A scuola di Europa! Un progetto didattico della Domus mazziniana

La Domus Mazziniana è un organismo pubblico di ricerca appartenente alla Rete degli Istituti Storici Nazionali, coordinata dalla Giunta Centrale per gli Studi Storici e svolge la propria attività didattica e formativa, in stretta collaborazione con l’Università di Pisa e il Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca. A partire dall’anno scolastico 2018/2019 è operativo un Protocollo d’Intesa specifico tra la Domus Mazziniana e l’Ufficio Scolastico regionale della Toscana per la realizzazione di attività didattiche e formative su tutto il territorio regionale. L’Istituto svolge la propria attività didattica prevalentemente nell’ambito della Storia contemporanea, dell’Educazione Civica e della metodologia e didattica della storia.

 centrale è l’impegno per promuovere una più consapevole conoscenza dell’Europa e del valore del suo processo di unificazione. Gli sviluppi della recente epidemia di coronavirus hanno evidenziato una volta di più quanto l’Europa sia centrale nella vita di tutte e tutti noi. Eppure quanti cittadini conoscono l’effettivo funzionamento dell’Unione Europea e la storia del processo d’integrazione europeo dalla Giovine Europa e dal Manifesto di Ventotene sino alle recenti crisi che sembrano mettere in discussione le fondamenta stessa dell’UE. Il percorso didattico elaborato dalla Domus propone a partire da una riflessione sul concetto di Europa, una introduzione alle principali fasi del processo di integrazione europeo e del funzionamento delle istituzioni comunitarie.

Su libera e pregevole iniziativa dei rappresentanti degli studenti il liceo Chini-Michelangelo di Lido di Camaiore, coordinati dalla Professoressa Nencioni dalle ore 12 alle ore 13.45 si è tenuta la conferenza del Professore Pietro Finelli, a cui hanno partecipato in webinar 186 studenti, socraticamente consapevoli della loro ignoranza sull’Unione Europea, istituzione tanto fondamentale quanto biasimata e comunque troppo sconosciuta.

 La Prof.ssa Nencioni ha introdotto l’importante relatore: Pietro Finelli. Docente di materie letterarie alle superiori. Direttore della Domus Mazziniana. Ha studiato all’Università di Pisa, alla Scuola Normale Superiore, al Sant’Anna e all’ Ècole des hautes études en sciences sociales a Parigi.   E’membro del comitato scientifico cesue.eu spin off del sant’Anna che si occupa di politiche europee e global governace. Ha svolto attività di ricerca presso il centro studi sul federalismo di Torino. Si occupa di educazione alla cittadinanza europea.

 Il relatore, a dimostrazione dello scarsissimo interesse per l’UE, ha citato un dato del 2013: la famosa trasmissione televisiva Porta a Porta ha dedicato all’UE l’1,3% dei servizi andati in onda, mentre ben il 5,4 % al Mago Otelma!

Ad ulteriore dimostrazione della ignoranza dei giovani (e non solo) nessuno dei 158 studenti connessi nessuno ha saputo riconoscere le foto Charles Michel, Christine Lagarde, Ursula von Der Leyen, Davide Sassoli, cioè le più importanti cariche dell’UE: rispettivamente presente del Consiglio europeo, presidentessa della Banca Centrale Europea, presidentessa della Commissione europea e Presidente del Parlamento europeo.

 Eppure l’Europa è ben viva in mezzo a noi: il 30% delle leggi italiane sono norme approvate dall’UE e quasi i due terzi dei DCPM riguarda direttive o decisioni UE su Giustizia e Affari interni.

 Ma che cosa è l’Europa? Sono state tentate varie definizioni…. Geografia: ma se la continuità fra Europa e Asia è praticamente assoluta? Ma anche la definizione culturale per distinguere l’Europa è valida? NO! E neppure la definizione religiosa, basta sull’ unità cristiana, perché in Europa ci sono popolazioni musulmane, come gli Albanesi, e molti immigrati di varie fedi. Allora definiamo l’Europa la culla dei diritti umani? Ma essi sono universali! Come già sancito dalla della costituzione francese del 1799.

