Monte Morello

Nel periodo della resistenza all’occupazione nazi-fascista, Monte Morello si rivelò essere il rifugio perfetto per le bande partigiane, dove molti partigiani impararono le tattiche della guerriglia e molti giovani alla macchia divennero partigiani.
Uno dei primi scontri che videro confrontarsi i fascisti e i partigiani ebbe luogo a Ceppeto il 15 ottobre 1943.
Due giorni prima dello scontro i nazifascisti avevano pubblicato sui giornali della città un avvertimento, firmato dal capo della provincia Manganiello, nei confronti delle bande armate: “Presi accordi con il comando militare germanico, rendo noto a tutti i soldati facenti parte di bande armate… che il termine di presentazione è stato prorogato al 20 c.m. A chi si presenterà entri tale data posso garantire che non sarà applicata sanzione alcuna… A decorrere da questa data, ufficiali e soldati verranno considerati franchi-tiratori e, come tali, passati per le armi…”
Il giorno dello scontro la Banda Carità, che era stata incaricata di scovare i partigiani che si erano nascosti nei boschi di Monte Morello, riuscì ad individuarne alcuni. Nello scontro persero la vita il fascista Gino Cavari e il capo dei partigiani Giovanni Checcucci, che viene tutt’oggi considerato il primo caduto della resistenza fiorentina.
La battaglia di Ceppeto per la banda Carità risultò essere una sconfitta perché nonostante fossero riusciti a prendere alla sprovvista il gruppo di partigiani, vennero disorientati da un attacco a sorpresa di Checcucci che si sacrificò per permettere ai compagni di scappare.

In ricordo del sacrificio di Checcucci, nel luogo in cui trovò la morte, è stato posto un monumento in sua memoria.




Itinerario della memoria: in bicicletta a Campospillo (Magliano in Toscana)

Subito dopo l’armistizio dell’otto settembre 1943, gli antifascisti grossetani fondarono il Comitato militare provinciale, organismo deputato al coordinamento della prima attività partigiana in provincia e vero precursore del Comitato Provinciale di Liberazione Nazionale. Il Comitato fu smantellato dalla Guardia Nazionale Repubblicana nel rastrellamento del 26 novembre 1943 condotto presso la tenuta di Campospillo a Magliano, di proprietà della famiglia Mazzoncini.

A Campospillo furono catturati Tullio Mazzoncini e Giuseppe Scopetani. Affidati al Tribunale speciale, furono trasferiti, insieme ad Albo Bellucci – arrestato a Paganico – nelle carceri di Siena e poi in quelle di Parma. All’inizio del 1944 per i tre antifascisti si aprirono le porte del lager di Mauthausen. Solo Mazzoncini sopravvisse a quella terribile esperienza. Gli altri due morirono a Gusen.

In memoria dei compagni deportati Tullio Mazzoncini fece scolpire a Tolomeo Facendi un bassorilievo in gesso, che dal 2008, donato dalla famiglia, è esposto nell’atrio del Comune di Grosseto. Nella tenuta di Campospillo, oggi Azienda agricola e agriturismo, è conservato il calco in bronzo del bassorilievo.

Per le celebrazioni del 71° anniversario della Liberazione di Grosseto, l’Isgrec e la FIAB hanno elaborato un itinerario della memoria verso Campospillo, che sarà percorso per la prima volta il 14 giugno 2015. Siamo nel cuore della Maremma Toscana; l’itinerario si snoda tra strade consortili e a basso traffico attraversando vigneti e oliveti secolari attorno al Borgo medievale di Magliano in Toscana, fino a Campospillo.

 




Itinerario della memoria: in bicicletta a Ponte del Ricci

FIAB-Grossetociclabile in collaborazione con ISGREC, ANPI e Circolo ARCI ‘Associazione Festival Resistente’, ha promosso per il 26 aprile 2015 una giornata dedicata alla memoria della strage di Ponte del Ricci (17 Giugno 1944) nel comune di Roccastrada, che vide la tragica morte di quattro giovani partigiani. L’Itinerario della Memoria, con partenza da Sticciano Scalo, ha ripercorso le strade che in quei giorni erano percorse dalle staffette partigiane e dai convogli dell’esercito tedesco in ritirata, fino all’arrivo a Ponte del Ricci, luogo della strage.




