A Livorno emozione di fronte alla pietra di inciampo per la piccola Gigliola Finzi uccisa a pochi mesi ad Auschwitz.

Di Gigliola Finzi, la bambina pochi mesi uccisa dai nazisti poco prima dell’ingresso ad Auschwitz, e alla quale è stata dedicata oggi, a  Livorno, la nuova pietra di inciampo in via Verdi 25, parla Frida Misul nel suo diario.

Frida Misul, una reduce livornese dell’Olocausto, il suo diario una delle prima testimonianze scritte sull’orrore delle deportazioni scrisse:

Ad un certo punto, prima di aspettare l’ordine per incamminarci di nuovo, un tedesco, per caso, vide che una delle ragazze teneva un grosso involto tra le braccia. Le fu intimato di far vedere che cosa c’era dentro e questa, tutta sconvolta e tremante, aprì uno scialle nero di lana e apparve una bella bambina di circa 6 mesi. La madre supplicò tanto il tedesco di non farle del male e chiese di andare dove sarebbe andata sua figlia per seguire lo stesso destino. Ma il tedesco con un grande sogghigno prese la povera creatura, le strappò i poveri stracci di dosso e poi, con grande sveltezza, la scosciò davanti agli occhi inorriditi della madre e di noi tutti. La povera donna non sopportando il grande dolore, cadde subito morta ai nostri piedi. Questa signora era livornese come me, si chiamava Berta Della Riccia. Fu arrestata assieme ai suoi familiari per essere condotta ad Auschwitz. Di tutta la famiglia non è rimasto alcun superstite, perché tutti furono uccisi nelle camere a gas”.

Una delle troppe pagine agghiaccianti della Shoah, che hanno visto purtroppo drammaticamente protagonisti bambini, donne, uomini ebrei, moltissimi anche a Livorno.

Per Gigliola Finzi la pietra d’inciampo indica l’ultima abitazione della sua famiglia livornese prima della deportazione, ma anche il luogo che non poté essere la sua casa. Nacque infatti il 19 febbraio 1944 nel campo di raccolta di Roccatederighi, vicino a Grosseto, da genitori livornesi – la madre Berta della Riccia e il padre Natale Finzi – e fu deportata e uccisa poco prima di entrare ad Auschwitz tre mesi dopo, per l’esattezza il 23 maggio 1944”.

La brevissima vita di Gigliola, e la sua ingiusta fine, è stata ricordata questa mattina nel corso di una cerimonia organizzata tra le iniziative per il Giorno della Memoria dalla Comunità di Sant’Egidio insieme al Comune di Livorno, con la collaborazione della Comunità Ebraica, della Diocesi e di Istoreco, e che si è conclusa con la deposizione di fiori davanti alla sua stolpersteine, piccolo blocco di pietra, ricoperto da una lastra di ottone sulla quale è riportato il nome, l’anno di nascita, il giorno ed il luogo della deportazione, la data di morte della povera bimba.

Le pietre di inciampo sono il simbolo visibile dell’esistenza di chi è stato deportato e ha vissuto sulla propria pelle questo orrore”, ha voluto sottolineare all’apertura della cerimonia il Prefetto Paolo D’Attilio per il quale “la memoria è il vaccino per proteggere le persone più deboli evitando che certe vicende si ripetano”.

Concetto ripreso dalla responsabile della Comunità di Sant’Egidio di Livorno Anna Ajello: “Con questa memoria possiamo scegliere la vita. È il richiamo del più grande vaccino che ci hanno lasciato le generazioni precedenti, il vaccino contro l’odio, contro la guerra, contro il razzismo

