Presentato alla Biblioteca Franco Serantini il n. 300 della rivista “Italia contemporanea”
Alle ore 17.30 presso la Biblioteca Franco Serrantini, Istituto della Storia Sociale, della Resistenza e dell’Età Contemporanea in Provincia di Pisa, si è tenuta la presentazione del n. 300 della rivista
ITALIA CONTEMPORANEA, il quadrimestrale dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri, Rete degli Istituti per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea. Dal 1974 essa costituisce la continuazione de «Il Movimento di liberazione in Italia» (suo primo nome), che accompagnò la nascita dell’Istituto nel 1949 come espressione del suo impegno scientifico e culturale.
Bruno Settis sottolinea la profonda differenza di questa rivista, nata il 1 luglio 1949, dalle precedenti riviste liberal-nazionali-patriottiche.
Ha introdotto l’evento Stefano GALLO (CNR e direttore della Biblioteca F. Serantini) e sono intervenuti Paolo PEZZINO (presidente dell’Istituto Nazionale F. Parri), Enrica ASQUER (Università di Genova) e Bruno SETTIS (Università di Bologna) e Fabio DEI (Università di Pisa).
Pezzino ha subito sottolineato l’importanza di “fare rete” e percorso brevemente le vicende dell’allora INSMLI, sin da quando il suo fondatore nel 1949 e presidente fino al 1972, Ferruccio Parri, ha subito voluto rendere pubbliche le sue carte. All’inizio della storia dell’INSMLI i presidenti sono stati partigiani e la loro è stata una storiografia militante: ad es. Parri, Quazza. Un primo cambiamento si è avuto nel 1996, con presidenti storici come Rochat (esperto di storia militare), Lajolo. La seconda fase dell’INSMLI è quella delle direzioni politiche: Scalfaro, Onida. La terza è quella ancora in corso, con l’elezione nel 2018, quando, con una svolta, si è deciso di eleggere uno storico e si è tenuta una vera e propria competizione elettorale, che ha visto la vittoria di Paolo Pezzino.
Pezzino si rammarica che due grandi storici non siano mai stati Presidenti del Parri: Claudio Pavone e Enzo Collotti.
La finalità del Parri è principalmente quella di ricerca storica e della lotta alle mistificazioni di essa e alle false notizie.
Attualmente il Parri è il principale responsabile scientifico di ciò che sarà il Museo Nazionale della Resistenza: a maggio inizierà la costruzione dell’edificio, ma dal cambio di governo non è giunto nessun riscontro dal Ministero della Cultura.
Prende poi la parola Enrica Asquer che spiega la nuova struttura redazionale di “ITALIA CONTEMORANEA”: dopo un lungo periodo di direzione del Prof. Nicola Labanca, ora è sorta una sorta di “tetrarchia”, composta da tre donne e un uomo, di cui lei è un membro.
In ogni numero di “ITALIA CONTEMPORANEA”, rivista trimestrale, c’è anche una Sezione Open Access, un’antologia annuale dei migliori saggi in lingua inglese.
La rivista si articola in tre sezioni: Studi e ricerche, che accoglie ricerche originali e studi su fonti di prima mano; Note e discussioni, che ospita rassegne, note critiche, nonché la pubblicazione di fonti e documenti particolarmente significativi e la presentazione di fondi archivistici pubblici e privati; Una specifica attenzione riservata all’uso pubblico della storia e al suo insegnamento.
Conclude ogni numero una Rassegna bibliografica, dedicata a esami approfonditi di un cospicuo numero di novità, nonché a segnalazioni più brevi dal carattere principalmente informativo.
Accanto a “ITALIA CONTEMPORANEA” è nata la rivista online novecento.org, più orientata sulla didattica.
La rivista ha un anelito molto vasto e vuole avvicinarsi a nuovi interessi oltre alla Resisten.za, per esempio la storia di genere, la storia economica e sociale, del lavoro, dell’ambiente. Accoglie firme di grandi autori ma anche di giovani ricercatori. Lo scopo è promuovere ricerca e pensiero e il fine è quello di aprirsi oltre l’ambito accademico.