Insomma, qualsiasi definizione è inadeguata per l’Europa! “Une sorte d’ object politique non identifiè” è questa è la risposta del presidente della Commissione europea Jacques Delors nel 1985 che tradotto vuol dire “un oggetto politico non identificato” cioè un UFO.

 Allora, seriamente, possiamo definire l’UE un’istituzione sovrannazionale sui generis. Ha elementi statuali e parastatuali (ed. es. la rappresentanza, la moneta, la rappresentanza)

 L’UE per il PIL è la più grande area economica del mondo; al secondo posto ci sono gli Stati Uniti ma con grandissimi divari economici al suo interno.

 E’ dopo la Seconda Guerra Mondiale che l’idea di Europa diventa un progetto concreto, nato dalla consapevolezza dei precedenti ma recenti fallimenti: quello della Società delle Nazioni, ma pure la sconfitta del Nazismo e Fascismo (ma possiamo anche la precoce fine di Giustizia e Libertà già meno di due anni dopo la Resistenza: perché per combattere contro il fascismo ci vuole unione).

Ed è da queste considerazioni che è nato il Manifesto di Ventotene, di cui adesso ricorrono gli 80 anni. Elaborato e scritto nell’isola di confino a Ventotene da intellettuali dal libero pensiero e per questo invisi al Regime: Spinelli, Colorni, Rossi e anche il futuro Presidente della Repubblica Pertini, che però non lo firmò.

L’idea di fondo è la realizzazione degli “Stati Uniti di Europa”, un’unione politica. Il suo obiettivo “la pace mondiale”.

 Il prof. Finelli mostra un video di circa 3 minuti di Schuman del 9/5/50, data che è divenuta simbolo scelto come Festa dell’Europa. Non a caso siamo nella fase più acuta della guerra fredda. Cosa dice Shumam? Propone di mettere insieme carbone e acciaio, proprio perché sono fonti per l’industria e pesante, quindi una scelta politica (non avere le fonti per fare la guerra) e non economica. Lo dimostra l’adesione del 6 paesi europeo che nel 1953 aderirono alle C.E.C.A., cioè la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio: Benelux, Francia, Germania e l’Italia, non per quantità di queste fonti, perché vuole trasformare un’alleanza franco-tedesca in un progetto europeo.

Per creare la Comunità prima e l’Unione poi Europea c’erano tre vie:

·         la corrente federalista, secondo cui era necessario realizzare una confederazione europea che per essere efficace avesse un carattere federale: ovvero doveva trasferire la politica estera, la difesa, la politica economica e le monete ad istituzioni soprannazionali e quindi a un governo, un parlamento e a una corte di giustizia comuni.

·         La teoria funzionalista dell’integrazione soprannazionale ha in comune con quella federalista l’obiettivo del superamento della sovranità assoluta, ma ritiene che, per superare le resistenze nazionali, occorra scegliere la via dello sviluppo graduale della cooperazione internazionale in settori o funzioni limitati, ma via via più importanti dell’attività statale, in modo da realizzare uno svuotamento progressivo e quasi indolore delle sovranità nazionali.

·         La terza corrente dell’europeismo, nata nel periodo fra il 1914 e il 1948, è rappresentata dal confederalismo. La sua opzione fondamentale è un’Unione Europea fondata su meccanismi di mera cooperazione intergovernativa, che lascino intatta la sovranità statale assoluta, ma permettano ai governi nazionali di raggiungere decisioni concordate in alcune materie riconosciute di comune interesse.

Tra il 1952 e il 2009 abbiamo 7 trattati, di cui 5 fra il 1997 e il 2009. Ciò dimostra che alla fine degli anni ’80 l’UE entra in una fase di fibrillazione. E perché? Perché l’UE si allarga fino a 27 stati, quasi tutti dall’Europa orientale.

 Dal 2007 al 2020 l’UE si è trovata ad attraversare la prima grave crisi economica: quella dei debiti sovrani, per risposta ritardata, per responsabilità non condivisa, per incapacità autoregolativa del mercato, perché la politica comune è stata affrontata in maniera esclusivamente monetaria.

