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Settant’anni dopo. La guerra in Toscana

L’Italia era in guerra da almeno otto anni. Prima per conquistare l’Etiopia, appoggiare i franchisti in Spagna, occupare l’Albania. Poi, dal 1940, affiancando la Germania nazista nella guerra continentale, invase la Francia meridionale, la Grecia, il Montenegro, la Slovenia, e infine l’Unione sovietica. Fu l’inverno russo a raffreddare gli entusiasmi: chi ne tornava raccontava di una catastrofe. Nel 1943, difficoltà materiali e lutti alimentarono disillusione e presto sfiducia aperta verso il regime che la guerra aveva voluto ed esaltato. E che crollò, come un colosso d’argilla, quando tra giugno e luglio gli Alleati sbarcarono sulle coste meridionali. Sorpresi dalla guerra in casa come da un uragano estivo, gli italiani sperarono che anch’essa – impetuosa, ma rapida –  passasse oltre.

Invece, per venti mesi imperversò nella penisola. In autunno, l’esercito tedesco ne occupò oltre metà, sostenuto dai fascisti, riorganizzatisi nella Repubblica sociale italiana. Il fronte si stabilizzò tra Napoli e Roma fino al maggio 1944, quando gli Alleati avanzarono verso nord, non riuscendo però a impedire che i nazifascisti si attestassero sulla linea Gotica, il sistema difensivo approntato lungo il crinale appenninico, dalle Marche alla Lunigiana, ove resistettero dall’autunno 1944 al termine del conflitto, nell’aprile 1945.
Tra l’autunno del 1943 e quello del 1944 – settant’anni or sono – la Toscana fu investita in pieno dalla guerra. Se dal 1940 aveva lamentato, si stima, oltre 11 mila morti militari e quasi 1500 civili, dal settembre 1943 i caduti per cause belliche furono oltre 22.000.

Per i tedeschi divenne cruciale come serbatoio di risorse e transito di materiali e truppe per il fronte meridionale, oltreché caposaldo da difendere per approntare la Gotica e impedire uno sbarco alle spalle del fronte. Per ragioni speculari, anche gli Alleati aggredirono massicciamente la Toscana, bombardando a tappeto l’area costiera, le vie di comunicazione e le maggiori infrastrutture. Da Arezzo a Livorno, numerosi centri subirono distruzioni ingenti, migliaia di morti e decine di migliaia di famiglie costrette a sfollare. Firenze fu meno colpita, ma i ponti sull’Arno e una vasta area del centro cittadino furono invece distrutti dai tedeschi, per ostacolare l’avanzata degli Alleati nell’agosto del 1944.

Il governo collaborazionista della Repubblica sociale dapprima provò a rialimentare il consenso goduto un tempo dal regime, affiancando ai moderati ispirati da Giovanni Gentile gli estremisti inquadrati da Alessandro Pavolini nelle schiere del fascismo repubblicano. Presto però, fascisti ed occupanti dovettero dispiegare a pieno la violenza per proseguire nello sforzo bellico: ciò significò deportazione nei campi di sterminio di almeno 675 cittadini ebrei, arresti e fucilazioni dei renitenti alla leva, ritorsioni nei confronti dei contadini disobbedienti agli ammassi, arresti, torture e deportazioni (oltre un migliaio di persone) di quanti ostacolavano l’economia di guerra – scioperando o sottraendosi al lavoro obbligatorio –, oltreché di chi aderiva alla resistenza o anche solo favoriva i partigiani.

Provvedimenti efferati quanto vani. Neppure servirono i reparti speciali di polizia, come quello di Mario Carità a Firenze o la prima Brigata nera, costituita a Lucca da Idreno Utimpergher. Ma il prezzo fu altissimo. Alla mancata collaborazione della popolazione e alla crescente offensiva di partigiani  e Alleati, si rispose considerando l’intera popolazione rurale una minaccia per l’esercito germanico: le stragi di civili fecero almeno 3.824 vittime. Di contro, alimentato dai risorti partiti politici e guidato dai Comitati di liberazione nazionale, il movimento di resistenza giunse a mobilitare quasi venticinquemila partigiani – che sostennero audacemente l’offensiva militare alleata e la anticiparono con l’insurrezione dell’agosto 1944 – e avviò la ricostruzione delle istituzioni democratiche.