Fabio Dei riconosce che spesso l’ANVUR spinge a costruire riviste che sono depositi di saggi accademici, non tengono conto delle recensioni. “ITALIA CONTENMPORANEA” ha un respiro diverso.
Streaming della presentazione di “Il tifo violento in Italia”
79° anniversario della strage di Montemaggio: la commemorazione

Domenica 26 marzo si è commemorata la strage di Montemaggio (Comune di Monteriggioni, Provincia di Siena), avvenuta il 28 marzo 1944, nella quale 19 giovani partigiani persero la vita per mano dei fascisti.
Le vittime appartengono ufficialmente al distaccamento della “Spartaco Lavagnini” e a Montemaggio hanno base a “Casa Giubileo”. Attaccati dai fascisti, dopo solo un’ora il combattimento è concluso: un partigiano rimane ucciso nello scontro armato, un secondo è ferito mentre tenta di fuggire e viene finito subito dopo. Gli altri 17 si arrendono con la promessa di aver salva la vita ma i fascisti prima si sfogano iniziando a picchiare i prigionieri, poi, privati alcuni delle scarpe, li fanno salire su di un camion. Arrivati nello spiazzo della strada detto “La Porcareccia”, i partigiani vengono fucilati con l’ausilio di una mitragliatrice.
Tutti i responsabili della strage sono stati liberati perché amnistiati a metà degli anni ’50.
La prima parte della commemorazione si svolge accanto al cippo che reca i nomi delle 19 vittime, di fronte ad una statua realizzata nel 1979 dallo scultore Nelson Salvestrini. Essa rappresenta un uomo che dorme e che pare uscito dal blocco di travertino in cui è scolpito. L’artista spiega che nelle sue intenzioni quel giovane partigiano non è morto ma dice “io morirò quel giorno in cui voi smetterete di lottare per tutto ciò per cui io ho lottato e per cui sono morto”.
Poi la commemorazione di sposta in un prato limitrofo.
Salgono sul palco il Sindaco di Colle Val D’Elsa, Alessandro Donati, una rappresentante dell’ANPI in sostituzione della vicepresidente nazionale Albertina Soliani, e il Professor Paolo Pezzino, Presidente dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri.
Il Sindaco esordisce citando il Discorso agli studenti milanesi di Piero Calamandrei nel 1955: “Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, oh giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione.” Cita poi un estratto della circolare ai suoi studenti della Preside fiorentina Annalisa Savino, in seguito al pestaggio fascista avvenuto davanti al Liceo Michelangelo: “Il fascismo in Italia non è nato con le grandi adunate da migliaia di persone. È nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a sé stessa da passanti indifferenti. ‘Odio gli indifferenti’”. E il sindaco così proclama “Noi che siamo qui, non siamo indifferenti. Gramsci non ce l’avrebbe con noi”.
E’ poi il turno della delegata ANPI: “i partigiani non sono stati uccisi in quanto italiani (e qui è chiaro il riferimento alle parole di Meloni alla commemorazione di qualche giorno fa alle Fosse Ardeatine) ma come combattenti contro il fascismo, e non sono stati uccisi da un nemico esterno, ma da altri italiani, fascisti”. E, in modo commovente, aggiunge: “Il sorbo che è stato falciato dalle mitragliate fasciste contro i partigiani di Montemaggio è stato ripiantato davanti a Casa Giubileo”.
È poi il turno di Pezzino che ricorda che “l’eccidio di Montemaggio è la più grave strage di partigiani in provincia di Siena e la seconda in Toscana dopo quella di Figline di Prato”. E asserisce: “attraverso il sacrificio dei giovani di Montemaggio la Resistenza è riuscita a riorganizzarsi, a progredire e avviarsi verso la Liberazione del paese. In Toscana alcune città sono liberate totalmente da parte dei partigiani: Arezzo, Firenze, altre da partigiani e alleati insieme, Siena e Livorno. La Resistenza non è stato solo un insieme di martiri ma un insieme di atti militari e civili, di impegni che hanno ottenuto la vittoria”. Poi legge la data di nascita dei partigiani uccisi a Montemaggio, tutti giovanissimi e tuona: “Sono questi i ragazzi che vogliamo ricordare e celebrare, oggi e tutti i giorni, come fondatori della nostra patria, non i ragazzi di Salò. E lo faremo con le commemorazioni e con lo studio della verità storica contro gli oblii e le false notizie che sempre più spesso ci vengono propinate”.
