Attori, pratiche e circolazione dei saperi scientifici nello spazio coloniale italiano. Call for Papers per un numero monografico di “Farestoria. Società e storia pubblica”

Attori, pratiche e circolazione dei saperi scientifici nello spazio coloniale italiano. Call for Papers per un numero monografico di “Farestoria. Società e storia pubblica”, Rivista dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Pistoia. Clicca qui per leggere o scaricare la CFP.




Presentato a Firenze il libro di Keith Lowe, Prigionieri della storia. Che cosa ci insegnano i monumenti della seconda guerra mondiale sulla memoria e su noi stessi,

Alle ore 17, presso la Biblioteca delle Oblate, a Firenze, nel contesto del congresso internazionale di Liberation Route Europe, si è tenuta la presentazione del libro di Keith Lowe, Prigionieri della storia. Che cosa ci insegnano i monumenti della seconda guerra mondiale sulla memoria e su noi stessi, UTET, 2020

Ha coordinato l’incontro Mirco Carrattieri, responsabile scientifico di LRE Italia, e discusso con l’autore Paolo Pezzino, Presidente dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri, e Eirene Campagna, Ph.D. in Visual History presso lo IULM.

Il saggio tratta dei memoriali e dei monumenti della seconda guerra mondiale in tutto il mondo. Ha, dunque, una prospettiva molto ampia. L’autore ha selezionato venticinque memoriali della seconda guerra mondiali (due dei quali in Italia) e li ha divisi per categorie dei monumenti: eroi, martiri, carnefici (che Lowe chiama “i mostri”), apocalisse, cioè la guerra, e la rinascita, ovvero la fine della guerra.

Lowe è uno storico molto noto, ma non accademico, dotato di una grande capacità narrativa. Proprio il fatto di non essere accademico, gli consente un linguaggio molto diretto e di esprimere giudizi anche critici e severi su certe monumentalizzazioni.

I monumenti sono segni materiali della memoria. E i materiali durevoli che li compongono possono diventare imprigionamenti, che li “fissano” nella memoria e quindi li rendono un ostacolo per una rielaborazione del passato o per una nuova visione di esso. Da qui il titolo del libro.

Negli ultimi anni si è aperto un ampio dibattito sui monumenti. Ciò non stupisce, perché i monumenti sono quasi sempre controversi, poiché raccontano solo una storia e vorrebbero che fosse per sempre. In altre parole, essi cristallizzano la memoria        .

Talvolta rappresentano anche una falsificazione della storia, ad esempio il Memoriale eretto a Budapest nel 2017, alle vittime dell’occupazione tedesca, che dimentica il fatto che l’Ungheria fosse alleata della Germania nella seconda guerra mondiale e non vittima dell’aggressione da parte di essa.

I monumenti servono a forgiare il senso dell’identità nazionale (ad esempio “La grande patria chiama!” a Volgograd) o a sottolineare una sorta di vendetta (ed esempio il Marine Corps War Memorial ad Arlington).

Controversa è la categoria degli eroi, poiché sono eroi per il proprio popolo ma criminali per l’altro. Un monumento esemplificativo di questa contraddittorietà è il RAF Bomber Command Memorial di Londra, eretto nel 2012, dopo che la complessa storia dei bombardamenti alleati era stata sviscerata dagli storici. I bombardamenti inglesi contribuirono alla fine della seconda guerra mondiale, e dunque per gli Inglesi i 55573 aviatori morti sono degli eroi, ma causarono circa seicentomila vittime civili, e non solo in Germania.

Discutibile è anche la categoria dei “martiri”. Innanzitutto, essi sono in genere vittime e non martiri, in quanto, nella grande maggioranza dei casi, non muoiono per testimoniare qualcosa o per una propria deliberata scelta. Esempio inserito in questa categoria è il monumento nazionale di Amsterdam o il memoriale del massacro di Nanchino, inaugurato solo nel 1985, non a caso in un nuovo momento di tensione fra Cina e Giappone.

Non esiste un modo giusto per ricordare i criminali della seconda guerra mondiale, si corre il rischio, se ridicolizzati, di non tener conto del dolore delle vittime. Ma anche ricordarli è un’arma a doppio taglio, perché comunque se ne preserva la memoria e si finisce per dare loro maggiore importanza. Questo è il caso della Tomba di Mussolini a Predappio, eretta nel 1957 a 12 anni dalla morte. L’autore la definisce “un santuario e non un museo e la memoria del dittatore fascista non è affidata a un’esposizione ragionata, ma alla vergognosa nostalgia dei suoi apologeti”.

