Convento del Carmine

Uno degli episodi a stampo antisemita ebbe luogo la notte del 26 novembre 1943 quando i nazisti entrarono all’interno del convento del Carmine.
La notte del 26 novembre alcuni reparti tedeschi seguiti dalla banda Carità irruppero all’interno del Convento del Carmine, dove nei mesi precedenti avevano trovato rifugio decine di donne e bambini ebrei. La razzia del 26 novembre inizia alle ore 3 del mattino quando una trentina di nazifascisti si presentano all’ingresso del Convento e lo forzano per entrare dal giardino e sorprendere così gli ebrei. Le suore avevano ideato un piano per mettere al sicuro gli ospiti in caso di una visita sgradita, ma la prontezza dell’azione dei tedeschi impedì che questo potesse essere attuato. Il piano prevedeva che al suono delle campane le ebree si rifugiassero con i bambini all’interno del reparto di clausura mentre le suore dovevano rimanere nelle loro celle in preghiera.
I tedeschi riuscirono a catturare ogni ospite del Convento e tutti furono radunati all’interno della Sala del Teatro che divenne una sorta di prigione. La prigionia durò quattro giorni, durante i quali le donne furono costrette a subire ogni tipo di violenza. Non mancarono ricatti e violenze sessuali. Alcuni testimoni durante i processi contro la banda Carità dichiarano che: “I fascisti cercarono di abusare delle donne giovani e delle ragazze offrendo in cambio la libertà e commettendo una serie di oltraggi”, “Allora ci fu una […] che per salvare le ragazze si offrì lei di darsi a quei fascisti, ed essi ne abusarono in un angolo della stanza dove eravamo noi tutti, però nessuno fu liberato”.
Le donne e i bambini in quei giorni sperimentarono per la prima volta la totale perdita del diritto all’integrità del corpo tipica dei campi di sterminio. Solo poche donne riuscirono a salvarsi dalla deportazione grazie all’intervento delle suore che cercarono in tutti i modi di nasconderle. Quattro giorni dopo l’irruzione, il 30 novembre, tutti gli ebrei che erano stati catturati furono mandati a Verona e da lì deportati ad Auschwitz. Nessuno fece ritorno.




La Sinagoga

La comunità ebraica fiorentina nel 1940 era composta da circa 2500 persone e il rabbino capo era Nathan Cassuto. Dopo che la città di Firenze fu occupata dai nazisti, l’11 settembre 1944, la Sinagoga e tutti gli edifici adiacenti furono posti sotto stretta sorveglianza.
Per cercare di aiutare la loro comunità, Cassuto e Raffaele Cantoni organizzarono un comitato di assistenza per i profughi che si proponeva di aiutare gli ebrei a scappare o a nascondersi. Anche il Cardinale Elio Dalla Costa cercò di aiutare la popolazione ebraica fondando un’associazione che si occupò di aiutare dalle 300 alle 400 persone.
La situazione per gli ebrei a Firenze non era drammatica come lo era in altre città italiane, per questo motivo nessuno era pronto quando i tedeschi decisero di attaccare direttamente la comunità.
La mattina del 6 novembre 1943 alcuni militari tedeschi e dei militi fascisti circondarono la Sinagoga e irruppero all’interno del Tempio. Memo Bemporad per pura casualità proprio quella mattina stava scappando insieme alla famiglia e notò un certo trambusto in prossimità del Tempio, però non si allarmò pensando che fossero gli anziani che andavano a pregare.
Alcuni testimoni, sopravvissuti alla guerra, hanno reso testimonianza di quanto avvenuto quella mattina: “Il Tempio Maggiore fu invaso, furono distrutti alcuni arredi sacri e parte dell’arredamento”(Avv. Giuseppe Castiglioni).
Gli arresti attuati dai nazisti non si fermarono alla sinagoga, ma proseguirono in tutta la città;
In Via Masaccio i nazisti trovarono la famiglia Segrè, una delle figlie riuscì a sfuggire alla cattura perché si trovava dal tabaccaio sotto casa e da lì assistette alla cattura della sua famiglia.
Nel corso della giornata furono arrestate oltre duecento persone che furono deportate e mandate ad Auschwitz il 9 novembre.