Sintetizzando, quali sono le ragioni della crisi della fiducia nell’Europa?

·         Il complesso della procedura decisionale

·         L’assetto istituzionale composto

·         L’asimmetria economica e sociale




“La frontiera contesa: il confine italo-sloveno dal fascismo al secondo dopoguerra fra storia e memoria.”

Nel quadro delle iniziative per il Giorno del Ricordo 2021, si terrà giovedì 4 febbraio a partire dalle ore 18.15 l’incontro promosso dal comitato provinciale ANPI di Lucca “La frontiera contesa: il confine italo-sloveno dal fascismo al secondo dopoguerra fra storia e memoria”. All’incontro parteciperanno Eric Gobetti (storico e regista, autore di “E allora le foibe?”, edito quest’anno da Laterza) e Armando Sestani (vicepresidente dell’ISRECLU, che nel 2015 ha pubblicato il volume “Esuli a Lucca” per Maria Pacini Fazzi); porterà i saluti dell’ANPI provinciale il presidente Filippo Antonini; coordinerà il dibattito Stefano Lazzari della redazione di ToscanaNovecento.

Sarà possibile seguire l’evento in streaming sulla pagina Facebook ANPI Comitato Provinciale Lucca.




“Nel vento e nel ricordo”. Storie di bambini ebrei della Shoah in provincia di Lucca

www.nelventoenelricordo.it.

La mostra è online dal 23 gennaio e rappresenta, oltre che un prezioso veicolo di memoria, uno strumento a disposizione delle scuole di ogni ordine e grado. La realizzazione è avvenuta grazie alla collaborazione della provincia di Lucca e dei comuni di Lucca, Altopascio, Barga, Borgo a Mozzano, Camaiore, Capannori, Castiglione di Garfagnana, Gallicano, Minucciano, Montecarlo, Porcari, Stazzema e Viareggio.




Conferita dal Presidente della Repubblica l’onorificenza di commendatore al merito della Repubblica Italiana a Enrico Pieri.

È di ieri, 29 dicembre 2020, la notizia che il Presidente Mattarella ha assegnato 36 onorificenze al merito della Repubblica. Una di esse va ad Enrico Pieri, sopravvissuto e testimone della strage di Sant’Anna di Stazzema.

Il 12 agosto 1944 Enrico aveva 10 anni quando a Sant’Anna di Stazzema furono massacrate, dalla violenza nazifascista, uomini ma soprattutto anziane donne bambini e sfollati. Enrico si salva insieme a due sorelline nascondendosi in un sottoscala mentre la casa va a fuoco. In quel giorno perde i genitori, due sorelle, gli zii, i nonni e i cugini.  Uscendo poi dal suo rifugio e nascondendosi nei boschi e poi ritornando a Sant’Anna, ha modo di vedere in tutta la sua crudezza, in tutto il suo orrore quello che le SS avevano compiuto a Sant’Anna di Stazzema. 10 anni sono veramente pochi, sono traumi dai quali ci si può non riprendere e anche Enrico ha spesso detto che sogna ancora la notte di dover fuggire da un luogo chiuso, perché sono esperienze che ti rimangono assolutamente dentro. Però Pieri è riuscito è rielaborarle, nonostante la vita difficile. Emigrato per 35 anni in Svizzera, è tornato in Italia e da quel momento non si è mai stancato di testimoniare, di mantenere la memoria di quello che era successo ma con alcuni particolari accenti: nelle parole di Enrico Pieri non troverete mai odio, perché riesce sempre a distinguere tra quello che hanno fatto quegli uomini in nome di un’ideologia come quella nazista è quello che fanno oggi la Germania e i Tedeschi.

Oggi Enrico Pieri  è il Presidente dell’Associazione martiri di Sant’Anna di Stazzema. Va instancabilmente nelle scuole, riceve instabilmente le scolaresche che salgono a Sant’Anna di Stazzema e in tutti i suoi discorsi fa sempre riferimento alla pace che l’Europa ha vissuto dopo la fine del secondo conflitto mondiale e al fatto che questa pace è garantita in Italia dei valori della Costituzione e soprattutto è garantita dalla nascita dell’Unione Europea.