L’assessore alla Cultura Simone Lenzi ha sottolineato che “questa è una ricorrenza a cui personalmente partecipo con grande trasporto. È di qualche giorno fa l’intervista a Emanuele Filiberto di Savoia che chiedeva scusa per le leggi razziali. La prima cosa che ho pensato: certo non una gran prontezza di riflessi. La ferita profonda delle leggi razziali dipende e deriva dal fatto che gli ebrei come tanti altri italiani furono in prima fila nel Risorgimento, pagarono il loro tributo di sangue nella Prima Guerra mondiale, questo dimostra quanto mai vili e scandalose furono le leggi razziali e il comportamento di tanti italiani. Non deve esistere una versione autoassolutoria di questa storia, le leggi razziali non furono solo un tributo pagato all’ alleato tedesco: l’antisemitismo era già moneta corrente in Italia, quella serpe c’è sempre e dobbiamo avere la prontezza di metterci il piede sopra. Ricordo anche che Livorno senza ebrei non esisterebbe, la nostra città è nata con gli ebrei, l’eredità ebraica è nella nostra cultura, nei nostri usi, perfino nella nostra cucina. Il Giorno della Memoria riguarda tutti i livornesi”.

Siamo una minoranza, abbiamo le nostre tradizioni, ma gli ebrei sono italiani e sono europei, sono in tutto il mondo, hanno contribuito allo sviluppo non solo di Livorno ma dell’Europa – ha aggiunto il Presidente della Comunità Ebraica di Livorno Vittorio Mosseri – e dobbiamo uscire dalla contrapposizione “io, noi, loro”. Non sono accettabili le offese a chi è ebreo – ha aggiunto – di recente il nostro Rabbino è stato offeso al mercato”. E rivolgendosi ai bambini delle scuole “Benci” presenti alla cerimonia: “Bimbi, la memoria della Shoah non è per i morti, è fatta per i vivi di oggi e di domani, per difendere quello che con tanto sacrificio è stato ottenuto”.

Significativo l’ intervento della direttrice di Istoreco Catia Sonetti: “I testimoni di quando l’ Armata rossa arrivò a Auschwitz sempre più rari. Il Giorno della Memoria deve essere lo stimolo per portare avanti un lavoro sì di memorie, ma anche di storia, che aiuta a contestualizzare i fatti. La storia serve ad esempio a capire di cosa si macchiarono i Savoia, per cui non bastano delle scuse tardive. La Shoah e le leggi razziali – ha aggiunto – non furono uno sbaglio, un incidente ma la conseguenza di tanti passi. Le ricerche storiche ci dicono che a Livorno la tragedia – ha ricordato – è stata più grande di quanto ci raccontiamo”.

Estremamente commovente la testimonianza di Edi Bueno, 90 anni, che ha narrato un episodio apparentemente da nulla prima della deportazione della sua famiglia, quando ancora la vita a Livorno scorreva apparentemente normale: “Ero una bambina. Al bar Lazzeri in via Grande la commessa negò a me e a mio fratello un gelato. Protestai con il proprietario. Per tutta risposta mi mostrò il cartello all’ingresso: “E’ vietato vendere il gelato agli ebrei”.
Dopo gli interventi della direttrice didattica delle Benci e di rappresentanti di sant’Egidio in chiusura, prima della deposizione di fiori alla pietra di inciampo per Gigliola Finzi, di fronte alla casa nella quale avrebbe potuto abitare ma non ha mai abitato, il Rabbino di Livorno ha letto un salmo per chiedere aiuto a Dio per il futuro e per ricordare quel milione e mezzo di bambini ebrei uccisi nella Shoah.

[testo a cura Ufficio Stampa Comune di Livorno]




A Calci iniziativa su “Il Porrajmos: il genocidio dimenticato”

Il 27 gennaio si celebra il Giorno della Memoria per ricordare lo sterminio del popolo ebraico, le leggi razziali, la persecuzione dei cittadini ebrei, la deportazione politica, la prigionia militare, la morte. Il legislatore si è dimenticato, però, di commemorare anche i 500mila rom e sinti vittime del genocidio. Uno sterminio sconosciuto e dimenticato anche nelle aule del Parlamento. Così per ricordarlo è stato necessario, in una frammentazione della memoria, cercare una nuova data. L’accordo internazionale ha individuato il 2 agosto perché nella notte fra il 2 e il 3 agosto 1944 2.987 Rom, soprattutto donne, bambini e anziani furono sterminati con il cosiddetto progetto di liquidazione dello ZigeunerLager di Birkenau.