Morire sotto le mura di Santa Barbara

CalugiE’ la sera dell’otto settembre 1943 quando dagli apparecchi radio il popolo italiano apprende della firma dell’armistizio tra l’Italia e gli alleati. Ciò che potrebbe significare la conclusione del conflitto per il nostro Paese e il nostro malcapitato esercito si rivela l’opposto poiché nei venti mesi successivi una durissima e pesantissima occupazione militare da parte delle truppe nazifasciste condurrà a stragi di civili, danni ingentissimi al patrimonio architettonico, artistico e storico ma anche alle stesse infrastrutture.

La quasi contestuale nascita della RSI portò, proprio per contrastare le nascenti formazioni partigiane, all’emanazione di bandi di leva per le classi 1924 e 1925, anche se vi risponderà soltanto il 40% dei richiamati e tra gli arruolati sono in tanti a disertare.

Proprio dai bandi della RSI ha origine la storia di Aldo, Alvaro, Lando Vinicio e Valoris ciascuno con una propria storia personale, con vicende di vita diverse e anche con formazione culturale differente anche se in realtà solo Valoris aveva terminato gli studi elementari. I quattro provenivano da famiglie con un tenore di vita non particolarmente elevato e aiutavano i propri cari a “sbarcare il lavoro”, chi operaio, chi calzolaio, chi chiamato alle armi e inviato nell’ARMIR sul fronte orientale.

L’aver rifiutato di aderire ai bandi della RSI fa si che siano arrestati dalla GNR e rinchiusi nelle carceri mandamentali delle Ville Sbertoli in attesa del processo, presso il Tribunale Militare di Guerra che si sarebbe insediato di lì a pochi giorni. Il processo si concluderà con una sentenza già scritta: la condanna a morte per i 4 ragazzi e la reclusione a 24 anni per Vannino Urati, e a 10 e 12 anni di carcere per Secondo Fibucchi e Salvatore Crescione.

All’alba del 31 marzo 1944, i quattro saranno fucilati presso la Fortezza S. Barbara dove saranno schierati appena fuori della piazza interna, nello stessa dove un secolo prima, Attilio Frosini era stato fucilato dalle truppe austriache. Nessuno dei condannati vuole essere bendato, i quattro vogliono vedere in faccia i loro aguzzini fisicamente finiti da una raffica di mitra da un fascista di Larciano.

Questo delitto compiuto dai fascisti cittadini come altri avvenuti nello stesso periodo contribuirono ad accelerare il distacco del popolo italiano da un regime sempre più in agonia, sempre meno credibile, che aveva condotto il paese ad una tragedia dalle incalcolabili proporzioni, mentre all’opposto si erano rafforzate le formazioni partigiane, il cui ruolo insieme a quello degli alleati si rivelerà decisivo per la liberazione della città di Pistoia e del Paese dal nemico tedesco.

Ogni 31 marzo, alla presenza delle autorità cittadine, di studenti e cittadini comuni viene celebrata alla Fortezza la commemorazione dei quattro ragazzi, evento che desta ancora oggi una emozione particolare poiché vide il coinvolgimento di giovani vite che si erano battute per la costruzione di una societˆ libera e democratica.

Il sacrificio di questi quattro eroi  stato riconosciuto nel 2007 dal Presidente della Repubblica con la concessione della medaglia d’oro al merito civile ad Aldo,Alvaro, Lando Vinicio e Valoris.celebrazione 31 marzo Pistoia

 




Report di una strage: il 24 luglio 1944 a Empoli

Luglio 1944.

I tedeschi si muovono verso Firenze, incalzati dall’avvicinarsi delle truppe alleate impegnate nell’opera di liberazione.
E’ lunedì, il 24 per la precisione, e alcuni soldati tedeschi si avvicinano ad un casupola alla periferia di Empoli, in una zona conosciuta come Pratovecchio. Probabilmente cercano informazioni, ma si scontrano con i partigiani che sono riuniti proprio lì. Ne nasce uno scontro a fuoco e diversi soldati muoiono. Scatta la rappresaglia e molti uomini vengono rastrellati a forza nel circondario e senza spiegazioni costretti a spengere un incendio appiccato dai tedeschi. Qualcuno riesce a fuggire, ma in trenta vengono condotti verso il centro di Empoli e fucilati.