La casa della prof.sa Mary Cox

La sera del 19 giugno 1944 si svolge a casa della professoressa Mary Cox una riunione per stabilire come liberare alcuni patrioti dall’Ospedale militare e come reperire le armi. Con lei si trovano Rocco Caraviello, appartenente ai Gap, Edgardo Savioli, Vincenzo Vannini, sottotenente operante all’ospedale e il giovane ufficiale Franco Martelli. Uscendo dall’abitazione vengono fermati da alcuni uomini armati della Banda Carità, tra cui Antonio Corradeschi, Romolo Massai ed Elio Cecchi. Irrompono in casa, rubano 50.000 lire e malmenano e arrestano i presenti. Portano tutti prima all’albergo Savoia, poi a Villa Triste, dove vengono rinchiusi nelle cantine e torturati. Rocco Caraviello, invece, viene condotto vicino a Chiasso del Buco e ucciso con un colpo di pistola alla testa.
Nel frattempo altri della Banda vanno a casa Caraviello e maltrattano e arrestano Maria Penna e suo marito Rocco, cugino dell’altro.
All’alba del 21 giugno Mary, Maria e Vannini vengono trasportati su un camion, ma Vannini tenta e riesce nella fuga, nonostante una ferita. I fascisti allora riversano la propria rabbia sulle donne, uccidendole e infierendo sui cadaveri. I loro corpi saranno trovati da alcune lavoratrici.
Vannini riesce a rifugiarsi in una chiesa e viene portato all’Ospedale di Santa Maria Nuova: sarà l’unico a poter raccontare l’accaduto.
Martelli, Savioli e Caraviello saranno infatti trucidati a Campo di Marte.




La mostra “Stragi nazifasciste nella provincia di Grosseto”

MOSTRA STRAGI2“Stragi nazifasciste nella provincia di Grosseto” è una mostra allestita dal 2002 nella Biblioteca “Francesco Chioccon” dell’Isgrec; trae la sua origine dal progetto “Per salvare la memoria delle stragi nazifasciste in Italia”, che la Regione Toscana dal 1999 ha promosso, coinvolgendo tutte le province toscane.

Allestita in un momento in cui si era – lo si è ancora, per la verità, anche se la ricerca, almeno nel grossetano è andata avanti – ancora lontani da una visione d’insieme, ma anche da una conoscenza puntuale degli episodi, rimane tuttavia l’utilità dell’aver estratto dalla documentazione rintracciata qualche traccia degli eventi occorsi nella provincia di Grosseto nel periodo compreso tra il settembre 1943 e il giugno 1944, traccia che potrà essere utile a una interpretazione d’insieme, a una comparazione tra casi.

La memoria pubblica nel tempo ha consolidato il ricordo e la conoscenza degli episodi che sono apparsi i più tragici, per il numero delle vittime o le modalità dell’uccisione, e che hanno ricevuto una sanzione giuridica con un processo – così è stato per le vittime della Niccioleta e soprattutto per i Martiri d’Istia; non hanno invece trasmesso memoria, documentazione o immagini molti degli episodi “minori”. La cronologia ricostruita, infatti, documenta con sicurezza le stragi (uccisione di almeno 5 persone, secondo la definizione accolta da Enzo Collotti e Tristano Matta) ma riteniamo che sia incompleta per gli episodi di eccidio (uccisione da 2 a 4 persone) e per le uccisioni di singole persone.

Il contesto è quello di una guerra civile ma i lutti di cui si tratta nel grossetano non sono il prodotto degli scontri militari tra quanti avevano scelto di – o erano costretti a – combattere, piuttosto l’esito di un uso della violenza sulle popolazioni civili che ha caratterizzato qui e altrove la strategia complessiva delle forze militari tedesche, con la complicità e in qualche caso la diretta iniziativa delle autorità fasciste italiane.

