Carbonale (Vernio)

All’inizio del giugno 1944, a seguito dell’intensificarsi dei bombardamenti alleati in Val di Bisenzio, le forze nazifasciste iniziarono a dislocare alcune batterie antiaeree, ispezionando varie località del colle di Sant’Ippolito e piazzando postazioni antiaeree a Stavolaccio e Toponi, poco sopra l’abitato di Vernio.
pilota aereo americanoIl 7 giugno 1944 una formazione di 18 B-25 (12ª Air Force americana), accompagnati da 8 Spitfire inglesi, sorvolò Vernio verso le 17: appena arrivati in Val di Bisenzio la contraerea tedesca, posizionata al Pianatino e a Spazzavento nei pressi di Sant’Ippolito, colpì alla coda uno degli aerei, che si spezzò in volo. L’aereo (matricola 43-4059) cadde nei pressi della località Carbonale, nei boschi di Poggiole: nello schianto morì tutto l’equipaggio del velivolo tranne un componente, che riuscì a paracadutarsi fuori prima dell’impatto.

A 70 anni dal tragico evento l’Associazione Linea Gotica Alta val Bisenzio ha ricostruito la storia di questo abbattimento, collocando nel luogo dello schianto un monumento a ricordo dell’equipaggio e contattando negli Stati Uniti i parenti dei soldati caduti.
Verso la fine di agosto, con l’avanzare del fronte e l’imperversare della battaglia a difesa della Linea Gotica, i tedeschi iniziarono a far saltare gli imbocchi delle gallerie e i viadotti sulla ferrovia; a Mercatale di Vernio furono distrutti alcuni edifici nel borgo e i due ponti sul Bisenzio. Poggiole divenne un’importante postazione difensiva con trincee e piazzole su entrambi i versanti, quello che guarda Mercatale e quello verso San Quirico. Proprio per la sua posizione strategica, la medievale chiesa di San Michele di Poggiole, che impediva la visuale dell’Osservatorio occupato dai tedeschi sul monte di Mezzana ed era un punto di riferimento per i bombardieri angloamericani, fu fatta saltare in aria dai tedeschi insieme alle case dell’intero paese. In luogo dell’antica chiesa, tra il 1964 e il 1965, è stato costruito un Santuario dedicato a Sant’Antonio Maria Pucci.
In quella stessa terribile estate del 1944 era già iniziato da tempo anche il fenomeno dello sfollamento, che divenne sempre più coatto dal luglio, quando i tedeschi iniziarono ad affiggere manifesti nei quali si ordinava l’abbandono forzato degli insediamenti: gli abitanti di Sant’Ippolito lasciarono il paese il 30 luglio, quelli di Cavarzano il 3 agosto. Molti si nascosero nei pressi dell’Alpe di Cavarzano, ovvero nella zona de Le ‘Rocche’, dove cigli, grotte e cavità naturali furono adattati a rifugi da decine e decine di persone.

monumento carbonaleProprio la piazza antistante il santuario di Poggiole è il punto di partenza per un itinerario guidato che, con opportuna segnaletica, conduce nei luoghi dove, nel giugno del 1944, fu abbattuto l’aereo americano B-25J Mitchell e dove, tra la primavera e l’estate dello stesso anno, l’esercito tedesco posizionò numerose postazioni difensive, minando edifici e obbligando la popolazione ad abbandonare le proprie case.

Testimonianza orale di Alfio Bessi, conservata presso l’archivio della Fondazione CDSE:
Ricordo che durante i primi bombardamenti un apparecchio americano venne abbattuto dalle batterie contraeree tedesche piazzate al Pianatino a Sant’Ippolito. Ero su un poggetto sopra San Quirico e l’aereo in fiamme veniva proprio verso di me. All’improvviso si staccò il motore e un pezzo d’ala, tanto da farlo deviare contro la montagna posta a trecento metri sulla mia destra. Dopo un po’ esplose, disintegrandosi. Nel frattempo gli occupanti si erano lanciati con il paracadute: uno fu ucciso da un tedesco appena toccata terra, altre tre perirono e uno riuscì a fuggire.

