Eletti i nuovi vertici dell’Istituto della Resistenza di Pistoia

Il neoeletto Consiglio Direttivo dell’ISRPT ha deliberato la nomina delle seguenti cariche:

Giovanni Contini Bonacossi: presidente

Alice Vannucchi e Francesca Perugi: vice-presidenti

Stefano Bartolini: direttore scientifico

Matteo Grasso: segretario organizzativo/amministrativo

Domenico Santagati, tesoriere

Alice Vannucchi: direttrice didattica

Francesco Cutolo: direttore Farestoria

Luca Cappellini: responsabile biblioteca/archivio

📍 Il Consiglio Direttivo ha altresì affidato i seguenti incarichi:

Tommaso Artioli: casa editrice

Francesca Perugi: Pistoia docufilm festival

Emilio Bartolini: Liberation Route

Giulia Bruni: Toscana Novecento

Claudio Rosati: Passi di storia




Inventariato il fondo ISRPT dell’Istituto storico della Resistenza di Pistoia

L’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Pistoia comunica di aver concluso il lavoro di riordino e di inventariazione del proprio fondo ISRPT di 16 metri lineari – per un totale di 117 faldoni, 6 raccoglitori, 4 album e materiale grande formato – a cura dell’archivista Alessia Artini.

La documentazione è formata da materiale cartaceo, fotografico e audiovisivo. È inerente principalmente all’attività istituzionale e amministrativa dell’Istituto dal 1974 ad oggi, ma sono presenti anche carte provenienti da donazioni. Una parte cospicua è composta dalla serie “Attività” che mostra la dinamicità dell’ente con convegni, didattica sia per gli insegnanti sia nelle scuole e, soprattutto, materiale di ricerca di vario argomento in originale e proveniente in copia da archivi di stato, archivi scolastici, biblioteche e altro.

Questo progetto va a completare i lavori realizzati negli ultimi anni sui fondi “Manifesti” e “Audiovisivo”.
Il fondo “Manifesti” è composto da esemplari di vari soggetti e dimensioni, tra cui materiali di oggettivo interesse storico (quindi utili alla ricerca su fonti primarie alternative). Nel suo insieme gli esemplari spaziano, come datazione, dagli anni Cinquanta al 2020, per un totale di 655. I manifesti sono inventariati, digitalizzati e liberamente consultabili in sede.
Il fondo “Audiovisivo” è formato da 324 unità sonore originali, riguardanti un arco cronologico che spazia dal 1975 al 2018, compreso un corpus di una cinquantina di interviste a partigiani. Allo scopo di preservare questo prezioso ma fragile patrimonio, l’Istituto nel 2020 ha avviato un’opera di inventariazione e digitalizzazione delle fonti orali in suo possesso, iniziando dalle unità audio e audiovisive registrate su supporto analogico (audiocassette, bobine nastro, microcassette, VHS, VHS-C). Il lavoro è stato finanziato grazie alla REDOP e si è concluso nel 2021; ha interessato un totale di 259 audiocassette a rischio deperimento.

A questo link è possibile consultare l’inventario del fondo ISRPT: www.istitutostoricoresistenza.it/wp-content/uploads/2024/01/ISRPT-Inventario.pdf

L’archivio è consultabile liberamente negli orari di apertura (lunedì-martedì-giovedì 15-19) previo appuntamento e compilazione di un modulo di richiesta di accesso.




Conclusa la digitalizzazione del “fondo manifesti” dell’Istituto storico della Resistenza di Pistoia!

Conclusa la digitalizzazione del “fondo manifesti” dell’Istituto storico della Resistenza di Pistoia!

Il corpus principale e storicamente più rilevante è composto dai manifesti originali. Il totale degli esemplari unici è di 826 su vario formato (A0, A1, A2, A3), liberamente consultabili in sede.
L’archivio è composto da manifesti raffiguranti o tematizzanti: diversi periodi della storia italiana, europea e globale del Novecento; episodi locali (come elezioni o eventi); iniziative promosse dall’ISRPT o da altri enti.
Nel suo insieme gli esemplari spaziano (come datazione) dagli anni Cinquanta al 2024. Sono presenti anche alcune ristampe di manifesti dei primi anni Dieci del Novecento, del Ventennio fascista, del secondo conflitto mondiale e dei movimenti per i diritti civili, il disarmo, la pace e la libera ricerca databili dagli anni Sessanta agli Ottanta del secolo scorso.
La digitalizzazione è stata realizzata nell’ambito del progetto “Le radici e le ali” finanziato dalla Fondazione Caript a favore della Rete documentaria della provincia di Pistoia.
Per maggiori info e per consultare l’inventario: www.istitutostoricoresistenza.it/fondo-manifesti/




La Rete Toscana dei Sistemi Museali Storia e Memoria del 900 in un podcast!

