Sui sentieri della Linea Gotica a Badia Tedalda

Badia Tedalda è un comune della Valtiberina in provincia di Arezzo situato nella zona appenninica al confine con le Marche e l’Emilia-Romagna. Con i suoi 1.463 abitanti Badia Tedalda è il principale centro dell’Alpe della Luna, un gruppo montuoso dell’Appennino settentrionale. Dalla fine del 1943 al settembre del 1944 il paese e le zone circostanti furono attraversati dalla Linea Gotica, l’approntamento difensivo costruito dai tedeschi lungo tutta la dorsale appenninica per bloccare le truppe alleate che risalivano la penisola.

Le montagne che circondano Badia Tedalda offrono un’eccezionale visuale sugli accessi di tre vallate, l’alta Valtiberina, l’alta Valmarecchia e l’alta Valle del Foglia. Questo segmento della difesa era dunque di importanza cruciale per i tedeschi poiché offriva la possibilità di poter bloccare l’avanzata alleata su Forlì, Rimini e Pesaro e danneggiare l’aviazione diretta sui principali centri del Mar Adriatico.

Seguendo un modus operandi ormai collaudato i nazisti in queste zone procedevano al reclutamento forzato degli uomini atti al lavoro per la costruzione delle opere difensive e mettevano in atto soprusi di qualsiasi genere come violenze, stupri e razzie. Questa impostazione veniva arricchita da quella politica della “terra bruciata” volta ad isolare i partigiani attraverso l’esecuzione di azioni efferate ai danni delle popolazioni locali[1].

A Badia Tedalda l’esercito tedesco arrivato nei primi mesi del ’44 vi stazionò per quasi un anno fissandovi la sede di comando di una delle sue divisioni, la 114ª Jäger-Division, deputata – insieme agli artiglieri della contraerea – alla difesa di quella zona. La 114 ª era una divisione nata nell’Europa orientale per combattere i partigiani ed era stata spostata proprio nella Valtiberina con il compito di difendere la Linea Gotica in quel tratto dal Passo dei Mandrioli (valico di crinale dell’Appennino tosco-romagnolo) fino a Sestino (il comune più orientale della Valtiberina).

Questi reparti una volta sistematisi lungo le fortificazioni della Linea si occuparono inizialmente del completamento dei lavori di fortificazione per controllare gli Alleati che stavano avanzando lungo la Valtiberina.  Ma tra il 20 e il 25 settembre con lo sfondamento della Linea Gotica sull’Adriatico e al Passo del Giogo di Scarperia il comandante delle forze tedesche in Italia, Kesserling, fece immediatamente retrocedere i reparti qui dislocati che abbandonarono le postazioni senza subire un vero e proprio attacco. Però al momento della ritirata i tedeschi, oltre ad interrompere tutte le vie di comunicazione, rasero al suolo diversi edifici, tra cui il palazzo comunale, l’attiguo mattatoio e le case circostanti[2].

Oggi la scoperta di una cospicua serie di resti di fortificazioni sui crinali di queste montagne, insieme alla raccolta delle memorie dei testimoni, ha portato alla nascita del Parco storico della Linea Gotica. È una realtà ancora in costruzione che rende fruibile ai visitatori questo luogo di storia e di memoria, con i percorsi guidati per gli escursionisti, con le proposte didattiche per le scuole e con la realizzazione di spettacoli e manifestazioni.

Il Parco storico della Linea Gotica, nato nel 2011 dalla collaborazione tra la Pro Loco di Badia Tedalda e la cooperativa sociale Costess – con il patrocinio della Provincia di Arezzo e della Regione Toscana -, è un museo open air delle fortificazioni belliche che valorizza un patrimonio storico conservatosi in un ambiente naturale intatto e suggestivo[3].

 

L’area del Parco Storico della Linea Gotica

 

Parallelamente alla valorizzazione delle postazioni difensive sparse per il territorio è stata allestita anche una “Sala della Memoria”, uno spazio culturale con installazioni multimediali, ricavata all’interno del Centro-Visite della Riserva Alpe della Luna (nei pressi della piazza del paese). La sala raccoglie reperti storici locali di varie epoche, ma soprattutto pannelli ed installazioni video relativi alla Linea Gotica e alla storia del periodo[4].