Visite: trekking della memoria lungo l’itinerario verso Carbonale (luogo dello schianto del B-25J) e visita alla mostra permanente dei reperti curata dall’Associazione Linea Gotica Alta val Bisenzio.
Per info e prenotazioni: info@lineagoticavernio.it

Scheda compilata a cura della Fondazione CDSE e delle classi III A e III B dell’istituto comprensivo Pertini di Vernio, nell’ambito del progetto Mappe della Memoria, finanziato dalla Regione Toscana per il 70° della Resistenza.




Istituto “Suore Serve di Maria SS. Addolorata”

Il Card. Elia Dalla Costa istituì in Firenze un comitato, di cui facevano parte don Leto Casini, padre Cipriano Ricotti, il rabbino Natan Cassuto ed altri, con il compito di accogliere e nascondere gli ebrei per salvarli dalla persecuzione nazista e fascista. Convennero perciò in Firenze, sapendo di potervi trovare aiuto, ebrei che fuggivano anche da altre nazioni.
Un delatore presente nel comitato svelò ai nazisti questo meccanismo, portando all’arresto di molti ebrei.
Fortunatamente non fu il caso del nostro convento che ospitava, nascoste fra le educande, 12 bambine ebree provenienti dalla Polonia, dal Belgio e dalla Francia. Probabilmente solo la Madre Maddalena Cei era al corrente della loro reale identità, benché suor Lodovica abbia poi ricordato il loro arrivo e di averle dovute provvedere, su ordine della Madre, di tutto, poiché arrivarono smagrite, spaventate e senza alcun corredo.
Le cronache riportano che ci fu una irruzione dei tedeschi, ma nessun arresto.
Le bambine arrivarono nell’autunno del 1943. Finita la guerra, nel dicembre ’44 le bambine furono recuperate dai loro genitori o tutori. I documenti in nostro possesso riportano solo il caso di due sorelline, Sara e Michal Nissenbaum che in convento presero il nome di Odette e Michelina Laurent: poiché avevano perso tutta la famiglia, il tribunale dei Minori ne affidò la patria potestà al Rabbino capo di Firenze, che così autorizzato venne a prenderle al convento per trovare loro una sistemazione definitiva. Tale carteggio è rimasto nella documentazione del convento.
Pensate che la delicatezza del Cardinale si spinse a specificare che se le suore ritenevano di dover essere rimborsate delle spese sostenute, non ne facessero parola al rabbino, ma facessero piuttosto avere a lui la nota. Naturalmente le suore non stilarono nessuna nota.
Le suore si scordarono semplicemente l’intera faccenda.
Non se ne dimenticarono però alcune delle bambine ebree. In particolare le due sorelline Nissenbaum ricordavano l’anno trascorso con le suore avvolto in una luce di pace e di affetto. Sapendole sole al mondo le suore, ed in particolare suor Giuseppa e suor Lodovica, le circondarono di particolare amorevolezza. L’affetto disinteressato che avevano ricevuto, l’assenza di qualsiasi pregiudizio nei loro confronti e la totale mancanza di pressioni per la loro conversione erano rimaste impresse nella memoria delle bambine.
Con grande sorpresa delle suore, che non ricordavano affatto questo episodio, anche perché circondato all’epoca di comprensibile riserbo, si presentarono nell’estate 1995 due signore, la figlia di Sara Nissenbaum e la sorella di altre due bambine, Malvina e Gisella Renveni, venute a vedere il luogo dove avevano trovato rifugio le loro congiunte. Nell’agosto 1996 fu Paulette Dresdner a voler rivedere le suore che l’avevano accolta e salvata. Nel marzo 1997 Sara Nissenbaum iniziò le pratiche perché il nostro Istituto vedesse pubblicamente riconosciuto il bene fatto, a memoria ed edificazione delle future generazioni. A giugno dello stesso anno anche Malvina e Gisella (per le suore, in realtà si chiamano Dalia e Zehava) vennero a riabbracciare le suore, in una allegra confusione di lingue poiché l’unica testimone dei fatti in vita, suor Lodovica, non sapeva l’inglese. Infine anche Sara (Odette) e Michelina (Michal) Nissenbaum riuscirono a rivedere il “loro” convento, nel 1998, in occasione del riconoscimento ufficiale di Madre Maddalena Cei come “Giusta fra le nazioni” il 28 ottobre, nell’ambito di una solenne cerimonia a Palazzo Vecchio, nel prestigioso Salone dei Cinquecento.
Una ex alunna scrittrice Giovanna Querci Favini ha inserito nel suo libro “Le dodici notti di Natale” un racconto liberamente ispirato a questo episodio, nel quale inserisce una drammatica incursione dei nazisti, che non riescono a trovare le bambine grazie alla prudenza della Madre Generale che ha voluto con forza che le bambine ebree partecipassero totalmente alla vita del convento, comprese preghiere e riti religiosi, contro i dubbi di una giovane suor Lodovica che già sembra vivere in una logica pienamente postconciliare. In realtà nel Natale 1943 i nazisti bussarono sì al convento, ma le suore finsero di non sentire, e i tedeschi, evidentemente non così determinati, se ne andarono via. Tuttavia non dobbiamo sottovalutare i rischi che le suore, nella persona di Madre Maddalena Cei, si assunsero; e ci piace anche sottolineare che non lo fecero per una saggezza, un coraggio o uno slancio di eroismo proprio, ma semplicemente, in tutta umiltà, per un atto di obbedienza alla Chiesa, nella persona dei suoi pastori, il Cardinale Elia Dalla Costa e, sopra di lui, il Papa.