La cronologia dall’ottobre 1943 al giugno 1944  evidenzia una crescita di intensità delle uccisioni di civili nella fase che precedette e accompagnò la ritirata delle forze militari tedesche. Quella che fu “pratica sistematica di un sistema di ordini” (Portelli), non esclude le responsabilità individuali, anche se “si inventò allora una parola nuova, befehlnotstand (impossibilità di disobbedire). Ormai sappiamo da diverso tempo che tale befehlnotstandnon è mai esistito” (Klinkhammer).MOSTRA STRAGI

Furono misure punitive, rappresaglie, azioni terroristiche per scoraggiare l’appoggio delle popolazioni ai partigiani. Un modo per spezzare l’apporto della Resistenza civile alla resistenza armata. La fenomenologia delle stragi, una volta compiutamente ricostruita, nel contesto di uno stillicidio di episodi in cui la “macchina della morte” colpisce uomini inermi di cui talvolta non è rimasto neanche il nome, ci restituirà un quadro accettabilmente chiaro, pur nella difficoltà di reperire documenti ed accertare l’attendibilità delle testimonianze.

La mostra si compone di 10 pannelli, divisi in sezioni tematiche: introduzione, il contesto storico, le stragi, la memoria, la giustizia.

Ricerca archivistica: Leonardo Mineo

Ricerca bibliografica: Antonio R. D’Agnelli

Ricerca storica e testi: Luciana Rocchi

Collaborazioni: Barbara Solari, Mirko Bonari, Nicla Capitini Maccabruni, Franco Dominici, Carlo Groppi

Fonti archivistiche da: Fondo CPLN, fondo CLN Manciano, fondo ANPI (Archivio ISGREC); Fondo CLN Massa Marittima (Archivio storico Comune di Massa Marittima); Archivio storico Comune di Roccalbegna; Archivio di Stato di Grosseto, Archivio Banchi, Archivio privato Groppi




Mostra sulla Resistenza a Massa M.ma e sulla strage di Niccioleta

C000022La sala consiliare del Comune di Massa Marittima, intitolata a Norma Parenti, ha sempre conservato alcuni ingrandimenti di foto tratte dall’archivio fotografico Banchi, che documentano la Resistenza massetana. Dal giugno 2006 lì è stata allestita una mostra permanente, che utilizza alcune delle immagini del fondo Banchi, ma contiene anche una ricostruzione storica degli eventi resistenziali e, separatamente, della strage nazifascista della Niccioleta.

Le schede storiche sono state elaborate utilizzando fonti archivistiche e testimonianze orali, accanto a più recenti contributi storiografici relativi alla strage dei minatori di Niccioleta.

La mostra si compone di 5 pannelli sulla Resistenza massetana e 5 pannelli sulla strage della Niccioleta. La cura della mostra e la ricerca storico-archivistica sono di Luciana Rocchi e Barbara Solari, che hanno utilizzato foto provenienti dall’archivio fotografico Corrado Banchi di Massa Marittima e immagini tratte da un Combat film del National Archives Washington, nonché documenti e manifesti conservati nell’Archivio di stato di Grosseto, nell’Archivio storico del Comune di Massa Marittima e nell’Archivio ISGREC. Il progetto grafico è stato curato da Francesco Canuti.

I 5 pannelli sulla Resistenza a Massa Marittima intendono disegnare un quadro d’insieme del contesto in cui maturò e si sviluppò la lotta partigiana in questo territorio, lotta che ebbe caratteristiche peculiari in termini di vivacità e coinvolgimento di tutte le componenti sociali. Il percorso delineato dai pannelli vuole innanzitutto rendere conto dello straordinario sostegno della Resistenza civile alla Resistenza armata: il cibo e la protezione offerti dai contadini, i collegamenti assicurati dalle staffette, la solidarietà dei minatori, la complicità del clero, la disobbedienza della magistratura.

