Primetta Cipolli (1899-1963)

Primetta Cipolli Marrucci ad un comizio durante la campagna per l’elezione dell’Assemblea costituente, 1946 (©️Archivio Renza Bendinelli)

Nasce a Cecina il 23 settembre 1899; la madre fa la lavandaia, il padre è un operaio fornaciaio. Primetta interrompe la scuola in terza elementare, dovendo contribuire a mantenere la famiglia dato che la madre è malata. L’abbandono degli studi costituirà per lei sempre motivo di rammarico.

Nel 1911 i Cipolli sono costretti a trasferirsi in Maremma poiché il padre si è esposto durante gli scioperi organizzati dal sindacato tra Livorno e Piombino; emigrano successivamente a Torino, ma fanno ritorno a Cecina in seguito allo scoppio della grande guerra.

Nel 1918, alla morte della madre, Primetta prende su di sé il carico della famiglia e torna al lavoro in fabbrica dove alcuni compagni socialisti la invitano ad entrare nel partito ed a formare il gruppo femminile. Aderisce poi al Partito comunista d’Italia (PCd’I), fondato a Livorno nel 1921.

Nel 1923 sposa Oreste Marrucci, cugino di Ilio Barontini, che conosce fin dalle scuole elementari. I due – presi di mira per i loro atteggiamenti antifascisti − sulla base di motivazioni politiche ed economiche decidono nel 1924 di emigrare in Francia, prima a Marsiglia e poi a Parigi, dove Primetta diventa agente di collegamento per il Partito comunista.

1951, Livorno comizio piazza Magenta elezioni amministrative (©️Archivio Renza Bendinelli)

Dopo la morte del marito Oreste, avvenuta nel settembre del 1938 nella “battaglia dell’Ebro” durante la guerra civile in Spagna, Primetta partecipa alla Resistenza francese, impegnandosi probabilmente in compiti di assistenza e sostegno alle attività dei partigiani di origine italiana; è arrestata per circa un mese tra la fine del 1943 e l’inizio del 1944.

Nel 1945 torna a Livorno impegnandosi nel partito e nell’amministrazione comunale. Grazie anche alla partecipazione alla scuola di partito entra nei quadri del PCI. Dopo le elezioni amministrative del novembre 1946, diventa assessore all’Anagrafe, annona e beneficenza nella giunta presieduta dal sindaco comunista Furio Diaz. Primetta è dunque la prima donna in tutta la provincia di Livorno ad occupare cariche politiche.

Nel 1947 interrompe l’attività pubblica per motivi di salute, torna a Parigi e rientra a Livorno un paio di anni più tardi. Continua a lavorare per il partito, per l’UDI e per l’amministrazione comunale come consigliera. Nel 1957 le sue condizioni di salute si aggravano e nel 1959 presenta le sue definitive dimissioni al sindaco. Muore il 3 maggio 1963.

1952, Livorno, Asilo comunale, visita da assessore (©️Archivio Renza Bendinelli)

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Memoria autobiografica in: Renza Bendinelli, Primetta e Oreste, “fuoriusciti” antifascisti. Fra storia e memoria, Pisa, ETS, 2022, p. 112.

