Pian d’Albero: nei luoghi dell’eccidio nasce il Sentiero della Memoria

Pian d’Albero è la nostra memoria fondativa, una memoria condivisa che non appartiene al passato, ma è un lasciapassare necessario per il futuro”: così la sindaca Giulia Mugnai ha ricordato i tragici fatti del giugno 1944 durante la doppia celebrazione per il 77° anniversario dell’eccidio di Pian d’Albero che si è tenuta domenica 20 giugno 2021, prima con una celebrazione istituzionale in forma ristretta davanti al casolare Cavicchi, teatro del massacro nazista, poi con la cerimonia pubblica al monumento alla memoria di Sant’Andrea di Campiglia.

Sabato 26 giugno, poi, è avvenuta l’inaugurazione del Sentiero della Memoria, un percorso escursionistico attraverso i luoghi simbolo della Resistenza sui Monti Scalari, tra i quali lo stesso casolare.

“Nell’eccidio del 20 giugno 1944 furono ammazzate 39 persone. Morirono giovani partigiani e contadini, morì il piccolo Aronne Cavicchi, poco più di 14 anni. Pian d’Albero è una ferita profonda che ci rammenta costantemente la ferocia del nazifascismo, ma ci racconta anche di come la comunità abbia saputo rinascere e ricostruirsi con la solidarietà, i diritti, la democrazia, anziché con la vendetta”, ha detto la sindaca.

Pian d’Albero è anche la tappa principale del Sentiero della Memoria, un percorso ad anello lungo circa 11 chilometri, con partenza e arrivo a Poggio alla Croce, attraversando i luoghi della Resistenza sui Monti Scalari: il casolare dei Cavicchi, teatro dell’eccidio, ma anche altri casali e rifugi di fortuna che vennero utilizzati dalla Brigata partigiana Sinigaglia, fino a raggiungere la linea Mädchen, ultimo avamposto difensivo delle forze nazifasciste, teatro di un durissimo scontro al termine del quale ebbe la meglio il reggimento scozzese dei Black Watch, che nel luglio 1944 riuscì a sfondare. Lungo il percorso, dei pannelli informativi raccontano le vicende di quei tragici giorni. Il tracciato escursionistico non presenta particolari difficoltà ed è adatto a chiunque abbia un minimo di confidenza con la camminata nel bosco.

Il Sentiero della Memoria è un progetto promosso da Comune di Figline e Incisa Valdarno, Comune di Greve in Chianti, Anpi Figline, Anpi Bagno a Ripoli, Anpi Firenze Sud (Gavinana), Anpi Ponte a Ema, Anpi Rignano Reggello, realizzato anche grazie alla collaborazione di omunCai Firenze, Gaib – Gruppo Avvistamento Incendi Boschivi, Gruppo San Michele Gev del Chianti, Istituto Storico Toscano della Resistenza e dell’Età contemporanea, Prociv Incisa, Vab Rignano sull’Arno – Antincendi Boschivi – Protezione Civile, Circolo Sms Poggio alla Croce, Matteo Barucci, Oliviero Buccianti, Fabio Modi, Francesco Modi e in fase finale Valdisieve Offroad Club 4×4.

Il videohttps://www.youtube.com/watch?v=IrKAaQFe0Bg&t=258s




Deposizione delle Pietre d’Inciampo per 24 persone catturate all’Ospizio ebraico di Firenze

Il 5 maggio p.v. alle ore 11,00 in viale Amendola 4 si svolgerà anche a Firenze la posa di 24 pietre d’inciampo in memoria delle persone che il 24/5/1944 furono deportati dall’Ospizio Israelitico di Firenze, fra i quali vi erano anche una mamma con i suoi due bambini.

La manifestazione organizzata con la collaborazione del Comune di Firenze si svolgerà nel rispetto delle misure anti-Covid,  con le persone presenti all’aperto, in numero ridotto e avranno l’obbligo di indossare le mascherine e di mantenere le debite distanze.

