Museo Soffici

Sede e contatti
Via Lorenzo Il Magnifico 9, presso ex Scuderie Medicee, Poggio a Caiano (Prato)
Telefono: 055.8701287/0/1
E-mail: info@museoardengosoffici.it
Sito web: http://www.museoardengosoffici.it/index.php
Orari di apertura: 1 aprile-30 settembre: dal giovedì alla domenica 10-13 e 14.30-19; 1 ottobre-31 marzo: sabato, domenica e festivi 10-13 e 14.30-17.30
Biglietto d’ingresso: adulti 3,00 euro.

Organi direttivi
Ufficio Cultura: Luigi Corsetti (l.corsetti@comune.poggio@caiano.po.it)

Breve storia e finalità
Inaugurato il 16 maggio 2009 a Poggio a Caiano, al primo piano delle restaurate Scuderie Medicee, adiacenti alla Villa di Lorenzo Il Magnifico, il Museo Ardengo Soffici possiede una mostra permanente delle opere dell’artista e un Centro studi dedicato alla conoscenza di questo grande protagonista della cultura del Novecento.
Il Museo Soffici è un omaggio del Comune di Poggio a Caiano a quest’intellettuale che scelse di vivere in questi luoghi e immortalarne la campagna in tante sue opere; dal 2012, il museo ha assunto la dicitura di “Museo Ardengo Soffici e del ‘900 italiano”, con la volontà di  rappresentare, attraverso l’artista e i suoi numerosissimi contatti nel panorama culturale italiano, uno spaccato dell’arte del Novecento.

Ardengo Soffici (1879-1964), pittore, scrittore e critico d’arte, è stato uno dei personaggi più importanti del secolo scorso. Nacque a Rignano sull’Arno nel 1879, ma trascorse tutta la vita a Poggio a Caiano, cittadina scelta al suo ritorno da Parigi, nel 1907, dopo un soggiorno settennale in cui aveva conosciuto i maggiori protagonisti dell’avanguardia francese, da Picasso, ad Apollinaire, Max Jacobs, Braque. Rientrato in Italia con un bagaglio culturale aggiornato sulle correnti d’Oltralpe, fu il primo a scrivere di Cezanne, Rimbaud, Medardo Rosso, dei cubisti Picasso e Braque, oltre ad organizzare a Firenze, nel 1910, la prima mostra degli impressionisti in Italia. Successivamente fondò la rivista Lacerba con Papini, abbracciò il Futurismo, poi tornò ad un naturalismo più oggettivo, che lui definiva “realismo sintetico”.

Escluse le interruzioni per la guerra 1915-1918, per il lavoro giornalistico a Roma, 1923-1924, e per le vicissitudini politiche del 1944-1946, Poggio a Caiano è stato per Soffici il suo quartier generale, da cui l’artista è riuscito a tenersi in contatto con la cultura del suo tempo. Aprirsi al mondo da un paese di Toscana non era certo agevole in un tempo preinformatico: le sue risorse stavano nella fecondità del lavoro, nel prestigio che si era meritato.

Per l’opera di Ardengo Soffici scrittore e pittore possiamo dire che Poggio a Caiano sia il suo museo a cielo aperto: gli ha prestato le forme del panorama naturale e umano, e ne ha ricevuto la forma lirica e plastica, fino all’identificazione del paese con l’interprete.

Patrimonio
I 50 dipinti di Soffici, custoditi in diverse raccolte pubbliche e private, sono presentati in questo Museo in rassegna estesa, dal 1904 agli anni Sessanta: è così possibile ricostruire l’iter pittorico e seguire il contributo stilistico, ormai storicizzato, di questo artista dal carattere europeo, ancor più significativo per aver mantenuto un profilo ben radicato in una terra.

Il percorso espositivo, suddiviso in piccole sezioni dedicate alle principali tappe della sua carriera artistica (artista europeo, cubismo e futurismo, la famiglia, il dopoguerra, il paesaggio, la pittura murale), termina nella saletta video, in cui è possibile vedere, per concessione Rai, un’intervista a Soffici, realizzata a Poggio a Caiano nel 1957.

Dal Museo si può accedere ad una Biblioteca specializzata con le prime edizioni delle opere a stampa dell’artista toscano, una raccolta della bibliografia critica, la collana completa delle riviste da lui dirette o alle quali collaborò (in particolare Leonardo, La Voce, Lacerba, Rete Mediterranea, Galleria) e un archivio d’immagini e documenti a lui riconducibili.