Tutti i discorsi di Enrico Pieri sono l’auspicio che l’Unione Europea possa effettivamente essere un’unione di popoli e non solo di stati, che testimoni che quello orrore che si è manifestato a Sant’Anna di Stazzema 12 agosto del ‘44 -così come del resto in tutta Europa- sia effettivamente sorpassato dal processo di unificazione in base ai valori di giustizia e di pace.

Ecco, la giustizia è un altro dei valori di Enrico Pieri che ha seguito con grande attenzione il processo per i fatti di Sant’Anna di Stazzema che si è tenuto alla Spezia molti decenni dopo quei fatti. Enrico ha sempre detto che quel processo era il riconoscimento di quello che era stato, perché, se giustizia non era stata fatta nel senso comune – i responsabili ancora vivi, processati e condannati all’ ergastolo non sono stati estradati in Italia e non hanno neanche scontato la loro pena in Germania- l’importante, anche per le giovani generazioni, era che venisse riconosciuto quello che era avvenuto. Il giudizio finale, dopo il tribunale di La Spezia, l’avrebbe dato la Storia.

Proprio per questo suo costante impegno, il riconoscimento di oggi non è il primo che Enrico Pieri avuto: nel 2011 è stato nominato Cittadino Europeo dell’anno dal Parlamento europeo e questo luglio, insieme a Enio Mancini, un altro superstite e testimone costante di quello che è successo e dei valori di pace di giustizia che da Sant’Anna emanano verso il resto del paese (ma si potrebbe dire verso tutto il mondo) è stato nominato Cavaliere della Repubblica federale tedesca.

Oggi Mattarella motiva  l’onorificenza che ha concesso  a Pieri come punto di riferimento per generazioni,  testimone della memoria, della storia, dei valori di pace e di giustizia.

Ricordiamo infine che Enrico Pieri ha donato la sua casa, la casa dove avvenne l’eccidio e dove lui si salvò, al Comune di Stazzema perché possa diventare uno dei luoghi di raccolta e di riferimento per le comitive sempre più numerose che salgono a Sant’Anna, dove manca ancora, per esempio, una foresteria che consenta di poter passare anche due giorni, la notte, nel Parco della pace. Enrico ha voluto donare la sua casa perché Sant’ Anna diventi sempre più un luogo della memoria non solo toscana, non solo nazionale, ma europea.




Mattarella rende onore a Sant’Anna di Stazzema nel 50° anniversario del conferimento della medaglia d’oro

Sant’Anna dì Stazzema, sabato 29 Febbraio. La strada è stata chiusa da 2 ore quando, alle 11.30, arriva il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Dopo aver deposto un corona di alloro sulla piazza della Chiesa, al cippo che commemora i caduti della strage e visitato il Museo Storico della Resistenza, è entrato nella Fabbrica dei Diritti, praticamente inaugurata oggi per la cerimonia. Si commemora il cinquantesimo anniversario del conferimento della medaglia d’oro al valore militare a Sant’Anna di Stazzema, dove, il 12 agosto 1944, è avvenuto uno degli eccidi più efferati di quelli compiuti dai tedeschi, spesso con l’aiuto dei fascisti italiani, nelle “operazioni di pulizia” lungo la linea gotica.

Apre la commemorazione il Sindaco di Sant’Anna di Stazzema, Maurizio Verona, definendo questo luogo la capitale europea dell’antifascismo  e ringraziando Mattarella “per il suo impegno quotidiano a difesa dei valori della nostra Costituzione, per i suoi gesti di apertura verso il mondo, contro le paure che vengono alimentate da chi oggi vuole di nuovo soffiare sul fuoco della divisione”, anche nominando senatrice a vita Liliana Segre. Il sindaco conclude dicendo: “La memoria è un atto di coraggio, di coraggio e determinazione continueremo ogni giorno a parlare ed incontrare tanti giovani per raggiungere il sogno che ci assegna la legge istitutiva del Parco di un mondo senza più guerre”.