Solo uno si salva, dandosi alla fuga poco prima dell’esecuzione. Ventinove persone rimangono a terra nella piazza F. Ferrucci, ventinove nomi sono ricordati nella stessa piazza che ora commemora il “XXIV luglio”. Arturo Passerotti è l’unico superstite alla strage.

Muoiono Luigi Bagnoli (61 anni), Mario Bargigli (22 a.), Guido Bartolini (28 a.), Arduino Bitossi (60 a.), Orlando Boldrini (60 a.), Pietro Capecchi (50 a.), Bruno, Francesco e Giulio Cerbioni (18, 66 e 28 a.), Gaspero e Gino Chelini (46 e 52 a.), Giuseppe, Pietro e Virgilio Ciampi (55, 48 e 51 a.), Giulio Cianti (55 a.), Pasquale Gimignani (55 a.), Corrado Gori (64 a.), Giulio e Pietro Martini (66 e 59 a.), Gino Morelli (56 a.), Palmiro Nucci (56 a.), Gaspero Padovani (78 a.), Alfredo Parri (34 a.), Antonio Parrini (56 a.), Carlo Peruzzi (62 a.), Gino Piccini (48 a.), Alfredo Pucci (51 a.), Gino Taddei (38 a.) e Domenico Vizzone (45 a.).
Quello stesso giorno il comando tedesco mina i campanili del Duomo e degli Agostiniani e la porta Pisana.