Alla fine dei discorsi ufficiali, la banda di Colle val d’Elsa suona Bella Ciao e Fischia il vento.
La commemorazione poi si sposta più in alto, di fronte a “Casa Giubileo”, dove viene posta la corona di alloro.
La celebrazione è allegra: c’è gente di ogni età, da un anziano partigiano ai giovani, e tanti bambini.
E, parafrando Benigni, “dopo il cuRturale principia il ricreativo”: in Casa Giubileo dall’ANPI è preparata una merenda con panini e vino. Offerta libera.
Preservare la memoria è anche questo: la gioia di persone di ogni età che si ritrovano a discutere, a cantare, a bere e a non dimenticare.
Presentazione del libro “Piombo con piombo. Il 1921 e la guerra civile italiana”, a cura di Giorgio Sacchetti
Sabato 24 marzo, dalle ore 16.30 alle 19, presso la Sala della Cultura -che un tempo fu Casa del Fascio- Palomar di San Giovanni Valdarno si è tenuta la presentazione del libro Piombo con piombo. Il 1921 e la guerra civile italiana, a cura di Giorgio Sacchetti, Carocci editore, uscito a febbraio di questo anno.
Sono presenti il curatore, docente di Storia culturale e sociale dell’età contemporanea all’Università degli Studi di Firenze, e gli autori di alcuni contributi: Paolo Pezzino, Presidente dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri, e Giovanna Procacci, Professoressa di storia sociale contemporanea e storia contemporanea presso l’Università di Modena e Reggio Emilia.
Il volume mette insieme due convegni sul 1921, un anno parecchio significativo e cruciale per la storia del nostro paese: anno dello squadrismo fascista, dell’attentato anarchico al teatro Diana di Milano, delle insorgenze operaie e contadine, degli Arditi del popolo. Non a caso, una sezione del volume -la terza- è intitolata “Rappresentare il 1921”.
Procacci elogia l’immensa quantità documentaria presente in questo volume. Di grande importanza la parte sull’Anarchismo, che rientra nella prima sezione del volume, intitolata temi/questioni di metodo. A tale proposito sottolinea che gli anarchici usavano la violenza per conquistare la libertà, mentre la violenza fascista era per acquisire il potere. La Professoressa sottolinea anche che nell’immediato dopoguerra si è trattato di violenza popolare, poi è diventata di difesa, una volta avvenuto l’attacco alla democrazia.
Sull’anarchismo da remoto è intervenuto anche Enrico Acciai, attualmente visiting researcher alla Columbia University di New York. Nel suo intervento si sofferma sulla scelta volontaria delle armi legata a Garibaldi, in una sorta di guerra di guerriglia.
La seconda parte del volume, non a caso intitolata “Territori/Casi di studio”, ha il pregio di fornire uno spaccato dei fatti del ‘21 nell’intera nazione: Milano, Bologna, Parma e Imola, Empoli, Arezzo e Valdarno, Roma.
Pezzino sottolinea che la locuzione “guerra civile” è impropria per il ’21 perché i due contendenti non hanno la stessa forza. Il termine è dunque usato lato sensu per indicare un conflitto sociale acceso.
Riprendendo Claudio Pavone, sostiene che nel caso del ’21 sarebbe più opportuno parlare di conflitto di classe.
“Sarebbe più corretto, parlare di una guerra civile asimmetrica”, dice Salvatore Mannino nel suo breve intervento.