I Faggi di Javello (Vaiano)

Sul versante destro del fiume Bisenzio, giusto di fronte ai monti della Calvana, si trovano i Faggi di Javello, una vasta area boschiva protagonista dal febbraio 1944 delle azioni dei partigiani della brigata Orlando Storai e in seguito base per la brigata Bogardo Buricchi. Schignano è il centro di questa vasta area, luogo di raccolta per tutti quei ragazzi che dopo l’8 settembre 1944 rifiutano di arruolarsi nel ricostituito esercito della RSI e scelgono, invece, “la via dei Faggi”. Da Schignano partono i rifornimenti alimentari per i partigiani e le staffette arrivano con messaggi e ordini; nei boschi sopra Vallupaia, in località Ebani, è nascosto, e controllato dai partigiani, il bestiame di vari contadini che tentano così di salvarlo dalle requisizioni tedesche.
Dalla primavera 1944 tutta quest’area, da Albiano, passando per Schignano fino a Migliana, ospita migliaia di sfollati dal fondovalle e tutti, salendo dalla Costa, vengono fermati e controllati da Menghino alla Casa Rossa, avamposto partigiano e centro di osservazione dei movimenti fascisti. Nonostante questo brulicare di vita, Schignano non viene risparmiata dalle azioni belliche, anzi, uno dei primi bombardamenti della Val di Bisenzio, il 21 gennaio 1944, cade proprio sul paese, in località il Poggio, dove alcuni ragazzi stanno giocando con delle capre: i 30 spezzoni caduti causano la morte di 6 persone.
partigiani javelloDal gelido inverno ’44, sotto la guida di Armando Bardazzi detto “Gianni”, è attiva sui Faggi la squadra partigiana Orlando Storai, di cui fanno parte anche molti ragazzi di Vaiano e Schignano. La prima vera azione armata avviene il 22 marzo, dopo una soffiata che annuncia un rastrellamento tedesco. I partigiani decidono di agire per primi e cogliere di sorpresa i nemici: dal Pian dei Massi percorrono il crinale e lungo lo stradello dei Tabernacoli raggiungono Poggio alla Vecchia, proprio sopra la chiesa di Migliana, nel cui piazzale bivaccano i nazi-fascisti. Colti di sorpresa i repubblichini si sparpagliano, incendiando il bosco, ma rinunciando al rastrellamento. Si tratta più che altro una dimostrazione di forza, ma i partigiani mostrano di non avere paura. Dopo questa azione, la Orlando Storai muove verso il Falterona e piano piano si disgrega.
Verso la fine del maggio 1944 il C.N.L. (Comitato di Liberazione Nazionale) approva la formazione di una nuova brigata guidata sempre da Armando Bardazzi e Carlo Ferri e l’invio di armamenti e rifornimenti ai partigiani. In pochi giorni si superano i 100 uomini, provenienti per lo più dalla Val di Bisenzio. La formazione prende il nome di Brigata Buricchi, in onore dei fratelli Buricchi che l’11 giugno avevano fatto saltare, a Comeana, vagoni carichi di tritolo destinati ai nazi-fascisti per la completa distruzione dell’industria pratese. L’accampamento partigiano viene costruito al Pian delle Vergini, sul crinale del Monte Javello.
Tra il luglio e l’agosto 1944 si hanno molti scontri tra partigiani e fascisti alle Cavallaie, alle Banditelle, presso Porciglia; spesso a pagarne le conseguenze sono i civili, i contadini come Leone Mengoni e Demizio Fuligni, che vengono uccisi dai tedeschi per rappresaglia nei confronti di azioni partigiane avventate o non andate a buon fine. La brigata Buricchi è protagonista anche della terribile battaglia di Pacciana, che porterà al tristemente famoso eccidio dei 29 Martiri di Figline.
Fatti ancora più cruenti avvengono in seguito al 6 settembre 1944: l’8 settembre, dopo l’impiccagione dei 29 partigiani, i tedeschi salgono a Schignano e compiono diverse rappresaglie. Presso Monte Casioli trovano i tre fratelli Favini della Tignamica e li freddano brutalmente; nel bosco sopra le Case Vecchie vengono fermati 6 uomini accusati di essere partigiani (solo 2 in realtà lo sono): 4 sono impiccati a Spirito e 2 uccisi mentre tentano la fuga. Solo due giorni dopo, il 10 settembre, gli abitanti di Schignano salutano l’arrivo della colonna alleata e possono dare degna sepoltura ai loro caduti.