La data della posa è stata decisa in collaborazione con il Comune di Firenze, in prossimità e nell’ambito delle celebrazioni del 25 aprile e vedrà la partecipazione del Sindaco e di altre autorità locali. Sarà presente il direttore dell’ISRT Matteo Mazzoni. Interverrà Marta Baiardi, ricercatrice dell’ISRT, che ha compiuto la ricerca e terrà l’introduzione storica.

Elenco dei 24 deportati, a cura di Marta Bariardi: BAIARDI-DEPORTATI OSPIZIO




UNA PER TUTTI. Le donne di ieri, la comunità di oggi: si parte con tre grandi donne della Resistenza

Una per tutti è il progetto dell’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’Età contemporanea, realizzato grazie al contributo di Fondazione CR Firenze nell’ambito di “Partecipazione culturale”, il Bando tematico che la Fondazione dedica al sostegno di programmazioni culturali finalizzate a potenziare la partecipazione attiva della comunità locale e l’inclusione sociale delle periferie.

Due cicli da tre incontri ciascuno a partire da una donna che ha contribuito attivamente alla costruzione della democrazia e della cultura del nostro Paese: Tosca Bucarelli, Teresa Mattei, Anna Maria Enriques Agnoletti, Daisy Lumini, Laura Orvieto e Margherita Hack.

Le racconteremo attraverso gli interventi di espert*, le performance artistiche della cantautrice Letizia Fuochi e attraverso le voci della memoria, cittadin* volontar* che si trasformeranno in Messaggeri di Memoria, consegnandoci le loro storie e tratteggiando – attraverso la loro partecipazione attiva – un momento storico e culturale di grande importanza.

Il primo ciclo, sulla Resistenza, comincia il 22 maggio: sono alcune delle figure più note della Resistenza fiorentina le protagoniste del primo ciclo di incontri di Una per tutti. I tre appuntamenti vedranno l’intreccio fra una conferenza e momenti affidati a quelle/quei cittadine/i (di qualunque fascia d’età) che hanno accolto il nostro appello a diventare Messaggeri di Memoria, consegnandoci le loro storie e tratteggiando – attraverso la loro partecipazione attiva – un momento storico e culturale di grande importanza. Saranno coordinate/i e guidate/i dalle performance artistiche della cantautrice Letizia Fuochi.

Di seguito il calendario degli incontri e la mail per iscriversi (prenotazione obbligatoria):

Una per tutti_calendario




Il Museo e Centro di documentazione della Deportazione e Resistenza riapre al pubblico domenica 2 maggio

Il Museo e Centro di documentazione della Deportazione e Resistenza riapre al pubblico domenica 2 maggio.

In conformità con le disposizioni del nuovo DPCM del 22/04/2021 il Museo riapre al pubblico – anche nel fine settimana ma solo su prenotazione – con il seguente orario ed ingresso gratuito:

durante la settimana: dal lunedì al venerdì ore 9.30-12.30 e lunedì e giovedì ore 15.00-18.00

il fine settimana: sabato ore 16.00-19.00 – domenica 9.30-12.30 e 16.00-19.00

L’ingresso durante il fine settimana è consentito solo su prenotazione telefonando al numero 0574 461655 ; dal lunedì al venerdì mattina ore 9-13, oppure scrivendo a info@museodelladeportazione.it.

Saranno prese in considerazione le richieste che arriveranno entro le ore 13 del venerdì.

 

In occasione della riapertura offriamo anche due visite guidate gratuite su prenotazione: giovedì 6 e giovedì 20 maggio alle ore 15.30.

Mercoledì 2 giugno  – FESTA DELLA REPUBBLICA – apertura straordinaria anche il pomeriggio (9.30-12.30 e 15.00-18.00) con visita guidata gratuita su prenotazione alle ore 15.30.




“Come si diventa nazisti” Una nuova proposta didattica.

In un periodo dell’anno scolastico in cui gli studenti delle classi quinte affrontano i temi storici inerenti i regimi totalitari, l’iniziativa promossa da A.P.I.S.) (Amore per il sapere) e l’Istituto Nazionale Ferruccio Parri (Rete degli Istituti della Resistenza e dell’età Contemporanea) offre un importante momento di riflessione per tentare di spiegare perché in tanti si sono riconosciuti in ideologie nazionaliste, razziste, antidemocratiche e si propone di fornire a studenti e docenti interpretazioni aggiornate sui regimi fascisti, per comprendere le cause del loro affermarsi nell’Europa del dopoguerra.