Questi gli autori del volume: Enrico Acciai, Francesco Bellacci, Paola Bertoncini, Lorenzo Bertucelli, Marco Betti, Giulio Bigozzi, Laura Bottai, Roberto Carocci, Mirco Carrattieri, Paul Corner, Fabio Degli Esposti, Pietro Di Paola, Fabio Fabbri, John Foot, Andrea Giaconi, Ivano Granata, Salvatore Mannino, Pietro Masiello, Iara Meloni, Luigi Nepi, Guido Panvini, Elena Papadia, Paolo Pezzino, Andrea Rapini, Giorgio Sacchetti, Antonio Senta, Emanuele Upini, Andrea Ventura, Rodolfo Vittori.
Attori, pratiche e circolazione dei saperi scientifici nello spazio coloniale italiano. Call for Papers per un numero monografico di “Farestoria. Società e storia pubblica”
Attori, pratiche e circolazione dei saperi scientifici nello spazio coloniale italiano. Call for Papers per un numero monografico di “Farestoria. Società e storia pubblica”, Rivista dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Pistoia. Clicca qui per leggere o scaricare la CFP.
Presentato a Firenze il libro di Keith Lowe, Prigionieri della storia. Che cosa ci insegnano i monumenti della seconda guerra mondiale sulla memoria e su noi stessi,

Alle ore 17, presso la Biblioteca delle Oblate, a Firenze, nel contesto del congresso internazionale di Liberation Route Europe, si è tenuta la presentazione del libro di Keith Lowe, Prigionieri della storia. Che cosa ci insegnano i monumenti della seconda guerra mondiale sulla memoria e su noi stessi, UTET, 2020
Ha coordinato l’incontro Mirco Carrattieri, responsabile scientifico di LRE Italia, e discusso con l’autore Paolo Pezzino, Presidente dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri, e Eirene Campagna, Ph.D. in Visual History presso lo IULM.
Il saggio tratta dei memoriali e dei monumenti della seconda guerra mondiale in tutto il mondo. Ha, dunque, una prospettiva molto ampia. L’autore ha selezionato venticinque memoriali della seconda guerra mondiali (due dei quali in Italia) e li ha divisi per categorie dei monumenti: eroi, martiri, carnefici (che Lowe chiama “i mostri”), apocalisse, cioè la guerra, e la rinascita, ovvero la fine della guerra.
Lowe è uno storico molto noto, ma non accademico, dotato di una grande capacità narrativa. Proprio il fatto di non essere accademico, gli consente un linguaggio molto diretto e di esprimere giudizi anche critici e severi su certe monumentalizzazioni.
I monumenti sono segni materiali della memoria. E i materiali durevoli che li compongono possono diventare imprigionamenti, che li “fissano” nella memoria e quindi li rendono un ostacolo per una rielaborazione del passato o per una nuova visione di esso. Da qui il titolo del libro.
Negli ultimi anni si è aperto un ampio dibattito sui monumenti. Ciò non stupisce, perché i monumenti sono quasi sempre controversi, poiché raccontano solo una storia e vorrebbero che fosse per sempre. In altre parole, essi cristallizzano la memoria .
Talvolta rappresentano anche una falsificazione della storia, ad esempio il Memoriale eretto a Budapest nel 2017, alle vittime dell’occupazione tedesca, che dimentica il fatto che l’Ungheria fosse alleata della Germania nella seconda guerra mondiale e non vittima dell’aggressione da parte di essa.
I monumenti servono a forgiare il senso dell’identità nazionale (ad esempio “La grande patria chiama!” a Volgograd) o a sottolineare una sorta di vendetta (ed esempio il Marine Corps War Memorial ad Arlington).
Controversa è la categoria degli eroi, poiché sono eroi per il proprio popolo ma criminali per l’altro. Un monumento esemplificativo di questa contraddittorietà è il RAF Bomber Command Memorial di Londra, eretto nel 2012, dopo che la complessa storia dei bombardamenti alleati era stata sviscerata dagli storici. I bombardamenti inglesi contribuirono alla fine della seconda guerra mondiale, e dunque per gli Inglesi i 55573 aviatori morti sono degli eroi, ma causarono circa seicentomila vittime civili, e non solo in Germania.