Ma cosa è il Porrajmos? E perché è importante commemorarlo?

Ne parlerà la Professoressa Chiara Nencioni, alla presenza di Emanuele Piave, rappresentante dell’UCRI (Unione comunità romanès in Italia) in un webminar organizzato dal Comune di Calci (Pi).  Per poter seguire l’evento collegarsi il 27 gennaio alle 17.30 al link urly.it39tjg sulla piattaforma zoom.

Letteralmente “inghiottimento”, “grande divoramento” o “devastazione”, Porrajmos è il termine con cui Rom e Sinti e Camminanti hanno denominato la persecuzione da loro subita durante il fascismo e lo sterminio del loro popolo perpetrato dai nazisti e dai loro alleati durante la seconda guerra mondiale. Questo disegno omicida è definito anche con il termine Samudaripen, che significa letteralmente “tutti uccisi”. La stima delle vittime si aggira fra i 220.000 e i 500.000, quindi circa il 25% della popolazione nomade complessiva presente in Europa tra le due guerre, in altre parole, un Rom su quattro.

La conferenza, partendo dallo spiegare chi sono i sinti e i rom, traccia la storia dell’antiziganismo, sin dal Medioevo, la diffidenza e i pregiudizi che hanno indotto tutti i paesi europei moderni ad adottare bandi di espulsione nei confronti degli “zingari”, fino alla programmazione del genocidio da parte nazista. Ma già il regime fascista dal 1926 aveva imposto misure restrittive verso i circa 95.000 rom e sinti allora presenti in Italia e cercato di limitare l’ingresso e la circolazione delle carovane nomadi sul territorio nazionale. Tutti gli appartenenti a queste etnie venivano indistintamente schedati come stranieri e successivamente chiusi fino all’armistizio in campi di concentramento -i tre più importanti: Boiano e Agnone (Molise) e Tossicia (Abruzzo)- in cui le condizioni di vita erano estreme.

In Germania le tracce del porrajmos vanno seguite a partire dal censimento degli “zingari”, voluto in Baviera da Dillmann. I dati raccolti da Dillmann divennero la base per la redazione del ZigeunerBuch che in 344 pagine elenca i dati personali e genealogici di 3350 persone appartenenti all’etnia Rom. Sempre in Baviera, nel 1929 viene creato l’“ufficio centrale per la lotta alla piaga zingara” poi utilizzato dai nazisti per attingere informazioni su rom e sinti in modo da trovare le motivazioni scientifiche attraverso cui sia loro possibile avvalorare la tesi che gli zingari non appartengono alla “razza ariana” e che quindi devono essere catalogati come “razza impura”. Quando Hitler diventa cancelliere, i rom e sinti presenti in Germania ammontano circa a 25.000. Dapprima tutti vengono arrestati per sterilizzarli, perché considerati una popolazione ereditariamente malata di asocialità e del “gene della criminalità e del pericoloso istinto al nomadismo”, poi nel 1935 è emanata una legge che proibisce i matrimoni tra gli “zingari” e gli “ariani” e nel 1936 un’altra che inserisce tutti gli appartenenti alla categoria “zingari” nei campi di sosta forzata sorti alle periferie delle città tedesche per utilizzare queste persone come mano d’opera schiava.

Dopo aver tracciato un quadro della persecuzione dei sinti e rom nei paesi occupati dai nazisti, la Professoressa Nencioni tratterà della “soluzione finale della piaga zingara”, che avviene nel 1942 nello Zigeunerlager di Auschwitz Birkenau. Il registro del campo contava 10.649 femmine e 10.094 maschi tra cui molti bambini. Questo campo era regolato in modo diverso dagli altri: le famiglie non venivano divise come avveniva per gli altri internati e non partecipavano ai gruppi di lavoro. Il campo era completamente lasciato a sé stesso: niente cibo né medici (se non Mengele, il quale prediligeva per i suoi esperimenti bambini rom e sinti per la loro presunta appartenenza alla razza pura degenerata), niente di niente. Finché la notte fra il 2 e il 3 agosto si decise di liquidare il campo, mandando nelle camere a gas tutti i suoi abitanti.