Il 12 Aprile 2021, dalle 11:00-12:00, si è tenuto un evento didattico in diretta streaming per le classi quinte delle Scuole Superiori dal titolo “Come si diventa nazisti?” a cui hanno aderito oltre 120 docenti, (dati toscani), per un totale di 3.000 studenti. Sono intervenuti gli storici Paolo Pezzino (docente emerito di Storia contemporanea presso l’Università di Pisa, già membro della Commissione storica italo-tedesca istituita nel 2008) e Daniel Lee (Docente di storia contemporanea presso la Queen Mary University of London).

La parte più ampia dell’incontro è stata costituita dalla lezione del Prof. Pezzino “Il primo dopoguerra in Europa e l’affermarsi dei regimi fascisti”.

Riassumiamo qui la relazione del Prof-Pezzino.

 La prima immagine del Novecento che balza agli occhi di chi lo osservi alla sua conclusione è quella di un secolo di enormi distruzioni, di grandi eccidi.

Il 1914, anno nel quale scoppiò il primo conflitto che fu poi definito ‘mondiale’, rappresenta indubbiamente una cesura.

La prima guerra mondiale fu dunque uno spartiacque non soltanto per il numero enormemente accresciuto dei morti e feriti, ma perché rappresentò il primo esempio di “guerra totale” in cui anche i civili diventano oggetto delle mire distruttive delle potenze avversarie.

La guerra del 1914-18 si concluse con circa 8,5-10 milioni di morti.

Ma non sono solo le guerre a caratterizzare il secolo come violento: al Novecento appartengono anche le stragi per motivi razziali, etnici e di classe, nonché lo sradicamento di intere popolazioni dalla loro terra per spostamenti di confini nazionali. Non è un caso che in questo secolo sia stato coniato il termine “genocidio”, per indicare lo sterminio programmatico di un gruppo etnico da parte di un potere statale.

Il primo genocidio “moderno” è rappresentato dalla strage di armeni compiuta dai turchi nel 1915-1916. Furono uccisi circa due terzi della minoranza armena vivente nel territorio dell’Impero ottomano: da un milione a un milione e mezzo di persone.

Indubbiamente il genocidio più “esemplare” è rappresentato dallo sterminio degli ebrei attuato dalla Germania nazista fra il 1941 e il 1945: oltre cinque milioni di ebrei assassinati, cioè circa i due terzi degli ebrei d’Europa. Ma non solo gli ebrei furono vittime della barbarie nazista, e non solo il nazismo attuò stermini di massa.

Sistemi politici fondati sull’uso generalizzato della violenza nei confronti di particolari gruppi etnici o di particolari gruppi sociali sono una caratteristica del ventesimo secolo. Ad esempio, in Unione Sovietica vennero deportati e sterminati interi gruppi sociali. per esempio, milioni di contadini a partire dal 1930, nel corso del processo di collettivizzazione forzata.

Ma massacri si sono ripetuti anche nella seconda metà del secolo: in Cambogia il regime comunista di Pol Pot ha sterminato, tra il 1975 e il 1979, da uno a due milioni di Cambogiani, su una popolazione stimata in 6-7 milioni.

In altri paesi sono stati i comunisti ad essere massacrati: così in Indonesia furono circa 500.000 i comunisti uccisi nel 1965 nel corso del colpo di Stato che portò al potere il generale Suharto.

I massacri a carattere etnico non sono un ricordo del passato: in Ruanda nel 1994 sono stati sterminate centinaia di migliaia di cittadini di etnia tutsi da parte dello stato controllato dall’etnia hutu, e nei territori dell’ex Jugoslavia, nel corso del processo di definizione dei confini dei nuovi stati sorti dalla disgregazione della Jugoslavia, sono state messe in atto, a partire dal 1992, operazioni di “pulizia etnica”, basti pensare al genocidio di Srebrenica.