La Rete Toscana dei Sistemi Museali Storia e Memoria del 900 viene presentata in un podcast a cura di Controradio.

Con le interviste a Michele Morabito, Sant’Anna di Stazzema – Parco Nazionale della Pace (Lucca), Carola Baruzzo, Museo audiovisivo della Resistenza di Fosdinovo (Massa), Enrico Iozzelli, Museo della Deportazione e della Resistenza di Prato, Laura Mattei, @stanzedellamemoria di Siena, Natalia Cangi, Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano (Arezzo).
Musiche di Meme Lucarelli e Stefano Picchi.
Puntata a cura di Rossana Mamberto.

Un progetto del Sistema Museale, Musei Storia e Memoria del Novecento, curato da @controradiofirenzecon il contributo della Regione Toscana.
Ascolta il podcast:

1. La Rete Toscana dei Sistemi Museali Storia e Memoria del 900 – www.controradio.it




Un grande successo la quarta edizione del Pistoia Docufilm Festival

Pistoia, 16 luglio 2024 – Si è conclusa con grande successo la quarta edizione del Pistoia Docufilm Festival, organizzato dall’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età contemporanea in provincia di Pistoia. Un evento che ha saputo coinvolgere e appassionare il pubblico con una selezione di film documentari di grande rilevanza culturale e sociale sul tema del confine.

La prima serata ha visto la proiezione del film “Il valore della donna è il suo silenzio“, resa possibile grazie alla collaborazione con il Museo del Cinema di Berlino e con il Festival dei Popoli di Firenze. Il film narra la storia di una donna lucana emigrata a Francoforte che, ancora negli anni ’70, vive in un totale isolamento linguistico e culturale. La regista svizzera Gertrud Pinkus è arrivata a Pistoia per parlare, insieme alla storica Anna Badino, del ruolo delle donne italiane nelle migrazioni del dopoguerra. “Ringrazio Pistoia e il festival per la bella atmosfera e la grande partecipazione di pubblico“, ha dichiarato Pinkus.

La seconda serata è stata dedicata alla storia recente dell’Albania con la proiezione del film “Annoluje Lijin“. Una serata per comprendere il rapporto con la propria storia di un paese da cui proviene una delle comunità di immigrati più numerose residenti a Pistoia. Il regista barese Fabrizio Bellomo ha dialogato con lo storico Stefano Bartolini offrendo spunti di riflessione profondi e coinvolgenti.

La serata conclusiva ha visto la proiezione di “Oltre la valle“, un film arrivato a Pistoia tramite il festival Sguardi Altrove di Milano, un festival del cinema al femminile. Il film racconta la realtà di un centro di accoglienza della Val di Susa e delle persone che ogni giorno cercano di attraversare il confine tra Italia e Francia. La regista pistoiese, Virginia Bellizzi, ha parlato insieme a Enrica Fragai, educatrice del servizio di accoglienza migranti del gruppo Incontro di Pistoia, affrontando il tema dell’accoglienza oggi in Italia e a Pistoia.

Il festival, realizzato grazie al Bando Cultura della Fondazione Caript, è stata un’occasione – spiega Francesca Perugi, curatrice del festival – offerta alla città per riflettere sul tema dell’identità, della patria e dei confini. Per provare ad allargare il nostro sguardo sia nel tempo che nello spazio, e per non confondere il nostro campo visivo con i confini del mondo”.

Il Pistoia Docufilm Festival, ormai da quattro anni, porta a Pistoia film fuori dal circuito della grande distribuzione, grazie alla collaborazione con enti di livello nazionale come il Festival dei Popoli, AAMOD (Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico) e l’Associazione Italiana di Storia Orale, e quest’anno anche internazionali come il Museo del Cinema di Berlino.




Un premio per “La riserva mancata” ISRPt editore

Annunciamo con grande piacere che il volume “La riserva mancata. Il Padule di Fucecchio fra crisi ambientale e difficile tutela. 1970-1989” di Emilio Bartolini, edito da ISRPt Editore, è risultato vincitore del Premio Sipari, assegnato dalla Fondazione Erminio e Zel Sipari Onlus per le opere a stampa attinenti alla conservazione della natura e del paesaggio, ovvero alla divulgazione delle conoscenze e delle buone pratiche utili alla corretta gestione di aree naturali protette, monumenti naturali, aree di considerevole valore paesaggistico tutelate per legge o riconosciute di interesse pubblico.