Discutibile è anche la categoria dei “martiri”. Innanzitutto, essi sono in genere vittime e non martiri, in quanto, nella grande maggioranza dei casi, non muoiono per testimoniare qualcosa o per una propria deliberata scelta. Esempio inserito in questa categoria è il monumento nazionale di Amsterdam o il memoriale del massacro di Nanchino, inaugurato solo nel 1985, non a caso in un nuovo momento di tensione fra Cina e Giappone.
Non esiste un modo giusto per ricordare i criminali della seconda guerra mondiale, si corre il rischio, se ridicolizzati, di non tener conto del dolore delle vittime. Ma anche ricordarli è un’arma a doppio taglio, perché comunque se ne preserva la memoria e si finisce per dare loro maggiore importanza. Questo è il caso della Tomba di Mussolini a Predappio, eretta nel 1957 a 12 anni dalla morte. L’autore la definisce “un santuario e non un museo e la memoria del dittatore fascista non è affidata a un’esposizione ragionata, ma alla vergognosa nostalgia dei suoi apologeti”.
I monumenti all'”apocalisse”, cioè alla devastazione della guerra nascono invece dalla speranza del “mai più”. Ne sono esempio il villaggio di Oradour sur-Glane, immobile nel tempo, dove il calendario si è fermato al 10 giugno 1944, o la Cupola della bomba atomica a Hiroshima che Zenzo Tange ha trasformato da rovina a luogo di rilevanza sacrale.
Per l’autore i monumenti più riusciti sono quelli che trasmettono un messaggio di riconciliazione, di rinascita. A questo proposito è citata la cattedrale di Coventry, dove accanto allo scheletro dell’antica cattedrale bombardata ne è stata costruita una nuova.
In conclusione, i monumenti sono preziose testimonianze storiche che hanno il potere di suscitare qualsiasi tipo di dibattito. Dobbiamo sempre farci i conti. È opportuno contestualizzarli, o creare dei “contro-monumenti”, se si considerano discordanti con la nuova visione della storia e del mondo, ma è gran peccato abbatterli, come si è iniziato a fare nell’Est Europa.
Svoltosi a Firenze il Forum Internazionale di Liberation Route Europe (LRE)

Si apre oggi, mercoledì 1° marzo, a Firenze, presso l’Auditorium del Duomo, il Forum Internazionale di Liberation Route Europe (LRE), che vedrà impegnati fino al 3 marzo gli studiosi e le associazioni membri del Network LRE.
Che cosa è Liberation Route Europe? È un memoriale internazionale, è un tracciato di 3500 km che connette attraverso sei paesi i luoghi della Seconda Guerra Mondiale e le loro storie. Si tratta di un percorso da farsi in treno, a piedi e in bicicletta, seguendo i diversi sentieri già esistenti. È un itinerario culturale e turistico della memoria ed una mirabile forma di costruzione di cittadinanza attraverso la public history.
L’associazione Liberation Route Europe nasce nel 2008 nel Brabante, in Olanda, dall’accordo di tre musei locali tra Arnhem e Nimega, per far conoscere la storia della Seconda Guerra Mondiale attraverso la valorizzazione dei luoghi percorsi dagli eserciti alleati. Negli anni successivi si rafforza e si allarga. Costituitasi in fondazione nel 2011, dal 2013 è sostenuta dalle istituzioni europee. Grazie proprio ad un finanziamento europeo, la rete si estende alla Normandia e il 6 giugno 2014, in occasione della celebrazione dello sbarco, viene inaugurato ufficialmente l’itinerario. Oggi la fondazione mette in rete 11 Paesi del continente e oltre 400 partner, , legati da un approccio internazionale e multiprospettico, dal riferimento al patrimonio materiale e immateriale, da intenti di conservazione, approfondimento e promozione, dall’ambizione di incentivare un turismo memoriale stabile e sostenibile per valorizzare la Memoria della Liberazione d’Europa dal nazifascismo con il passaggio delle forze alleate e dei movimenti partigiani.
In occasione del 75° anniversario della fine della guerra, è stato lanciato il programma “Europe remembers“, che prevede una nuova interfaccia digitale e un tour promozionale che tocca i vari luoghi coinvolti. Il principale obiettivo è “rendere questa storia importante e accessibile, soprattutto per le giovani generazioni“ come sottolinea il Presidente per l’Italia, Mirco Carrattieri.