Testimonianza di Renato Pozzi, partigiano della brigata Buricchi, conservata presso l’archivio CDSE:
Ai primi di giugno la formazione si riorganizzò e si ricostituì il campo base ai Faggi di Javello. Le baracche furono costruite in fila lungo il crinale, tutte verso le Banditelle, perché su quel lato c’era la macchia di faggio alta; salendo dalle Prata, appena il crinale spianeggia, c’era la cucina, poi l’infermeria, l’armeria e le baracche del dormitorio, che alla fine arrivarono a cinque per contenerci tutti e l’ultima addirittura a due piani, proprio di faccia al Faggio della Madonna.”

Scheda compilata a cura della Fondazione CDSE e della classe III A dell’istituto comprensivo L. Bartolini di Vaiano, nell’ambito del progetto Mappe della Memoria, finanziato dalla Regione Toscana per il 70° della Resistenza.




Torricella (Vernio)

La Val Bisenzio fu investita in pieno dal passaggio del fronte: i continui bombardamenti alleati che colpirono Vernio dalla primavera-estate del 1944 devastarono la linea ferroviaria Direttissima, la stazione e l’imbocco della Grande Galleria dell’Appennino tra Toscana e Emilia Romagna. Momenti altrettanto drammatici furono vissuti dagli abitanti di San Quirico, fatti evacuare dalle loro case dai soldati tedeschi in ritirata. Nella confusione del momento molti si rifugiarono nella valle del Rio Meo, sistemandosi alla meglio sotto la Crocetta: così facendo si ritrovarono sotto il tiro incrociato delle artiglierie proprio nei giorni più prossimi alla Liberazione.

Quando ormai Prato era liberata da giorni, il territorio di Vernio visse infatti il suo momento di maggiore emergenza, ritrovandosi tra l’avanzata degli Alleati e le postazioni fortificate della Linea Gotica. La Linea Gotica fu l’ultima linea difensiva e fortificata della campagna d’Italia: menzionata nei documenti tedeschi come ‘Linea Verde’ (e passata alla storia come ‘Linea Gotica’ perché ricalcava, seppur in parte, la linea difensiva bizantina durante la guerra contro i Goti nel VI secolo), collegava la pianura costiera di Massa ad Ovest con quella di Rimini ad Est, seguendo all’incirca il 44° parallelo. La realizzazione dei lavori della Linea Gotica fu affidata alla Todt, organizzazione militarizzata alle dipendenze della Wermacht, che in Italia appaltava i cantieri a ditte italiane utilizzando spesso manodopera locale. Il territorio di Vernio per tutto il 1944 fu interessato da un’intensa attività di costruzione di postazioni, avamposti, trincee: i boschi ancora conservano le ferite della guerra come piazzole, bunker, nidi di mitragliatrici.

red bull divisionIntorno al 10 settembre 1944, con l’avanzata sul crinale della Calvana, iniziò l’attacco alleato al crinale tra il Mugello e la Val Bisenzio; parallelamente i tedeschi si trincerarono tra la fattoria delle Soda fino al passo della Crocetta, dove sostavano alcuni carri armati tedeschi che sistematicamente apparivano allo scoperto, sparando una serie di colpi e ritornando subito dopo al riparo. Dal 14 al 22 settembre si intensificarono gli scontri e il Poggio della Torricella divenne il feroce campo di battaglia tra i fanti della 334ª Infanterie Division tedesca e quelli della 34ª ‘Red Bull’ Division americana. Finalmente, il 23 settembre, dopo aver espugnato il caposaldo di quota 810 alla Torricella ed essere entrati a Montepiano dal valico della Crocetta, gli Alleati raggiunsero San Quirico passando dal Gallo: trovarono il paese completamente vuoto.

Dal 2003 sul luogo della cruenta battaglia è stato istituito dal Comune di Vernio, dalla Provincia di Prato, dall’Unione dei Comuni della Val di Bisenzio e dall’UNUCI, il Parco Memoriale della Torricella, un museo all’aperto raggiungibile anche a piedi tramite un sentiero della memoria che permette di raggiungere i luoghi degli scontri del settembre 1944, con fortificazioni, postazioni belliche e trincee ancora visibili.