I monumenti all'”apocalisse”, cioè alla devastazione della guerra nascono invece dalla speranza del “mai più”. Ne sono esempio il villaggio di Oradour sur-Glane, immobile nel tempo, dove il calendario si è fermato al 10 giugno 1944, o la Cupola della bomba atomica a Hiroshima che Zenzo Tange ha trasformato da rovina a luogo di rilevanza sacrale.

Per l’autore i monumenti più riusciti sono quelli che trasmettono un messaggio di riconciliazione, di rinascita. A questo proposito è citata la cattedrale di Coventry, dove accanto allo scheletro dell’antica cattedrale bombardata ne è stata costruita una nuova.

In conclusione, i monumenti sono preziose testimonianze storiche che hanno il potere di suscitare qualsiasi tipo di dibattito. Dobbiamo sempre farci i conti. È opportuno contestualizzarli, o creare dei “contro-monumenti”, se si considerano discordanti con la nuova visione della storia e del mondo, ma è gran peccato abbatterli, come si è iniziato a fare nell’Est Europa.

 




Svoltosi a Firenze il Forum Internazionale di Liberation Route Europe (LRE)

Si apre oggi, mercoledì 1° marzo, a Firenze, presso l’Auditorium del Duomo, il Forum Internazionale di Liberation Route Europe (LRE), che vedrà impegnati fino al 3 marzo gli studiosi e le associazioni membri del Network LRE.

Che cosa è Liberation Route Europe? È un memoriale internazionale, è un tracciato di 3500 km che connette attraverso sei paesi i luoghi della Seconda Guerra Mondiale e le loro storie. Si tratta di un percorso da farsi in treno, a piedi e in bicicletta, seguendo i diversi sentieri già esistenti. È un itinerario culturale e turistico della memoria ed una mirabile forma di costruzione di cittadinanza attraverso la public history.

L’associazione Liberation Route Europe nasce nel 2008 nel Brabante, in Olanda, dall’accordo di tre musei locali tra Arnhem e Nimega, per far conoscere la storia della Seconda Guerra Mondiale attraverso la valorizzazione dei luoghi percorsi dagli eserciti alleati. Negli anni successivi si rafforza e si allarga. Costituitasi in fondazione nel 2011, dal 2013 è sostenuta dalle istituzioni europee. Grazie proprio ad un finanziamento europeo, la rete si estende alla Normandia e il 6 giugno 2014, in occasione della celebrazione dello sbarco, viene inaugurato ufficialmente l’itinerario. Oggi la fondazione mette in rete 11 Paesi del continente e oltre 400 partner, , legati da un approccio internazionale e multiprospettico, dal riferimento al patrimonio materiale e immateriale, da intenti di conservazione, approfondimento e promozione, dall’ambizione di incentivare un turismo memoriale stabile e sostenibile per valorizzare la Memoria della Liberazione d’Europa dal nazifascismo con il passaggio delle forze alleate e dei movimenti partigiani.

In occasione del 75° anniversario della fine della guerra, è stato lanciato il programma Europe remembers“, che prevede una nuova interfaccia digitale e un tour promozionale che tocca i vari luoghi coinvolti. Il principale obiettivo è “rendere questa storia importante e accessibile, soprattutto per le giovani generazioni come sottolinea il Presidente per l’Italia, Mirco Carrattieri.

Liberation route Italia è nata nel maggio 2019 come ezione italiana della Fondazione Liberation Route Europe. Ne fanno parte 14 soggetti. Ha sede a Lucca e i suoi membri fondatori sono i comuni di Lucca, Capannori e Borgo a Mozzano, il Parco nazionale della Pace di Sant’Anna di Stazzema e il consorzio di guide turistiche Turislucca. Nel febbraio scorso ha aderito la Regione Toscana, seguita dalla Regione Emilia-Romagna. Ne fanno parte anche i Comuni di Milano, Monsummano Terme, Porcari, Viareggio e poi la Rete Parri, l’associazione Linea Gotica, l’associazione per la Pace di Cassino

Liberation Route Italia ha ampliato la visuale di LRE all’intero percorso degli alleati nel nostro Paese e, più in generale, alla Seconda guerra mondiale, sviluppando quindi itinerari e iniziative su Milano, la Linea Gustav, Roma, la Sicilia e la Linea Gotica.