Anche la Toscana nel nuovo Atlante dei centri per profughi giulino dalmati promosso dall’Istituto nazionale F. Parri

è stato messo online, al seguente link:
Si ricorda che il progetto prevede l’implementazione progressiva delle informazioni e dei dati e che finora sono state mappate 60 delle 109 strutture note.
Dal Portale dell’Atlante:

Il progetto di ricerca sui centri di raccolta dei profughi giuliani e dalmati è promosso da Istituto Nazionale Ferruccio Parri e Consiglio Nazionale delle Ricerche – Dipartimento di Scienze umane e sociali, patrimonio culturale (CNR-DSU), in collaborazione con la rete degli istituti associati alla Rete Parri, la Società di studi fiumani – Archivio Museo storico di Fiume (Roma).

Il coordinamento scientifico è affidato a Maurizio Gentilini (CNR) e Paolo Pezzino (Istituto nazionale Ferruccio Parri).

La ricerca è stata svolta da Costantino di Sante (Università degli studi del Molise) ed Enrico Miletto (Università degli Studi di Torino).

Oggetto della ricerca
Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, scatenata dalla Germania nazista e dall’Italia fascista, l’intera Europa fu interessata dal flusso, spesso obbligato, di milioni di persone, che a causa degli eventi bellici e delle assegnazioni dei territori a seguito di nuovi protocolli furono costrette a lasciare i luoghi dove avevano vissuto per anni.

Il processo interessò direttamente anche l’Italia, che dovette firmare Trattati di pace che imponevano la perdita di territori, comprese le zone dell’Adriatico orientale: infatti con il Trattato di Parigi (1947) e il Memorandum di Londra (1954) l’Istria, Fiume e Dalmazia passarono sotto l’amministrazione della Jugoslavia. Di conseguenza la quasi totalità della popolazione italiana appartenente a queste regioni decise di abbandonarle, anche per sfuggire al regime comunista realizzato da Tito.

Tale processo, meglio noto come esodo giuliano-dalmata, coinvolse, oltre alla Venezia Giulia, anche Fiume e la Dalmazia, e rappresentò dunque il tassello italiano del più ampio mosaico degli spostamenti forzati di popolazione dell’Europa postbellica.

Arrivati nel nostro Paese come profughi, i giuliano-dalmati, nelle cui maglie si inserivano anche i molti fiumani che avevano abbandonato la propria città, furono sventagliati in una rete di campi e centri di raccolta dislocati sull’intero territorio nazionale.

Il progetto Atlante dei centri di raccolta dei profughi giuliani e dalmati si propone quindi di individuare, mappare e censire queste strutture, con esclusivo riferimento a quelle gestite dal Ministero dell’Interno.

Campi ma non solo, poiché l’Atlante presenta anche approfondimenti su alcuni luoghi che, pur non ricoprendo prettamente una funzione di centri di raccolta, divennero simbolo e simbolici dell’esodo: Fertilia, nei pressi di Alghero; il Quartiere Giuliano Dalmata di Roma; il Villaggio San Marco di Fossoli di Carpi; la Caserma di via Pradamano a Udine, che funzionò come centro di smistamento per migliaia di profughi.

Le schede georeferenziate dei campi ricostruiscono i principali passaggi che hanno scandito l’attività e il funzionamento delle diverse strutture, consentendo di allargare lo spettro: si restituisce così non solo la geografia dell’esodo e il suo impatto nelle diverse aree del Paese, ma anche i meccanismi delle politiche di gestione e assistenza ai profughi adottate dal Governo italiano. Quest’ultimo, muovendosi in un quadro nazionale e internazionale estremamente complesso, si trovò, di fronte a flussi divenuti sempre più consistenti, nella condizione di mettere in moto una vera e propria macchina dell’accoglienza che ebbe nei campi un segmento decisivo.

Un segmento che, oltretutto, ben descrive le dinamiche che portarono gli apparati governativi, dopo una fase iniziale di prima assistenza, a orientarsi, lentamente e non senza difficoltà, verso indirizzi più organici e sistematizzati che, basati prevalentemente sulle direttrici dell’inserimento lavorativo e della sistemazione abitativa poi sfociata nella costruzione dei Villaggi Giuliani, costituirono la risposta a una situazione improvvisa e di vasta portata, inserita nei contorni fragili dell’immediato dopoguerra. Dalla storia dei centri di raccolta emergono anche le politiche migratorie adottate a livello nazionale e internazionale per ricollocare o favorire l’emigrazione in altri paesi dei profughi e dei rifugiati. Queste politiche potrebbero essere ulteriormente indagate ampliando la ricerca ai campi specificamente destinati a tale scopo.

Il campo rappresenta dunque un punto di osservazione imprescindibile per lo studio della diaspora giuliano-dalmata e per la ricostruzione delle politiche assistenziali intraprese dai vertici governativi nei confronti degli esuli: la loro storia, se inquadrata in una prospettiva più ampia, racconta quella della lunga e difficile ricostruzione che precede la stagione della grande trasformazione del nostro Paese.