Testimonianza orale di Remo Fiesoli, conservata presso l’archivio CDSE: “Ci avevano ordinato di radunarci tutti nella piazza di San Quirico per andare a Montepiano, ma ci fu confusione e noi si risalì il rio Meo e il fosso del Casigno. C’era tanta gente, anziani, bambini, proprio sotto la casa di Castagnolo. La notte si scatenò l’inferno. Dai poggi di Mezzana ci sparavano i tedeschi, perché pensavano che fossimo americani, da Le Soda ci sparavano gli americani perché pensavano che fossimo tedeschi e tutti picchiavano. Morirono sotto le cannonate un uomo e due donne, che si videro morire. La mattina si prese la strada della Bandiera e nel punto più scoperto si fece una corsa e ci si buttò nel rifugio di Celle.”

Visite: Parco Memoriale della Torricella
Per info e prenotazioni: comune@comune.vernio.po.it e info@lineagoticavernio.it

Scheda compilata a cura della Fondazione CDSE e delle classi III A e III B dell’istituto comprensivo Pertini di Vernio, nell’ambito del progetto Mappe della Memoria, finanziato dalla Regione Toscana per il 70° della Resistenza.




Carbonale (Vernio)

All’inizio del giugno 1944, a seguito dell’intensificarsi dei bombardamenti alleati in Val di Bisenzio, le forze nazifasciste iniziarono a dislocare alcune batterie antiaeree, ispezionando varie località del colle di Sant’Ippolito e piazzando postazioni antiaeree a Stavolaccio e Toponi, poco sopra l’abitato di Vernio.
pilota aereo americanoIl 7 giugno 1944 una formazione di 18 B-25 (12ª Air Force americana), accompagnati da 8 Spitfire inglesi, sorvolò Vernio verso le 17: appena arrivati in Val di Bisenzio la contraerea tedesca, posizionata al Pianatino e a Spazzavento nei pressi di Sant’Ippolito, colpì alla coda uno degli aerei, che si spezzò in volo. L’aereo (matricola 43-4059) cadde nei pressi della località Carbonale, nei boschi di Poggiole: nello schianto morì tutto l’equipaggio del velivolo tranne un componente, che riuscì a paracadutarsi fuori prima dell’impatto.

A 70 anni dal tragico evento l’Associazione Linea Gotica Alta val Bisenzio ha ricostruito la storia di questo abbattimento, collocando nel luogo dello schianto un monumento a ricordo dell’equipaggio e contattando negli Stati Uniti i parenti dei soldati caduti.
Verso la fine di agosto, con l’avanzare del fronte e l’imperversare della battaglia a difesa della Linea Gotica, i tedeschi iniziarono a far saltare gli imbocchi delle gallerie e i viadotti sulla ferrovia; a Mercatale di Vernio furono distrutti alcuni edifici nel borgo e i due ponti sul Bisenzio. Poggiole divenne un’importante postazione difensiva con trincee e piazzole su entrambi i versanti, quello che guarda Mercatale e quello verso San Quirico. Proprio per la sua posizione strategica, la medievale chiesa di San Michele di Poggiole, che impediva la visuale dell’Osservatorio occupato dai tedeschi sul monte di Mezzana ed era un punto di riferimento per i bombardieri angloamericani, fu fatta saltare in aria dai tedeschi insieme alle case dell’intero paese. In luogo dell’antica chiesa, tra il 1964 e il 1965, è stato costruito un Santuario dedicato a Sant’Antonio Maria Pucci.
In quella stessa terribile estate del 1944 era già iniziato da tempo anche il fenomeno dello sfollamento, che divenne sempre più coatto dal luglio, quando i tedeschi iniziarono ad affiggere manifesti nei quali si ordinava l’abbandono forzato degli insediamenti: gli abitanti di Sant’Ippolito lasciarono il paese il 30 luglio, quelli di Cavarzano il 3 agosto. Molti si nascosero nei pressi dell’Alpe di Cavarzano, ovvero nella zona de Le ‘Rocche’, dove cigli, grotte e cavità naturali furono adattati a rifugi da decine e decine di persone.

monumento carbonaleProprio la piazza antistante il santuario di Poggiole è il punto di partenza per un itinerario guidato che, con opportuna segnaletica, conduce nei luoghi dove, nel giugno del 1944, fu abbattuto l’aereo americano B-25J Mitchell e dove, tra la primavera e l’estate dello stesso anno, l’esercito tedesco posizionò numerose postazioni difensive, minando edifici e obbligando la popolazione ad abbandonare le proprie case.

