“Emigrazioni, immigrazioni e migrazioni interne nella storia d’Italia e nell’integrazione europea.”

Il corso è rivolto ai docenti, ma è aperto a tutti gli interessati, e rilascia un attestato riconosciuto dal MIUR.

Date e sedi:

Orario: 15.00-18.00

Totale ore: 9

Costo: 50 € (pagabile con la carta docente)

Scadenza iscrizioni: 31 ottobre

Per info e iscrizioni: isreclucca@gmail.com




“Sui viali a mare… erano cresciuti i girasoli.”

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO IL COMUNICATO STAMPA SULLA MOSTRA CURATA DA STEFANO BUCCIARELLI (ISRECLU) IN OCCASIONE DEL 75° ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE DI VIAREGGIO.

Ricorre quest’anno il 75° anniversario della Liberazione della città. Tra le iniziative in programma per la celebrazione dell’evento, un posto di rilievo avrà la Mostra storico-documentaria “Sui viali a mare … erano cresciuti i girasoli”, che farà rivivere fatti, personaggi e avvenimenti, epopea e drammi che accompagnarono anche nella nostra città la fine dell’occupazione tedesca, la fine del fascismo, la fine della guerra, la conquista della libertà e della democrazia.

 La Mostra vede l’impegno congiunto del Comune di Viareggio, della sezione ANPI di Viareggio e dell’Istituto storico della Resistenza e dell’Età contemporanea (ISREC) in provincia di Lucca, che ne ha espresso il Comitato scientifico e il cui presidente, il prof. Stefano Bucciarelli, è il curatore della stessa. Una analoga esposizione, per la medesima cura, ebbe luogo – molti lo ricorderanno – nel 2004, per il 60° anniversario. La Mostra presentata quest’anno riprende quella iniziativa, ma non ne è una semplice riedizione. Molte sono infatti le novità, frutto di ricerche che negli ultimi anni sono state condotte in primo luogo proprio dall’ISREC. Il percorso della Mostra si snoda dal 25 luglio 1943 (caduta del fascismo) all’estate del 1946, chiudendosi con i risultati della triplice consultazione elettorale di quell’anno – elezioni finalmente libere e a suffragio universale – e con l’inizio dell’amministrazione di Sandrino Petri. Ci sono anche un paio di pannelli di flashback, dedicati all’“antifascismo dei viareggini”: quello “storico”, di chi provò ad opporsi all’avvento del fascismo, e quello che covò sotto la cappa del regime, documentato da nuove ricerche condotte sul Casellario Politico Centrale e su personaggi come il prof. Giuseppe Del Freo.

Molti sono i temi che si intrecciano lungo il percorso della Mostra. Prima di tutto il visitatore è accompagnato a meditare sulle sofferenze della città, occupata dai tedeschi, colpita dai bombardamenti, forzosamente evacuata. Restò una città abbandonata, dove Giovanni Pieraccini, rientrato subito dopo la Liberazione da Firenze con la moglie Vera, si incantava stupito a notare che: “Sui viali a mare … erano cresciuti i girasoli” (è il titolo della mostra che con questa citazione rende appunto omaggio al senatore recentemente scomparso). In questa città gli abitanti fecero lentamente ritorno, per constatare le distruzioni, per rimboccarsi le maniche, per ripartire.