Prato, 1918-1922. Nascita e avvento del fascismo

Prima dell’uscita di Prato, storia di una città – l’imponente opera pubblicata dal Comune di Prato e dalla casa editrice Le Monnier, i cui due ultimi volumi (il terzo ed il quarto, usciti rispettivamente nel 1988 e nel 1997) sono dedicati alla storia della città laniera fra il 1815 ed il 1993 – la storiografia su Prato in età contemporanea non era molto ricca.
Certo, esistevano alcuni importanti contributi, tutti risalenti agli anni Sessanta-Settanta (si pensi alla Storia economica di Prato dall’Unità d’Italia ad oggi di Renzo Marchi, agli studi di Claudio Caponi sul movimento cattolico, a Le lotte sociali e le origini del fascismo a Prato di Rosangela Degl’Innocenti Mazzamuto), ai quali si affiancavano altre opere, a metà strada tra la memorialistica ed il saggio storico (come Coccodrillo verde, di Aldo Petri, sul periodo resistenziale, Prato, ieri, di Armando Meoni, sulla Prato fra Otto e Novecento, La valle rossa, di Carlo Ferri, sulla Val di Bisenzio, Fermenti popolari e classe dirigente a Prato, di Dino Fiorelli e così via), ma, in complesso, l’esigenza di fare i conti con la storia più recente della città non poteva dirsi soddisfatta.
La pubblicazione di Prato, storia di una città fu dunque un evento periodizzante, che (oltre a rappresentare il primo tentativo da parte della sinistra di far corrispondere all’egemonia politica a livello di amministrazione comunale un’analoga egemonia sul piano dell’elaborazione storiografica) costituì il preludio della successiva fioritura della storiografia su Prato in età contemporanea, concretatasi nella pubblicazione di diverse monografie dovute a Michele Di Sabato, ad Andrea Giaconi, a Giuseppe Gregori, a Federico Lucarini, a chi scrive e ad altri ancora.
Il libro di Alessandro Bicci si situa in questo contesto.
Il terreno scelto dall’Autore per il suo lavoro non può dirsi completamente vergine dal punto di vista storiografico. Altri studiosi si sono infatti occupati prima di lui dei fatti (o almeno di alcuni fatti) accaduti nel Pratese dopo la fine della grande guerra, ma il suo libro ha il merito di ricostruire, per la prima volta in maniera organica ed approfondita, i principali eventi verificatisi tra il 1918 ed il 1922, fornendoci un quadro della situazione economica, politica e sociale della Prato di allora.
Bicci ci parla dunque dei successi riportati dai lavoratori nel corso del cosiddetto “biennio rosso” (1919-1920), quando le classi dirigenti assistettero attonite all’ascesa del movimento operaio che riuscì a conquistare le otto ore, a strappare alla controparte un concordato che prevedeva un aumento del 50% della paga giornaliera dei lanieri e che, col moto del caroviveri del luglio del 1919, sembrò per un attimo padrone della situazione.
Scorrendo l’indice del volume, vediamo però che ben presto la spinta operaia si esaurì e la reazione cominciò a prendere campo, favorita dalle divisioni tra socialisti e comunisti: i primi a farne le spese furono i lavoratori edili della Direttissima, vittime di una serrata che preluse alla nascita ed allo sviluppo del movimento fascista.
Bicci ci parla quindi dei “fatti di Carmignano” (28 marzo 1921), cioè dell’uccisione dei carabinieri Pucci e Verdini, della quale vennero incolpati tre comunisti seanesi. Questo episodio, su cui non è stata mai fatta pienamente luce, è molto interessante perché potrebbe essere stato nient’altro che la cinica applicazione nel comune mediceo, da parte dei fascisti, della nota “formula Pasella-Perrone Compagni”, consistente nel colpire persone in qualche modo legate all’establishment per giustificare poi la repressione contro il movimento operaio e contadino e l’assalto alle amministrazioni democratiche liberamente elette (cosa che puntualmente accadde).
Continuiamo a scorrere l’indice del volume: le violenze fasciste si moltiplicano, il 17 aprile 1921 gli squadristi, con la protezione dei carabinieri, effettuano un sanguinoso raid su Vaiano, cuore della “Valle rossa” e roccaforte del movimento operaio, i tessili registrano una pesante sconfitta in occasione dello sciopero del settembre-novembre di quell’anno (che vide la comparsa sulla scena di un vero e proprio sindacato giallo – il Sindacato economico apolitico – creato in seno all’Associazione nazionale combattenti) e, dopo l’omicidio del ras locale Federico Guglielmo Florio, per mano del comunista Cafiero Lucchesi, i fascisti procedono senz’altro alla conquista del comune, defenestrando l’amministrazione guidata dal socialista Giocondo Papi: siamo così giunti al gennaio del 1922, quando per Prato cominciò, come è stato scritto, “la lunga notte medievale del fascismo” (Ugo Cantini).
Anche a Prato il fascismo fu senza alcun dubbio, come si ricava chiaramente dal lavoro di cui si sta parlando, il prodotto, da un lato, del nullismo massimalista (vale a dire dell’incapacità, da parte dei dirigenti del PSI, di elaborare una strategia politica in grado di dare alle aspirazioni di palingenesi sociale delle masse uno sbocco concreto, senza estenuarle in un’inutile “ginnastica rivoluzionaria” che demoralizzava gli operai ed allarmava anche più del dovuto i padroni) e, dall’altro, della volontà di riscossa del padronato, che delle squadre fasciste fu diretto e generoso finanziatore.
Ma chi erano gli squadristi? Chi erano i violenti, gli assassini, che, a Prato come altrove, si macchiarono di delitti orrendi? (e voglio qui ricordare un episodio, nel quale mi sono imbattuto nel corso della mia attività di ricerca, che mi ha particolarmete colpito: l’uccisione, avvenuta a Borgo a Buggiano nel ’21, di un lavoratore, che rispondeva al nome di Francersco Antonio Puccini, solo perché portava all’occhiello un fiore rosso, simbolo della sua fede politica e delle sue speranze).
Chi erano i fascisti, dunque. Cerchiamo di rispondere a questa domanda. Com’è noto, Antonio Gramsci seppe magistralmente cogliere, in una serie di articoli pubblicati sull’Ordine nuovo fra il 1921 ed il 1922, quelli che erano i tratti distintivi del fascismo, che è sì reazione antiproletaria (cioè una delle forme assunte nel XX secolo dalla lotta del capitalismo contro il movimento rivoluzionario dei lavoratori), ma che si differenzia da altri movimenti reazionari per il fatto di dare corpo alla “mobilitazione violenta della piccola borghesia nella lotta del capitalismo contro il proletariato” (Alfonso Leonetti).
Ebbene, il libro di Bicci ha il merito di sottoporre a verifica, sul terreno concreto dei fatti a livello locale, questa intuizione gramsciana, evidenziando che anche nel Pratese, il fascismo fece proseliti in primo luogo fra i piccoli borghesi, atterriti dalla prospettiva della proletarizzazione, e fra la massa di spostati (nelle cui file rientravano anche diversi operai) venutasi a creare in seguito alla crisi che si abbatté sull’industria laniera locale nel 1921. Gli interessanti profili biografici di alcuni esponenti del fascismo pratese stesi da Bicci (si pensi a personaggi come Tullio Tamburini e come lo stesso Florio) sono, da questo punto di vista, illuminanti. Si può quindi sostenere che la tesi di Gramsci sulla natura piccolo borghese del fascismo trova nell’accurata analisi di Bicci una puntuale conferma.
L’utilità degli studi di caso sul fascismo, di questo particolare tipo di studi di “microstoria”, consiste proprio in questo: verificando a livello locale certe tesi generali, essi permettono di capire come, nell’Italia del primo dopoguerra, poté affermarsi un movimento come quello mussoliniano, che impose al Paese vent’anni di dittatura e lo precipitò infine nell’abisso della seconda guerra mondiale: la lettura di questo libro è quindi quanto mai utile per comprendere uno degli snodi della storia recente della città.