Liberation route Italia è nata nel maggio 2019 come ezione italiana della Fondazione Liberation Route Europe. Ne fanno parte 14 soggetti. Ha sede a Lucca e i suoi membri fondatori sono i comuni di Lucca, Capannori e Borgo a Mozzano, il Parco nazionale della Pace di Sant’Anna di Stazzema e il consorzio di guide turistiche Turislucca. Nel febbraio scorso ha aderito la Regione Toscana, seguita dalla Regione Emilia-Romagna. Ne fanno parte anche i Comuni di Milano, Monsummano Terme, Porcari, Viareggio e poi la Rete Parri, l’associazione Linea Gotica, l’associazione per la Pace di Cassino
Liberation Route Italia ha ampliato la visuale di LRE all’intero percorso degli alleati nel nostro Paese e, più in generale, alla Seconda guerra mondiale, sviluppando quindi itinerari e iniziative su Milano, la Linea Gustav, Roma, la Sicilia e la Linea Gotica.
Per lo storico Paolo Pezzino, presidente dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri -Rete degli Istituti della Resistenza e dell’Italia contemporanea in Italia-, questo lavoro è particolarmente importante per rappresentare «in un quadro unitario» la memoria della Linea Gotica, «troppo sfuggente per le sue caratteristiche di luogo di incontro di soldati di varie nazionalità, di movimenti di partigiani, nonché teatro di stragi, territori dall’alto valore naturalistico e che attraversano più Regioni».
Dopo le precedenti edizioni a Bruxelles, in Normandia e a Berlino, la scelta del capoluogo della regione come luogo del Forum internazionale questo anno testimonia l’impegno della sezione italiana di LRE e della Regione Toscana.
Nella mattina del 1° maro, dopo le parole di benvenuto, sono presentati alcuni dei progetti portati avanti dal team di LRE e partners, ad esempio l’app, già attualmente scaricabile, che fa da guida lungo i sentieri e l’istallazione di 100 segnavia della Memoria, ovvero i «floor vectors of memory» disegnati da Daniel Libeskind.
A seguire la presentazione di buone pratiche con gli interventi di Corentin Rousman, del Memoriale di Mons, in Belgio, Famke Klein, di Barbant Remembers e Jan Szkudlinski del museo di Danzica, in Polonia.
A fine mattina Jordi Guixé, direttore scientifico dell’European Observatory on Memories, ha aperto la sessione intitolata “The Future of the Past: Exploring the Diverse Challenges of World War II Memory in Europe”, esponendo all’uditorio il progetto “Memorial Heritage Mapping”.
Nel pomeriggio si sono tenute le conferenze, aperte anche la cittadinanza, sul tema “Resistance: WWII Memory on the Edge”., sotto la moderazione dello scrittore Keith Lowe.
“Scegliere cosa ricordare è un’azione politica. La selezione delle memorie della Seconda Guerra Mondiale può essere pericolosa, perché incrementa il nazionalismo”, esordisce Lowe.
Il discorso di apertura, dal titolo “Doing it Again: How Historical Myth bring War from the Past to Present”, è tenuto Prof. Georgiy Kasianov “tratta della propaganda politica in Russia, con riferimenti all’attualità ucraina, in cui la Seconda guerra mondiale è vantata come una “Great Patriotic War”, facendo leva sul prezzo pagato in tributi umani alla vittoria, sulla resistenza agli invasori, sull’eroismo dei soldati e dipingendo Stalin come un valido e forte leader. Il Prof. Kasianov sottolinea che “quando Putin ora parla di Russia, intende l’USSR” e strumentalizza la guerra passata, vista come un mito, per la militarizzazione presente, utilizzando anche simboli e semantica della retorica anti-occidentale”. D’altro canto sottolinea che “gli storici ucraini hanno scritto la loro storia in contrapposizione ai loro vicini e a coloro del cui stato nel passato facevano parte”.