Nei vari pannelli della mostra, insieme con la città, i protagonisti sono proprio i cittadini, con i loro comportamenti, le loro scelte: in primo luogo la scelta della Resistenza, che scrisse pagine di impegno e di sacrificio. Non si parla però solo di Resistenza organizzata e armata, ma anche di resistenza civile, resilienza, aiuto a chi ne aveva bisogno, sforzo di sopravvivenza, desiderio di pace. Ci sono le deportazioni patite, come nel resto d’Italia, per effetto della volontà razzista e persecutoria dei nazisti, appoggiata con convinzione dai fascisti repubblicani; c’è la persecuzione razziale contro gli ebrei (con vittime, anche tra i viareggini, della Shoah), la persecuzione politica, la deportazione di massa per il lavoro coatto. Ci sono le stragi, gli eccidi, le singole uccisioni che costellarono quella vera e propria striscia di sangue che accompagnò la “ritirata aggressiva” dei tedeschi. Un “calendario” della Liberazione evidenzia in un pannello i contributi delle divisioni degli Alleati e delle formazioni partigiane della zona. Infine, i momenti conclusivi della mostra sono dedicati al dopoguerra, con i suoi problemi, insieme con la volontà di rinascita che animò allora Viareggio e i viareggini. Un particolare rilievo è in questo contesto dedicato alla emblematica tragedia dello scoppio delle mine del 18 luglio 1945, sulla ricostruzione della quale si annunciano interessanti novità: la più importante è la pubblicazione, in uno speciale pannello, per la prima volta dopo 74 anni, insieme ai nomi delle vittime civili italiane, dei nomi dei militari americani morti in quell’incidente.

La Mostra sarà inaugurata lunedì 16 settembre, a Villa Paolina, alle ore 17.30 e rimarrà aperta fino al 30 ottobre, periodo nel quale sono previste anche numerose iniziative collaterali. Gli orari di visita al pubblico saranno quelli di apertura di Villa Paolina e cioè: da martedì a sabato, ore 15.30 – 19.30; domenica: 9.30-13.30 e 15.30 – 19.30.

La Mostra sarà visitabile dalle scolaresche (terza media e scuole superiori) anche al mattino, con visita guidata curata dall’Istituto storico della Resistenza, previa prenotazione da effettuare all’indirizzo: isreclucca@gmail.com.

Programma della mostra




La rete degli Istituti toscani della Resistenza e dell’età contemporanea a DIDACTA

La rete degli Istituti della Resistenza e dell’età contemporanea presenti in Toscana sarà presente a DIDACTA, l’importante Festival nazionale della didattica, che si terrà a Firenze alla Fortezza da Basso dal 9 all’11 ottobre, all’interno dello stand della Regione Toscana.

Gli insegnanti potranno quindi chiedere e ricevere informazioni sulla realtà e le attività degli Istituti e sulle rispettive offerte didattiche.

Gli Istituti proporranno tre seminari di formazione:

9 ottobre: ore 16.00-17.00

Una web-serie per (ri)scoprire la Costituzione!

Relatori:

Monica Rook (istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea)

Matteo Mazzoni (istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea)

Da Sant’Anna di Stazzema a Piombino, da Barbiana a Firenze, 4 ragazzi, due studenti e due lavoratori, e una professoressa attraversano luoghi simbolo della Toscana. Rivivono così le trasformazioni dei decenni dell’Italia repubblicana, attraverso visite e incontri con testimoni e riflettono sui principi fondamentali della Costituzione: pace, uguaglianza, beni comuni, diritto al sapere, partecipazione.. questa la trama della web-serie, prodotta da Regione Toscana e Istituti della Resistenza, oggetto del seminario in quanto potenziale strumento per una didattica innovativa di Cittadinanza e Costituzione.

 

10 ottobre: ore 15.00-16.00

I luoghi delle memorie delle deportazioni: dalla Toscana alla Germania. Ipotesi di viaggi di istruzione.

Relatori:

Enrico Iozzelli, Museo della Deportazione e della Resistenza (Prato)

Rappresentante dell’Istituto della Resistenza e della società contemporanea di Livorno

Nella stagione che segna la fine dei testimoni, i luoghi assumono una funzione didattica essenziale sulla quale confrontarsi con gli insegnanti. Il seminario intende riflettere su tale assunto, tanto più significativo nella Regione del Treno della Memoria, offrendo una panoramica dei luoghi più significativi dalla Germania (Berlino) a mete più vicine (Fossoli, Prato) fino alle pietre d’inciampo che segnano molti territori e città toscane, ricordando di come il sistema concentrazionario e le deportazioni abbiamo permeato la nostra storia. Si vuole così anche offrire spunti per possibili viaggi di istruzione significativi per la formazione dei ragazzi.