Nota storica predisposta dagli organizzatori in occasione della cerimonia di inaugurazione della targa in memoria delle suore di via Faentina, 13 gennaio 2016.




I luoghi della memoria nella provincia di Lucca

Cosa accadde il 6 gennaio 1944 alla stazione di Lucca? Perché la località Merlacchiaia è conosciuta anche fuori dal comune di Castelnuovo Garfagnana? Oppure, ancora: qualcuno ha letto un libro in cui si racconta di un eccidio di monaci certosini. Ma dove, di preciso è avvenuto tutto ciò?

L’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea in provincia di Lucca ha voluto iniziare un percorso che potremmo definire di “memoria condivisa”: la mappatura dei luoghi più significativi in cui rimangono tracce lasciate dagli uomini e dalle donne che hanno partecipato alla Resistenza antifascista nella provincia di Lucca

Un percorso multimediale. Che da una piccola targa lasciata su questi “luoghi della memoria”, grazie a uno smartphone o a un tablet puntato su un QR Code, introduce a una pagina web con le principali informazioni e approfondimenti su quanto avvenuto in quel luogo negli anni drammatici della seconda guerra mondiale.
Oppure, al contrario, partendo da un luogo indicato sulla cartina geografica scoprire la storia – la memoria – che sta dietro a quel luogo.
L’obiettivo è avere una visione d’insieme del nostro territorio e conservarne la memoria storica.

Sul sito dell’ISREC Lucca, nella sezione dedicata ai Luoghi della memoria si possono leggere le storie dei luoghi a partire dalla mappa.

Un itinerario consigliato:

Lucca centro: 

Partenza dalla stazione, distrutta da un pesante bombardamento alleato il 6 gennaio 1944. Si passerà poi per la Casa degli Oblati, punto di riferieto per la Resistenza senz’armi; a Porta Elisa invece si ricorda il sacrificio di Don Aldo Mei, ucciso il 4 agosto 1944 dai nazisti perchè sospettato di dare aiuto ai partigiani; si passerà poi per la Pia Casa dove transitarono 70 mila persone deportate nei campi di lavoro in Germania; si passerà poi per via del Panificio dove una targa ricorda lo scrittore, Giorgio Petroni, premio Strega nel 1974, ma anche partigiano; per giungere infine a Porta San Pietro da dove il 5 settembre 1944 gli alleati entrarono nella città per liberarla.