A seguire una tavola rotonda sul tema “How Does Nationalism Affect Memories of WWII”, cui hanno partecipato Dr. Aron Mathé, storico e vicepresidente del National Remembrance Committee di Budapest, Guri Schwarz, Professore di storia contemporanea presso l’Università di Genova, Dr. Jade McGlynn, ricercatrice presso il Department of War Studies del Kings College di Londra, Kees Ribbens, Professore presso l’Institute for War, Holocaust and Genocide Studies di Amsterdam.
Mathé ha discusso della volontà del suo Paese di tenersi in disparte rispetto al conflitto in Ucraina e ha sottolineato la necessità “non di riscrivere la storia, ma di restaurarla”.
Schwarz ha evidenziato le tendenze di stampo conservatore della memoria pubblica italiana, che celebra, proprio il giorno dopo quello della memoria, gli Alpini scegliendo come data quella della battaglia di aggressione di Nikolajewka, celebra il diviso Giorno del Ricordo il 10 febbraio e celebra anche, unico paese oltre alla Germania, la caduta del Muro di Berlino.
McGlynn ha trattato del nazionalismo britannico alla base della Brexit e
Ribbens ha denunciato l’incremento negli ultimi dieci anni dei partiti di stampo nazionalistico in Olanda.
La seconda tavola rotonda, dedicata al tema “WWII Memory: Dealing with Political Pressure” ha visto intervenire Prof. Pawel Machcewiz, docente presso l’Institute of Political Studies presso la Polish Academy of Science a Varsavia, Dr. Kaja Širok, storica presso la School of Humanities dell’Università di Nuova Gorica, Dr. Gundula Bavendamm, Direttrice del Documentation centre for Displacement, Expulsion and Reconciliation a Berlino.
Machcewiz racconta le polemiche relative al nuovo museo della Seconda guerra mondiale a Varsavia, accusato “to attent the Polish nation”, per cui il museo è stato chiuso e lui, in qualità di Direttore, è licenziato. La politica “right oriented” e nazionalistica, che ha preso piede negli ultimi otto anni in Polonia, ostacola il pluralismo e tende a conformare la storia all’orientamento del governo.
Anche la Dottoressa Širok nel 2022 ha avuto “political troubles” come Direttrice del Museo Nazionale in Slovenia: è stata screditata sui media e poi rimossa dal suo ruolo per “lack of patriottism”.
A Berlino nel 2017 è stato creato il nuovo Documentation centre: la Direttrice parla delle pressioni politiche subite, che hanno portato al fallimento di alcuni progetti. In ciò ha giocato un ruolo anche l’arrivo dei rifugiati dalla Siria.
Dunque come difendere l’autonomia dei musei, dei centri di ricerca e della stoia più in generale? Širok risponde che in ogni luogo espositivo si deve rappresentare anche “il punto di vista degli altri” e che la narrativa nazionale va costruita “from down to up”.
Alla domanda “quale museo a tuo avviso rappresenta in modo più pluralistico e scientificamente accurato la storia?” Bavendamm risponde il City Museum di Londra, Širok, il Parlament Museum a Manhattan, Machcewiz il Mémorial de la Grande Guerre a Peronne.
Chiude la giornata l’intervista a Katrin Himmler, nipote di Ernst Himmler, fratello minore di Heinrich Himmler, politologa, e autrice del libro The Himmler Brothers: A German Family History. La prima domanda che le viene posta è “saresti capace di metterti nei panni del fratello di tuo nonno?”. La risposta è no, anche se dice che è facile dare oggi questa risposta. Le viene poi chiesto se ha conosciuto suo nonno o il suo prozio, ma risponde che entrambi sono morti nel 1945 e che ha conosciuto solo la nonna, la quale si è sempre rifiutata di parlare del passato. Guardando alla Germania di oggi, afferma che tuttora c’è un grande gap fra la memoria collettiva costruita dallo Stato per decostruire il nazismo e quella familiare riguardo alla seconda guerra mondiale.
Alle 18 si sono conclusi i lavori, ma resta il dubbio che gli storici di professione riescano a sottrarsi alle pressioni e alla censure dei politici di turno.