 

11 ottobre: ore 15.00-16.00

Storie e confini: il Novecento del caso alto-adriatico e oltre

Relatori:

Luciana Rocchi, Istituto della Resistenza e dell’età contemporanea di Grosseto

Roberto Rossetti, Istituto della Resistenza e dell’età contemporanea di Lucca

Conoscere la storia dell’Alto adriatico nel Novecento significa non solo indagare una pagina ancora poco nota della storia nazionale ed Europa, ma anche interrogarsi sui grandi nodi del “secolo breve” e del tempo presente: guerre, nazionalismi, ideologie, spostamenti di popolazioni. Il seminario intende farlo a partire dal progetto di formazione didattica del viaggio studio al “confine orientale” promosso da Regione Toscana. Ma anche riflettendo sulle storie degli esuli fiumano-dalmati in Toscana a partire dal caso di Lucca: laboratori di studio interessanti per una didattica innovativa che stimoli il protagonismo dei giovani nella conoscenza del proprio territorio e della sua storia.

 

La partecipazione ai seminari è gratuita, ma per partecipare è necessario pagare il biglietto di ingresso a DIDACTA.

 

Per iscriversi ai seminari:

http://eventi.fieradidacta.it/EventiEspositori.aspx#ris

Il percorso generale da seguire è il seguente:

http://eventi.fieradidacta.it/ selezionare “Eventi di Enti e Aziende”

sotto le tendine “giorno”, “titolo evento” “organizzatore” c’è una stringa grigia “Eventi Regione Toscana” biffandola e cliccando sul tasto “Cerca” si apriranno tutti i seminari organizzati da Regione Toscana. Si precisa che il programma è ancora in fase di implementazione.

Gli eventi di Regione Toscana sono anche visionabili in una specifica pagina del sito di Regione Toscana, http://www.regione.toscana.it/-/regione-toscana-didacta-2019-programma nel quale a breve saranno  inseriti anche i programmi di ciascun seminario.

 

 




A Viareggio l’ISREC presenta il libro Mio zio don Camillo, mio nonno Peppone… di Donato Ungaro

Nella cornice liberty di Villa Argentina a Viareggio mercoledì 22 Maggio alle ore 17 l’ISREC di Lucca ha organizzato, in collaborazione con il Comune, la presentazione del libro Mio zio Don Camillo, mio nonno Peppone…. e la storia continua, 18 racconti scritti dal giornalista attivo nella lotta alla mafia Donato Ungaro, che a Brescello ha vissuto.

Ungaro è un grande appassionato dell’opera di Guareschi e aveva già pubblicato nel 1989 La Milano mia e di Giovannino, Tredici fotografie da me scattate a Milano, negli anni Ottanta, e accompagnate da altrettanti brani di Giovannino Guareschi (Editrice Castello, introduzione di Carlotta e Alberto Guareschi), in cui ad ogni foto scattata a Milano e dintorni l’autore associa il volume e il capitolo da cui è tratto il brano che accompagna ogni immagine.
Nel 2010 Ungaro ritorna su Guareschi nel libro Egregio ingegner Giuseppe Bottazzi, undici racconti ambientati nella Bassa, che vedono come protagonista un giovane ingegnere, che ha ereditato dal nonno non solo una casa, in un paese in riva al Po, ma anche il nome e il cognome: Giuseppe Bottazzi. L’ingegner Bottazzi lavora in Germania ma un giorno viene richiamato al paese per esumare la salma del nonno. La sua vita si intreccia così con quella di Cesira, una missionaria laica che aveva uno zio prete di cui è rimasta l’unica discendente. Anche lei viene chiamata dal municipio per esumare la salma dello zio. Nell’ufficio del sindaco i due s’incontrano…. Il seguito della storia si snoda in undici racconti.