 

La Sala della Memoria

 

Per consentire ai visitatori di muoversi nel Parco sono stati creati una serie di itinerari a piedi e in bicicletta, grazie ai quali è possibile raggiungere pressoché tutti i principali siti in cui sono ancora presenti i resti delle fortificazioni (trincee, fortini in pietra in pieno bosco, casematte, postazioni antiaeree, postazioni radio, rifugi e ricoveri). Tali itinerari – le cui descrizioni sono in parte consultabili sul sito web della Pro Loco – possono essere percorsi con facilità grazie alle segnalazioni e alle tabelle informative sparse per il Parco[5].

Nel Parco sono stati individuati più di 250 siti con resti di fortificazioni e alcuni di questi, quelli più significativi, sono stati completamente restaurati.

Ed è proprio per recuperare la memoria della Linea Gotica nel territorio di Badia Tedalda che vogliamo dare questo contributo invitando ad andare a visitare quei luoghi per scoprire i segni di una storia recente, come quelle opere militari, ormai inserite nella natura e nel paese, che hanno reso possibile la formazione del Parco Storico.

Riportiamo qui di seguito alcuni dei sentieri presenti all’interno del Parco storico ripresi dagli itinerari della Pro Loco di Badia Tedalda: alcuni sono percorribili a piedi ed altri in bicicletta.

È consigliabile prima di iniziare un’escursione prendere informazioni aggiornate presso il Centro Visite sullo stato della rete sentieristica e sull’accessibilità dei luoghi.

 

Sentiero di Hinton Brown

 

  • Lunghezza percorso: 10.4 km
  • Dislivello: ± 840 m
  • Difficoltà: EE
  • Punto di partenza: Valico di Montelabreve
  • Ritorno: per lo stesso percorso

 

Pilota Hinton-Brown

 

Hinton Brown era un pilota sudafricano facente parte di una squadriglia dell’esercito britannico[6]. Durante la seconda guerra mondiale l’aviatore venne colpito dalla contraerea tedesca attestatasi sulle montagne dell’Appenino tosco-romagnolo e non ebbe altra scelta se non quella di lanciarsi con il paracadute atterrando nelle campagne attorno a Sant’Agata Feltria, in una zona presidiata dai tedeschi. Vedendolo scendere i contadini ed i partigiani del posto lo soccorsero e lo portarono al sicuro nella frazione di Monteriolo; da qui Hinton iniziò un lungo cammino che lo portò a ricongiungersi con i suoi compagni giunti dalle parti di Anghiari in Valtiberina. Grazie all’aiuto dei partigiani e dei contadini il pilota riuscì ad attraversare le montagne evitando i nazisti ed i repubblichini, trovando ospitalità in case coloniche e chiese. Il suo itinerario toccò molte località: Donicilio, Tavolicci, Pereto, Castelpriore, Fragheto, Casteldelci, l’Alpe della Luna, Val di Canali, il Condotto, Montagna, fino al Tevere. Grazie al ritrovamento del suo diario oggi possiamo ripercorrere i sentieri che Hinton Brown attraversò per ricongiungersi ai suoi commilitoni. Lungo il sentiero sarà possibile poter individuare diverse postazioni che i tedeschi costruirono nelle zone attraversate dalla Linea Gotica.

Questo sentiero percorre in parte una delle più antiche vie dell’Alpe della Luna percorsa fin dal Medio Evo dai pellegrini e dai pastori e utilizzata fino ai primi anni Cinquanta del secolo scorso dai contrabbandieri che trasportavano clandestinamente il sale della Romagna e il tabacco della Valtiberina per evitare i dazi: con pesanti sacchi sulle spalle risalivano fino allo sbocco del Bucine, percorrevano un pezzo di crinale e poi scendevano giù per altri sentieri segreti fino a Sansepolcro dove scaricavano il sale, caricavano il tabacco e nuovamente salivano su per lo stesso percorso a ritroso fino in Romagna.  Per questa ragione gli abitanti del posto lo chiamano ancora il “sentiero dei contrabbandieri”.