Guida alla consultazione del database dei soldati di origine italiana negli eserciti Alleati

clip_image002La presente banca dati è stata realizzata sotto il coordinamento scientifico dell’istituto Storico della Resistenza in Toscana di Firenze contestualmente ad un progetto di ricerca promosso e sostenuto dalla Regione Toscana e dalla Consulta dei Toscani nel Mondo.

Guida alla consultazione del database

Introduzione

Durante la Seconda Guerra Mondiale, all’interno degli eserciti nazionali di alcuni dei principali paesi alleati, combatté un numero significativo di soldati di origini italiane. Molti di questi appartenevano a famiglie di immigrati di seconda, terza o quarta generazione che avevano lasciato l’Italia tra gli anni Ottanta del XIX e gli inizi del XX secolo. Altri, invece, erano nati in Italia ed emigrati all’estero nel periodo tra le due guerre o perché in cerca di fortuna e nuove opportunità o perché, invece, spinti a far ciò per sottrarsi alle persecuzioni del fascismo.
Come noto, dopo l’ingresso in guerra dell’Italia fascista a fianco delle potenze dell’Asse nel giugno 1940, molti membri delle comunità italiane presenti nei paesi alleati furono discriminati come enemy aliens, venendo talvolta assoggettati a internamento o sottoposti a restrizione dei propri diritti civili. Anche quando non furono oggetto di simili interventi, la gran parte degli italiani all’estero fu però guardata con sospetto perché ritenutia poco leale nei riguardi dei paesi ospitanti; un giudizio verso il quale spingeva il ricordo della simpatia e dell’appoggio col quale alcuni settori delle comunità italiane all’estero avevano guardato al fascismo italiano durante gli anni Venti e Trenta.
A dispetto di questo marchio, però, la partecipazione di molti giovani di origine italiana nelle file degli eserciti alleati, impegnati a combattere il nazifascismo nei diversi teatri bellici (talvolta a seguito di arruolamenti volontari), contribuisce ad arricchire, riequilibrandolo in parte, il giudizio complessivo sul ruolo degli italiani all’estero nel periodo tra le due guerre. Con la realizzazione della banca dati che qui si presenta si è voluto pertanto ridare voce e presenza ad alcuni di questi combattenti, nell’intento che i dati qui riportati possano risultare un utile strumento per future riflessioni e ulteriori approfondimenti.

stemma 2Premesse

Il database contiene informazioni su una selezione di combattenti di origine italiana (certa o presunta) arruolati nelle forze armate alleate nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Si riferisce in particolare a soldati inquadrati nelle forze armate di Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa, Brasile. Fra questi, alcuni sono caduti in battaglia, altri sono stati fatti prigionieri di guerra dalle forze dell’Asse, altri ancora hanno semplicemente prestato servizio militare durante il secondo conflitto mondiale. Nonostante si sia provveduto ad uniformare tra di loro i dati sui combattenti delle diverse forze armate, si ritiene utile premettere che le informazioni rimangono tra loro in parte eterogenee, perché attinte da fonti di natura e provenienza differente.