Debbo dire che malgrado la mia attività politica sia stata continuativa e mai abbia avuto la minima incertezza sulla giustezza della linea del Partito e nella lotta che si stava combattendo, riconosco che non sempre nella mia attività ho reso al massimo. Penso che spesso nei primi tempi della mia attività ero chiamata facilmente a coprire cariche di responsabilità e di fiducia non per la mia capacità, ma piuttosto per il mio attaccamento al Partito e per la mia serietà morale e politica che ispiravano fiducia. Infatti ritengo sempre di essere stata un quadro mediocre: ho letto un po’ ma non ho mai studiato e forse questo è dovuto in gran parte al fatto che, oltre all’attività politica, ho dovuto sempre lavorare per vivere. Ed all’epoca in cui avrei dovuto svilupparmi non vi erano possibilità di frequentare scuole e corsi politici e non era nemmeno facile, data la scarsezza enorme dei quadri, togliere compagne che avevano del posti di responsabilità. Ed in me forse non vi è stata nemmeno facilità di studiare e di apprendere.
Inoltre ero soggetta ad una certa timidezza che era di freno al mio sviluppo e credo di aver avuto anche una sottovalutazione delle mie forze e possibilità. Ad esempio fino al 1938 non ho mai avuto il coraggio di prendere la parola in pubblico ed ero molto reticente a parlare in assemblee alla presenza di compagni che ritenevo più qualificati: e di queste deficienze mi restano ancora alcuni residui.
La timidezza l’ho in parte vinta al momento della partenza per la Spagna del mio compagno. Di fronte all’esempio del suo sacrificio non vidi che una cosa: sostituirlo nella lotta, seguire il suo esempio e quello delle altre migliaia di eroi, battermi con tutte le mie forze e su tutti i fronti. Fu così che dopo la sua partenza e soprattutto dopo la sua morte affrontai il pubblico, vinsi ogni reticenza e mi accorsi che i1 mio lavoro così rendeva molto di più e mi dava anche maggior soddisfazione. E nel lavoro attivo trovai l’unico conforto per la perdita del mio compagno. Ho preso parte alla lotta di liberazione e se non ho potuto dare di più ciò è in rapporto alle mie condizioni di salute. Sono stata arrestata e non ho avuto la minima defezione malgrado la mia situazione fosse preoccupante.




Osmana Benetti (1923-2016)

Osmana Benetti (©️Istoreco Livorno)

Osmana, Osman come la chiamano parenti ed amici, nasce a Livorno il 24 dicembre 1923, terza di cinque figli. La madre fa la lavandaia, il padre, marinaio, ha viaggiato in tutto il mondo; si trovava in Russia nel 1917 ed è stato dunque testimone dell’ondata rivoluzionaria, rimanendone impressionato e affascinato. Nel 1923 smette di imbarcarsi e inizia a lavorare come operaio al cantiere navale Orlando, subendo nel corso degli anni vari incidenti, di cui uno grave.

Osmana frequenta la scuola fino alla quinta elementare, ma deve abbandonare gli studi, con grande dispiacere, a causa delle difficoltà economiche dei genitori. La sua è una famiglia aperta, in cui si legge tutti insieme dopo cena e si ascoltano gli avventurosi racconti di viaggio del padre. Quest’ultimo non è un antifascista attivo, ma ha sempre rifiutato la tessera fascista.

Nel 1943 la ragazza ventenne entra nella Resistenza, di nascosto dalla famiglia, agendo come staffetta partigiana sulle colline livornesi tra la Valle Benedetta e il Castellaccio. In quest’area opera dalla primavera il 10° distaccamento “Oberdan Chiesa” della 3a Brigata Garibaldi.

Nel 1944, dopo la Liberazione, conosce Garibaldo Benifei, che diverrà suo compagno di vita e di militanza politica; i due si sposano il 24 gennaio 1945 con rito civile al Comune di Livorno.

Osmana Benetti (©️Istoreco Livorno)

Osmana, come il marito, si iscrive al Partito comunista; si impegna in diverse associazioni, come l’Unione donne italiane, l’ANPI, l’Associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti (ANPPIA). Non risulta che abbia presentato domanda di riconoscimento ufficiale delle attività svolte nella fase dell’occupazione tedesca.

Assieme a Garibaldo si farà portavoce, soprattutto nelle scuole, presso le giovani generazioni, degli ideali civili e delle esperienze vissute nel difficile periodo della Resistenza. Le saranno conferite l’onorificenza d’onore di cavaliere della Repubblica nel 2014 e, nel 2015, la Livornina dal Comune di Livorno. Muore il 10 febbraio 2016.

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🟥 Intervista a OSMANA BENETTI, in L. Antonelli, “Voci dalla storia. Le donne della Resistenza in Toscana tra storie di vita e percorsi di emancipazione”, Pentalinea, 2006, p. 238