Per lo storico Paolo Pezzino, presidente dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri -Rete degli Istituti della Resistenza e dell’Italia contemporanea in Italia-, questo lavoro è particolarmente importante per rappresentare «in un quadro unitario» la memoria della Linea Gotica, «troppo sfuggente per le sue caratteristiche di luogo di incontro di soldati di varie nazionalità, di movimenti di partigiani, nonché teatro di stragi, territori dall’alto valore naturalistico e che attraversano più Regioni».

 

 

Dopo le precedenti edizioni a Bruxelles, in Normandia e a Berlino, la scelta del capoluogo della regione come luogo del Forum internazionale questo anno testimonia l’impegno della sezione italiana di LRE e della Regione Toscana.

 

Nella mattina del 1° maro, dopo le parole di benvenuto, sono presentati alcuni dei progetti portati avanti dal team di LRE e partners, ad esempio l’app, già attualmente scaricabile, che fa da guida lungo i sentieri e l’istallazione di 100 segnavia della Memoria, ovvero i «floor vectors of memory» disegnati da Daniel Libeskind.

A seguire la presentazione di buone pratiche con gli interventi di Corentin Rousman, del Memoriale di Mons, in Belgio, Famke Klein, di Barbant Remembers e Jan Szkudlinski del museo di Danzica, in Polonia.

A fine mattina Jordi Guixé, direttore scientifico dell’European Observatory on Memories, ha aperto la sessione intitolata “The Future of the Past: Exploring the Diverse Challenges of World War II Memory in Europe”, esponendo all’uditorio il progetto “Memorial Heritage Mapping”.

 

Nel pomeriggio si sono tenute le conferenze, aperte anche la cittadinanza, sul tema “Resistance: WWII Memory on the Edge”., sotto la moderazione dello scrittore Keith Lowe.

“Scegliere cosa ricordare è un’azione politica. La selezione delle memorie della Seconda Guerra Mondiale può essere pericolosa, perché incrementa il nazionalismo”, esordisce Lowe.

Il discorso di apertura, dal titolo “Doing it Again: How Historical Myth bring War from the Past to Present”, è tenuto Prof. Georgiy Kasianov “tratta della propaganda politica in Russia, con riferimenti all’attualità ucraina, in cui la Seconda guerra mondiale è vantata come una “Great Patriotic War”, facendo leva sul prezzo pagato in tributi umani alla vittoria, sulla resistenza agli invasori, sull’eroismo dei soldati e dipingendo Stalin come un valido e forte leader. Il Prof. Kasianov sottolinea che “quando Putin ora parla di Russia, intende l’USSR” e strumentalizza la guerra passata, vista come un mito, per la militarizzazione presente, utilizzando anche simboli e semantica della retorica anti-occidentale”. D’altro canto sottolinea che “gli storici ucraini hanno scritto la loro storia in contrapposizione ai loro vicini e a coloro del cui stato nel passato facevano parte”.

A seguire una tavola rotonda sul tema “How Does Nationalism Affect Memories of WWII”, cui hanno partecipato Dr. Aron Mathé, storico e vicepresidente del National Remembrance Committee di Budapest, Guri Schwarz, Professore di storia contemporanea presso l’Università di Genova, Dr. Jade McGlynn, ricercatrice presso il Department of War Studies del Kings College di Londra, Kees Ribbens, Professore presso l’Institute for War, Holocaust and Genocide Studies di Amsterdam.

Mathé ha discusso della volontà del suo Paese di tenersi in disparte rispetto al conflitto in Ucraina e ha sottolineato la necessità “non di riscrivere la storia, ma di restaurarla”.

Schwarz ha evidenziato le tendenze di stampo conservatore della memoria pubblica italiana, che celebra, proprio il giorno dopo quello della memoria, gli Alpini scegliendo come data quella della battaglia di aggressione di Nikolajewka, celebra il diviso Giorno del Ricordo il 10 febbraio e celebra anche, unico paese oltre alla Germania, la caduta del Muro di Berlino.