Il campione di analisi contenuto nel database comprende:
– 1.573 soldati statunitensi di italianità certa e caduti in guerra.
– 384 soldati statunitensi di italianità certa e prigionieri di guerra di giapponesi o tedeschi.
– 210 soldati australiani di italianità presunta e caduti in guerra.
– 1.431 soldati australiani di italianità certa in quanto nati in Italia.
– 32 soldati neozelandesi di italianità presunta e caduti in guerra.
– 15 soldati sudafricani di italianità presunta e caduti in guerra.
– 61 soldati canadesi di italianità certa.
– 5 soldati canadesi di italianità certa e caduti in guerra.
– 214 soldati canadesi di italianità presunta e caduti in guerra.
– 1.206 soldati brasiliani (caduti in guerra e non) di italianità presunta.
– 5 soldati brasiliani di italianità certa.

Interrogazione del database

La banca dati è costituita in lingua inglese e pertanto a quest’ultima si deve far riferimento quando se ne interroghi il contenuto tramite l’apposita maschera di ricerca.
La maschera permette di interrogare i dati attraverso i seguenti campi:

Nome e Cognome
Permette di interrogare il database tramite il nome e/o il cognome dei combattenti.

Nazione
Permette di interrogare e selezionare i combattenti in base al paese nelle cui forze armate essi furono arruolati. I paesi sono i seguenti: Usa, Brazil, New Zealand, South Africa, Australia, Canada.

Id.
Permette di interrogare il database attraverso il numero di matricola del combattente risalendone al nome e ai dati personali.

Corpo
Permette di interrogare il database attraverso l’Arma (Army, Navy, Air Force, ecc.) alla quale appartenevano il combattente e la sua unità. Nel caso dei soldati italo-brasiliani il campo “Corpo” è unico (Força Expedicionaria Brasileira).

Unità
Permette di interrogare il database attraverso il raggruppamento militare (per es. Division, Regiment, Battalion, Company, Platoon) o il corpo speciale (per es. Marine) cui apparteneva il soldato. Nel caso dei soldati italo-brasiliani il nome dei raggruppamenti è indicato in lingua brasiliana/portoghese (per es. Depósito, Centro, Regimento, Companhia, Batalhão, Pelotâo ecc.). Nel caso dei soldati italo-australiani il battaglione di appartenenza è talvolta abbreviato perché di non chiara interpretazione; al riguardo si rimanda al glossario presente sul sito http://www.awm.gov.au/glossary/.

Grado
Indica il grado militare del combattente: soldato semplice (Private, Gunner, Guardsman) e i suoi gradi intermedi nel caso dell’esercito statunitense (Private first/second class); caporale (Corporal) e i suoi gradi equivalenti o intermedi nel caso dell’esercito statunitense (Lance Corporal, Technician Fifth Grade); sergente (Sergeant) e i suoi gradi intermedi e tecnici nel caso dell’esercito statunitense (Staff Sergeant, Technical Sergeant, Technician Third/Fourth Grade); tenente (Lieutenant) e i suoi gradi intermedi nel caso dell’esercito statunitense (First/Second Lieutenant); capitano (Captain).
Nonché gli equivalenti gradi per la Marina (Seaman, Seaman first/second class, Able Seaman, Ensign ecc.) e per l’Aviazione (Aircraftman, Leading Aricraftman, Pilot Officer, Flying Officer, Flight Lieutenant, Squadron Leader ecc.). Talvolta nel campo “Grado” è riferita invece la mansione particolare del soldato, quale: sapper, shipfitter, telegraphist, radiotelegraphist ecc.

Indicazioni metodologiche sul processo di realizzazione della banca dati

Il database contiene informazioni su 5.136 combattenti. Di 3.459 di questi nominativi è stata accertata l’origine italiana, mentre dei restanti il cognome italofono fa presupporre un’italianità che, però, allo stato attuale della documentazione non è verificabile. All’interno del database si è avuto cura di indicare l’italianità certa, o solo presunta, di ciascun combattente sotto la voce “Avi italiani”.
Fonte privilegiata per il reperimento delle informazioni è stata la stampa in lingua italiana, in particolare il Progresso Italo-Americano, il più diffuso quotidiano italiano negli Stati Uniti pubblicato a New York, e La Vittoria, periodico antifascista della comunità italiana di Toronto. In un quadro di effettiva difficoltà nel reperire pubblicazioni periodiche delle comunità italiane all’estero non è stato possibile utilizzare la stampa delle comunità italo-brasiliana e italo-australiana, dal momento che i periodici in lingua italiana in questi paesi furono costretti alla chiusura a causa dello scoppio della guerra.