…Vado di là e la mi’ mamma mi viene dietro e vede che io parlo con quest’uomo, al che non ti dico quel che è successo, mi ha preso a ciaffoni:1 “Cos’è questa storia, te che ti incontri con gli uomini”. Una cosa che son stata così male, così male perché era una cosa che non me la sarei mai aspettata capito. E questa donna la capisco, lei era preoccupata io sparivo troppo spesso.
Andai dal compagno Di Maio a chiedergli che, siccome lui lavorava per la Todt e reclutava gli uomini per la Todt, io gli dissi: “Guarda io non ti chiederò mai nemmeno una lira, ma fammi un foglio che io possa presentare in casa mia che io sono reclutata dai tedeschi alla Todt e che tutti i giorni io devo venire giù, sennò altrimenti per me diventa una vita impossibile, impossibile”.
Lui disse che cercava e invece …successe che fucilarono Oberdan Chiesa che era nel carcere di Pisa e ci fu un attentato a Rosignano, lui era stato anche in Spagna, i tedeschi andarono al carcere, lo potarono sulla spiaggia di Rosignano e lo fucilarono. Da parte nostra ci fu una fortissima reazione e i compagni fecero tantissimi volantini e dovevano essere messi nei punti in vista dove c’era la gente […] e io stavo lì pensando e ripensando come potevo fare per fare mettere in evidenza su alla Valle Benedetta questo fatto. Allora presi, sai a quei tempi ci facevano il corredo quando s’aveva una certa età ed erano tutti legati con dei fiocchini rosa, gialli, verdi, allora io levai tutti questi nastrini colorati dal corredo mio, da quello delle mie sorelle e poi presi questi volantini e li legai con questi fiocchini. Alla Valle Benedetta […] la sera tardi andai con questi volantini, li legai tutti alle piante più basse lungo la strada dove ci passano gli operai che andavano alla miniera. […] e tutti seppero come era stato ammazzato Oberdan Chiesa…

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🟥 Osmana Benetti: “Abbiamo lottato come gli uomini, poi siamo rimaste un passo indietro” (intervista di Simona Poli – La Repubblica, 25.05.015)

Qual era il suo compito?
“Facevo da collegamento tra campagna e città, mi muovevo a piedi, qualche volta in bicicletta finché non la rubavano. I messaggi in genere li nascondevo nel reggiseno ma per fortuna non ebbi mai problemi, parevo una bimbetta, non avevo né fisico né portamento da ragazza, ero proprio una che non si faceva notare”.

Pensava mai a cosa avrebbe fatto se fosse stata arrestata?
“Mi ero preparata, del resto le storie si conoscevano, sapevamo delle torture e delle botte. La mia non era incoscienza, ero consapevole dei rischi e capivo che avrei potuto essere uccisa. I tedeschi li ho visti tante volte ma non ho mai avuto nessun contatto diretto, non partecipai ad azioni di guerra. Quell’esperienza mi è servita a scegliere la mia vita futura. Dopo la Liberazione mi sono subito messa a lavorare per ricostruire gli asili e le mense per gli operai. Anche Garibaldo ha fatto tanto e ha ottenuto molti riconoscimenti. Il nostro è stato il primo matrimonio civile celebrato a Livorno e abbiamo potuto sposarci solo grazie alla solidarietà dei compagni e delle compagne che ci dettero lenzuoli, tovaglie, mobili. Noi non avevamo nulla, nemmeno i soldi per gli anelli. Gli operai dei Cantieri Orlando ci regalarono le fedi d’acciaio”.

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🟧Il mio 25 aprile a Livorno: Garibaldo e Osmana Benifei (Raicultura)






Ubaldina Pannocchia (1923-2021)

Ubaldina Pannocchia

Ubaldina nasce a Livorno il 29 giugno 1923. Il padre ha una macelleria e anche lei collabora fin da piccola alla sua gestione. Sente forte il rammarico di dover interrompere gli studi dopo la quinta elementare, perché la famiglia, non avendo sufficienti disponibilità, fa proseguire solo i due figli maschi. La madre la spinge ad imparare il ricamo dalle suore, ma Ubaldina preferisce la musica e riesce a prendere lezioni di piano fino allo scoppio della guerra.

Comincia a interessarsi di politica quando si innamora di Nedo Guerrucci, amico del fratello Roberto. Entrambi studenti, sono attivi nelle reti comuniste livornesi già prima dell’8 settembre 1943. Nello stesso anno, a causa dei bombardamenti sulla città, la famiglia di Ubaldina sfolla a Lorenzana.