McGlynn ha trattato del nazionalismo britannico alla base della Brexit e

Ribbens ha denunciato l’incremento negli ultimi dieci anni dei partiti di stampo nazionalistico in Olanda.

La seconda tavola rotonda, dedicata al tema “WWII Memory: Dealing with Political Pressure” ha visto intervenire Prof. Pawel Machcewiz, docente presso l’Institute of Political Studies presso la Polish Academy of Science a Varsavia, Dr. Kaja Širok, storica presso la School of Humanities dell’Università di Nuova Gorica, Dr. Gundula Bavendamm, Direttrice del Documentation centre for Displacement, Expulsion and Reconciliation a Berlino.

Machcewiz racconta le polemiche relative al nuovo museo della Seconda guerra mondiale a Varsavia, accusato “to attent the Polish nation”, per cui il museo è stato chiuso e lui, in qualità di Direttore, è licenziato. La politica “right oriented” e nazionalistica, che ha preso piede negli ultimi otto anni in Polonia, ostacola il pluralismo e tende a conformare la storia all’orientamento del governo.

Anche la Dottoressa Širok nel 2022 ha avuto “political troubles” come Direttrice del Museo Nazionale in Slovenia: è stata screditata sui media e poi rimossa dal suo ruolo per “lack of patriottism”.

A Berlino nel 2017 è stato creato il nuovo Documentation centre: la Direttrice parla delle pressioni politiche subite, che hanno portato al fallimento di alcuni progetti. In ciò ha giocato un ruolo anche l’arrivo dei rifugiati dalla Siria.

Dunque come difendere l’autonomia dei musei, dei centri di ricerca e della stoia più in generale? Širok risponde che in ogni luogo espositivo si deve rappresentare anche “il punto di vista degli altri” e che la narrativa nazionale va costruita “from down to up”.

Alla domanda “quale museo a tuo avviso rappresenta in modo più pluralistico e scientificamente accurato la storia?” Bavendamm risponde il City Museum di Londra, Širok, il Parlament Museum a Manhattan, Machcewiz il Mémorial de la Grande Guerre a Peronne.

Chiude la giornata l’intervista a Katrin Himmler, nipote di Ernst Himmler, fratello minore di Heinrich Himmler, politologa, e autrice del libro The Himmler Brothers: A German Family History. La prima domanda che le viene posta è “saresti capace di metterti nei panni del fratello di tuo nonno?”. La risposta è no, anche se dice che è facile dare oggi questa risposta. Le viene poi chiesto se ha conosciuto suo nonno o il suo prozio, ma risponde che entrambi sono morti nel 1945 e che ha conosciuto solo la nonna, la quale si è sempre rifiutata di parlare del passato. Guardando alla Germania di oggi, afferma che tuttora c’è un grande gap fra la memoria collettiva costruita dallo Stato per decostruire il nazismo e quella familiare riguardo alla seconda guerra mondiale.

Alle 18 si sono conclusi i lavori, ma resta il dubbio che gli storici di professione riescano a sottrarsi alle pressioni e alla censure dei politici di turno.

 