 

Pannello descrittivo del Parco Storico sul sentiero di Hinton Brown

 

ITINERARIO

(È possibile effettuarlo sia a piedi che in mountain bike)

Il sentiero ha inizio al Valico di Montelabreve (Badia Tedalda) in corrispondenza con il sentiero CAI n. 5 in direzione di Monte Maggiore. Dopo pochi metri seguendo le indicazioni si svolta a sinistra scendendo nella valle e toccando le località di Montelabreve e Gorgoscura fino al guado sul torrente Auro (circa 3 chilometri dalla partenza). Superato il guado il sentiero sale a destra sovrapponendosi al sentiero BT6 (che corrisponde alla “via dei contrabbandieri”) e risale la valle dell’Auro fino al crinale (1.002 m).  Da qui i due sentieri si dividono: il “sentiero dei contrabbandieri” scende verso il colle delle Quarantelle, mentre il sentiero di Hinton Brown percorre il crinale del Poggio dell’Oppione fino allo sbocco del Bucine (circa otto chilometri dalla partenza, 1.232 m). Dal crinale si attraversa il sentiero 00/E1 e si scende fino alla località Val di Canale nei pressi di un rudere (10 chilometri dalla partenza, 898 m). In questa zona durante la seconda guerra mondiale vi erano molti casolari e poderi che davano ospitalità agli sfollati e a tutti coloro che cercavano sicurezza e libertà oltre il fronte della Linea Gotica. In uno di questi, il Podere il Condotto, alloggiò il pilota Hinton Brown prima di passare il Tevere per ricongiungersi ai suoi compagni. Da qui volendo si intraprende a ritroso lo stesso sentiero per ritornare al punto di partenza.

 

Il sasso di Cocchiola

 

  • Lunghezza percorso: 3 km
  • Dislivello: ± 231 MT
  • Difficoltà: E
  • Punto di partenza: Parco della Memoria – Badia Tedalda
  • Ritorno: per lo stesso percorso

 

Il Sasso di Cocchiola

 

Il percorso comincia dal “Parco della Memoria” situato alle porte di Badia Tedalda. Inaugurato nel novembre del 2011 grazie al contributo della Pro Loco e del comune il parco è stato creato per ricordare i caduti civili e militari delle due guerre mondiali, a ciascuno dei quali è stato dedicato un albero della pineta all’ingresso sud del paese.

Dal Parco storico della Linea Gotica seguiamo la segnaletica giallo-blu e saliamo fino alla sommità del primo rilievo sovrastante Badia e la strada provinciale, dove è possibile rintracciare, anche se poco riconoscibili, i resti di una postazione di avvistamento. Da qui procediamo sempre seguendo i segnavia colorati del Parco fino a raggiungere una strada sterrata che originariamente collegava Badia a Pratieghi (località al confine con l’Emilia-Romagna). Seguendo il tracciato di questa strada in circa 45 minuti giungiamo al rilievo montuoso del Sasso di Cocchiola (929 m), un sito con rilevanti resti della Linea Gotica che sono stati ripuliti e restaurati. Il nucleo di fortificazioni ancora presenti è interessante perché possiamo trovarvi diverse tipologie di costruzione e la tabella esplicativa aiuta il visitatore a prenderne conoscenza. Questo luogo era di fondamentale importanza per la sua posizione panoramica che garantiva alla contraerea tedesca una visibilità ideale per intercettare l’aviazione alleata e al tempo stesso, essendo vicino al quartier generale della Divisione, fungeva anche da presidio difensivo per un eventuale attacco terrestre. Sul Sasso di Cocchiola sono ancora visibili e riconoscibili i resti di due casematte: adibite principalmente per il deposito di munizioni, ma che fungevano al contempo da riparo per i soldati tedeschi in occasione degli attacchi alleati. Oltre alle casematte sono inoltre visibili i resti delle postazioni da tiro della contraerea tedesca che completavano il sistema difensivo della zona e servivano a contrastare i bombardamenti angloamericani[7].

 

La “casamatta”, Sasso di Cocchiola

 

Postazione antiaerea, Sasso di Cocchiola

 

Pannello descrittivo del Parco Storico sul Sasso di Cocchiola

 

Il Monte dei Frati

 

  • Lunghezza percorso: 5 km
  • Dislivello: ± 631 M
  • Difficoltà: E
  • Punto di partenza: Poggio La Piazzuola
  • Ritorno: per lo stesso percorso

 

 

Il Monte dei Frati

 

Queste zone dell’Alpe della Luna prima dell’arrivo dei tedeschi videro la presenza di diversi raggruppamenti partigiani, più precisamente quelli della V Brigata Garibaldi “Pesaro[8] e quelli della XXIII Brigata Garibaldi “P. Borri”, e furono teatro di azioni partigiane, rastrellamenti nazifascisti, scontri a fuoco e fucilazioni.

