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La Sinagoga di Livorno

Nel cuore della città di Livorno sorge la Sinagoga nuova. Nuova perché quella vecchia, bellissima e molto grande, non c’è più. Tutti dicono che la sinagoga secentesca fosse seconda solo a quella di Amsterdam ma poiché fu pesantemente danneggiata dai bombardamenti, svuotata (come del resto il Duomo) dai cittadini alla ricerca di legno per scaldarsi in una città il cui centro era ridotto ad una maceria, fu scelto di costruirne una del tutto nuova. Le considerazioni su questa scelta sono molto discordanti ma non è questo che qui ci preme sottolineare. L’aspetto che a noi è più caro è legato alla sua collocazione, nel centro della città, alla vista di tutti, in una piazza intitolata ad uno dei più importanti rabbini e intellettuali di tutti i tempi, Elia Benamozegh. La spiegazione di questo fatto è semplice. A Livorno non è mai esistito il ghetto. Gli ebrei arrivarono a partire dal cinquecento e prosperarono in un contesto di grande tolleranza, sia religiosa che giuridica, che permise loro nel Settecento di rappresentare il 25% dell’intera popolazione labronica.

Purtroppo molto cambiò nel Novecento con le Leggi razziali e le persecuzioni. Una parte degli ebrei emigrarono all’estero, una parte cercò di trasferirsi in altri luoghi per dare meno nell’occhio. Molti sfollarono nelle campagne per salvarsi dai fascisti e dai tedeschi ma anche dalle bombe. Furono 116 i deportati e solo in 11 tornarono vivi. La comunità si raccolse attorno a quello che rimaneva dei vecchi edifici e ricominciò a vivere. Finalmente il 23 ottobre 1962 gli ebrei di Livorno riebbero il loro luogo di culto e di incontro. Ancora oggi la comunità ebraica è molto presente nelle manifestazioni culturali e civili della città e la città, nel suo complesso intrattiene un rapporto positivo con la comunità stessa al punto che non gli ebrei, oramai pochi, ma tutti i livornesi per indicarti quel luogo ti dicono: “E’ lì, alla sinagoga”.




Teatro San Marco di Livorno. Qui nacque il Partito comunista d’Italia

A Livorno c’è una via nel cuore del vecchio quartiere della Venezia che si chiama via San Marco. Prima della guerra lungo il suo percorso sorgeva un teatro, il Teatro San Marco. Ora in quello che resta, dopo la guerra e i bombardamenti, c’è la sede di un asilo. C’è una lapide in quel luogo dove spesso qualcuno, un nostalgico, mette qualche fiore. Tutti però in città sono affezionati a quel luogo e a quella lapide, anche quelli che, e sono tanti, non hanno mai avuto niente a che fare con il comunismo e con il Partito comunista. Ma tutti ne riconoscono il valore storico e testimoniale perché in quei locali si riunirono dopo essersi separati dal Partito socialista, un gruppo minoritario di persone, tra cui Armando Bordiga, Antonio Gramsci, Umberto Terracini, Angelo Tasca, Palmiro Togliatti, e per i livornesi illustri, Ilio Barontini. Era il 21 gennaio 1921 e lì nacque il Partito comunista d’Italia che di lì a poco entrerà in clandestinità a causa della vittoria del fascismo.

Quel gruppo che si staccò voleva ribadire la sua volontà di restare legato a Mosca e alle direttive del Comintern. I giudizi che gli storici e pure le memorie dei protagonisti di quegli anni e del periodo successivo giunte a noi, sono molto cambiate nel tempo, si sono in qualche modo aggiornate, come è naturale che accada. Le trasformazioni del mondo e le conoscenze sempre più precise e aberranti che sono pervenute sulla realtà sovietica hanno tolto tutto l’alone che la parola “comunismo” poteva suscitare. Resta certo il fatto però che quel gruppo minoritario di militanti seppe poi costruire una resistenza antifascista tra le meglio organizzate e radicate e che riuscì a sopportare il peso del carcere, del confino e dell’esilio tra sofferenze e difficoltà di grande spessore. Fu sia nel suo insieme che singolarmente, nella stragrande maggioranza dei casi, buon esempio per gli altri, in Italia e fuori dall’Italia. E poiché questo non riguarda la città di Livorno ma riguarda tutta la storia politica occidentale, noi pensiamo che quel luogo vada segnalato, difeso e conservato anche se sicuramente oggi, a distanza di così tanti anni da quel lontano1921, l’eredità migliore che si è mantenuta, e che ancora ci può aiutare a capire, viene dai Quaderni del carcere di Antonio Gramsci, testo analizzato, studiato, tradotto e ristampato ovunque e in particolar modo nel mondo anglosassone.

La lapide sulla facciata di quel che resta del Teatro San Marco fu affissa dai comunisti livornesi nel 1949 e reca questa scritta: “Tra queste mura il 21 gennaio 1921 nacque il Partito comunista italiano avanguardia della classe operaia. Alla testa della democrazia nella trentennale battaglia contro il fascismo popolò dei suoi migliori le carceri e i campi di guerra. Sorretto dalla ideologia di Marx di Engels di Lenin di Stalin dall’esempio di Gramsci sotto la guida di Togliatti prosegue la lotta per rompere le catene di un duro servaggio per la pace e l’indipendenza d’Italia nella realtà del socialismo. I comunisti livornesi”.