Testimonianza orale di Alfio Bessi, conservata presso l’archivio della Fondazione CDSE:
Ricordo che durante i primi bombardamenti un apparecchio americano venne abbattuto dalle batterie contraeree tedesche piazzate al Pianatino a Sant’Ippolito. Ero su un poggetto sopra San Quirico e l’aereo in fiamme veniva proprio verso di me. All’improvviso si staccò il motore e un pezzo d’ala, tanto da farlo deviare contro la montagna posta a trecento metri sulla mia destra. Dopo un po’ esplose, disintegrandosi. Nel frattempo gli occupanti si erano lanciati con il paracadute: uno fu ucciso da un tedesco appena toccata terra, altre tre perirono e uno riuscì a fuggire.

Visite: trekking della memoria lungo l’itinerario verso Carbonale (luogo dello schianto del B-25J) e visita alla mostra permanente dei reperti curata dall’Associazione Linea Gotica Alta val Bisenzio.
Per info e prenotazioni: info@lineagoticavernio.it

Scheda compilata a cura della Fondazione CDSE e delle classi III A e III B dell’istituto comprensivo Pertini di Vernio, nell’ambito del progetto Mappe della Memoria, finanziato dalla Regione Toscana per il 70° della Resistenza.




Valibona

Località della Calvana, sul declivio del monte Maggiore, nel comune di Calenzano, fra Firenze e Prato, ormai abbandonata e difficilmente raggiungibile se non per sentieri sterrati, all’inizio del 1944 Valibona è stata il terreno del primo significativo scontro fra partigiani e repubblichini in questa area.

Fra i casolari di Case di Valibona si era, infatti, fermata la “banda” guidata da Lanciotto Ballerini nel corso di una marcia verso il pistoiese per raggiungere la formazione guidata da “Pippo”, Manrico Ducceschi, vicino al partito d’azione. I rastrellamenti sempre più frequenti avevano reso pericolosa la permanenza sul Monte Morello, in prossimità di Firenze, dove Ballerini, macellaio di Campi e sergente nella campagna d’Etiopia e poi di Grecia, si era trasferito dopo l’8 settembre del ’43, dando vita ad una formazione armata, e lo avevano spinto al trasferimento. Mentre molti partigiani comunisti si erano diretti dai propri compagni sul Monte Giovi, con Ballerini ne erano rimasti 17, prevalentemente sestesi e campigiani, fra cui anche due prigionieri russi, due slavi e un prigioniero inglese.

Giunto a Valibona, Lanciotto aveva deciso di sostare sia per far riposare gli uomini. Ma nella notte tra il 2 e il 3 gennaio 1944, mentre riposavano in un fienile, sono circondati da elementi del 1° Battaglione volontari Bersaglieri “Muti”, una formazione della guardia repubblichina guidata da Duilio Sanesi, comandante del presidio di Prato, Carabinieri e fascisti dei Comuni limitrofi, reparti agguerriti, ben armati e equipaggiati, giunti sia da Vaiano che da Calenzano, che li avevano individuati grazie alla delazione di una spia.

Il soldato sovietico Mirko, svegliatosi per un bisogno, accortosi del nemico, avvisò Lanciotto. Rifiutata la resa combatterono intensamente. La battaglia divampò per circa tre ore e mezzo. Considerata la situazione Lanciotto comprese che l’unica via d’uscita era tentare una sortita per spezzare l’accerchiamento. E lanciò il contrattacco. L’iniziativa riuscì e, nonostante la disparità di numero e di mezzi, nove componenti del gruppo sfuggirono all’assedio.

Lanciotto cadde combattendo. Così ne rievoca l’eroica figura il rapporto presentato al comando militare del Partito d’Azione: “a testa alta, impavido, audace, temerario con una bomba per mano inseguiva i nemici mettendoli in fuga e terrorizzandoli […] come un leone eccitato dal combattimento trascinava gli altri – terminate le bombe, imbracciato il moschetto, si gettava verso la mitraglia fascista che lo fulminava“.
Morì in combattimento anche il sardo Luigi Giuseppe Ventroni, addetto al fucile mitragliatore “Breda”. Gli attaccanti contarono tre morti e una dozzina di feriti fra cui il capo della spedizione, Duilio Sanesi, che spirò in ospedale a Prato dopo alcuni giorni di agonia. Fra i caduti vi fu anche il Maresciallo dei Carabinieri di Calenzano Alfredo Pierantozzi che recenti ricerche hanno accreditato essere stato ucciso dagli stessi fascisti, riconciandone la memoria ufficiale con quella della comunità di Calenzano che ne ha sempre ricordato per la generosità e la protezione dei propri concittadini a partire dai giovani renitenti alla leva.