E alla fine della guerra? Nessuno dei medici e degli antropologi, tra cui Robert Ritter ed Eva Justin, che avevano lavorato nei campi per concludere, attraverso ricostruzione di alberi genealogici e misurazioni antropometriche, che l’inferiorità razziale di rom e sinti era dovuta a due caratteri ereditari, l’asocialità e l’istinto al nomadismo, e che erano degenerati per “razza”, sono stati mai condannati per i crimini compiuti e sono tornati indisturbati a lavorare all’interno degli uffici statali. In Svizzera, fino agli anni ’80 il governo ha predisposto per gli Jenische ((i cosiddetti “zingari bianchi” della Svizzera) procedure di allontanamento forzato dalle famiglie, elettroshock, sterilizzazione e l’affidamento dei bambini a istituti psichiatrici o religiosi per essere rieducati. In Germania gli studi di Ritter e Justin passano nelle mani Hermann Arnold che pubblica il saggio dal titolo Die Zigeuner. I suoi studi indirizzarono l’azione dei governi europei (anche quello italiano) che dagli anni Sessanta costruiscono politiche che avrebbero voluto essere per l’inclusione dei rom, ma che hanno prodotto emarginazione. L’emarginazione del campo nomadi è stata dunque creata sulla base dello stereotipo dello zingaro. Stereotipo che è ancora difficile da decostruire: i meccanismi, più o meno inconsci, di discriminazione e xenofobia nei confronti del popolo rom e sinto sono diffusissimi e determinano le politiche di segregazione di cui sono sovente fatti oggetto.

Celebrare il Porrajmos è un passo avanti nella conoscenza delle discriminazioni di cui il popolo rom è stato a lungo vittima e della feroce persecuzione nell’ottica di pulizia etnica che non trova ancora quasi mai traccia neppure nei manuali di storia. E’ importante conoscere il Porrajmos ancora di più in Italia, dove certamente le politiche sempre più xenofobe e razziste non aiutano e dove si registra ancora adesso il più alto livello di discriminazione nei confronti di queste minoranze etniche, che tuttavia sul territorio nazionale costituiscono soltanto lo 0,02% della popolazione totale. E’ quindi insensato parlare, come si è troppo soliti fare, di invasione rom.

Tuttavia, anziché creare memorie separate e numerose giornate dedicate alla memoria di varie categorie di vittime o martiri, è importante stimolare una memoria comune che si basi su percorsi di conoscenza dei fatti, al di là dei particolarismi etnici o di parte.  È doveroso ricordare il genocidio di rom e sinti in Europa, ma è importante inserirlo nella storia comune delle varie popolazioni, gruppi etnici, categorie sociali e politiche perseguitati dal totalitarismo nazista. E’ perciò importante che si menzioni il porrajmos nella legge nazionale n.211 del 2000 che fa del 27 gennaio «il Giorno della Memoria». La memoria della distruzione e della negazione della vita umana non va perpetuata in nome di riferimenti razziali o attraverso memorie diverse e distinte.

Mi piace concludere con le parole della senatrice a vita Liliana Segre, pronunciate nel 2018: “la Shoah degli ebrei e il Porrajmos dei popoli nomadi sono parte di uno stesso progetto disumano. Io ricordo, perché io c’ero; c’ero in quei campi di sterminio in cui, insieme agli Ebrei, anche altre minoranze vennero annientate. Tra queste, il gruppo più numeroso era proprio quello degli appartenenti alle popolazioni Rom e Sinti”.




“Nel vento e nel ricordo”. Storie di bambini ebrei della Shoah in provincia di Lucca

www.nelventoenelricordo.it.