L’idea di questo libro e del successivo gli è venuta -racconta Ungaro- quando faceva il vigile a Brescello e un giorno viene fermato da una donna che gli chiede indicazioni per il cimitero cittadino. Lui gliele dà, ma poi, preso dalla curiosità, chiede perché le interessi recarsi lì. Ella risponde: “per visitare le tombe di Peppone e Don Camillo!”. Quando Donato le spiega che non sono persone realmente esistite (e dunque inumate) ma personaggi frutto di finzione letteraria, la donna mostra lo stesso stupore che si impadronisce dei bambini quando scoprono che Babbo Natale non esiste. Riflettendo che è proprio una tomba che distingue una persona in carne ed ossa da una di carta, Ungaro decide di partire proprio dalla riesumazione per ridare “vita” ai mitici personaggi di Guareschi.

Così nel 2016 la “saga” continua con altri 18 racconti (quelli presentati a Lucca) mezzo secolo dopo, in quel borgo padano dove il tempo sembra essersi fermato e dove tornano ad alternarsi odio e amore, battaglie e alleanze, auto d’epoca e biciclette, falci e campane.

I racconti abbracciano anche temi di grande attualità: dall’integrazione multietnica al racket delle prostitute, dalle escavazioni abusive lungo il Po alla solidarietà bipartisan verso una bambina malata. Perché la Bassa è, prima di tutto, un luogo dell’anima.




Ungaro, eroe dei nostri tempi: il suo dovere civico sulla legalità si fa lezione grazie all’ISREC Lucca

Donato Ungaro il 22 maggio è stato ospite del Liceo Chini Michelangelo di Lido di Camaiore di mattina e dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età contemporanea di Lucca, presso Villa Argentina a Viareggio, nel pomeriggio per parlare di legalità, anche in occasione della giornata ad essa dedicata il 23 maggio, ricorrenza della strage di Capaci.

Ungaro parla di mafia ripercorrendo anche la propria vicenda biografica insieme ai fatti criminali che hanno visto come teatro di infiltrazioni mafiose la bassa padana. “Sulla mafia chiunque può dire qualsiasi cosa; basta che non dica la verità…“:

La storia di Donato comincia a Brescello, dove lavorava come vigile urbano e giornalista della Gazzetta di Reggio. Ma la visione bucolica di paese di Peppone e don Camillo ha lasciato il posto a quella nera della criminalità organizzata. Se digitiamo su Google Brescello m, ancor prima che museo di Beppone e Don Camillo, il motore di ricerca suggerisce la parola “mafia”. Infatti il comune di appena 5 622 abitanti (di cui oltre 400 provenienti tutti da Cutrio, in Calabria) è stato il primo in Emilia Romagna ad essere sciolto, nel 2016, per accertati condizionamenti da parte della criminalità organizzata (e poi commissariato) “Forme di ingerenza della criminalità organizzata avrebbero esposto l’amministrazione a pressanti condizionamenti”, si legge in una sentenza del Tar. Proprio Ungaro ha portato alla luce attraverso i suoi articoli, che toccano temi scottanti e inediti -scritte sui portoni, minacce, cocaina sequestrata, riciclaggio di rifiuti tossici, scavi illegali di sabbia etc.- come Brescello (dicono le carte dei processi Edilpiovra e Aemilia) sia diventato la base operativa dei clan per quanto riguarda il riciclaggio di denaro e il traffico di droga.

Donato è un vigile serio e multa Diletto Alfonso, ora al 41bis, per sosta vietata nella piazza del paese e la multa gli viene platealmente strappata davanti perché la mafia ha bisogno di ostentare forza e impunità.