Giorno della Memoria: Consiglio regionale solenne al Museo della Deportazione

Venerdì 27 gennaio, nell’ambito delle celebrazioni del GIORNO DELLA MEMORIA si è tenuta la SEDUTA SOLENNE DEL CONSIGLIO REGIONALE DELLA TOSCANA presso il Museo della Resistenza e della Deportazione a Figline di Prato, membro dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri, rete degli Istituti storici della Resistenza e dell’età contemporanea.
Ha aperto la seduta Antonio Mazzeo, Presidente dell’assemblea legislativa, dicendo: “Non è una prassi uscire dalle aule del Consiglio regionale, ma da oggi vogliamo prendere l’impegno di celebrare questa ricorrenza in uno dei luoghi simbolo delle violenze nazifasciste e della gloriosa Resistenza in Toscana” e dichiara l’impegno della Regione, anche in futuro, per perpetuare la memoria della Shoah: “La Toscana continuerà a lavorare, soprattutto con i giovani, per fugare le paure espresse, nella presentazione degli eventi di commemorazione a Milano il 24 gennaio, dalla Senatrice a vita Liliana Segre, la quale ha detto: “Il pericolo dell’oblio c’è sempre. Una come me ritiene che tra qualche anno sulla Shoah ci sarà una riga tra i libri di storia e poi più neanche quella”. Mazzeo conclude, metaforicamente, citando il partigiano Silvano Sarti -comandante Pillo- : “noi si va a tirare secchiate d’acqua, qualcuno, tu vedrai, si bagnerà“.
L’attenzione della Regione Toscana verso l’educazione civica dei giovani è ribadita da Alessandra Nardini, assessora alle politiche della memoria, che afferma con soddisfazione: “Questa mattina 400 studenti hanno partecipato al Meeting della Memoria presso il cinema Teatro della Compagnia a Firenze alla presenza di due deportate che ad Auschwitz entrarono da bambine: Tatiana Bucci e Kitty Braun Falaschi“.
Parla poi Matteo Biffoni, sindaco di Prato: “Questo luogo ci consente di dare una risposta al timore della Senatrice Segre, perché qui siamo in un uno straordinario luogo di studio, documentazione e ricerca storica, nel quale ogni giorno passano scolaresche e ricercatori“. Con orgoglio sottolinea anche che la città di Prato è gemellata da 35 anni con Ebensee, sottocampo di Mauthausen, dove è morta la maggior parte dei deportati pratesi.
Poi Aurora Castellani, Presidente del Museo, ripercorre le tappe della nascita e della crescita del museo dalla sua fondazione ad opera di Roberto Castellani insieme ad altri deportati politici toscani. Asserisce poi: “La memoria è un dovere, non è un qualcosa di innato, ma va costruita e coltivata. La memoria è anche un diritto e deve far parte integrante dell’istruzione. La memoria è il nostro bene comune immateriale“.
L’orazione ufficiale è affidata al Professor Paolo Pezzino, già ordinario di Storia contemporanea presso l’Università di Pisa e attualmente Presidente dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri. Riportiamo parte del suo discorso: “Il XX secolo ha visto molti genocidi e massacri di massa di particolari gruppi sociali, ma indubbiamente il genocidio più ‘esemplare’ è rappresentato dallo sterminio degli ebrei attuato dalla Germania nazista e dai suoi alleati fra il 1941 e il 1945:
circa sei milioni di ebrei assassinati, cioè i due terzi degli ebrei d’Europa. Il 27 gennaio del 1945 veniva liberato il campo di Auschwitz: gli orrori dello sterminio nazista degli ebrei venivano così rivelati al mondo intero (anche se in seguito abbiamo appreso che molti, in realtà, già sapevano, anche nel mondo libero, e niente, o poco, fecero per intervenire, bloccare, o almeno denunciare). A distanza di oltre mezzo secolo, nel 2000, il Parlamento italiano ha accolto la proposta dell’assemblea dell’ONU e varato una legge (la n. 211 20 luglio 2000), che istituisce, in quella ricorrenza, la Giornata della memoria”. La legge prevede che ogni anno, in quel giorno, vengano organizzate manifestazioni per ricordare ‘le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio e, a rischio della propria vita, hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati’. Sono passati ormai 23 anni, e ogni anno il numero di iniziative promosse da istituzioni, istituti di cultura, università, associazioni cresce. E allora perché l’allarme della senatrice Liliana Segre? Il punto è che ‘il ricordo per legge’ corre sempre il rischio dell’assuefazione, della ripetitività, della stanchezza. Di trasformarsi in un esercizio rituale. L’eccesso di offerta può avere le stesse conseguenze della scarsità di offerta. Anche per uno studioso specialista è ormai difficile seguire e assimilare le pubblicazioni che ogni anno escono in occasione del giorno della memoria. Poi si è puntato sui testimoni, i sopravvissuti. Giusto e doveroso. Ma se le testimonianze non si accompagnano alla conoscenza della storia, svanito l’indubbio impatto emotivo nei confronti soprattutto dei giovani delle scuole, la capacità di comprendere come sia stato possibile non viene sensibilmente rafforzata. Oltretutto cosa faremo quando inevitabilmente i testimoni non potranno più narrare le loro esperienze? E ancora. Soprattutto in Italia permangono tesi autogiustificatorie: l’antisemitismo sarebbe di importazione dalla Germania, e non un prodotto originario della dittatura fascista. Di questa ultima si tende a dare una visione riduttiva, quasi fosse un regime ‘bonario’, se non fosse stato per quella (in questa ottica inspiegabile) adesione alle teorie razziste. La società italiana non sarebbe stata razzista. Si dimentica così l’antigiudaismo diffuso