La ricerca non è stata estesa ai soldati britannici caduti in guerra poiché, per problemi tecnici, non è stato possibile esportare e rielaborare i loro dati contenuti nel database del Commonwealth War Grave Commission (www.cwgc.org), che è stato invece utilizzato per reperire informazioni su soldati australiani, neozelandesi e sudafricani. Si ricorda come tale organismo sin dalla sua costituzione ha avuto il compito di censire i caduti degli eserciti del Commonwealth nel corso delle due ultime guerre mondiali. Tuttavia, per chi fosse interessato, si segnala che il caso dei soldati britannici di origine italiana è stato affrontato per il periodo della seconda guerra mondiale dalla storica britannica Wendy Ugolini [W. Ugolini, ‘The Sins of the Fathers’: The Contested Recruitment of Second-Generation Italians in the British Forces 1936–43, Twentieth Century British History, 24.3 (2013), 376–97; Id., ‘The embodiment of British Italian war memory? The curious marginalization of Dennis Donnini, VC’, Patterns of Prejudice, 46.3-4 (2012), 397-415; Id., Experiencing the War as the ‘Enemy Other’: Italian Scottish Experience in World War II, Manchester, Manchester University Press, 2011, ch. 5-6-7].

Soldati italo-statunitensi

Si è partiti dalla consultazione del Progresso Italo-Americano per il periodo dal 7 dicembre 1941 al 15 settembre 1945. Il quotidiano pubblica con regolarità liste di soldati italo-statunitensi caduti in guerra, prigionieri, dispersi e feriti, oltre che profili biografici dedicati a singoli combattenti. Tali elenchi venivano probabilmente rielaborati dal Progresso sulla base delle comunicazioni fornite dallo U.S. War Department e U.S. Navy Department, mentre i profili biografici erano presumibilmente redatti sulla base delle informazioni fornite dalle famiglie degli stessi combattenti. I dati relativi ai soldati caduti sono stati confrontati e integrati con quelli ricavabili dai seguenti database statunitensi:

1) National WWII Memorial, Washington D.C (www.wwiimemorial.com). Il portale combina quattro distinte banche dati relative a:

a) Soldati sepolti presso cimiteri statunitensi all’estero. Le stesse informazioni sono ricavabili anche dal database dell’American Battle Monument Commission (www.abmc.gov). b) Soldati dispersi in guerra i cui corpi non sono mai stati ritrovati ma i cui nomi vengono ricordati nei Tablets of the Missing dell’American Battle Monument Commission. c) Elenchi dei Killed in service rosters dello U.S. Navy Department e U.S. War Department conservati presso i National Archives Records and Administration II di College Park in Maryland. d) Un Registry of Remebrances, che raggruppa informazioni fornite da familiari e conoscenti dei soldati caduti seppure non verificate in modo ufficiale.

2) Archival Databases of the National Archives and Records Administration (http://aad.archives.gov). Il portale contiene una serie di database di combattenti americani nelle varie guerre combattute dagli Stati Uniti. Nello specifico è stata utilizzata la serie World War II Army Enlistment Records (1938-1946), che conserva i dati di di 8.706.394 soldati arruolati nelle forze armate statunitensi nel corso del secondo conflitto mondiale. In secondo luogo – per integrare i dati ottenuti dal Progresso Italo-Americano sui soldati italo-americani prigionieri di giapponesi e tedeschi – è stato utilizzato il Records of WWII Prisoners of War. Questo database, in continuo aggiornamento, contiene informazioni su 143.374 soldati (ultima consultazione: 29 agosto 2014), ovvero la quasi totalità dei combattenti statunitensi imprigionati dalle forze dell’Asse.