Brescello è un feudo della famiglia Coffrini: dapprima Ermes, il padre, fa il sindaco per il 19 anni, poi Marcello, il figlio, fa per 10 anni l’assessore per poi diventare a sua volta sindaco, fino allo scioglimento per mafia. Siamo nel 2002 e il paese si è riempito di nuove imprese edili cutresi e si costruisce a ritmi vertiginosi: spunta un quartiere di villette, che tutti scherzosamente chiamano “Cutrello”, perché tutti gli imprenditori calabresi abitano lì. Compreso Francesco Grande Aracri, il fratello maggiore del boss della ‘ndrangheta cutrese Nicolino Grande Aracri. Serve tanta sabbia per l’edilizia e la ditta di Bacchi la notte scava illegalmente nel letto del fiume per rivendere la sabbia in nero. “quell’imprenditore si nascondeva nella luce”, dice Donato, che filma tutto. Il video, dove si vede la draga in azione, finisce alle Iene e in Procura. Qualche giorno dopo qualcuno taglia le gomme dell’auto di Donato, per due volte di fila, di notte, proprio davanti alla caserma dei Carabinieri. Intanto un uomo avvicina Donato e, con il sorriso sulle labbra e accento calabrese, lo esorta a lasciar perdere, a scrivere d’altro. Però lui, a smettere di scrivere, non ci pensa proprio e inizia ad indagare sul riciclaggio di scorie di fonderia e scarti di altoforno che sempre la ditta Bacchi “semina” sotto il manto stradale. Praticamente in tutti i cantieri della ditta, da Reggio a Mantova, si fa uso di Tenax, scorie di acciaieria.  Nel 2002 l’ARPA preleva dei campioni di Tenax e li analizza: i valori di alluminio, antimonio e piombo superano i limiti di legge, il suolo presenta sforamenti dei parametri di cadmio, nichel e zinco. Ungaro scrive e poi pubblica anche un articolo su un progetto di una centrale elettrica a turbogas, su cui avevano messo gli occhi anche gli imprenditori di “Cutrello”. Se l’affare va in porto, le royalty faranno triplicare ogni anno il bilancio del comune. Ma l’Ansaldo, per costruirla, vuole l’appoggio della popolazione. Ma nel frattempo Ungaro scopre che chi vive lungo la strada della Cisa si ammala di varie forme tumorali: nei precedenti 7 anni il 40% della popolazione di quella zona è morto di tumore. Non può essere un caso. Ungaro riceve un “invito” a smettere di scrivere per la Gazzetta di Reggio, ma rivendica i suoi diritti sanciti dall’articolo 21 della Costituzione. Dopo che la storia finisce sul giornale si temporeggia, la popolazione nega il consenso alla centrale, compaiono striscioni con la scritta “ci avete venduto un tanto a kilowatt” e l’affare salta. E a Ungaro arriva una lettera di licenziamento: “Divulga notizie riservate del Comune”, la motivazione ufficiale del sindaco di Brescello Ermes Coffrini. Tra le righe, vede troppo e parla troppo. Era il 29 novembre 2002. Il licenziamento è stato dichiarato illegittimo nel 2010 dal Tribunale di Reggio Emilia, nel 2013 dalla Corte d’Appello di Bologna e nel 2015 dalla Corte di Cassazione.

Ungaro oggi non fa più il vigile, ma a Brescello ben poco è cambiato: ora la cittadina è governata da una nuova giunta non discontinua da quella dell’ex sindaco Marcello Coffrini, cioè il primo cittadino che con le sue dichiarazioni su Francesco Grande Aracri, condannato per mafia (“è gentilissimo, molto tranquillo e ha sempre vissuto a basso livello”), ha innescato il tracollo dell’amministrazione comunale di cui aveva ereditato il timone dal padre.

Ma il malgoverno è bipartisan: da una parte la scia Coffrini, dall’altra Forza Brescello con a capo Maurizio Dall’Aglio che alle amministrative del 2009 aveva candidato come consigliere comunale Jessica Diletto, la figlia di Alfonso Diletto (ora al 41bis) che nell’inchiesta Aemilia bis, nel 2017 è stata colpita dalla misura di custodia ai domiciliari, perché per la procura distrettuale antimafia di Bologna era prestanome per le attività dietro le quali, a tirare i fili, c’era il padre Alfonso.

A sviscerare nei dettagli come la ‘ndrangheta si sia sostituita a Peppone e Don Camillo e fino a che punto abbia avuto la strada spianata da cittadini e istituzioni è stata anche una ricerca dell’osservatorio sulla criminalità organizzata dell’Università di Milano, diretto da Nando Dalla Chiesa, commissionata da Cgil, Anpi e Auser di Reggio Emilia. “Quando le organizzazioni mafiose arrivano in un territorio tendono ad instaurare un modello mafioso. E se ci riescono è poi molto difficile uscirne”, dice il professore, il cui rapporto parla di un inserimento “omeopatico”, a “piccole dosi, in modo indolore e non aggressivo”, tanto che la ‘ndrangheta a Brescello ha, con denaro riciclato, ristrutturato perfino l’oratorio!