dalla Chiesa cattolica (certo non su base etnica, perché restava sempre la possibilità della conversione), che predispose all’accettazione di politiche discriminatorie e persecutorie. Va poi sottolineato il nazionalismo acceso, che puntava a identificare la nazione con una presunta razza italiana. Nel discorso del 26 maggio 1927, noto come Discorso dell’Ascensione, Mussolini affermò che voleva ‘curare […] la razza italiana, cioè il popolo italiano nella sua espressione fisica’. Nel codice Rocco, a proposito Dei delitti contro la integrità e sanità della stirpe, leggiamo ‘è interesse che ha la nazione, come unità etnica, difendere la continuità e la integrità della stirpe […] ogni atto diretto a sopprimere o isterilire le fonti della procreazione è un attentato alla vita stessa della razza nella serie delle generazioni presenti e future che la compongono e quindi un’offesa all’esistenza stessa della società etnicamente considerata […] all’integrità e continuità della razza, elemento essenziale della vita della nazione e dello Stato’. E non bisogna dimenticare il razzismo coloniale: prima dell’invasione dell’Etiopia nell’estate del 1935 Mussolini scrisse ‘noi fascisti riconosciamo l’esistenza delle razze, le loro differenze e la loro gerarchia’. Le gambegi contro il madamato miravano proprio ad evitare il formarsi ‘di una generazione di mulatti in Africa orientale’. Il razzismo, nella forma di antisemitismo, si manifesta nel Discorso di Trieste, il 18 settembre 1938, di Mussolini: ‘L’ebraismo mondiale è stato, durante sedici anni, malgrado la nostra politica, un nemico irreconciliabile del Fascismo […] Nei riguardi della politica interna, il problema di scottante attualità è quello razziale; anche in questo campo noi adotteremo le soluzioni necessarie. Coloro i quali fanno credere che noi abbiamo obbedito ad imitazioni, o peggio, a suggestioni, sono dei poveri deficienti, ai quali non sappiamo se dirigere il nostro disprezzo o la nostra pietà […] In relazione con la conquista dell’Impero, poiché la storia ci insegna che gli imperi si conquistano con le armi ma si tengono con il prestigio, occorre una chiara, severa coscienza razziale che stabilisca non soltanto delle differenze ma delle superiorità nettissime’. Ma torniamo alla legge del 2000. Evidenti i limiti della sua formulazione: si ricorda ovviamente la Shoah, la persecuzione italiana degli ebrei, la deportazione politica, ma si scordano altre categorie: in primo luogo Rom e Sinti, gli unici, oltre agli ebrei, perseguitati su base razziale: 500.000 morti nei campi di sterminio nazisti, ma la persecuzione è stata anche in Italia. Inoltre si ricordano coloro che si opposero al genocidio, ed è giusto, ma dobbiamo sottolineare che la reazione degli italiani fu per lo più l’indifferenza. Ricorda Liliana Segre che quando fu portata da San Vittore al binario 21 della stazione di Milano, il 30 gennaio 1944, da dove fu avviata al campo di Auschwitz-Birkenau, durante il tragitto non vi fu un solo gesto di solidarietà dei milanesi. Commenta Ferruccio De Bortoli sul Corriere della sera del 25 gennaio: ‘I camion dal carcere di san Vittore – con il loro carico di vite, tra cui quella di Liliana Segre – diretti verso la stazione centrale sfilarono in una Milano con le persiane chiuse. Ignara, impaurita’. Per ogni ebreo salvato dall’aiuto di persone ‘giuste’ ve ne fu più di uno arrestato per delazione di chi condivideva la politica razzista o voleva impadronirsi dei suoi beni. Forse poi, per l’Italia, sarebbe stato più opportuno scegliere un’altra data per commemorare la Shoah: il 16 ottobre. Infatti quel giorno nel 1943 alle 5.15 del mattino le SS invadono le strade del Portico d’Ottavia e altre zone di Roma, utilizzando i dati sul censimento degli ebrei che gli Italiani avevano loro fornito; rastrellano 1024 persone, tra cui 207 bambini. Due giorni dopo, alle 14.05 del 18 ottobre, diciotto vagoni piombati partono dalla stazione Tiburtina. Dopo sei giorni arrivano al campo di concentramento di Auschwitz, in territorio polacco. Solo quindici uomini e una donna, Settimia Spizzichino, hanno fatto ritorno a casa dalla Polonia. Nessuno dei duecento bambini è mai tornato. La maggior parte dei viaggi intrapresi dagli ebrei dall’Italia fu senza ritorno: su poco meno di 7.800 deportati solo 837 sopravvissero. Su 733 bambini solo 121 ritornarono dai campi. Infine ricordiamo che i genocidi non sono solo un ricordo del passato: in Ruanda nel 1994 sono stati sterminate centinaia di migliaia di cittadini di etnia tutsi da parte dello Stato controllato dall’etnia hutu, e nei territori dell’ex Jugoslavia, nel corso del processo di definizione dei confini dei nuovi stati sorti in quell’area, sono state messe in atto, a partire dal 1992, operazioni di ‘pulizia etnica’ ed è stato perpetrato il genocidio dei maschi adulti bosniacchi a Srebrenica nel luglio 1995 da parte dei serbi. Insomma, il ‘mai più’ che ogni 27 gennaio risuona nelle manifestazioni di commemorazione è un auspicio che ad oggi non si è ancora realizzato. E solo la conoscenza critica del passato, unita alla memoria trasmessa dalle vittime, potrà formare dei cittadini attenti a riconoscere, nei nazionalismi accesi che stanno nuovamente diffondendosi nel mondo, i possibili segnali di future tragedie”.
In conclusione della celebrazione, viene citato Primo Levi: “Auschwitz è fuori di noi ma intorno a noi, è nell’aria. La peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia“.
Troviamo un vaccino!