Soldati australiani, neozelandesi, sudafricani

Nel caso dei soldati australiani è stato utilizzato il database presente sul sito http://www.ww2roll.gov.au/PlaceSearch.aspx, che contiene informazioni su circa un milione di individui (uomini e donne) che hanno servito nelle forze armate australiane nel corso della Seconda Guerra Mondiale. La ricerca fatta per luogo di nascita (utilizzando come chiavi di ricerca “Italy” o i nomi delle varie regioni italiane, es. “Sicily”) ha permesso di selezionare così 1.431 soldati australiani nati in Italia.
I nomi ricavati sono stati confrontati, e eventualmente integrati, con i dati dei soldati australiani caduti in guerra presenti nel già citato sito del Commonwealth War Grave Commission (www.cwgc.org). Inoltre, da quest’ultimo database è stato possibile ottenere una lista di caduti australiani il cui cognome indica una possibile origine italiana, sebbene allo stato attuale della documentazione tale italianità non sia verificabile con certezza. Ricerca analoga è stata condotta per soldati sudafricani e neozelandesi.

Soldati canadesi

Sempre dal sito del Commonwealth War Grave Commission (www.cwgc.org) sono stati estrapolati nominativi di soldati canadesi apparentemente di origine italiana. Per alcuni di essi è stato possibile attribuire con certezza l’italianità grazie alle informazioni fornite:
1) Dal periodico La Vittoria.
2) Da uno studio biografico di alcuni combattenti italo-canadesi dello storico Raymond Culos. [Raymond Culos, Injustice Served: The Story of British Columbia’s Italian Enemy Aliens During World War II Montreal: Cusmano Books, 2012, cap. 9]
3) Dal sito http://www.italiancanadianww2.ca/it, che raccoglie testimonianze delle esperienze di immigrati italiani in Canada nel corso del secondo conflitto mondiale, fra le quali alcune di italo-canadesi che prestarono servizio nelle forze armate canadesi.
4) Dal sito http://www.bac-lac.gc.ca/eng/discover/military-heritage/second-world-war/second-world-war-dead-1939-1947/Pages/files-second-war-dead.aspx, attraverso il quale si risale a informazioni individuali di soldati canadesi caduti in guerra.

Soldati italo-brasiliani

Grazie alla cortesia di Mario Pereira, responsabile del Sacrario Volitivo Brasiliano di Pistoia, siamo risaliti alla lista nominativa completa dei 25.367 brasiliani che prestarono servizio nella Força Expedicionária Brasileira (FEB) in Italia. Da tale lista sono stati estrapolati i nominativi di 1.194 soldati dal cognome italofono. I loro dati sono stati a loro volta confrontati con quelli di 28 soldati dial cognome italofono compresi fra i 465 brasiliani caduti nella campagna d’Italia e commemorati presso il Sacrario di Pistoia Album do Brasil Na II Grande Guerra, Expedicionários Sacrificados Na Campanha da Itália, Rio de Janeiro, Bruno Buccini Editor, 1957]. Di questi nominativi è stato possibile riscontrare l’effettiva italianità di soltanto 5 combattenti grazie al confronto con testimonianze orali, memorie, siti di veterani brasiliani della FEB, e con articoli de O Globo Expedicionario, periodico della FEB.

Avvertenze sul contenuto

All’interno dei campi descrittivi della scheda anagrafica di ciascun combattente si possono trovare i seguenti avvertimenti:

– “Supposed ID”: indica, in mancanza di riscontri più certi, la presunta presunta matricola militare del soldato.
– Nell’elaborazione di fonti diverse per la realizzazione del database non sempre è stato possibile verificare con certezza assoluta alcuni dati personali quali la residenza, il grado ecc. Simili casi vengono segnalati solitamente nel campo “Note” con la suddetta dicitura.

Altri avvertimenti:

– Nel caso dei soldati statunitensi il grado militare “Technician Fourth class” è equiparato a quello di “Corporal”, mentre quello di “Technician Fourth class” a quello di “Sergeant”.
– I soldati brasiliani, oltre che il proprio nome e cognome, venivano indicati con un nome di guerra (“Nome de guerra”), che, salvo alcune eccezioni, viene però a coincidere in gran parte col cognome del combattente. La ripetizione del cognome nelle schede dei soldati italo-brasiliani, qualora presente, va ricondotta pertanto ad una duplicazione dovuta a questa particolare circostanza.