Loreno Barinci fu ferito gravemente, creduto morto venne catturato il giorno dopo, così come furono fatti prigionieri Andrey Vladimiro, tenente dei genieri dell’Armata Rossa, che venne giustiziato, forse perchè ritenuto il comandante o per odio verso i sovietici; Tommaso Bertovich cui spaccarono la testa; Mario Ori cui spararono a un braccio, Corrado Conti e Benito Guzzon che furono percossi selvaggiamente. Quindi li consegnarono ai tedeschi alla Fortezza da Basso. Intanto, per punire i contadini dell’ospitalità data ai partigiani, i fascisti bruciarono e saccheggiarono tutte le case di Valibona, catturarono e legarono i vecchi, le donne e i bambini, compresa una donna incinta.

I superstiti riformarono la brigata cui diedero il nome del proprio comandante e che nell’estate successiva contribuiva alla liberazione di Firenze. Nel 1946 Lanciotto Ballerini è stato decorato con la medaglia d’oro al Valor Militare.

Proprio per ricordare questi fatti e il valore della Resistenza, pietra angolare della Costituzione della Repubblica, il 25 aprile 2013 il Comune di Calenzano ha inaugurato, proprio nel luogo della battaglia, il Memoriale di Valibona, un percorso storico-didattico per trasmettere a tutti, ed in particolare ai giovani i valori della lotta di Liberazione e della democrazia.

 

 




Museo del calcolatore “Laura Tellini”

Sede e contatti
Istituto Tecnico Economico e Professionale Statale “Paolo Dagomari”, Via di Reggiana, 86, 59100 Prato.
Telefono: 0574.639705
E-mail: museo@dagomari.prato.it
Sito web: http://museo.dagomari.prato.it/
Orari di apertura: data la sua collocazione, il Museo è aperto gratuitamente alle scolaresche del comprensorio pratese in orario mattutino, previa prenotazione contattando il curatore del museo, prof. Riccardo Aliani; le visite per la cittadinanza, sempre gratuite e previo appuntamento, saranno invece effettuate di giorno feriale ed in orario pomeridiano/serale. Per prenotare una visita è necessario contattare il museo.

Curatore: prof. Riccardo Aliani

Breve storia e finalità
Nel 1996 si iniziò a battere il tema della storia dell’informatica con la realizzazione, con una quinta classe, di un argomento che potesse abbinare tecnologia, storia e scienze matematiche, da sviluppare per l’esame di stato. Prese vita il “http://www.dagomari.prato.it/museo/htm/ingresso.htm ). Ma nacque anche lo stimolo a sviluppare, sempre con gli studenti, un qualcosa di tangibile: così nel corso degli anni, rovistando nei magazzini della scuola (che utilizza strumenti di calcolo a partire dalla sua apertura, nel 1961), nella soffitta di casa, nei mercatini dai cassonetti dei rifiuti, si sono materializzati dei pezzi decisamente interessanti, in attesa solo di essere ripuliti o riparati. Finalmente, nel 2011, i primi visitatori interessati hanno potuto visitare la raccolta, che esponenzialmente col tempo si è arricchita grazie anche alla collaborazione di tanti appassionati sparsi in tutta Italia. Il nostro scopo ultimo è diffondere la cultura informatica tramite la conoscenza di come facevano i calcoli padri e nonni degli iper-oggi.
Si allega comunque il percorso didattico suggerito per la visita ragionata del Museo.

Patrimonio
Una molteplicità di strumenti di calcolo, che evidenzia il passaggio dagli strumenti meccanici agli elettromeccanici, per arrivare all’elettronica. Il catalogo di tutti gli strumenti custoditi, sempre aggiornato, è disponibile sul sito all’indirizzo http://museo.dagomari.prato.it/doc/catalogo.pdf

 




Istituto di Studi Storici Postali “Aldo Cecchi” onlus

Sede e contatti
Via Ser Lapo Mazzei, 37 – 59100 Prato
Telefono: 0574.604571, 0574.026225
E-mail: issp@po-net.prato.it
segreteria@issp.po.it
Sito web: http://www.issp.po.it/
Orari di apertura: dal lunedì al venerdì 10-13