Oggi ci sorprende che gli Stati nazionali abbiano potuto convincere milioni di persone a prestare servizio negli eserciti, e la guerra abbia trovato, almeno inizialmente, vasti consensi in quasi tutti i paesi. Il fatto è che ottenere la fedeltà alla nazione da parte di tutti i cittadini aveva rappresentato nel corso della seconda metà dell’Ottocento uno dei maggiori obiettivi degli Stati nazionali. L’aggressiva propaganda nazionalista che accompagnava le politiche imperialistiche delle grandi potenze era penetrata a livello di massa.

Un altro punto è l’identità: l’identità nazionale può fondare sentimenti di solidarietà nei confronti dei propri concittadini ma può essere concepita in maniera esclusiva, dando origine a gravi conflitti: in generale, più le identità sono percepite come forti ed integrali più sostengono comportamenti individuali e collettivi in cui alla solidarietà subentra l’esclusione di chi non condivide quell’identità, sia essa nazionale, ideologica, religiosa, etnica, e la capacità razionale dell’individuo viene offuscata dall’esaltazione di chi si sente protagonista di grandi processi storici: alla nazione subentra allora il nazionalismo, alla passione politica il fanatismo ideologico, alla fede l’integralismo religioso.

L’identità nazionale agli inizi del secolo era considerata in modo totalizzante ed esclusivo, non era sottoposta a considerazioni umanitarie. L’identità di un popolo si opponeva a quella degli altri. L’“altro” popolo diventava il nemico, da annientare in quanto tale. L’indifferenza per la vita delle popolazioni civili dei paesi avversari, quando non l’aperto disprezzo nei loro confronti, rappresentò perciò una costante nelle guerre del secolo.

Si fece strada l’idea che nella lotta politica si potesse usare contro l’avversario la stessa brutalità che in guerra era stata sperimentata contro il nemico. Il fanatismo della nazionalità sarebbe stato ben presto affiancato dal fanatismo dell’ideologia.

L’esperienza della guerra di massa causò, direttamente o indirettamente, l’emergere di sistemi politici fondati su ideologie che si definiscono totalitarie.

Il termine compare a partire dagli anni Venti, per individuare le caratteristiche dello stato fascista in Italia. Tuttavia viene utilizzato soprattutto per definire i caratteri della Germania nazista e dell’URSS staliniana.

Per totalitarismo si intende un regime politico caratterizzato dalla dittatura di un unico partito e dall’uso generalizzato del terrore. Nei regimi totalitari poi prevale la volontà di un capo assoluto, che controlla non solo il partito unico ma anche l’apparato statale, che perde ogni autonomia, e quello terroristico, rappresentato da una polizia segreta onnipotente.

I regimi totalitari sono guidati da un leader carismatico, e promuovono un’ideologia ufficiale, che riguarda tutti gli aspetti della società alla quale viene imposta, e pretende di costruire una società “nuova”. Essi si differenziano dalle dittature del passato perché puntano ad una mobilitazione continua delle masse, dalle quali vogliono ottenere un consenso forzato, compatto e monolitico, e presuppongono dei moderni mezzi di comunicazione di massa: infatti tutti gli strumenti di propaganda e comunicazione, dalla stampa alla radio e al cinema, sono controllati dal regime, e viene colpita qualsiasi forma di libertà di espressione.

I regimi totalitari tendono a controllare anche l’attività economica del paese, tramite la statizzazione di tutti i mezzi di produzione, come nel caso dell’URSS, o l’obbligo a partecipare agli obiettivi economici fissati autoritariamente dallo stato, come in Germania

Il totalitarismo può essere quindi considerato una forma di dominio politico basato su un’ideologia ufficiale imposta alla società, su un partito unico, sul potere assoluto di un capo, sul terrore poliziesco e sul controllo dell’economia e dei mezzi di comunicazione di massa.