La mostra è online dal 23 gennaio e rappresenta, oltre che un prezioso veicolo di memoria, uno strumento a disposizione delle scuole di ogni ordine e grado. La realizzazione è avvenuta grazie alla collaborazione della provincia di Lucca e dei comuni di Lucca, Altopascio, Barga, Borgo a Mozzano, Camaiore, Capannori, Castiglione di Garfagnana, Gallicano, Minucciano, Montecarlo, Porcari, Stazzema e Viareggio.




La SISLav e l’Istoreco Livorno aprono la terza edizione del bando Ortaggi destinato alle opere prime inedite di storia del lavoro.

Per sostenere lo sviluppo di nuove ricerche sui temi della storia del lavoro, la Società Italiana di Storia del Lavoro (SISLav) e l’Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea nella provincia di Livorno (Istoreco Livorno) hanno istituito nel 2016 un premio intitolato alla storica Simonetta Ortaggi, scomparsa nel 1999, studiosa e autrice di alcuni tra i più importanti e sistematici studi italiani di storia del lavoro. La terza edizione del premio è aperta alle monografie inedite che rappresentino opere prime per gli autori. Sono ammesse anche tesi di laurea e di dottorato, discusse nel triennio 2018-2020.

Il premio consiste nella pubblicazione dell’opera presso la collana “Lavori in corso” delle edizioni SISLav-NDF. Il volume sarà liberamente disponibile in versione elettronica sul sito dell’editore e acquistabile in quella cartacea.

L’opera può essere redatta (o integrata da una traduzione fedele all’originale) in una delle seguenti lingue: italiano, francese, inglese, portoghese, spagnolo, tedesco. La lingua della pubblicazione finale sarà l’italiano; l’eventuale traduzione sarà a carico dell’autore.

Condizione imprescindibile è che l’opera non sia né edita né in corso di pubblicazione e che il candidato non abbia già pubblicato altri lavori in forma monografica. Non vi è alcun vincolo, né di natura cronologica né territoriale, circa l’argomento oggetto della monografia: possono essere presentate ricerche relative a qualsiasi periodo storico, dall’età antica alla contemporanea, e a qualsiasi area territoriale.

La candidatura deve essere presentata entro il 1 marzo 2021 compilando il facsimile allegato e spedendolo all’indirizzo e-mail storialavoro@gmail.com, allegando copia elettronica della tesi o della monografia, un abstract in italiano di massimo 4.000 caratteri, un breve curriculum vitae utile a contestualizzare la ricerca nell’ambito degli interessi del candidato e una lista delle eventuali pubblicazioni.

Per rendere definitiva la candidatura è necessario inviare una copia cartacea della tesi o della monografia entro la data del 1 aprile 2021 al seguente indirizzo:

Società Italiana di Storia del Lavoro
c/o Dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche e dell’Antichità DiSSGeA
Università degli Studi di Padova
Via del Vescovado, 30, 35141 Padova

Farà fede il timbro dell’ufficio postale di partenza. La copia cartacea della tesi non sarà restituita al termine della selezione ma conservata presso la sede della SISLav. Entro il 30 settembre 2021 un’apposita Commissione valuterà insindacabilmente la tesi vincitrice del premio. La Commissione sarà formata da cinque membri: tre nominati dal Direttivo SISLav e due nominati dall’Istoreco Livorno. La composizione della commissione verrà comunicata sul sito della SISLav (http://storialavoro.it) entro il 15 marzo 2021.

La Commissione comunicherà l’esito a tutti i candidati. A suo insindacabile giudizio, qualora nessuna delle opere concorrenti risulti adeguata sotto il profilo tematico e/o qualitativo, il premio potrà non essere assegnato. La Commissione si riserva inoltre di attribuire una menzione speciale a favore della pubblicazione di opere non vincitrici ma ritenute comunque meritevoli.

Il vincitore è tenuto a inviare all’indirizzo email storialavoro@gmail.com – entro quattro mesi dalla comunicazione dell’esito – una versione rivista della sua opera:

– tenendo conto delle indicazioni editoriali e scientifiche della Commissione;
– redatta secondo le norme editoriali della collana “Lavori in corso” delle edizioni SISLav-NDF;
– in lingua italiana, dunque se necessario tradotta a cura e a spese dell’Autore.