Organi direttivi
Direttore e legale rappresentante: Bruno Crevato-Selvaggi
Vicedirettore: Deborah Cecchi

Breve storia e finalità
La storia postale è nota come l’indagine dei fenomeni di comunicazione organizzata con un nuovo e fecondo modo d’approccio che ricollega discipline diverse fra loro come la storia sociale e quella della cultura, l’epistolografia, la storia dell’amministrazione e d’impresa, la paleografia, la diplomatica, la storia economica, la geografia storica, la storia del giornalismo e del commercio, la storia dei trasporti, e punti di contatto con tante altre (letteratura, etnologia, archeologia, sfragistica, ecc.). Inoltre, in filatelia indica un tipo raffinato ed evoluto di collezionismo.

Sino a non molto tempo fa la disciplina non era praticata negli atenei italiani, rimanendo dominio di studiosi amatori. Nel marzo 1982 un gruppo di studiosi, provenienti sia dal mondo del collezionismo filatelico sia da quello accademico, concordava sulla necessità di riattribuire alla storia postale il suo esatto significato scientifico di studio delle tecniche e degli oggetti della comunicazione postale organizzata. Si trattava di contribuire, alla luce della moderna storiografia, alla ripresa di quegli studi storici iniziati nella seconda metà dell’Ottocento nell’ottica dell’allora imperante cultura positivistica. Da quell’incontro nacque la decisione di dar vita ad un’istituzione privata di ricerca che unisse il rigore del mondo accademico all’entusiasmo dei collezionisti, l’odierno Istituto di studi storici postali.

Le finalità sono: la formazione e l’affinamento della cultura nelle discipline storico-postali, attraverso lo studio e la documentazione dei sistemi di comunicazione postale di ogni tempo; la conoscenza approfondita dell’organizzazione e del funzionamento dei servizi postali; la raccolta, la classificazione e la conservazione di ogni documento relativo, in originale o in copia; la diffusione della cultura in campo storico-postale, attraverso pubblicazioni a stampa, corsi, conferenze, seminari, mostre e ogni altra manifestazione di carattere culturale; il tutto al fine di sollecitare un maggior coinvolgimento del mondo universitario in questa tematica ed, allo stesso tempo, suggerire linee di ricerca al collezionismo filatelico evoluto.

Le attività, in rapidissima sintesi, sono:

  • gestione di biblioteca, emeroteca e archivio;
  • organizzazione di seminari e convegni di studio;
  • attività editoriale (con una rivista scientifica, Archivio per la storia postale, e una collana di monografie, Quaderni di storia postale);
  • mostre organizzate direttamente o partecipando o contribuendo all’organizzazione;
  • attività di ricerca nei propri settori d’interesse, con progetti conclusi e in corso.

Patrimonio
Biblioteca specializzata in storia della comunicazione organizzata e filatelia (32.000 schede bibliografiche).
Emeroteca (circa 3.000 testate tra correnti e cessate).
Archivio, con diversi fondi (posta militare, associazioni filateliche, di persone), circa 100 metri lin.




Fondazione Museo e Centro di documentazione della Deportazione e Resistenza – Luoghi della Memoria Toscana

Sede e contatti
Via di Cantagallo 250, 59100 Prato (Loc. Figline)
Telefono: 0574.470728
0574.461655
Sito web: http://deportazione.po-net.prato.it/
Orari di apertura: Museo – da lunedì a venerdì 9.30-12.30; lunedì e giovedì, sabato e domenica 15-18. Centro di documentazione – lunedì e giovedì 15-18.

Organi direttivi
Soci fondatori: Comune di Cantagallo, Comune di Carmignano, Comune di Montemurlo, Comune di Poggio a Caiano, Comune di Prato, Comune di Vaiano, Comune di Vernio, ANED – Associazione Nazionale ex Deportati sez. Prato ANPI – Associazione Nazionale Partigiani sez. di Prato Comunità Ebraica di Firenze.
Presidente: Aurora Castellani
Direttore: Camilla Brunelli