Attorno a questo concetto i popoli d’Europa si dilaniarono. Nonostante l’ostilità manifestata nei confronti di una nuova guerra dalle popolazioni ancora memori degli orrori della prima, gli stati liberali e democratici si convinsero a scendere in campo contro la Germania nazista e i suoi alleati quando apparve evidente qual era la posta in gioco: lottare contro il fanatismo della nazionalità, dell’ideologia della razza che volevano imporre nell’intero spazio europeo.

Gli ultimi 10 minuti dell’incontro sono stati dedicati alla presentazione del libroLa poltrona della SS – La vicenda di Robert Griesinger”, di Daniel Lee storico esperto della seconda guerra mondiale in Francia e Nordafrica. Il libro sembra insieme un romanzo, un giallo, un manuale di buon uso di metodo storico.

La vicenda parte dal ritrovamento fortuito dell’imbottitura di una poltrona di documenti appartenenti ad un membro delle S.S., Robert Griesinger.  Lee trova a casa di una signora olandese una poltrona riempita di documenti con svastiche; la proprietaria della poltrona era di Praga ma si era trasferita negli anni ‘70 in Olanda e lì aveva comprato mobilio usato, fra cui la poltrona ed era del tutto ignara del contenuto della imbottitura. Tutti i documenti appartenevano a un funzionario nazista che lavorava a Praga ma era di Stoccarda da parte di madre e americano da parte di padre.

Lee, da detective e storico insieme, si mette sulle tracce di Griesinger e riesce ad entrare in contatto con il ramo americano della sua famiglia. Viene così in possesso anche del diario della madre dal quale si capisce che il figlio nel ‘33 non era ancora nazista ma era interessato a partiti conservatori e odiava il comunismo. Si era poi sposato con una ricca industriale del caffè da cui aveva avuto due figlie: Ida e Barbara. Lee riesce a parlare anche con loro, anzi sono loro che, totalmente all’oscuro del passato del padre, morto nel ’45, fanno domande a lui e cercano di ricostruire chi era il padre una settantina di anni dopo. Si domandano «come mai nostro padre era nazista?», «come mai entrato nelle S..S.?»,  «Come mai era membro della Gestapo?».

Ovviamente Lee non può dare una risposta a queste domande…

Conclude l’intervento il Prof.Pezzino rispondendo ad un’alunna della Professoressa Nencioni, che ha realizzato il collegamento dal Liceo Chini Michelangelo di Lido di Camaiore (LU), che gli chiede «cosa vuol dire fare storia?».

«fondamentalmente per fare storia bisogna partire da documenti, poi si integrano con la storia orale. Bisogna sempre sottoporre la memoria a un vaglio critico e contestualizzare con onestà la propria ricerca e mai fidarsi di ciò che ti raccontano gli altri, soprattutto in epoca web di fake news».




www.occupazioneitalianajugoslavia41-43.it una mostra storica necessaria nell’80° anniversario dell’aggressione nazista e fascista

Il 6 aprile ’41, l’Italia invadeva la Jugoslavia: le truppe tedesche, seguite a ruota da quelle italiane e ungheresi, distrussero il regno dei Karađórđević e spartirono il suo territorio fra i vincitori. 
Seguirono anni terribili. Diciamolo subito: la prima responsabilità dell’inferno in cui precipitò il Paese spetta a chi lo attaccò e scatenò una guerra di tutti contro tutti.
Poi fu il caos: guerra di liberazione contro gli occupatori; guerra civile fra ustašcia croati, četnici serbi, domobranci sloveni, partigiani comunisti; guerra rivoluzionaria per la creazione di uno stato socialista, feroci repressioni antipartigiane; sterminio degli ebrei, tentativi genocidari ai danni di popolazioni dell’etnia sbagliata.