2 nuovi strumenti culturali online per la storia del lavoro a cura della Fondazione Valore Lavoro

Arrivati in rete due nuovi strumenti culturali e scientifici. Il portale https://storialavorotoscana.it/ contenente un notiziario sugli eventi e una mappatura della storia del lavoro per ciascuna provincia toscana, con relativi luoghi, enti, musei, fonti reperibili (realizzato da Federico Creatini grazie a una Borsa con l’ Università di Pisa. Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere ) e il sito https://archiviostorico.archiviolavorotoscana.it/, raggiungibile anche dal primo, che contiene già 10 inventari di archivio navigabili (grazie a Leila Harkat ) di cui uno interamente digitalizzato. Nel corso del 2023 vi saranno inseriti altri sei archivi, di cui uno interamente digitalizzato (grazie a Elena Zanchi e Luisa Ciardi ). Il portale e il database sono aperti alla partecipazione dei soggetti culturali del lavoro operanti sul territorio regionale.
Il progetto è stato realizzato dalla Fondazione Valore Lavoro insieme al Centro di documentazione archivio storico CgilToscana grazie al contributo del Ministero della Cultura Direzione generale educazione, ricerca e istituti culturali.




Nascono gli annali della FVL. Il primo della serie, LabOral, è dedicato a storia orale, lavoro e public history

La Fondazione Valore Lavoro è felice  concluso il 2022 con il primo numero di, A òpra. Annali di storia e studi della Fondazione Valore Lavoro.

Questa nuova collana promossa dalla FVL si propone come uno spazio scientifico di discussione e di interfaccia fra la pluralità di reti e situazioni che si occupano di studiare il lavoro in chiave interdisciplinare, nel passato più lontano come nel recente presente, e i soggetti che del lavoro sono espressione, senza dimenticare che la ricerca nelle scienze storiche, umane e sociali svolge un ruolo essenziale in termini di politica culturale e civile nell’integrazione democratica del Paese. La scelta del nome, A òpra, al lavoro, attraverso un toscanismo linguistico rurale comprensibile al di là del vernacolo locale intende restituire l’idea di una messa all’opera in cui l’attività svolta è dotata di un senso complesso e profondo, non solo circoscritto da dominio, fatica e necessità ma anche da identità e rappresentazione del sé nel mondo, un mondo molto più vasto della singolarità soggettiva.

Il primo numero, LabOral. Storia orale, lavoro e Public History, curato da Stefano Bartolini contiene gli atti del convegno del 2021 organizzato insieme alla Società italiana di storia del lavoro e all’Associazione italiana di storia orale.