Prende poi la parola Enrico Pieri, sopravvissuto e testimone, Presidente dell’Associazione Martiri di Sant’Anna di Stazzema,  che con poche ed emozionate parole esorta i ragazzi a studiare la storia, per creare una memoria europea per il futuro

È il professore Paolo Pezzino, presidente del comitato scientifico dell’Istituzione  Parco nazionale della pace di Sant’Anna di Stazzema, a tenere il discorso di introduzione storica. Sottolinea che la strage “si inquadra in quella particolare fase del conflitto in Italia che si apre con l’arretramento dell’esercito tedesco sulla così detta Linea Gotica. In zone di grande rilievo strategico, come i monti a ridosso della Versilia, le Apuane o la Lunigiana, i tedeschi soffrivano la presenza di numerose formazioni partigiane, di diverso orientamento, e l’intensificazione della loro attività, anche a seguito dei proclami di Alexander dopo la ritirata tedesca da Roma. Nella zona arrivò in quei giorni la XVI SS Panzer-Grenadier Division, comandata dal generale Simon, un fanatico nazista, impiegata in numerose azioni di lotta alle bande, che per lo più si concretizzavano in stragi della popolazione civile, accusata, a torto o a ragione, di proteggere la guerra partigiana.

Ricorda poi il senso di isolamento e  incomunicabilità dei sopravvissuti di Sant’Anna, a causa della mancata giustizia: bisognerà aspettare più di 60 anni perché un tribunale italiano condannasse alcuni degli autori del massacro. “Le successive vicende hanno visto la sentenza confermata nei vari gradi di giudizio della magistratura militare italiana, ma vanificata sia dal rifiuto delle autorità tedesche di concedere l’estradizione o di far scontare la pena in Germania ai condannati, sia dai non luogo a procedere ribaditi dalla magistratura tedesca nei confronti degli stessi militari condannati a La Spezia e di altri loro commilitoni. Si aggiunga il rifiuto dello Stato tedesco di riconoscere gli indennizzi disposti dalla magistratura italiana: tutto ciò ha confermato i superstiti e i parenti delle vittime nella convinzione che giustizia non è stata compiutamente fatta (senza contare che una giustizia che arriva a sessanta anni dai fatti non può essere considerata sostanzialmente tale)”. Con la legge 11 dicembre 2000, n. 381,  il paese è stato dichiarato Parco nazionale della pace, ed oggi finalmente, con la creazione all’interno del Comune dell’Istituzione che ne gestirà le iniziative, “si  è concluso un processo che fa di Sant’Anna un luogo della memoria nazionale e europeo, dove gli esiti della ricerca storica e la memoria degli orrori della guerra dialogheranno per rappresentare un punto di riferimento per la comunità nazionale e internazionale.

Infine prende la parola il Presente della Repubblica rievocando le efferate vicende di quel 12 agosto, elogiandone i “martiri” per la loro tenacia nella ricerca di giustizia e verità. Il panorama poi si allarga alle altre stragi nel nord dell’Appennino Toscano, in cui le SS ebbero per aiutanti i fascisti locali.