Di quel vortice di violenza, le truppe italiane di stanza nei territori annessi o occupati, non furono semplici spettatrici, ma protagoniste. Si tratta di una delle pagine più buie della nostra storia nazionale, e anche una delle pagine meno illuminate. Sulla nostra invasione della Jugoslavia aleggia ancora il silenzio dell’“Italiano brava gente”, per dirla con le parole di Filippo Focardi (Direttore Scientifico dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri) che parla di una “mancata Norimberga italiana”. La mancata consegna dei 3.800 italiani elencati nella United Nation World Crime Commission per crimini di guerra e contro l’umanità mai estradati né processati. Non concessero l’estradizione né il governo Badoglio né quelli successivi di unità antifascista. E quando poi Tito perse l’aiuto di Stalin la richiesta di Tito verso la consegna dei criminali “evaporò”

E perché? Vari gli scopi: distinguersi da nazisti da guardare come i veri criminali, colpevolizzare i partigiani comunisti, non voler consegnare i prigionieri italiani sulla base di una clausola di reciprocità contenuta nell’allora codice militare di guerra, che alimentò la richiesta da parte degli Italiani agli Jugoslavi di avere consegnati i presunti responsabili di crimini commessi contro le nostre truppe.

Paolo Pezzino, Presidente dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri, afferma: “troppo tempo ci abbiamo messo per trattare di questo argomento, quello di una guerra di aggressione con strumenti e metodi assolutamente criminali, crimini di guerra, crimini contro l’umanità”, quei crimini di cui noi siamo stati vittima dei Tedeschi dopo l’8 settembre, ma ancor prima perpetratori, dall’Etiopia, alla Grecia, alla Jugoslavia.

Oggi, dopo ottanta anni, speriamo che finalmente sia venuto il momento di fare un po’ di chiarezza.

Per ora abbiamo dovuto proporre una mostra fotografica virtuale favorirne la fruizione anche non in presenza ma ci auguriamo che possa girare presto in Italia, anche nelle scuole”).

Questa, dice l’ideatore e responsabile Raoul Pupo, è una mostra corale, è una mostra plurale, nel tentativo di una “purificazione della memoria”, cioè di un atto di fiducia nella capacità di recuperare l’analisi di fatti che sono stati ignorati, evitati, nascosti, alterati perché disturbano le logiche del paese.

 La mostra è molto vasta, per un totale di 54 pannelli, 200 immagini,  testimonianze d’epoca e  interviste ai maggiori studiosi dell’argomento.

Dopo un video introduttivo, la mostra si articola in 10 sezioni (molte delle quali con sotto sezioni e pannelli) ed una conclusione.

 I. La guerra
II. Ribellione e rivoluzione

III/1. Slovenia

III/2. Dalmazia
IV. Croazia
V. Montenegro
VI/1. Le grandi operazioni: Slovenia
VI/2. Le grandi operazioni: Croazia e Montenegro
VII. La repressione
VIII. I campi d’internamento
IX. La fine
X. La rimozione
Conclusioni

I testi dei pannelli sono puramente descrittivi, perché “Quando le fonti gridano, è bene che gli storici parlino sottovoce”.

Alcuni esempi:

La prima sezione ha tre pannelli e inizia significativamente con i “bombardamento di Pasqua” dei Tedeschi su Belgrado, non senza ricordare che Mussolini aveva già espresso l’intenzione di occupare la Jugoslavia già nel ’40, per poi finire con la spartizione dei Balcani.

La terza sezione in due dei tre paragrafi ci mostra come le autorità italiane anche estendono alla provincia di Lubiana la legislazione volta a cancellare l’identità nazionale slovena e a circondano Lubiana dal filo spinato, in un surreale immenso lager.

La sezione 7 è quella forse che ci lascia più un pugno nello stomaco: il pannello 1 riporta il testo completo della famigerata circolare C, del Generale Roatta, quella che nel 1 marzo 1942 scriveva :” Il trattamento da fare ai partigiani non deve essere sintetizzato dalla formula: “dente per dente” bensì da quella “testa per dente”, sulla sua scia nel pannello 2 il Generale Robotti conclude la sua sorta di decalogo con la frase -in grassetto- SI AMMAZZA TROPPO POCO. E poi gli altri 4 pannelli: senza pietà, i prigionieri, le razzie, le stragi sono precedute dall’avviso “Attenzione, le immagini che seguono potrebbero urtare la vostra sensibilità”. Cosa aspettarsi da un articolo che riporta le parole di Mussolini nel luglio 1942: “Deve cessare il luogo comune che dipinge gli italiani come sentimentali incapaci di essere duri quando occorre. Questa tradizione di leggiadria e tenerezza soverchia va interrotta” e nel 1943 così si rivolge ai soldati: “So che a casa vostra siete dei buoni padri di famiglia, ma qui voi non sarete mai abbastanza ladri, assassini e stupratori.”
I soldati obbediscono e in qualche caso bruciano villaggi e sparano ai civili solo per ingannare il tempo. Atrocità vengono compiute da tutte le parti in lotta.