Via Villani, casa Mazzuoli

Il 17 gennaio del 1944 i gappisti organizzano un altro colpo contro la gerarchia fascista, questa volta i GAP mirano ad uccidere Averardo Mazzuoli, che era l’autista degli assassini di Matteotti.
Il colpo prevedeva che i gappisti, guidati da Fanciullacci, uccidessero Mazzuoli mentre stava uscendo di casa, ma qualcosa quel giorno andò storto infatti la moglie di Mazzuoli era affacciata alla finestra e notò che due giovani erano appostati sul portone quindi urlò al marito di stare attento.
I gappisti riuscirono a ferire Mazzuoli solo lievemente.




Cercina

Durante l’occupazione nazifascista nella zona di Cercina, piccola frazione del comune di Sesto Fiorentino situata alle pendici di Monte Morello, si ebbero vari scontri tra i gruppi partigiani e le truppe nazifasciste, ma la zona è anche nota per i rastrellamenti della pasqua del 1944 e l’omicidio di molti partigiani, tra cui i membri di Radio Cora.
Il primo avvenimento che coinvolse la piccola comunità di Cercina ebbe luogo il 10 aprile del 1944 quando un gruppo di fascisti si presentò alla porta del Dott. Fanelli e con lui prelevarono altri cinque giovani contadini.
Gli abitanti di Cercina in un primo momento pensarono che i sei fossero stati prelevati perchè i fascisti potevano aver avuto bisogno di maggiore forza lavoro per qualche compito particolarmente pesante; in realtà oggi sappiamo che gli arresti avvenuti a Cercina rientravano all’interno dei tristemente noti “Rastrellamenti di Pasqua” portati avanti dai tedeschi della Divisione Goering che portarono all’arresto di oltre 300 persone.
L’operazione della Goering ebbe inizio il 10 aprile come atto di ritorsione contro gli attacchi partigiani che si erano verificati nelle settimane precedenti: in questo quadro va quindi inserito l’eccidio che ebbe luogo a Cercina.
Fu la madre di uno dei cinque ragazzi che cinque giorni dopo l’arresto, vagando per la campagna alla ricerca del figlio, come riportato da un testimone: “Scorse sotto una balza di terreno sulla costa del monte un grande cumulo di sassi. Dal cumulo sporgeva una gamba, il piede di suo figlio. Ricoperti con poca terra, schiacciati sotto grandi pietre erano ammucchiati i cadaveri dei sei giovani, crivellati dai colpi dei fucili”.
Gli antifascisti presenti nella zona diedero a Don Alfonso Nannini, noto fascista, la colpa per la morte dei sei. Il 30 maggio quatto partigiani si recarono nella canonica e lo uccisero a sangue freddo.
A Cercina per ricordare l’eccidio del 10 aprile nel 1995 è stata posta una lapide in memoria dei caduti.




Campo di Marte, teatro del primo bombardamento aereo su Firenze

Il 25 settembre del 1943 Firenze fu per la prima volta colpita da un bombardamento degli Alleati. L’obbiettivo era lo snodo ferroviario di Campo di Marte da cui partivano molti convogli militari tedeschi. Le bombe sganciate dagli Alleati colpirono, oltre alla stazione, anche le zone limitrofe del quartiere.
Alcuni testimoni come Ugo Cappelletti hanno descritto la scena: “Qualcuno ancora allo scoperto, fra un rumore assordante, si azzardò a guardare quella potente formazione mentre le bombe cadevano. Viste da lontano sembravano strani grappoli, ma quando si abbatterono a terra fu l’inferno”.
Molte abitazioni vennero colpite e nonostante il duro lavoro dei militi della U.N.P.A. (Unione Nazionale Protezione Antiarea) morirono 215 persone e si contarono centinaia di feriti.
Nel 1983 in via Mannelli è stata affissa una lapide per ricordare le vittime del bombardamento.