Ubaldina Pannocchia

Dopo l’armistizio, Nedo è chiamato a presentarsi al Comando militare di Ardenza, ma si dà alla macchia e raggiunge una formazione partigiana a Castellaccio. Per mantenersi vicina a lui ed al fratello, Ubaldina prende contatti con altri partigiani come Vasco Caprai e Giovanni Finocchietti e inizia a muoversi in bicicletta per le colline livornesi trasportando viveri, armi, medicine e volantini.

Tutti questi giovani confluiscono dalla primavera del 1944 nel 10° distaccamento “Oberdan Chiesa” della 3a Brigata Garibaldi, la principale formazione attiva in quest’area.

Ubaldina non presenterà domanda di riconoscimento anche perché, come molte donne impegnate con compiti informali, acquisirà dopo molti anni la consapevolezza di aver svolto un ruolo significativo. Dopo la guerra entra nel PCI, si impegna nell’UDI e successivamente nell’ANPI. Si sposa con Nedo, che è diventato un dirigente del partito, e lo segue nei suoi incarichi a Roma e all’Isola d’Elba. È lei a insistere perché il marito completi il percorso universitario, interrotto nel periodo dell’occupazione tedesca; laureatosi in biologia, Nedo diventa assistente universitario e infine tecnico a Livorno, dove la coppia torna a vivere. Ubaldina muore il 29 luglio 2021.

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🟪Intervista in ‘Noi, partigiani. Memoriale della Resistenza Italiana’

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🟧Intervista a UBALDINA PANNOCCHIA, in L. Antonelli, “Voci dalla storia. Le donne della Resistenza in Toscana tra storie di vita e percorsi di emancipazione”, Pentalinea, 2006, p. 290

Come aiutava il suo fidanzato nella Resistenza?

– Io cercavo di procurargli le medicine, le tenevo in casa nel pianoforte.

Una volta che in formazione c’era un ferito mio fratello e il mio fidanzato presero un medico fascista e lo portarono su a Gello, lo portarono col calesse su nei boschi, quando tornò però non fece la spia. Io più che altro procuravo questi medicinali, a volte anche qualche cosa da mangiare, i medicinali li compravo in farmacia perché potevo farlo, avevo le possibilità. Io non sono mai stata in formazione, solo una volta ho accompagnato un compagno, Finocchietti, Giovanni Finocchietti a Monterotondo, io gli portai il sacco per non dare troppo nell’occhio perché era già renitente di leva, lo portai su a Castellaccio, lo salutai e tornai indietro. Ero in contatto con un altro, Vasco Caprai, che stava a Livorno, che era quello che mandava i partigiani nelle varie formazioni.

La mia famiglia ha saputo tutto dopo, sapevano solo che il mio fidanzato era in formazione […].

– Lei non ha avuto contatti con altre donne staffette?

Ubaldina Pannocchia

– No più che altro uomini, Giovannino Geppetti, a Fauglia gli portai rivoltelle e roba che mi era rimasta e lui mi disse: – Guarda di portarcele -. C’erano sempre i tedeschi, io nella borsa da spesa con la biciclettina anche lì, sull’Aurelia perché con la bicicletta non potevo passare dai boschi, con questa borsa arrivai fino a Fauglia. Non ho avuto paura, è l’incoscienza dei giovani. Avevo un po’ di paura e di pensiero per il mio fidanzato in formazione perché tedeschi e specie fascisti sparavano, li cercavano. Io in formazione non sono mai stata, sono stata staffetta, ma l’ho saputo ora che quelle che facevano queste cose erano staffette, io non ero nulla, ero la fidanzata e la sorella di due perseguitati diciamo e basta. […]

– I compagni partigiani come vedevano le donne che si impegnavano?

– Bene, bene, subito dopo la guerra ai compagni non gli pareva vero che si collaborasse al partito, specie per gli asili. Io ho fatto molto specie nell’UDI, l’Unione donne italiane con cui s’è organizzato gli asili, poi si distribuiva “Noi donne”, si portava nelle case, si facevano le feste. Poi collaboravo alla Festa dell’Unità, con Osmana, Laura Diaz e altre.

– La Resistenza che insegnamenti le ha dato come donna?

Mi ha aiutato ad essere più consapevole della situazione politica italiana, mi ha fatto capire cosa era il fascismo, io sono maturata attraverso la Resistenza, ho cambiato modo di vedere la vita, prima pensavo che le donne non dovessero interessarsi di politica, invece no.