Metodologia
Attraverso un’accurata indagine condotta su un ampio ventaglio di fonti, in larga parte ma non esclusivamente italiane, si è cercato di arrivare a una quantificazione, il più precisa possibile, delle strutture e dei profughi che, in momenti diversi, transitarono al loro interno.

A essere considerati, come sottolineato in precedenza, sono stati i complessi gestiti, attraverso le prefetture, direttamente dal Ministero dell’Interno, che li ereditò dal dissolto ministero dell’Assistenza post-bellica.

Luoghi inutilizzati, riadattati, rifunzionalizzati e ricondizionati per il nuovo uso: un totale di 109 strutture – numero ampiamente condiviso sul piano storiografico – destinate a ridursi negli anni seguenti (41 nel 1952, 25 nel 1955), prima di chiudere i battenti intorno alla prima metà degli anni Settanta.

Le schede presentate in questa prima fase del progetto riguardano 60 campi e ricostruiscono anche la storia delle strutture analizzate sia prima del loro utilizzo per accogliere i profughi giuliano-dalmati, sia dopo la loro dismissione. Sono state inoltre segnalate le eventuali significazioni dei luoghi in cui sono state collocate targhe o segni di memoria relativi alla presenza dei profughi.

Centri ufficiali – questa la definizione che potrebbe essere applicata – ai quali se ne affiancarono certamente altri, dall’attività più breve e dai contorni più frastagliati, al cui interno l’assistenza era demandata a soggetti diversi, pubblici e privati, ma che – per il loro carattere frammentario – sono rimasti al di fuori del campo di indagine del presente lavoro, pur restando un possibile oggetto di approfondimento in uno studio successivo. Uno studio che dovrebbe evidentemente concentrare l’attenzione anche su una serie di strutture che assunsero rilevanza nell’economia della gestione dell’esodo, come, solo per citare alcuni esempi, i centri di prima accoglienza funzionanti nei porti di Venezia e Ancona o, ancora, i molti centri di ricovero temporaneo sparsi nelle diverse regioni della penisola.

Attraverso una scheda tipo, variabile in base alle informazioni reperite e al periodo di funzionamento, la storia e l’evoluzione di ogni singolo campo è ricostruita non solo attraverso fonti primarie, a cominciare dalla documentazione archivistica, e secondarie, ma anche mediante l’utilizzo di fonti narrative (testimonianze e cronache) ed emerografiche (articoli di quotidiani dell’epoca), unitamente a citazioni letterarie, cinegiornali e fotografie

Una prospettiva in grado di far emergere anche le politiche avviate da agenzie internazionali come la United Nations Relief and Rehabilitation Administration (UNRRA), l’International Refugee Organization (IRO) e, in una fase successiva, l’Amministrazione per gli Aiuti Internazionali (AAI) che, preposte al rimpatrio, all’assistenza e al ricollocamento (resettlement) attraverso programmi di emigrazione assistita in altri paesi di rifugiati e Displaced Person’s (DP), tracciarono traiettorie che in più di un’occasione si incrociarono, anche nei campi, con quelle dei profughi giuliano-dalmati. Questi ultimi, come emerge dalle schede, costituirono il nucleo numerico più rappresentativo nei diversi campi, trovandosi però a condividere, spesso con esiti diversi, gli stessi spazi e i medesimi ambienti con altre tipologie di profughi, in primis quelli provenienti dalle ex colonie dell’Africa orientale italiana, dalla Grecia e dal Dodecaneso, cui si aggiunsero, in alcuni casi, ebrei, ex prigionieri, sfollati e sinistrati di guerra in attesa di definitiva collocazione.

Un’umanità varia, vittima della guerra,, le cui vicende richiamano certamente a una cornice più ampia, che il progetto intende indagare nelle sue fasi successive, attraverso la mappatura di altre strutture e di profuganze diverse per tipologia e provenienza geografica. di profuganze diverse per tipologia e provenienza geografica.




“Da Capannori a Monsummano”. Nuovo percorso di Liberation Route Italia.

Segnaliamo la pubblicazione su Liberation Route Italia del percorso tematico intitolato “Da Capannori a Monsummano tra internamento, deportazione, stragi nazifasciste e Resistenza​”, realizzato da Matteo Grasso, direttore dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea in provincia di Pistoia.
L’itinerario storico ripercorre i principali luoghi della memoria situati tra i due comuni e si snoda tra le province di Lucca e Pistoia. Lungo il percorso è possibile incontrare monumenti, musei, ex campi di internamento, tombe, lapidi, cippi, pietre d’inciampo.
Per maggiori info: https://italy.liberationroute.com/it/themed-routes/33/from-capannori-to-monsummano-between-internment-deportation-nazi-fascist-massacres-and-the-resistance-movement