Qui, a Sant’Anna di Stazzema, si avverte il significato più profondo del nostro continuare a fare memoria. Qui si trovano le radici della Repubblica. Perché la memoria è un dovere. Rappresenta un valore di umanità. Costituisce patrimonio della comunità.” Il presidente esorta poi ad essere vigili poiché i cambiamenti epocali in atto possono provocare “paure, disorientamenti, chiusure. Il germe dell’odio non è sconfitto per sempre. Il timore del diverso, il rifiuto della differenza, la volontà di sopraffazione, sono sentimenti che possono ancora mettere radici, svilupparsi e propagarsi. Far risorgere quei germi di razzismo e nazionalismo, che non sono del tutto estinti”. Contro questi pericoli il presidente della Repubblica trova nella Europa unita la risposta, perché, anche se imperfetta e fragile, è il vero antidoto all’innalzamento di nuovi muri, ai risentimenti nazionalisti. “Il processo di costruzione europea è stato la proiezione esterna, lo sviluppo coerente dei principi che hanno ispirato la Resistenza e unito il popolo italiano attorno alla sua Carta costituzionale. Noi, insieme agli altri Paesi europei, abbiamo compreso che non si dovevano ripetere gli errori successivi alla Grande Guerra, e che la risposta alla volontà di potenza, all’ideologia del dominio e dello sterminio, agli orrori della guerra doveva collocarsi all’altezza della civiltà d’Europa”. Mattarella cita poi l’importanza dei segni di riconciliazione avvenuti a Sant’Anna, come la visita del Presidente tedesco Joachim Gauck e del Presidente del Parlamento europeo Martin Schultz, che si sono inchinati davanti all’ossario delle vittime. Il presidente conclude ricordando le Medaglie d’oro al valor civile concesse a vittime e sopravvissuti di Sant’Anna di Stazzema, vittime ed eroi al tempo stesso: don Fiore Menguzzo, don Innocenzo Lazzeri, Genny Bibolotti Marsili, Cesira Pardini,  Milena Bernabò: “Sono persone che rappresentano un’intera comunità straziata. In loro nome continuerà l’impegno per costruire una civiltà più libera e giusta, che rappresenta il nostro orizzonte di speranza e che nessuno potrà mai strappare dalle nostre coscienze di italiani liberi”.




Presentato a Viareggio il libro di Silvia dai Pra’ “Senza salutare nessuno. Un ritorno in Istria” grazie all’Istituto della Resistenza di Lucca

Alle ore 17:00 presso Villa Argentina a Viareggio si è tenuta la presentazione del libro di Silvia dai Pra’ dal titolo Senza salutare nessuno. Un ritorno in Istria. La presentazione è stata curata dall’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Lucca ed è stata moderata da Armando Sestani, che ne è il vice direttore . Armando e Silvia hanno molto in comune: i parenti di entrambi sono originari dell’Istria, i nonni di lei, i genitori di lui. Armando infatti è figlio di esuli di Pola, nato a Taranto dove i genitori avevano trovato asilo, Silvia invece ha avuto una nonna di Santa Domenica di Albona. Fra di loro però c’è una sostanziale  differenza ed  è su questo argomento che si è aperta la presentazione. Armando ha sempre saputo l’ origine della sua famiglia e sua madre ha conservato tutti i documenti, Silvia invece ha scoperto le sue radici solo quando era già adulta. Tuttavia i genitori di Armando non sono mai voluti tornare in Istria finché quando lui, trentenne, li ha accompagnati in vacanza a Pola , 47 anni dopo la loro partenza da quella città; invece Silvia è andata con suo padre per la prima volta in Istria quando aveva 11 anni, inconsapevole di ciò che quella terra aveva costituito per la sua famiglia. Quel viaggio lo aveva fatto con suo padre nel 1988, sua nonna Iole, prima che partissero, non aveva voluto incontrarli, ma aveva lasciato solo un biglietto sul tavolo che diceva “non mi salutate nessuno, buon viaggio”. Da questo biglietto il titolo del libro. È stato in quel viaggio che Silvia ha scoperto che la nonna era jugoslava e ha iniziato a ricostruire parti del suo passato, scoprendo “il genogramma spezzato”, cioè la metà amputata del suo albero genealogico. Il libro è un memoriale, un reportage di viaggio e un  libro di storia famigliare allo stesso tempo, anzi Armando lo definisce non un libro di storia ma di storie,  perché tutti i nomi presenti in esso sono reali. La scrittura di Silvia, invece, è quella di  un romanzo.

Quando prende la parola, l’autrice afferma che non sapeva che la nonna, morta nel 2002, fosse originaria dell’Istria;  attribuiva la sua strana parlata solo al fatto che vivesse sulle Dolomiti e non fosse tocana come lei. Non riusciva a spiegarsi il pessimo carattere della nonna e nemmeno quello del padre, depresso e malato di anoressia,  pur senza ammetterlo, e aggiunge di non aver mai capito il rapporto anaffettivo che c’era fra i due, e che tanto ha condizionato anche la sua vita. Le stranezze del ramo materno della sua famiglia hanno iniziato ad essere decifrate solo dopo la scoperta del segreto che ha sempre gravato su di essa. Alla luce del poi si può capire perché la nonna diventava aggressiva (“leonessa” la definisce lei) se sentiva pronunciare la parola “slavo” o “comunista”, mentre il padre invece non faceva che definirsi comunista, anticapitalista, aveva il santino del Che sul letto e odiava gli Stati Uniti.