Per la revisione della tesi il vincitore potrà avvalersi di due interlocutori indicati dal Direttivo SISLav.

L’Autore rinuncerà ai diritti sulle vendite e avrà diritto a 20 copie cartacee del volume.
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Nel centenario del PCI, la Biblioteca Serantini promotrice di un progetto per conservare la storia dei comunisti pisani

La Biblioteca Franco Serantini, archivio e centro di documentazione di storia sociale contemporanea, tra i vari eventi in programma per il 2021, presenta il progetto dedicato al centesimo anniversario della nascita del Partito Comunista Italiano, dal titolo: 100 anni dalla fondazione del Partito comunista (1921-2021): tra memoria e storia. Progetto per la conservazione, la tutela e la divulgazione della storia dei comunisti di Pisa e provincia: documenti, oggetti, testimonianze dei protagonisti.

Il primo obiettivo del progetto è quello di salvaguardare l’archivio della Federazione pisana del PCI, con l’intenzione nel tempo di valorizzarlo e metterlo a disposizione degli studiosi e dei cittadini e con questo rilanciare l’interesse per la storia dei comunisti nel nostro territorio, attraverso una ricostruzione storico/critica delle vicende della Federazione pisana.

Perché occuparsi oggi dell’archivio del PCI e in genere degli archivi dei partiti politici?

Dalla caduta del fascismo agli anni Novanta, il ruolo che i partiti politici hanno svolto nella vita politica ed istituzionale del nostro Paese ci induce ad affermare che essi hanno ricoperto un ruolo fondamentale nella costruzione di una coscienza civica collettiva, che è andata a ridisegnare, sotto l’aspetto morale e politico, un paese distrutto da vent’anni di dittatura.

Si è scritto infatti che la democrazia italiana non poteva nascere, o riprendere il suo cammino, se non come una democrazia segnata dalla partecipazione dei cittadini e dei partiti politici alla vita del Paese. Quest’ultimi, esercitando un ruolo di cerniera fra lo Stato e la società, di vivaio di quadri per il Governo e per il Parlamento, hanno svolto nella storia contemporanea, almeno fino ai primi anni Novanta, un ruolo di importanza crescente, di coscienza critica nella costruzione dell’Italia repubblicana.

Questo ruolo vale ancora di più per la storia del PCI, non solo per gli aspetti istituzionali, ma soprattutto per quelli sociali. È innegabile, infatti, l’azione svolta da quel partito e dai suoi militanti nella lotta per il riscatto e la difesa dei diritti dei lavoratori, come nella rinascita dei sindacati di categoria e nazionali, in un periodo di forte conflittualità sociale. Un ruolo insostituibile, svolto assieme alle altre forze politiche del movimento operaio, nella costruzione della democrazia repubblicana di fronte ai nodi irrisolti dell’Italia nata dalla Resistenza ancora fortemente condizionata dal lascito drammatico del ventennio fascista.

Impegnarsi, dunque, a salvaguardare le fonti documentarie dei partiti, e del partito comunista in particolare, significa impegnarsi a tutelare, con un approccio critico/scientifico, la storia del nostro Paese e a non privarla dei suoi fondamentali punti di riferimento, cercando di comprendere anche la storia della crisi politica che negli ultimi decenni ha travolto i partiti tradizionali; significa anche garantire , nel contempo la trasmissione di questa memoria alle future generazioni.

In secondo luogo, la Biblioteca Franco Serantini ha accolto l’invito di alcuni ex militanti comunisti e ha promosso la costituzione di comitato con lo scopo di coordinare l’iniziativa: ad oggi, hanno aderito a livello personale gli ex militanti e dirigenti del PCI: Gian Mario Cazzaniga, Fabrizio Cerri, Paolo Fontanelli, Carlo Gori, Franco Marmugi, Stefano Pecori, Carlo Scaramuzzino e Cristiana Torti .