Sul sito dell’ISREC Lucca molti altri luoghi da scoprire, per visitare con uo sguardo nuovo il territorio della Versilia, della Garfagnana e della lucchesia.




Vialibera: una mappa per conoscere la Resistenza a Pisa

Inaugurato in occasione del 70° anniversario della liberazione di Pisa, il 2 settembre 2014, Vialibera è un itinerario  per i luoghi dell’antifascismo e della Resistenza a Pisa. Il progetto realizzato dal Comune e dall’ANPI provinciale di Pisa ha censito 27 luoghi per la città inerenti l’antifascismo, la resistenza e la liberazione e la ricostruzione. Sono stati apposti dei pannelli che sintetizzano le storie delle vicende e dei protagonisti di quei fatti dai quali attraverso un codice QR è possibile accedere ai contenuti speciali (documenti e immagini) sul sito www.vialibera.org.

Le tappe includono luoghi che ricordano i primi circoli antifascisti pisani in epoca fascista, la guerra con i bombardamenti alleati e gli eccidi nazisti, la reazione delle autorità e del clero per aiutare i civili a sopravvivere in città, la liberazione e la prima giunta democratica.

Alcuni itinerari consigliati

1. Itinerario breve: Per poter avere un’idea generale di cosa è stata la Resistenza a Pisa Vialibera.org consiglia un itinerario di circa 3 Km da svolgere in 1h che parte da via del Carmine (dietro corso Italia) e giunge nei pressi della Torre. Strade tipicamente percorse dai turisti che però potranno essere lette con uno sguardo nuovo. Si partirà col racconto delle prime riunioni clandestine che hanno alimentato il pensiero antifascista fino a giungere in Piazza dell’Arcivescovado, dietro la Torre, luogo simbolo della Liberazione.

Altri itinerari sono stati realizzati, sulla base dei pannelli di Vialibera anche dall’associazione MemorySharing e dal CISE, Centro interdipartimentale di studi ebraici dell’Università di Pisa.

Itinerario 1: Ebrei tra fascismo e antifascismo a Pisa (1921-1943)

L’itinerario intende presentare la storia di Pisa e degli ebrei pisani tra fascismo e antifascismo. Il percorso prenderà avvio da una parte dal racconto delle violenze squadriste degli anni ’20 e della nascita e l’avvento al potere del fascismo e d’altra parte dalle prime esperienze antifasciste, con l’organizzazione di una embrionale organizzazione pisana, come per esempio il movimento unitario nato nelle carceri di San Matteo (pannello 1). Si passerà poi a trattare la politica antiebraica e le conseguenze che questa provocò sul territorio (pannelli 4 e 9). Il percorso proseguirà poi con l’analisi dell’atteggiamento della Chiesa pisana di fronte al fascismo (pannello 5) e la costituzione di altri gruppi antifascisti (pannello 3). Il percorso si chiuderà con l’analisi dell’entrata in guerra dell’Italia e degli effetti dei primi due anni e mezzo di guerra sulla città, fino alla caduta del fascismo (pannello 10).

Itinerario 2: Ebrei, guerra e resistenza a Pisa (1943-1945)

L’itinerario intende presentare la realtà della guerra totale a Pisa. Saranno analizzate le reazioni alla caduta del fascismo (pannello 10) e alla firma dell’armistizio (pannello 13), la politica del massacro messa in atto dagli occupanti tedeschi e dai fascisti repubblicani contro la popolazione civile e contro gli ebrei, come Pardo Roques (pannelli 21 e 11), le attività delle formazioni partigiane (pannello 20), e delle donne come Livia Gereschi o Licia Rosati (pannello 23) fino alla liberazione della città da parte degli Alleati (pannello 25).




Sentieri della libertà e delle resistenze a Cascina

I Sentieri della Libertà e delle Resistenze nascono dalla collaborazione fra il Comune di Cascina, l’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Lucca (ISREC) e l’Istituto di Istruzione Superiore “Antonio Pesenti” di Cascina, con la finalità di individuare i protagonisti e le esperienze che sul territorio comunale hanno alimentato l’antifascismo e la resistenza, fatto i conti con il dramma della guerra e contribuito alla costruzione della democrazia repubblicana.