Le immagini dei prigionieri non lasciano indifferenti: molte di esse sono inedite e ritraggono donne in attesa di essere fucilate

La sezione 8 riguarda il sistema concentrazionario italiano: Le truppe italiane, non riuscendo ad aver ragione dei ribelli, procedono all’evacuazione delle zone ad alta densità partigiana. L’intera popolazione viene rastrellata ed i villaggi rasi al suolo per fare terra bruciata …

Nascono così i campi di concentramento italiani per popolazione slava (Arbe, campo di Molat, Gonars, Renicci) e viene riportata anche un’intervista alla sopravvissuta Marija Mahnič, al campo di Fraschette di Alatri.
L’ultima , la 10, si intitola significativamente la rimozione, in un palleggiarsi fra accuse jugoslave e strategia difensiva italiana, depistaggi, mancati processi.

In calce alla mostra virtuale una nota linguistica, bibliografia orientativa, riferimenti iconografici, sigle a rendere fruibile a tutti il contenuto.




On line la mostra “Per noi il tempo si è fermato all’alba. Storia dei Martiri d’Istia”

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A 77 anni esatti dalla fucilazione degli 11 ragazzi di Maiano Lavacchio, la mostra on line “Per noi il tempo si è fermato all’alba. Storia dei Martiri d’Istia” intende restituire attraverso fotografie e documenti d’archivio, molti dei quali inediti, la complessità di quegli eventi e il loro valore simbolico per il territorio maremmano, ricostruendo in sezioni tematiche il contesto e i fatti che portarono alla strage, le vicende successive con la richiesta di giustizia per le vittime e il consolidarsi di una memoria condivisa, alla quale hanno indubbiamente contribuito sia la rielaborazione da parte di artisti e cantori popolari, sia la presenza sul territorio, locale e non, di “memorie di pietra”.

Questo il link: https://martiridistia.weebly.com/




Paesaggi della memoria: percorsi didattici fra passato della Resistenza e presente

“Paesaggi della memoria: percorsi didattici fra passato della Resistenza e presente” è un piccolo progetto di comunicazione culturale rivolto alla scuola che si colloca nell’ambito della ricerca INDIRE volta a individuare possibili connessioni tra il nostro patrimonio storico, soprattutto quello considerato “minore”, e il mondo della scuola.

Con una serie di brevi interviste a curatori ed esperti di luoghi della memoria della Resistenza italiana la ricercatrice Pamela Giorgi percorre alcune tappe che si dipanano fra paesaggi della memoria, case museo di protagonisti dell’antifascismo, con il proposito di rafforzare nella scuola di base l’uso didattico di una tipologia particolare di patrimonio culturale, nel caso specifico, quello che in varie forme si riferisce ai luoghi simbolo della Resistenza italiana.

I Paesaggi della Memoria è una rete di luoghi della memoria italiana creata nel 2017 e che coinvolge 31 luoghi in 9 diverse regioni del paese. La finalità della rete è quella di dare un’identità propria al concetto di memoria, legata alla conoscenza della storia di questi luoghi.

In ognuno di essi infatti durante la seconda guerra mondiale sono avvenuti episodi importanti legati alla nostra Resistenza: rappresaglie, stragi, detenzioni. Alcuni sono più noti, altri lo sono solo a livello locale, ma per tutti, in questi anni, le associazioni che li custodiscono, hanno creato specifici percorsi didattici che consentono ai docenti di ricostruire – anche visivamente – i fatti che in quei luoghi sono accaduti, conservandone la memoria, passandola alle nuove generazioni.

Il progetto, a breve, coinvolgerà direttamente la regione Toscana!