L’edizione elettronica è disponibile dal 26 dicembre sul sito dell’editore ed.it press e sulla piattaforma Torrossa. Quella cartacea sarà acquistabile dai primi di gennaio.

Qui sotto trovate l’indice del primo numero e in allegato la presentazione del progetto editoriale a cura del direttore Pietro Causarano.

LabOral. Storia orale, lavoro e Public History

Il senso di fare degli annali di storia e studi sul lavoro

Pietro Causarano

La storia orale e il lavoro: un terreno fertile

Stefano Bartolini

Parte prima. Tra archivi, metodi e contenuti

Il lavoro tra fonti orali, sonore e musicali. Lo stato dell’arte in Italia

Elisa Salvalaggio

Studiare il lavoro con le fonti orali e audiovisive

Giovanni Contini

Non solo interviste. L’osservazione partecipante in una ricerca fra i braccianti africani a Saluzzo

Marco Buttino

Parte seconda. Storie del lavoro

Storia del lavoro e storia dei lavoratori

Stefano Musso

Fonti orali e processi produttivi: i lavoratori abruzzesi delle corde armoniche

Riccardo De Robertis

Dopo il tabacco, la Svizzera. L’ultima stagione delle tabacchine leccesi

Maria Concetta Cappello

Una “banda” di brave ragazze. L’occupazione della Conber tra il 1975 e il 1976

Sonia Residori

Raccontare la ristrutturazione. Il cantiere navale Breda di Porto Marghera tra anni Settanta e Ottanta

Alberto Scaggiante

Una lavoratrice può fare l’attrice? Sfide metodologiche nell’analisi dell’intervista a Marina Euzébio, attrice della produzione teatrale “O Último Carro”

Natalia Batista

Parte terza. Verso la Public History

L’orizzonte della Public History

Lorenzo Bertucelli

Le lotte del Cormôr. Un esempio di recupero e valorizzazione di un archivio orale

Renato Rinaldi

La memoria e i social network. Una frontiera epistemologica per lo studio della storia del tempo presente

Camillo Robertini

Indice dei nomi




Online sul sito ISRT il nuovo Contest “Next Generation Florence 2022: gioventù ribelle”

3° edizione contest “Next Generation Florence 2022: gioventù ribelle”
Anno scolastico 2022/2023
L’Istituto Storico Toscano della Resistenza e dell’Età contemporanea (ISRT), nell’ambito dell’attività culturale triennale sostenuta dal Comune di Firenze e in collaborazione con MAD – Murate Art District bandisce, per l’anno scolastico 2022/2023, la seconda edizione del contest Generation Florence 2020, denominato

Next Generation Florence 2023: le nostre Resistenze

rivolto alle/gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado del Comune di Firenze.

Sul sito ISRT i dettagli e il bando

– ISRT (istoresistenzatoscana.it)




Sul sito ISRT l’esito della 2° edizione contest “Next Generation Florence 2022: gioventù ribelle” Anno scolastico 2021/2022

L’Istituto Storico Toscano della Resistenza e dell’Età contemporanea (ISRT), nell’ambito dell’attività culturale triennale sostenuta dal Comune di Firenze e in collaborazione con MAD – Murate Art District ha bandito, per l’anno scolastico 2021/2022, la seconda edizione del contest Generation Florence 2020, denominato

Next Generation Florence 2022: gioventù ribelle

CONCORSO VINCITORI

La giuria, dopo attenta valutazione, ha così scelto gli elaborati vincitori fra quelli pervenuti in questa edizione:

1° CLASSIFICAT* CATEGORIA FOTOGRAFIA: Sofia Iacolare, Saremo Tempesta

1° CLASSIFICAT* CATEGORIA NARRATIVA: Sara Morandini, DCA

2° CLASSIFICAT* CATEGORIA NARRATIVA: Benedetta Franceschini, senza titolo

3° CLASSIFICAT* CATEGORIA NARRATIVA: Neri Bartolozzi, Re-esistenza

Sul sito ISRT sono liberamente consultabili gli elaborati.

Il Direttore e la segreteria si congratulano con i vincitori per l’originalità dei loro elaborati e l’aderenza al tema proposto. Ancora complimenti!