Il progetto ha mappato sedici luoghi su tutto il territorio comunale. Il percorso prende avvio da Piazza Martiri della Libertà, luogo simbolico di concentramento di monumenti che ricordano i protagonisti delle diverse fasi del lungo processo di acquisizione della libertà. I Sentieri si snodano attraverso i luoghi in cui vennero uccisi gli antifascisti cascinesi, come Comasco Comaschi, e proseguono attraverso quei siti che testimoniano il passaggio della guerra e la presenza degli eserciti stranieri: quelli in cui i soldati nazisti perpetrarono stragi civili, come quella di San Benedetto del 13-14 luglio 1944 quando furono uccisi 4 civili sospettati di sabotaggio, oppure i luoghi simbolo delle distruzioni provocate dai bombardamenti Alleati e tedeschi. Il 5 luglio 1944 per esempio aerei Alleati sorvolano a bassa quota la campagna e sganciano le bombe sul centro cittadino: il fumo si alza tra il campanile e la torre dell’orologio, la zona di via XX Settembre viene distrutta e rasa al suolo.Tra le macerie si contano 45 morti.

Le località mappate ricordano inoltre coloro che combatterono e perirono per la libertà: partigiani come Rodolfo Berretta e Nevilio Casarosa, fino al primo sindaco della liberazione, Ideale Guelfi, prima esule antifascista in Francia, poi volontario repubblicano in Spagna e infine partigiano nel movimento resistenziale toscano.

I pannelli situati sul territorio rinviano inoltre a pagine dedicate sui siti del Comune di Cascina e dell’ISREC Lucca, dove si può leggere un testo di approfondimento e possono essere visualizzati foto e documenti dell’epoca.




L’ospedale di via Giusti

Ferito nel corso della cattura, Bruno Fanciullacci, esponente di primo piano dei GAP fiorentini, è in cura dal professor Aldo Greco nell’Ospedale di via Giusti: le sue condizioni migliorano notevolmente, nonostante lui stesso si allarghi le ferite. I fascisti della banda Carità ne chiedono ogni giorno le condizioni, dichiarando di volersene occupare personalmente e di volerlo portare a Villa Triste.
I GAP decidono di liberarlo. Molte sono le motivazioni che potrebbero farli desistere dall’impresa: in primo luogo il compagno è ferito, costantemente sorvegliato, ed è necessaria una macchina per il trasporto; in secondo luogo il posto non si presta ad un’azione irruenta; in ultimo, ma non meno pericoloso, l’abitazione di Carità è situata proprio in via Giusti e sorvegliata giorno e notte da fascisti e militi in borghese.
Elio Chianesi, detto il Babbo, organizza la liberazione di Fanciullacci.

Il primo tentativo viene compiuto il 4 maggio. Luciano Suisola, detto Topino, Pilade Bani ed Umberto Mazzoli, detto Rigore, gironzolano nella zona. Topino, percorrendo in bici Borgo Pinti, viene fermato dagli uomini di Carità: la pistola non viene scoperta. I compagni, però, credendolo in pericolo, si avvicinano: cominciano a sparare, uccidendo uno dei fascisti, ma l’altro rimane ferito e riconosce il Bani. Pochi giorni dopo viene arrestato Rigore che ammette di conoscere il Bani, premurandosi di farlo avvertire perché scappasse dalla città. L’avvertimento però non giunge in tempo e il Bani viene arrestato dalla polizia fascista, condotto a Villa Triste e inviato in un campo di concentramento nazista, non facendone più ritorno.