Piazza D’Azeglio n. 12. L’ultima “sede” di radio CoRa

Uno dei rami più importanti della Resistenza era il servizio di controspionaggio, infatti tutte le informazioni utili e veritiere che venivano intercettate dal Comitato di Liberazione venivano trasmesse agli Alleati.
Fondamentale in questo campo fu il servizio di Radio Cora del Partito d’Azione, che cercò fin dall’8 settembre di mettersi in contatto con gli alleati e con il governo italiano del Sud.
Facevano parte di questo comitato Luigi Morandi, uno studente di ingegneria, Carlo Ballario, un fisico, Italo Piccagli, capitano dell’aeronautica e molti altri tra cui Enrico Bocci e Carlo Campolmi.
Fu proprio Enrico Bocci che riuscì a mettersi a contattare per la prima volta, nel gennaio del 1944, con l’VIIIª Armata, sbarcata sulle coste dell’Adriatico, riuscendo a costituire un proprio gruppo, vicino ma autonomo dal PdA.
Vista l’importanza delle sue informazioni Radio Cora possedeva un vasto archivio in cui erano riposti i vari cifrari, i messaggi cifrati spediti e ricevuti, i messaggi che ancora dovevano essere inviati e le informazioni che dovevano essere controllate prima di essere spedite. Con il passare dei mesi cresce il lavoro e anche il rischio di essere scoperti. La loro azione rappresenta una grave minaccia per i nazifascisti che quindi cercano in ogni modo di catturarli.

Da metà maggio la sede viene stabilita in Piazza d’Azegio n. 12.

La sera del 7 giugno come al solito i membri di Radio Cora stavano trasmettendo dalla sede in Piazza d’Azeglio quando un gruppo di tedeschi irruppe all’interno dell’appartamento e arrestarono Gilda Larocca, Carlo Campolmi, Franco Gilardini, Italo Piccagli e Enrico Bocci.
Luigi Morandi che in quel momento si trovava al piano superiore perché aveva già dato inizio alle trasmissioni, non si accorse dell’arrivo dei tedeschi perché aveva le cuffie quando nota una presenza estranea reagisce prendendo la pistola e uccidendo un tedesco, ma viene colpito a morte da un altro militare arrivato nel frattempo, morirà tre giorni dopo nell’ospedale di Via Giusti.
Tutti coloro che furono arrestati vennero condotti da Carità in Via Bolognese.
Gilda Larocca, una delle persone arrestate la sera del 7 giugno in alcune testimonianze ha rciordato il momento dell’arresto: “Ad un tratto la porta si aprì e Focacci entrò indietreggiando, sospinto dalle canne delle pistole che tre individui alti e tarchiati, impugnavano minacciosi senza far parola. Focacci balbettò << ci sono questi signori>> si vedeva subito che erano tedeschi. Sentii un brivido, come una scossa elettrica dalla nuca ai talloni. Proprio ora quei dannati ci avevano scoperti” e continua: “I tedeschi divennero furibondi dopo l’uccisione del loro camerata. Ci percossero, ci sbatterono, urlandoci sulla faccia parole che non capivo, ma che dovevano essere minacce terribili”.
Andreina Morandi Michelozzi, sorella di Luigi Morandi, viene avvertita dell’arresto dei membri di Radio Cora da un certo Pancani che la avverte di distruggere tutto quello che i tedeschi potevano considerare compromettente; mentre Andreina sta nascondendo i volantini di suo fratello arrivano i tedeschi.
Anche la famiglia di Luigi Morandi fu trasportata a Villa Triste.
Bocci e Piccagli una volta arrivati in Via Bolognese per cercare di aiutare i compagni si assunsero tutte le responsabilità dell’operazione.
Italo Piccagli fu ucciso il 12 giugno a Cercina insieme a Anna Maria Enriques Agnoletti, mentre si ritiene che Bocci sia stato ucciso il 18 giugno, ma il suo corpo non è stato mai trovato.
Radio Cora continuò a trasmettere anche dopo l’arresto dei suoi membri grazie al coraggio di Giuseppe Campolmi.
Oggi in Piazza d’Azeglio è presente un monumento in ricordo di coloro che sono morti.

 




