La pandemia del 1918-1919 ha effetti devastanti sulla popolazione mondiale, già provata dalla Grande Guerra. La quotidianità di donne e uomini viene sconvolta. I morti nel mondo sono 100.000.000, secondo alcune stime, in gran parte ventenni e trentenni.
Eppure, l’influenza ha lasciato flebili tracce nella memoria pubblica. «Le cifre della “spagnola” sono incomparabilmente superiori», ha scritto Bianchi nel saggio introduttivo, alle statistiche di altre tragedie novecentesche «mentre le pagine dedicate all’umanità colpita dalla pandemia di un secolo fa restano nettamente inferiori. La quantità è anche qualità. Quella lunga «fila di zeri» attende giustizia in sede storica. Il libro di Francesco Cutolo serve anche a questo».
L’autore ricostruisce la storia della “grande pandemia del Novecento” soffermandosi su aspetti sociali, culturali ed economici. Legando assieme più piani: la dimensione globale della malattia, le conseguenze dell’influenza a livello nazionale, l’impatto della “spagnola” in un territorio locale come quello di Pistoia.

Saggio introduttivo di Roberto Bianchi

Volume patrocinato e sostenuto da MIBACT-DGBIC Direzione Generale Biblioteche e Istituti Culturali




Le cicatrici della vittoria. Frammenti di storia del primo dopoguerra italiano

La realizzazione del presente volume, frutto della collaborazione tra l’associazione “Storia e Città” e l’Istituto storico della Resistenza e dell’Età contemporanea di Pistoia, si inserisce all’interno di un percorso di ricerca e approfondimento avviato in corrispondenza del Centenario della Grande guerra.
I saggi di questa pubblicazione hanno l’obbiettivo di proporre dei frammenti di storia del complesso mosaico del primo dopoguerra italiano, seguendo e illuminando dei casi traccianti che alternano la ricerca tra la dimensione della microstoria locale e quella della macrostoria nazionale e sovranazionale.
I contributi sono stati offerti da studiosi di generazioni differenti, provenienti da diversi contesti di studio e ricerca, elemento che ha consentito «l’approccio interdisciplinare e multidisciplinare che caratterizza l’opera, nella quale le più tradizionali tematiche politico-sociali si combinano con l’attenzione per gli aspetti antropologici e psicologici, che ebbero un peso centrale nelle vicende post-belliche. Assai opportuno appare poi l’utilizzo delle chiavi di lettura offerte dalla storia dell’arte, della letteratura e del cinema che disvelano scorci inediti e, come ormai insegna la nuova storia culturale della politica, si rivelano decisive per decrittare i complessi meccanismi attraverso i quali si formarono le memorie collettive, più o meno conflittuali, nel periodo fra le due guerre mondiali» (dalla presentazione di Fulvio Conti).