Il secondo tentativo è dell’8 maggio. Giuliano Gattai presta la sua automobile, una Topolino, ai GAP e diventa loro compagno.
Alle sei di pomeriggio arrivano in via Giusti sulla Topilino Giuliano Gattai alla guida, Giuseppe Martini fasciato e macchiato di sangue di coniglio ed Elio Chianesi in funzione di aiuto del finto ferito. In bicicletta li seguono Luciano Suisola, Italo Menicalli e Aldo Fagioli. Chianesi e Martini salgono le scale del pronto soccorso, per le quali si accede anche alle corsie. Con l’aiuto di una crocerossina, mentre Topino e Menicalli bloccano ogni tentativo di fuga o di richiesta di aiuto dal centralino telefonico, Chianesi e Martini raggiungono la corsia di Fanciullacci e uccidono il milite posto alla sua guardia. Avvolgendo Fanciullacci in un impermeabile, lo portano giù per le scale e infine nella macchina che va via velocemente. Topino e Menicalli, subito dopo, lasciano la portineria, non sospettati dal piantone sul cancello.




Poligono delle Cascine

Cinque patrioti, Luigi Pucci, Armando Gualtieri, Orlando Storai, Oreste Ristori e Gino Manetti, sono prelevati dal carcere e assassinati per ordine di Manganiello capo della Provincia, a titolo di rappresaglia per l’uccisione di Gobbi, compiuta dai GAP il primo dicembre 1943.
Nessuna sentenza fu letta alle vittime, perchè nessuna sentenza esisteva. La zona antistante al Poligono di tiro alle Cascine è bloccata da un battaglione di militi fascisti.

Chiusi in una stanza del Poligono, insieme ad un sacerdote, aspettano. Carità tiene un discorso al plotone di esecuzione. I condannati vanno a prendere posto sulle sedie e alcuni si rivolgono al maggiore Carità e inneggiano alla Russia e a Stalin. Mentre il tenente della milizia che comanda il plotone impartisce le istruzioni preliminari, i cinque condannati intonano l”Internazionale. Vengono crivellati dai colpi di moschetto. Alcuni di loro non muoiono subito e vengono finiti a colpi di rivoltella. Il fratello del colonnello Gobbi infierisce sui cadaveri con parole ed è seguito con le azioni di alcuni altri militi fascisti.

La comunicazione dell’esecuzione avviene attraverso dei manifesti gialli affissi al muro, come per gli annunci cinematografici. L’impressione sulla popolazione è enorme.




Bar Paskowski (Piazza della Repubblica già Vittorio Emanuele)

L’8 febbraio 1944 Antonio Ignesti e Tosca Bucarelli, che recitavano già da tempo il ruolo di fidanzati per spiare senza dare nell’occhio le mosse di Carità, entrano nel bar Paskowski, ritrovo abituale di una clientela elegante ed in quei giorni di guerra frequentata da alti ufficiali tedeschi e repubblichini o fascisti in borghese, che occupavano posti di rilievo nelle cariche amministrative e nella polizia politica.
Il pretesto era offerto da un’aggressione avvenuta nello stesso mese: alcuni clienti avevano aggredito e massacrato di botte un passante, colpevole di essere nero.
I due, in abiti borghesi, si siedono al tavolino stabilito. La Bucarelli estrae la bomba avvolta in carta velina e Ignesti, accendendo con un fiammifero una sigaretta, accende anche la bomba. Il gancio apposto per sistemare la bomba è però troppo stretto rispetto al grosso anello: la Bucarelli istintivamente spegne la micca e ripone la bomba nella borsa. Quel movimento ha insospettito un vicino che chiede di poter vedere il contenuto del fagotto. Portato all’esterno, la donna riesce a fuggire, ma il suo compagno è stato catturato. La ragazza torna indietro, senza un piano definito, preoccupata solo della salute cagionevole dell’Ignesti, che con i suoi polmoni malati non avrebbe potuto resistere alle percosse.
Ignesti riesce a fuggire e ad informare i compagni che la Bucarelli è stata catturata. Condotta a Villa Triste, dopo molte sevizie che le causarono una permanente lesione al fegato, senza mai rivelare niente, viene portata al carcere di Santa Verdiana.
Fu il primo, penoso arresto per i Gap.