La mostra non trascura di delineare il contesto storico in cui maturò e si sviluppò la scelta di molti di prendere parte alla lotta armata contro i nazifascisti fin dalla proclamazione della RSI e dalla pubblicazione di “avvisi agli sbandati”, circolari, telegrammi ai podestà dei comuni annunciavano “l’inesorabile” per i disobbedienti e severe punizioni alle famiglie. Trovano spazio in questo contesto sia il famoso bando firmato da Almirante nel maggio del 1944 (ritrovato peraltro proprio nell’archivio del Comune di Massa Marittima), che annunciava la condanna a morte per renitenti alla leva e disertori, sia le disposizioni del comando militare tedesco, tese ad annientare le bande, che impedivano il controllo del territorio.

Ampio spazio è dato poi al contributo delle azioni militari dei partigiani massetani, compreso l’episodio più tragico e controverso, la “battaglia del Frassine”, il 16 febbraio del 1944 (l’epilogo di un rastrellamento condotto con grande dispiegamento di forze, sollecitato da una spia fascista), che portò alla perdita di 5 vite umane – Silvano Benedici, Pio Fidanzi, Otello Gattoli, Salvatore Mancuso, Remo Meoni – ma anche ad aspre polemiche sulla conduzione delle azioni militari da parte del comandante Chirici.

caduti_massa_mmaSono ricordate, oltre alle cinque vittime del Frassine, altri caduti della resistenza militare e civile: il tenente Alfredo Gallistru ed Elvezio Cerboni (entrambi medaglia d’argento al v.m.); la staffetta partigiana Norma Parenti, trucidata il 22 giugno 1944; i due sacerdoti Don Angelo Biondi e Don Ugo Salti, che si schierarono apertamente contro i nazifascisti.

In un pannello che ricorda le molte azioni dei partigiani massetani sono state inserite anche immagini di un Combat film girato dagli operatori americani (conservato nell’archivio ISGREC), che documentano il cammino della banda del Chirici verso Massa Marittima.

Anche i 5 pannelli sulla vicenda di Niccioleta intendono mettere a fuoco il contesto e le peculiarità di questa strage di civili, una delle più feroci compiute dai nazifascisti lungo la linea della ritirata dell’esercito tedesco, tale da configurare uno degli esempi più lampanti della strategia del comando supremo tedesco, tesa a scoraggiare, mediante la violenza, l’appoggio della popolazione ai partigiani. Molti degli 83 minatori uccisi da forze fasciste e reparti germanici (Wehrmacht o SS)  figuravano negli elenchi dei turni di guardia, decisi dagli stessi minatori per difendere gli impianti dalla furia devastatrice dei nazifascisti.

Non è stata provata nessuna correlazione con uccisioni di soldati tedeschi da parte di partigiani, tale da configurare l’ipotesi di una rappresaglia.

donne_niccioletaGrande spazio viene dato nei pannelli sia alla ricostruzione storica degli avvenimenti, sia al radicamento nella memoria collettiva di questo episodio, dalle prime commemorazioni nel 1945, ai monumenti e lapidi sparse in tutto il territorio, dalle prime ricostruzioni di Zannerini nel 1945 a quelle di Bianciardi e Cassola, fino ad arrivare alla ricostruzione del Prof. Paolo Pezzino.

Indirizzo: Sala Consiliare “Norma Parenti”, via Perenti 69, Massa M.Ma

Orari: Apertura su prenotazione, solo per gruppi

Ingresso: gratuito

Contatti: Biblioteca di Massa M.ma, tel. 0566 902078 / 902089




Il seminario di Roccatederighi e la lapide che ricorda l’internamento degli ebrei