Attualmente, solo in Emilia Romagna, sono state individuate ben 19 cosche di ‘Ndrangheta.

Ungaro ha dovuto lasciare Brescello e ora abita a Bologna dove fa l’autista di autobus. Non solo continua a scrivere ma va in giro a parlare di mafia, ad incontrare cittadini e studenti, come è avvenuto per l’ISREC LU il 22 maggio.  A chi gli chiede se rifarebbe tutto dice: “sicuramente sì” ed aggiunge “ho solo fatto il mio dovere” “Sono stato arruolato nei carabinieri il 6 settembre 1982, tre giorni dopo l’assassinio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa il quale diceva che un carabiniere gli alamari se li cuce sulla pelle, per tutta la vita. Io spero di avere la forza di vivere da carabiniere fino alla fine dei miei giorni”.

La vita e l’esperienza di Ungaro sono diventate anche due spettacoli teatrali: “Va’ Pensiero” e “Saluti da Brescello” che da questo anno vanno in sala in diverse città italiane per ideazione e regia di Marco Martinelli e Ermanna Montanari. “Tutte le volte che posso partecipo alle rappresentazioni e alla fine Martinelli mi chiama sul palco; e io sono sempre stupito dagli applausi, perché – come dico ogni volta – non ho fatto niente di speciale. Non sono un eroe”.

La banalità del bene.




“Le origini e l’epilogo del fascismo a Lucca”

“Definire il fascismo è innanzitutto scriverne la storia.”

(Angelo Tasca, 1938)

A cento anni dalla fondazione del movimento dei fasci di combattimento (1919), l’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea in provincia di Lucca promuove una serie di tre incontri incentrati sulla storia del fascismo nella provincia lucchese, a cominciare dal 16 maggio con “A 100 anni dalla nascita del fascismo. Da Milano a Lucca, una storia violenta” (ore 18.00) in collaborazione con la Biblioteca Popolare di San Concordio; seguirà il 18 maggio l’incontro con gli studenti del Liceo Scientifico “A. Vallisneri”, volto ad approfondire le vicende della Repubblica sociale a Lucca; a chiusura del ciclo di incontri la presentazione del libro “Il fascismo dalle mani sporche” di Paolo Giovannini e Marco Palla nel mese di giugno.




“Il sarto di Rughi” a Capannori

Il libro racconta la storia del porcarese Dante Unti, oggi 98enne e allora sarto strappato al suo lavoro dalla chiamata alla leva obbligatoria nel 1939: coinvolto nel conflitto in Jugoslavia dopo l’inizio della Seconda guerra mondiale nei contingenti che si ribellarono anche militarmente ai tedeschi tra l’otto e il dodici settembre 1943 a Ragusa (Dubrovnik), dove fu fatto prigioniero. Internato nel campo di lavoro di Stablack, a Kaliningrad, fu tra i circa trentamila deportati da quella zona della Jugoslavia verso i campi di lavoro forzato. Riuscì a sopravvivere e a tornare a casa alla fine della seconda guerra mondiale.

La presentazione si terrà venerdì 10 maggio presso la Sala Pardi del Polo Culturale Artemisia di Capannori a partire dalle 18.00 (ingresso libero): saranno presenti, oltre agli autori, Nicola Barbato (ISREC) e lo storico Emmanuel Pesi.




“Eravamo tanto amati” presentazione a Viareggio a cura dell’ISREC Lucca

Nella cornice Liberty di Villa Argentina, a Viareggio, mercoledì 17 marzo aprile si è tenuta la presentazione del libro Eravamo tanto amati, a cura dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Lucca. Alla presentazione è stato presente uno dei tre autori, Domenico Guarino, scrittore e giornalista professionista che lavora prevalentemente a Contro Radio/ Popolare Network. Gli altri autori sono Andrea Lattanzi, giornalista pubblicista e videomaker, e Andrea Marotta, giornalista di Rai TGR Toscana.