La Fortezza da Basso

Il 7 settembre del 1944 per celebrare la liberazione e sciogliere ufficialmente le formazioni partigiane, nella Fortezza da Basso viene organizzata una cerimonia, presieduta dal generale Edgar Erskine Hume,capo del governo della V armata. Il luogo che nel settembre precedente era stato teatro di uno dei primi drammi dell’occupazione nazista, con l’intimazione di resa delle truppe italiane che vi erano alloggiate e la catturata dei militari destinati ai campi di concentramento come internati militari italiani, diviene sede della celebrazione della Resistenza.
Nel corso della commemorazione ai partigiani sono consegnati dei diplomi per l’opera svolta in favore della liberazione della città e degli attestati firmati dal generale H. R. Alexander.
I partigiani presenti hanno raccontato che gli Alleati vollero sciogliere le formazioni partigiane perché non si fidavano di loro in quanto venivano identificati come comunisti. Mario Baldassini, un partigiano che partecipò alla cerimonia, racconta: “Gli alleati non ci vedevano con simpatia perché eravamo in maggioranza comunisti, con i fazzoletti e le bandiere con la falce e il martello”. Anche Mario Spinella descrive l’atteggiamento degli americani: “All’uscita dalla caserma una jeep americana, ci passò accanto, i poliziotti ci urlarono qualcosa che non capimmo. Scesero con il bastone alzato, ci fecero cenno di toglierci i fazzoletti rossi. Dopo la prima reazione, ubbidimmo. Non vi era senso a non farlo”.
Dopo la celebrazione i partigiani si dirigono verso la Federazione comunista che aveva sede in via dell’Agnolo. Dalla finestra si affaccia Giuseppe Rossi, operaio manovale e anziano dirigente del partito. Rivolge alla folla parole piene di speranza: “Incomincia una nuova epoca, un compito nuovo per i partigiani e per i democratici: ricostruire la città, unire il popolo. Bisogna costruire una nuova Italia”.




Istituto chimico farmaceutico (Castello)

L’Istituto Chimico Farmaceutico Militare di Firenze è tristemente noto per i fatti che vi si sono svolti la notte del 5 agosto del 1944.
Pochi giorni prima della strage, precisamente il 3, i tedeschi ordinano ai cittadini della zona di Castello di lasciare le loro case. Per questa ragione circa 350 persone furono costrette a rifugiarsi all’interno dell’Istituto Chimico Farmaceutico Militare.
La sera del 5 agosto sette soldati tedeschi si presentarono alla porta di Anna Pieri Cammelli, che abitava in via Vittorio Locchi, poco distante dall’Istituto, chiedendole del vino. In casa erano presenti oltre alla signora Anna, i suoi figli, il fratello e sua la moglie e la cugina Maria Omaralgi. Dopo essere entrati con la forza nell’abitazione, i soldati rinchiudono ognuno in una stanza diversa e tentano di violentare la signora Anna e la cugina. Quest’ultima viene subito lasciata perchè non in buona salute. La signora Anna cerca di resistere alle pressioni dei soldati e nella colluttazione un proiettile della pistola estratta da uno dei soldati attraversa la manica del vestito della signora Anna e colpisce la spalla destra di un suo compagno. La signora Anna sviene.

Un soldato porta il compagno ferito al comando di Via Giuliano Ricci 10, riferendo di essere stati attaccati da un italiano. Da un comando ricevuto del telefono si ordina di uccidere 10 italiani.
Verso le 22 si avvertono spari ed esplosioni al cancello dell’Istituto Chimico Farmaceutico e dopo una colluttazione, dopo aver aperto la porta dell’edificio, i tedeschi sparano a Fiorini Silvano. Nel frattempo alcuni uomini vengono portati nel cortile e Beppino Mazzola, in un tentativo di fuga con Delfo Ignesti e Oreste Sarri, viene ucciso.
Nella rappresaglia tedesca vengono fucilati e uccisi Granili Francesco, Lepri Michele, Tiezzi Tullio, Lippi Mario, Bracciotti Ugo, Bartoli Aldo, Nardi Vittorio, Uvali Attilio, Iacomelli Francesco, Biondo Giorgio, oltre che precedentemente Fiorini Silvano e Mazzola Beppino, i cui corpi furono trovati ammucchiati in Via Reginaldo Giuliani, all’uscita dell’Istituto.
Nel 1945 in ricordo della strage venne affissa una lapide all’esterno dell’Istituto Chimico Farmaceutico.
Le informazioni riguardanti la strage sono reperibili grazie al rapporto del Sergente T.W. Smedley condotte nel marzo – aprile 1945 a seguito di una corrispondenza ricevuta il 28 febbraio 1945. Nel rapporto sono riportate circa 30 testimonianze e le relative prove di riconoscimento basate su due foto fatte scattare dai tedeschi da Armando Marchi l’8 agosto 1944. Le prove sono insufficienti e le testimonianze spesso non coincidono e il Sergente Smedley non riesce ad individuare i colpevoli.