È  già stata avviata la raccolta di memorie scritte e orali degli ex militanti di Pisa e della provincia, al fine di ricostruire le loro esperienze politiche e di approfondire il legame tra politica e territorio, per poter meglio comprendere l’evoluzione del partito dall’immediato secondo dopoguerra fino al 1991, anno in cui il PCI deliberò il proprio scioglimento promuovendo contestualmente la costituzione del Partito Democratico della Sinistra..

Si invitano gli ex militanti ad aderire al Comitato promotore e a contattare i suoi componenti, in modo da rilasciare le proprie testimonianze e a mettere a disposizione materiali e documenti per arricchire il fondo documentale e archivistico dedicato alla Federazione comunista pisana.

Per informazioni e contatti: memoriapcipisa@gmail.com

 




Ci ha lasciato Aristeo Biancolini, partigiano senese.

Ieri è venuto a mancare Aristeo Biancolini, una delle figura più lucide del partigianato senese. Nato a Chianciano nel 1924, da una famiglia di antifascisti, a diciotto anni entrò nelle prime bande che iniziarono a costituirsi tra la Val d’Orcia e la Val di Chiana già a partire dalla fine del novembre del 1943.

Di ideali socialisti, nel Secondo dopoguerra divenne sindaco di Chianciano e per tutta la sua esistenza non ha cessato mai di raccontare, in modo chiaro e sereno, la sua vicenda ai giovani.

fantacciQuando Aristeo descriveva la propria esperienza di combattente per la libertà, lo faceva sempre in modo semplice e privo di retorica accostando con naturalezza gli episodi di rilievo, per esempio il sabotaggio della centrale di amplificazione telefonica di Abbadia San Salvatore (10 marzo 1944), a momenti profondamenti umani tra cui quello della mancata fucilazione di un milite fascista la cui pesante situazione familiare (quattro figli piccoli e la moglie malata di tisi) spinse i partigiani a un atto di misericordia.

Con la sua morte perdiamo un testimone di una delle pagine più significative della Resistenza italiana, ossia quella dei valori etici e morali di centinaia di ragazzi che decisero di rischiare la propria vita, anziché nascondersi, per creare un mondo diverso la cui essenza può essere riassunta dal titolo del libro “Non saremo mai come loro” (a cura di Andrea Fantacci e Monica Tozzi) all’interno del quale Aristeo raccontava la sua esperienza.




Conferita dal Presidente della Repubblica l’onorificenza di commendatore al merito della Repubblica Italiana a Enrico Pieri.

È di ieri, 29 dicembre 2020, la notizia che il Presidente Mattarella ha assegnato 36 onorificenze al merito della Repubblica. Una di esse va ad Enrico Pieri, sopravvissuto e testimone della strage di Sant’Anna di Stazzema.

Il 12 agosto 1944 Enrico aveva 10 anni quando a Sant’Anna di Stazzema furono massacrate, dalla violenza nazifascista, uomini ma soprattutto anziane donne bambini e sfollati. Enrico si salva insieme a due sorelline nascondendosi in un sottoscala mentre la casa va a fuoco. In quel giorno perde i genitori, due sorelle, gli zii, i nonni e i cugini.  Uscendo poi dal suo rifugio e nascondendosi nei boschi e poi ritornando a Sant’Anna, ha modo di vedere in tutta la sua crudezza, in tutto il suo orrore quello che le SS avevano compiuto a Sant’Anna di Stazzema. 10 anni sono veramente pochi, sono traumi dai quali ci si può non riprendere e anche Enrico ha spesso detto che sogna ancora la notte di dover fuggire da un luogo chiuso, perché sono esperienze che ti rimangono assolutamente dentro. Però Pieri è riuscito è rielaborarle, nonostante la vita difficile. Emigrato per 35 anni in Svizzera, è tornato in Italia e da quel momento non si è mai stancato di testimoniare, di mantenere la memoria di quello che era successo ma con alcuni particolari accenti: nelle parole di Enrico Pieri non troverete mai odio, perché riesce sempre a distinguere tra quello che hanno fatto quegli uomini in nome di un’ideologia come quella nazista è quello che fanno oggi la Germania e i Tedeschi.