Eravamo tanto amati è sia un libro sia un documentario di circa un’ora e mezzo. Il titolo è un sentito omaggio al film di Ettore scola C’eravamo tanto amati ma soprattutto usa l’imperfetto rivolto al futuro  per cercare di capire dove sta andando oggi la sinistra.

Il libro si articola in 24 interviste rivolte a politici, amministratori, docenti universitari, giornalisti, personaggi dello spettacolo e della cultura. Tutti gli intervistati vengono dall’alveo del Partito comunista Italiano tranne Nogarin, sindaco attuale di Livorno del Movimento 5 Stelle. Tuttavia egli è stato interpellato proprio perché nella sua città è nato nel 1921 Il Partito comunista. Nogarin dichiara “non è mia intenzione speculare o approfittare della questione morale, però c’è un dato di fatto: c’è un solo movimento in Italia a dibattere oggi questo tema posto così autorevolmente da Berlinguer, così intensamente. E sono i 5 Stelle. Per noi non significa solo ‘io non violo la legge’; il problema etico vuol dire riconoscere e affrontare le buone cose fatte nell’interesse collettivo a prescindere da chi le abbia davvero proposte. Oggi sono i bisogni e non più le appartenenze ideologiche ad aggregare le persone e noi dobbiamo muoverci di conseguenza”. E l’attuale presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, nella sua intervista, riconosce che la sinistra ha perso perché ha tralasciato  proprio la questione morale, regalandola ai 5 Stelle. Sempre Enrico Rossi dichiara “l’errore comincia con la nascita del PDS; tutte le energie del dibattito furono concentrate sul nome, sarebbe bastato aggiungere al PCI la parola democratico -come in fondo era sempre stato- e invece nel lessico del PD il socialismo al di là della facciata non è mai entrato… il PD sancisce l’abbandono di quella ‘ossessione dell’uguaglianza’ che, dal 2008, con la crisi del capitalismo ci sarebbe invece tornata utilissima”. Tra gli intervistati si notano le assenze di Benigni, impegnato negli Stati Uniti, Renzi e D’Alema, che si sono sottratti continuamente all’incontro.