Breve storia e finalità
Il Museo della Deportazione è stato inaugurato il 10 aprile 2002, alla presenza del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, grazie all’instancabile lavoro dell’ANED e dell’allora suo Presidente Roberto Castellani, e al Comune di Prato che decide di realizzarlo. È una delle poche strutture museali in Italia a essere dedicata alla conservazione della memoria della deportazione. Nel 2008 il Museo è diventato Fondazione con il nome di Fondazione Museo e Centro di documentazione della Deportazione e Resistenza – Luoghi della Memoria Toscana, nel 2012 è stato accreditato come museo di rilevanza regionale. La Fondazione ha tra le proprie finalità quella di avvicinare i visitatori, soprattutto le nuove generazioni, alle vicende storiche che hanno caratterizzato la prima metà del Novecento. Ogni anno sono migliaia gli studenti in visita provenienti perlopiù dalle Province di Firenze, Prato e Pistoia ma anche da altre località italiane ed estere. Attraverso la sua costante attività culturale, didattica, di documentazione e di ricerca la struttura permette, in particolare, di approfondire le tematiche legate alle persecuzioni e deportazioni nei campi di concentramento e di sterminio nazisti, ai movimenti di resistenza e di opposizione al fascismo e al nazismo.

Presso il Museo vengono organizzate visite guidate, proiezioni di film/documentari, laboratori di indagine sulle fonti storiche. Sono inoltre promosse iniziative e corsi di aggiornamento per insegnanti sui temi legati prevalentemente al periodo della Seconda guerra Mondiale e sono ospitati convegni, conferenze, presentazioni di libri e film, spettacoli teatrali e musicali, mostre temporanee, anche in collaborazione con i maggiori studiosi di storia contemporanea italiani e stranieri. La Fondazione cura iniziative dedicate alla memoria per conto dei fondatori, della Regione Toscana e di altri enti pubblici.

La Fondazione si occupa della progettazione di viaggi studio e di attività legate al “Giorno della Memoria”, istituito con la Legge dello Stato n. 211 del 20 luglio 2000, in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti. La struttura è stata inoltre incaricata per le edizioni 2009, 2011 e 2013 del coordinamento e dell’organizzazione del progetto “Treno della Memoria” della Regione Toscana, delle edizioni 2012 e 2014 del Meeting al Nelson Mandela Forum che ha coinvolto ogni anno oltre 8.000 studenti della Toscana e della realizzazione di altri eventi correlati come la mostra “Il processo. Adolf Eichmann a giudizio” in collaborazione con la Fondazione Topografia del Terrore di Berlino. Il Museo è un luogo vivo, di confronto, che lavora per la conservazione della memoria storica e per la sensibilizzazione dei giovani sui temi della Pace e dei diritti universali dell’uomo.

Patrimonio
Il percorso nel museo della Deportazione è concepito come un viaggio simbolico in un campo di concentramento e di sterminio nazista, quel percorso di sofferenza e di morte compiuto da milioni di donne e di uomini, arrestati per motivi razziali, politici o di “igiene sociale”, vittime del progetto nazista attuato durante il secondo conflitto mondiale.

In una prima sala sono esposti pannelli di carattere storico con schede, documenti e cartine sul sistema concentrazionario nazista, sull’organizzazione interna del lager, sulla deportazione dall’Italia, sulla persecuzione degli ebrei in Toscana, sulla vicenda regionale della deportazione politica e altri con testi, foto e cartine dedicate al campo di Ebensee. Tra gli autori di queste schede ci sono storici importanti come Enzo Collotti.

Nella seconda sala del Museo, con un suggestivo allestimento scuro di forte impatto realizzato dall’architetto Alessandro Pagliai, si introduce il visitatore al contatto con la realtà e i simboli del campo di concentramento (KZ). I vari oggetti esposti posseggono un indubbio valore di testimonianza e sono illustrati da didascalie con citazioni tratte dalla memorialistica, da interviste di superstiti prevalentemente toscani e anche dai libri di Primo Levi.

Nel settembre 2010 è stato inaugurato un nuovo e moderno percorso museale audiovisivo “CON I MIEI OCCHI – voci e volti di superstiti dei campi di concentramento e sterminio nazisti”, realizzato grazie al contributo dell’Unione Europea. Il percorso è composto da sette postazioni video, con trasmissione diretta nelle cuffie distribuite ai visitatori,  nelle quali  appaiono testimoni, ebrei sopravvissuti al genocidio e deportati politici prevalentemente  toscani, ma anche sinti e rom, omosessuali e testimoni di Geova che raccontano le loro esperienze secondo un percorso suddiviso a tappe tematiche in cui vengono narrati vari aspetti della deportazione come l’arrivo, la vita e la morte nel campo, le selezioni e lo sterminio.

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