Oggi Enrico Pieri  è il Presidente dell’Associazione martiri di Sant’Anna di Stazzema. Va instancabilmente nelle scuole, riceve instabilmente le scolaresche che salgono a Sant’Anna di Stazzema e in tutti i suoi discorsi fa sempre riferimento alla pace che l’Europa ha vissuto dopo la fine del secondo conflitto mondiale e al fatto che questa pace è garantita in Italia dei valori della Costituzione e soprattutto è garantita dalla nascita dell’Unione Europea.

Tutti i discorsi di Enrico Pieri sono l’auspicio che l’Unione Europea possa effettivamente essere un’unione di popoli e non solo di stati, che testimoni che quello orrore che si è manifestato a Sant’Anna di Stazzema 12 agosto del ‘44 -così come del resto in tutta Europa- sia effettivamente sorpassato dal processo di unificazione in base ai valori di giustizia e di pace.

Ecco, la giustizia è un altro dei valori di Enrico Pieri che ha seguito con grande attenzione il processo per i fatti di Sant’Anna di Stazzema che si è tenuto alla Spezia molti decenni dopo quei fatti. Enrico ha sempre detto che quel processo era il riconoscimento di quello che era stato, perché, se giustizia non era stata fatta nel senso comune – i responsabili ancora vivi, processati e condannati all’ ergastolo non sono stati estradati in Italia e non hanno neanche scontato la loro pena in Germania- l’importante, anche per le giovani generazioni, era che venisse riconosciuto quello che era avvenuto. Il giudizio finale, dopo il tribunale di La Spezia, l’avrebbe dato la Storia.

Proprio per questo suo costante impegno, il riconoscimento di oggi non è il primo che Enrico Pieri avuto: nel 2011 è stato nominato Cittadino Europeo dell’anno dal Parlamento europeo e questo luglio, insieme a Enio Mancini, un altro superstite e testimone costante di quello che è successo e dei valori di pace di giustizia che da Sant’Anna emanano verso il resto del paese (ma si potrebbe dire verso tutto il mondo) è stato nominato Cavaliere della Repubblica federale tedesca.

Oggi Mattarella motiva  l’onorificenza che ha concesso  a Pieri come punto di riferimento per generazioni,  testimone della memoria, della storia, dei valori di pace e di giustizia.

Ricordiamo infine che Enrico Pieri ha donato la sua casa, la casa dove avvenne l’eccidio e dove lui si salvò, al Comune di Stazzema perché possa diventare uno dei luoghi di raccolta e di riferimento per le comitive sempre più numerose che salgono a Sant’Anna, dove manca ancora, per esempio, una foresteria che consenta di poter passare anche due giorni, la notte, nel Parco della pace. Enrico ha voluto donare la sua casa perché Sant’ Anna diventi sempre più un luogo della memoria non solo toscana, non solo nazionale, ma europea.




Nuovo numero di “Farestoria” dedicato alla scuola

É uscito il nuovo numero della rivista “Farestoria”, nuova serie, n. 1 gennaio-giugno 2020, dal titolo “La storia nella scuola, la scuola nella storia” a cura di Chiara Martinelli e Alice Vannucchi.

Riscoprire le radici storiche e le poste in gioco della scuola risulta tanto più importante in un periodo come questo, in cui la questione scolastica è drammaticamente salita alla ribalta e i suoi problemi, volente e nolente, sono diventati argomento di riflessione e dibattito collettivo.

Il fascicolo affronta, in un’ottica interdisciplinare, alcuni nodi fondanti della storia della scuola e della didattica della storia: l’annosa questione tra accentramento e decentramento, la disoccupazione intellettuale, la posizione degli insegnanti nei confronti dello stato, le riforme degli anni Settanta e le loro ricadute sulla scuola d’oggi. La sezione di didattica della storia tematizza contenuti, strumenti e modalità d’applicazione, evidenziando le potenzialità della disciplina per la crescita dell’individuo e della collettività.

Per info e acquisti: ispresistenza@tiscali.it