Ed è all’insegna dell’antifascismo che Silvia è cresciuta a Massa con la madre (i genitori si erano separati) e con l’affettuosa famiglia materna(nota a tutti per essere una famiglia di partigiani), fumando Diana blu , leggendo Il manifesto, iscritta alla federazione dei giovani comunisti e prendendosela con chi,  gridando a gran voce e facendo il saluto romano, diceva: “allora le foibe.” “Noi che eravamo cresciuti sulla linea gotica a pane e manifestazioni dell’Anpi sentivamo così distante la parola foibe“. E inaspettatamente questa parola scava veramente un inghiottitoio nella vita di Silvia. 15 anni dopo la morte della nonna e dopo la nascita della figlia,  lei torna nella casa di Agordo e lì si accorge che la nonna non aveva lasciato quasi nessun ricordo, nessuna lettera, solo un paio di foto del padre. Questo l’ha fatta incuriosire e così ha iniziato a cercare contatti con famiglie di istriani, a leggere libri, a sentire la narrazione dell’amica istriana della nonna che non aveva lasciato la sua terra, fino a scoprire del bisnonno Romeo Martini, nato Martinchic prima della forzata italianizzazione dei cognomi, finito nella  foiba di Vines nel 1943, il riconoscimento del cui cadavere l’ha dovuto fare proprio nonna Iole appena sedicenne.

Silvia parla di Vines come di un “non luogo, è un bosco in cui ci vuole il machete per arrivarci”.

Dopo aver scritto di getto i primi due capitoli, Silvia racconta che ha iniziato una indagine durata due anni tra archivi perlopiù in lingua italiana andati parzialmente distrutti, lettere, vecchie fotografie, fette della vita e della memoria delle persone che ha incontrato, con l’intento non tanto di scrivere un libro quanto di riportare alla luce la vicenda di un destino di famiglia fatto della violenza subita e dalla violenza sofferta e fatta soffrire,  di amnesie della memoria e di memorie che non possono essere condivise.

La sua ostinata ricerca è riuscita a dare un senso a vicende che parevano incomprensibile.

Silvia spiega la dedica del libro alla figlia perché è stato solo dopo la sua nascita che ha sentito il bisogno di andare a colmare quel buco del suo passato, di spezzare un cerchio che era arrivato fino a lei, nevrosi su nevrosi, affinché quel silenzio non contagiasse anche la sua Eleonora. Silvia scherza poi sul fatto che magari sua figlia la rimprovererà di averla lasciata sola per andare a presentare proprio quel libro!

A fine presentazione si torna al presente, in quest’anno in cui le polemiche sono state più numerose e violente del solito, in cui i neofascismi si sono fatti più vivi e gli hate speaches sono stati sdoganati. Silvia ammettete che a volte ha anche avuto paura quando è  andata a presentare questo libro, ad esempio quando con Eric Gobetti il 5 febbraio a Torino sono finiti nel mirino di una associazione di estrema destra e di esuli istriani.

In conclusione, forse siamo tornati davvero a quegli slogan di cui Silvia non conosceva il significato e che contrapponevano “allora le foibe?” a “allora le violenze compiute dei fascisti?”.




Una mostra e non solo.. l’impegno scientifico dell’Istituto della Resistenza di Lucca in occasione del Giorno del Ricordo

L’Istituto storico della Resistenza di Lucca anche questo anno mostra il suo impegno nella celebrazione del giorno del ricordo.

Proprio il 10 Febbraio, viene inaugurata alle 17.30 nella Casa della Pace e della Memoria (Castello di San Donato, Mura Urbane) sulle mura, una mostra intitolata “Dall’Istria a Lucca: una raccolta di documenti familiari”.  Essa è curata da Armando Sestani, vicepresidente dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea, figlio di un esule istriano a Taranto, autore, tra l’altro, del saggio Esuli a Lucca. I profughi istriani, fiumani e dalmati 1947-56 (Pacini Fazzi editore, 2015). La mostra sarà aperta dal 10 al 22 Febbraio.

