
Laura Seghettini (particolare)
Nata nel 1922 a Pontremoli e rimasta orfana di madre in tenera età, cresce nella famiglia materna, insieme a nonni e zii; viene così educata all’antifascismo dagli adulti di casa, socialisti e comunisti. Laura ricorderà che nelle serate familiari anche i giovanissimi partecipano alle conversazioni con il solo ordine di non riferire all’esterno nulla di quanto si sia ascoltato.
Giovanissima le viene affidato talvolta l’incarico di portare ad alcuni compagni il giornale clandestino “L’Unità”, essendo più facile per lei, ragazza, passare inosservata. Il nonno e uno zio, Michele, imprenditori edili, pagano questa loro posizione ostile al regime con la disoccupazione. E quando lo zio sceglie di emigrare in Libia, Laura, che ha ormai ottenuto il diploma magistrale, lo accompagna e lavora negli uffici dell’azienda. Nel Paese africano ascolta i giudizi negativi sul fascismo, sulle atrocità commesse dagli italiani e le previsioni di una sconfitta nella guerra appena iniziata, vista l’inadeguatezza dell’esercito. Rientrata a Pontremoli, mentre riferisce queste considerazioni ad un amico in un prestigioso bar cittadino, le sue parole sono ascoltate da un milite fascista; è condotta negli uffici del partito dove per punizione le viene somministrato l’olio di ricino: un’umiliazione pubblica, per di più a una donna poco più che ventenne.

Laura Seghettini a Parma nella manifestazione dopo la Liberazione (Archivio ISRA)
Da quel momento la sua esistenza è segnata; non appena in città si manifesta un qualche dissenso contro il regime, lei viene indicata tra i responsabili. Arrestata, rimane per un mese nel carcere di Pontremoli. Una seconda volta è condotta al carcere di Massa, un’esperienza che la sconvolge: l’ambiente è sudicio, vi aleggiano segni di violenza. Non riesce a mangiare e nemmeno a dormire. Di quel periodo ricorderà solo la compagnia di una donna arrestata perché il figlio non si è presentato alla chiamata alle armi.
Laura si ripromette allora di non ritornare più in carcere, ma continua a far arrivare abbigliamento e cibo agli amici che per non arruolarsi sono saliti ai monti. Quando, nella primavera del 1944, è informata di un arresto imminente, senza indugio sceglie la stessa via, sulle montagne a nord di Pontremoli, all’estremità settentrionale della Toscana. Il gruppo a cui si aggrega è il Battaglione “Guido Picelli”, da poco guidato da un giovane calabrese, Dante Castellucci, nome di battaglia “Facio”. Il comandante non accoglie di buon grado la presenza di una donna, ma gli amici di Laura lo informano sulla sua vicenda e alla fine viene accettata. Fra i due inizia una storia d’amore, interrotta da un evento drammatico: a seguito di tensioni sorte tra i partigiani, dopo un processo farsa Facio viene fucilato il 22 luglio 1944.
Laura e i compagni ne sono fortemente turbati; sceglie insieme ad altri di spostarsi nell’Appennino parmense e di aggregarsi alla 12ª Brigata Garibaldi “Fermo Ognibene”, di cui verrà nominata vicecommissario per il suo impegno e la sua forza morale. Una foto la ritrae mentre cammina sorridente, nelle prime file con i comandanti, tra due ali di folla per le strade di Parma nella manifestazione che celebra la Liberazione.
Nel 1945 stende un memoriale sulla vicenda di Facio, su cui scende progressivamente il silenzio per l’impossibilità di avere giustizia, associata al timore che quell’episodio possa macchiare la storia della lotta di liberazione. Negli ultimi anni, anche grazie alle sue memorie, essa è finalmente tornata alla luce.
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Per il vitto, qualcuno andava a volte a prelevare qualche vitello nei paesi vicini; cucinieri erano il Corsaro (Nello Leoncini) e Giorgio Marini, fratello di Vito. Accendevano il fuoco e mettevano a bollire in un calderone la carne che, non frollata, ne usciva più dura di come vi fosse entrata. Spesso si saltava il pasto e allora cercavamo i frutti del sottobosco, fragole e mirtilli, o qualche fetta di pane e di pattona che le donne di Guinadi o di Cervara ci mandavano o ci offrivano quando passavamo nei paesi.