seminario-roccatederighiLa sede estiva del  seminario vescovile di Grosseto non è mai stato considerato luogo della memoria dell’ex campo di concentramento per ebrei di Roccatederighi. E’ una villa staccata dal paese, circondata da un parco, in mezzo al verde. Non è stato facile raccogliere qualche testimonianza tra i rocchigiani, che hanno nel tempo dimenticato (rimosso?) la vicenda degli ebrei. Qual che si sa del rapporto tra il paese e il campo è che gli ebrei talvolta accompagnavano i militi nelle loro uscite, che uno dei grossetani trovò una fidanzata, poi diventata sua moglie, proprio grazie alle uscite dal campo. Sappiamo anche che il parroco e altri, alla fine della vita del campo, custodirono bauli e oggetti ricevuti in deposito dagli internati, che le ricerche successive di parenti, attraverso le organizzazioni di aiuto, in particolare la DELASEM, consentirono di restituire. La fine del campo coincise con un momento difficile, di scontro finale tra fascisti e antifascisti. Ci fu l’uccisione di alcuni uomini, proprio nelle vicinanze del seminario, durante uno scontro armato; forse anche questo episodio a lungo controverso nella ricostruzione ha contribuito  mettere a tacere ricordi e narrazioni, che chiamano in causa il momento di apertura dei cancelli del campo e la fuga di perseguitati e persecutori.

Nel tempo il vecchio edificio è stato affiancato da una costruzione, voluta dal vescovo  Galeazzi (lo stesso dell’epoca del campo) per ospitare attività di formazione e soggiorni estivi. Tutto il complesso però era da tempo in stato di abbandono, quando sono iniziati lavori di ristrutturazione per la realizzazione di un progetto di carattere sociale. Non vi era dunque traccia della memoria del campo, fino a quando l’ISGREC ha proposto alla Curia e alle istituzioni (Provincia di Grosseto, Comune di Roccastrada) di porre lì una lapide. Questo è avvenuto nel 2010, con la partecipazione della Comunità ebraica di Livorno. Da allora le visite si sono di molto accresciute e si è moltiplicato l’interesse verso questa triste pagina della nostra storia.

 lapide_roccatederighi

Il testo della lapide:

IN QUESTO LUOGO, PARZIALMENTE TRASFORMATO IN CAMPO DI CONCENTRAMENTO, TRA IL 28 NOVEMBRE 1943 E IL 9 GIUGNO 1944 FURONO RINCHIUSI NUMEROSI EBREI, VITTIME DELLA PERSECUZIONE RAZZIALE VOLUTA DAL FASCISMO.

38 DI LORO –  UOMINI, DONNE E BAMBINI, 29 STRANIERI E 9 ITALIANI – FURONO DEPORTATI NEI CAMPI DI STERMINIO DEL III REICH, DA DOVE QUASI NESSUNO TORNÒ.

LA MEMORIA DI QUEL DOLORE NON PUÒ RISARCIRE, MA RIMANE COME DOVERE E ESPRESSIONE DI FERMA VOLONTÀ DI OPERARE PERCHÉ CIÒ CHE È ACCADUTO NON DEBBA MAI PIÙ RIPETERSI.