La mostra consiste in percorso storico attraverso una raccolta privata, appartenente alla famiglia del curatore,  di documenti e pubblicazioni varie che hanno come tema “le vicende complesse del confine orientale italiano”, come recita  la legge 30 marzo 2004 n. 92. Questa esposizione contiene giornali di d’epoca, cartoline e perfino la Gazzetta ufficiale sulla quale era pubblicata la legge che prevedeva l’italianizzazione dei cognomi slavi per cui Sestanich diventò Sestani. Che vuol dire per la quale come si collega e perfino Alla gazzetta ufficiale con la legge prefigge lo scopo di mostrare ai visitatori alcuni documenti originali che possono servire a conoscere, fuori da ogni retorica, una storia familiare, ma ci parlano anche della storia di donne e uomini che hanno attraversato il Novecento tra guerre, totalitarismi e spostamenti di confini che hanno segnato le loro vite.  Parte di queste persone sono state definite, anche burocraticamente, profughe o, per usare un termine di derivazione inglese, rifugiati.

Nel corso della loro vita hanno lavorato e hanno creato una famiglia, modificato il cognome, per imposizione o necessità, hanno dovuto optare per uno Stato piuttosto che per un altro, hanno abbandonato le città natie per vivere anni nei campi profughi, hanno agognato una casa.

Tale mostra, così come la proiezione del filmato “Gli esuli istriani, fiumani e dalmati a Lucca”, preceduta da una introduzione di Stefano Bucciarelli, presidente dell’ISREC di Lucca, dimostrano come alle polemiche che si rinnovano periodicamente ogni anno con toni più o meno accesi, ideologizzato il giorno del ricordo, si risponde con la storia: se la memoria difficilmente può essere condivisa, perché appartiene sempre ad un gruppo specifico, gli storici seri fondano le loro interpretazioni del passato su documenti, dunque su elementi esistenti, depositati negli archivi, non falsificabili. E i documenti parlano delle idee, dei pensieri e delle credenze degli uomini del passato – piccoli e grandi – e anche di eventi.

La contrapposizione ideologica inutile e pericolosa che politicizza le commemorazioni storiche è deprecabile e pericolosa.




Insediato il Comitato scientifico del Parco della Pace di Sant’Anna di Stazzema

Martedì 7 gennaio si è insediato il Comitato Scientifico del Parco Nazionale della Pace di Sant’Anna di Stazzema.

A farne parte sono Marco De Paolis, che è stato Procuratore Generale Militare sia nel processo che ha portato alla condanna di dieci SS per la strage di Sant’Anna di Stazzema sia di molti altri processi per crimini nazifascisti, il prof. Paolo Pezzino, Presidente dell’Istituto Nazionale Parri che coordina gli Istituti Storici della Resistenza e dell’età contemporanea, che è stato consulente per il processo su Sant’Anna e membro della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’occultamento dei fascicoli sulle stragi nel cosiddetto Armadio della Vergogna, il prof. Gianluca Fulvetti, docente di Storia Contemporanea all’Università di Pisa, autore di numerose pubblicazioni sul tema delle stragi contro i civili, lo storico locale Emmanuel Pesi, autore di alcune ricerche sul tema delle strage e il prof. Alessandro Romanini, docente alla Accademia di Belle Arti di Carrara, storico dell’arte e Presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Ragghianti.

Il Comitato Scientifico è un organo previsto dal Regolamento dell’Istituzione Parco Nazionale della Pace ed esprime un parere sul programma delle attività oltre che su ogni questione attinente le scelte in campo artistico, storico, di ricerca. Nella prima seduta si è proceduto a prendere visione delle attività già calendarizzate per l’anno 2020 e a programmare le proposte per le prossime attività nel medio e lungo termine. Nel corso di tale seduta il Comitato ha eletto come Presidente il prof. Paolo Pezzino che ha un lungo percorso che lo lega a Sant’Anna di Stazzema.