Eravamo tanto amati, partendo dalle voci del popolo dell’ex PCI, è un’analisi giornalistica a più voci per capire il futuro della sinistra italiana a 30 anni dalla svolta della Bolognina il 12 novembre 1989, quando il più grande Partito comunista d’Europa decise di cambiare nome ed iniziare una metamorfosi. Molti rammentano come il cambio del nome abbia monopolizzato il dibattito e l’attenzione a scapito dei contenuti, eppure tutti concordano sul fatto che la scomparsa della parola comunista abbia poi costituito -nel bene e nel male- il senso di quel cambiamento. E la maggior parte dei pareri sono critici. L’ architetto Monica Sgherri sostiene “l’unico risultato della svolta è stata la scomparsa di un soggetto che, pur con i suoi 3000 difetti, portava i diritti e lo stato sociale a un livello altissimo”.  Alessandro Benvenuti, attore e regista, riuscendo come sempre a strappare un sorriso, dichiara “io sono di sinistra perché il cuore batte a sinistra, quindi sono normale!”, poi, divenuto serio, afferma “la svolta della Bolognina è stata una frattura tra passato è presente; capii subito che se chi fosse rimasto indietro sarebbe invecchiato parecchio e chi si fosse proiettato nel futuro si sarebbe perso del tutto; il mio non è un giudizio ma una constatazione perché in quel momento è svanito un mondo”. C’è chi guarda il PD come al tradimento assoluto di quella tradizione comunista. Graziano Cioni, intervistato, afferma: “c’era un solo PCI e tanti PCI; uno solo nonostante le varie anime e correnti la cui autorità non veniva mai messa in discussione”. Adesso purtroppo l’eredità del PCI latita a qualsiasi livello e manca la capacità di suscitare rispetto, quel rispetto che il PCI si vedeva riconosciuto, primi tra tutti, dai suoi avversari (si vedano, ad esempio, le parole di stima di Almirante nei confronti di Berlinguer non appena saputa la notizia della sua morte).  Fabio Evangelisti, segretario provinciale del PCI di Massa Carrara e poi segretario regionale di Italia dei Valori, sostiene che questo accadeva perché “il PC era un partito identitario ed empatico, il PD oggi è antipatico e antitetico rispetto ai bisogni delle persone”. Sulla stessa scia il professore di storia contemporanea presso l’Università degli studi di Firenze Giovanni Gozzini il quale dice “il partito era la vera famiglia…”, “credo che la maledizione del dopo il Berlinguer sia stata l’ incapacità di produrre cultura politica”. Noi di sinistra non ci riconosciamo più in maniera identitaria nei vari rivoli in cui è sfociato o si è strozzato il PCI. Questa identificazione si trova forte ora di partiti come la Lega o i 5 Stelle. Non a caso il 35% di chi nel 1987 aveva votato per l’ultima volta Partito comunista oggi ha scelto proprio il Movimento 5 Stelle. Il PCI era un partito interclassista, adesso gli operai votano Lega, il PD è votato solo dal ceto intellettuale o borghese. Ancora Benvenuti afferma “Oggi il PD è come il PSI di Craxi: accontenta le persone del ceto medio”. Questo perché il PD non sa parlare con le periferie, perché viviamo in una fase di smarrimento, perché la società è cambiata e la sinistra non è riuscita a intercettare il cambiamento. Sulla stessa linea asserisce Mario Ricci (segretario provinciale del PCI Massa Carrara e poi segretario regionale di Rifondazione Comunista) “l’errore è stato di voler dirigere le masse anziché coinvolgere gli operai come protagonisti”. Oggi anche in Toscana, in cui un tempo Il PCI aveva raggiunto il 70% e deteneva quasi dovunque la maggioranza assoluta, gli eredi di quella tradizione comunista, nata proprio a Livorno nel 1921, vacillano: cos’è accaduto in questi anni? la svolta lanciata nel 1989 all’indomani della caduta del muro di Berlino ha tradito le aspettative? È possibile riconquistare poi consenso? Gli autori hanno cercato queste risposte proprio nella rossa, forse ex rossa, Toscana tra alcuni dei protagonisti di allora e di oggi. L’ultima intervista è a colui che è stato segretario del PCI al momento della svolta della Bolognina, cioè Achille Occhetto, che alla domanda “eravamo tanto amati?” risponde di sì ma al contempo anche odiati. Poi però l’ultimo segretario del PCI e il primo del PDS afferma che ha voluto voltare pagina dichiarando “non mi piacciono gli Amarcord”. Aggiunge poi “né io né Gorbaciov eravamo tanto potenti da far crollare il comunismo ma abbiamo dovuto gestire il suo crollo”. Quasi si giustifica dichiarando “scelsi di andare alla Bolognina perché, per me, i partigiani furono degli straordinari apostoli della libertà. Dopo la caduta del muro di Berlino ebbi la certezza che quei mondi divisi dalla Cortina di ferro avrebbero potuto tornare al dialogo. Il problema è che nel frattempo è cambiata la società su quella nostra cultura si era formata”. Contro gli Amarcord è anche Michele Ventura, che all’epoca della Bolognina era vicesindaco di Firenze e poi è diventato vicecapogruppo PD alla Camera dei deputati; nella sua intervista dichiara: “non bisogna pensare a quella stagione con nostalgia perché è irripetibile; oggi la frammentazione della società ci obbliga a rintracciare le persone in modi diversi da allora”. Domenico Guarino ci ricorda che la sinistra deve seguire, adesso come sempre, i cardini della rivoluzione francese e poi ci saluta con le parole del presidente Pepe Mujica, che ha risollevato e modernizzato l’Uruguay. Egli, guardando alla crisi della sinistra anche nel continente sudamericano, dove grandi erano state le speranze degli ultimi 20 anni, dice “la sinistra non perde mai, ha delle pause e poi riparte, perché, quando lotti per il popolo e per il benessere, lotti per l’umanità”.