ISTITUTO STORICO GROSSETANO  DELLA RESISTENZA E DELL’ETA’ CONTEMPORANEA

DIOCESI DI GROSSETO

COMUNITÀ EBRAICA DI LIVORNO

COMUNE DI ROCCASTRADA

PROVINCIA DI GROSSETO

COMUNE DI GROSSETO

27 Gennaio 2008 – Giornata della memoria




Mostra sulle persecuzioni antiebraiche in provincia di Grosseto

Dal 1995, sulla sollecitazione di una grande mostra, che l’ISGREC espose a Grosseto nel 1995, opera di grande valore storico per la comprensione del razzismo fascista, ci si interrogò su quello che era accaduto nel territorio grossetano tra 1938 e 1944. Emersero subito alcuni dati, che dettero inizio al recupero di una memoria rimossa, quella delle persecuzioni antiebraiche, che ebbero il loro acme tra novembre 1943 e giugno 1944 e si conclusero con la deportazione ad Auschwitz di un gruppo di ebrei. Così accanto ai pannelli della “Menzogna della razza” furono esposti quelli di una piccola mostra, modesta nella forma espositiva, ma tale da suscitare il desiderio di andare ancora avanti e sommare a quelle prime informazioni dati più corposi e una ricostruzione più solida.  Le tappe del lungo percorso di ricerca sono testimoniate da una mostra e da una uscita dal locale, attraverso la partecipazione al gruppo di ricerca coordinato dallo storico Enzo Collotti, conclusosi con la pubblicazione dei due volumi, a sua cura, Ebrei in Toscana 1943-1945. Persecuzione, depredazione deportazione (Carocci, Roma 2007), in cui il saggio di Luciana Rocchi Ebrei nella Toscana meridionale delinea nei suoi tratti complessivi il carattere degli eventi che collocarono Grosseto tra le province in cui fu allestito un campo di concentramento per ebrei. Successivo, per la singolarità della fenomenologia del rapporto tra fascismo locale ed ebrei, un interesse di RAInews24 da cui nacque il documentario Roccatederighi campo di concentramento, con la regia di Vera Paggi e la consulenza storica di Luciana Rocchi. Nel frattempo, risale al 2002 l’allestimento di una mostra permanente, grazie al reperimento di nuovi documenti e al sostegno offerto dalla legge regionale toscana “Per salvare la memoria delle stragi nazifasciste in Toscana”. Da allora e fino al 2012 tutto il materiale, mostra e cataloghi, è stato esposto nella Stanza della memoria-biblioteca dell’ISGREC. Ora, per una scelta di valorizzazione di luoghi  della memoria, è stato trasferito a Roccatederighi, nella sede del Centro civico. Dieci pannelli descrivono le fasi della “persecuzione delle vite a Grosseto”, dalla Carta di Verona, all’ordine di polizia n. 5 al calvario che condusse  38 persone – questo è il numero che si è indicato, sulla base delle verifiche fatte – alla deportazione nei lager del III Reich. La mostra contiene documenti estratti da archivi grossetani – fondi Questura, Prefettura e Comune di Grosseto, depositati nell’Archivio di Stato, Archivio storico della Curia Vescovile –e dall’Archivio Centrale dello Stato. Un documento straordinario, di cui non abbiamo avuto l’originale, ma che abbiamo trovato riprodotto in una piccola, generica  pubblicazione locale, è il diario di un internato speciale, Azeglio Servi, facente funzione di rabbino a Pitigliano al momento degli arresti, che annota nel suo libro di preghiere i nomi e le date degli internati a Roccatederighi che partono, in due convogli, per Fossoli di Carpi e per Scipione di Salsomaggiore rispettivamente nei due convogli che condurranno quasi tutti i trasportati verso i lager. L’ultima pagina è una breve, toccante cronaca del momento della liberazione degli ultimi internati, nel giugno del crollo del fascismo repubblicano a Grosseto e dell’odissea della sua famiglia, che si ricompone, dopo il periodo delle peregrinazioni. Tra i suoi figli, alcuni erano nel campo con i genitori, altri si erano uniti alle bande partigiane della zona di Pitigliano, sottraendosi all’internamento e condividendo i rischi della fuga e dello schieramento antifascista, anche grazie all’aiuto di quanti, nelle campagne dei dintorni, hanno guadagnato con il coraggio di allora un posto tra i “Giusti delle nazioni”. Gli alberi che li ricordano nel giardino dello Yad Vashem, a Gerusalemme.,  sono stati piantati nel coro degli ultimi anni, anche grazie al recupero della memoria di quei fatti a Pitigliano, voluto con grande determinazione da Elena Servi, fondatrice dell’Associazione “La piccola Gerusalemme”, all’epoca bambina in fuga nella campagne insieme alla famiglia. Ma il lavoro di ricerca, la produzione culturale e la divulgazione didattica – visite guidate alla mostra, visite guidate a Roccatederighi, convegni e corsi di aggiornamenti per insegnanti – che è stato uno dei maggiori impegni dell’ISGREC nel corso di questi quasi venti anni, hanno contribuito a sottrarre all’oblio una pagina di storia che non deve essere dimenticata.