Laura Seghettini (Foto Walter Massari)
Credo che nessuno di noi si sia mai sognato di mangiare una cosa che gli era stata data, se non dividendola con gli altri. Ricordo, infatti, che una volta due tornarono con una crescente; fu consegnata a Facio che l’affettò in modo così sottile che le fette sembravano ostie, e ne prendemmo una per uno. Quando ci si riuniva per mangiare, mentre chi aveva dei compiti li eseguiva, gli altri si disponevano in gruppo per ascoltare la lettura dei fogli di partito che Facio ed El Gato avevano con sé.
Accadeva, talvolta, che qualcuno raccontasse gli avvenimenti di cui era stato protagonista […].
Alcuni si recavano nei paesi, la sera, a sentire Radio Londra e tornavano portando informazioni che commentavamo in piccoli gruppi. Ricordo la notizia dei bombardamenti di Roma e di Milano e quella dello sbarco di Anzio che ci fece illudere che stesse per finire la guerra, mentre per noi invece iniziava.
Al lume di candela o sotto la luna si cantava sottovoce e qualcuno suonava il flauto. Facio aveva con sé un violino che gli era stato regalato; questo ha fatto scrivere che fosse un maestro d’orchestra. Studente di filosofia, era, credo, soltanto un discreto dilettante, ma in una radura tra i faggi era facile sembrare maestri.
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🟧Stralcio da un’intervista realizzata da Isa Zanzanaini il 15 maggio 1994, in Comitato provinciale per le celebrazioni del cinquantenario della Resistenza – Commissione provinciale pari opportunità, A Piazza delle Erbe! L’amore, la forza, il coraggio delle donne di Massa-Carrara, Massa-Carrara, Amministrazione provinciale di Massa Carrara, 1996, p. 162.
E per quello che mi riguarda, come donna, io debbo dire che sono stati meravigliosi, questi ragazzi, perché mai una parola sconveniente, anzi. Io ricordo, un giorno, venivo giù per un pendio e giù in fondo c’era una ventina di ragazzi che cantavano, canzonacce di caserma; uno, che sembrava tra l’altro un tedesco, sa, proprio grande e grosso, un gigante. Mi vide con la coda dell’occhio e io ho sentito che: “Ehi! Pst! Zitti, ch’a ghe la Laura!”. E mi fece molto piacere. Io gli sono passata vicino, gli ho detto: “Ehi, biondo!” e l’ho scaruffato un po’ in testa. “Eh! Quel ch’a i vo’, a i vo’!”. Quello che ci vuole ci vuole! Sì, è proprio un ricordo meraviglioso.
In quel periodo io ho conosciuto tante ragazze, tante. Anche donne di una certa età. E io so che era un lavoro molto rischioso. Rischioso il nostro, che andavamo a fare le azioni, ma molto più rischioso quello della staffetta, perché poteva essere presa in qualsiasi momento. Quindi, io ho ammirazione anche per queste, che poi sono state qualificate patriote, anziché partigiane combattenti; ma in realtà, tutto il lavoro fatto, compiuto da noi, aveva alla base il lavoro di queste donne.
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Parma, 9maggio 1945, sfilata dei partigiani
🟩Intervista a LAURA SEGHETTINI, in L. Antonelli, “Voci dalla storia. Le donne della Resistenza in Toscana tra storie di vita e percorsi di emancipazione”, Pentalinea, 2006, p. 445.
Quindi lei è stata in formazione? Per quanto tempo?
Fino all’agosto del ’45, un anno, perché poi c’è stata una vicenda, l’uccisione del comandante Facio, io per un po’ sono stata ancora con il battaglione in zona, poi dopo essere andata in missione per il battaglione internazinale, comandato da Gordon Lett, un ufficiale inglese, mi sono portata via un Distaccamento. […] Io in formazione combattevo con le armi, ho sempre cercato di non acchiappare persone, ho comandato anche azioni, io sono stata Commissario di Brigata, ma Comandante sempre militare del Distaccamento Comando della Brigata, Per cui io ho avuto due qualifiche alla fine dal Distretto militare, come sottotenente e come capitano.
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🟪Testimonianza di Laura Seghettini per gli Archivi della Resistenza.
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🟥Marcello Flores racconta la vita di Laura Seghettini – Trasmissione di Rai Radio3 ‘Belle storie. Donne e uomini nella Resistenza’.
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🟧Intervista a Laura Seghettini (www.testeparlantimemorie900.it)