Il percorso qui di seguito proposto ha inizio da Poggio la Piazzuola che è possibile raggiungere in auto da Badia Tedalda in dieci minuti seguendo le indicazioni per Monteviale. Una volta lasciata l’auto si intraprende il sentiero CAI n. 19 che sale dolcemente alla sommità boscosa del Monte dei Frati (1.453 m), la massima elevazione dell’Alpe della Luna. La cima, segnalata da una piramide di pietre e da un cartello, è completamente coperta da una faggeta fiabesca; poco sotto si trova il piccolo Bivacco Paolo Massi, una piccola costruzione in legno sempre aperta, e a poca distanza dalla vetta il fianco orientale del Monte dei Frati è squarciato dalla Ripa della luna, un salto impressionante di roccia chiara e verticale che precipita per circa 300 metri di dislivello, la cui vista ci lascia affascinati dalla bellezza della natura.

 

Cima del Monte dei Frati

 

Nella prima parte del percorso si possono notare diversi punti panoramici sulla Val di Bruci, che fu la “base logistica” per gli uomini impegnati nella costruzione delle fortificazioni della Linea Gotica sul Monte dei Frati: fino a questo punto i tedeschi riuscivano ad arrivare con i mezzi a motore, dopodiché procedevano fino a dove era possibile con i muli e successivamente a piedi.

Proseguendo lungo il percorso si può notare come i principali punti di fortificazione fossero, oltre che strategici, anche in “contatto visivo” tra loro.

Una volta giunti al Monte dei Frati, dopo circa due ore di cammino dal punto di partenza, i cartelli del Parco consentono di raggiungere un ampio sito storico, dove possiamo ammirare una sorta di “cittadella” fortificata destinata ad ospitare la contraerea tedesca.

Se proseguiamo invece verso il Monte Maggiore giungiamo nel luogo dove era posizionato uno dei principali osservatori di tutta l’area, di cui ad oggi non vi è praticamente più traccia se non alcuni resti delle postazioni di servizio, alcune “buche” e “piazzole”.

 

Monte Verde

 

  • Lunghezza percorso: 5.5. km
  • Dislivello: ± 472 M
  • Difficoltà: E
  • Punto di partenza: Passo di Viamaggio
  • Ritorno: per lo stesso percorso

 

L’itinerario ha inizio dal Passo di Viamaggio, dove sono ancora visibili alcune batterie della contraerea tedesca e pezzi di artiglieria. Lasciata l’auto nei pressi del Bar L’Alpe seguendo i segnali giallo-blu si intraprende il sentiero CAI n.00 che arriva dopo circa un’ora a Monte Verde. Lungo il cammino è possibile incontrare resti di postazioni di fucilieri e mitraglieri che erano destinate a difendere i tedeschi dagli attacchi terrestri. L’individuazione di queste fortificazioni non è sempre facile, talvolta si possono nascondere sotto il fogliame o nella folta vegetazione che contraddistingue queste montagne.

Giunti in cima al Monte Verde si può avvistare sia una postazione di tiro che il punto terminale di una trincea, seguendo il quale si arriva a tre grandi postazioni per il ricovero delle truppe.

Per chi volesse approfondire la conoscenza della Linea Gotica consigliamo di proseguire verso Monte Macchione, un promontorio di crinale a quota più bassa del Monte Verde, dove sono presenti numerosi resti delle fortificazioni tedesche. Sebbene non siano stati ancora recuperati sono visibili i resti di dodici postazioni di tiro in prevalenza utilizzate per fucilieri e mitraglieri e nella parte posteriore della cima del Monte i resti di un ricovero per la truppa e di una casamatta sotterranea.

Per gli amanti della bicicletta si consiglia La staffetta della memoria, un’iniziativa molto seguita e partecipata, che si snoda in una lunga pedalata appenninica nei giorni del 25 aprile e del 1° maggio, per mantenere sempre vivi nella memoria gli avvenimenti che hanno portato alla nascita della Repubblica Italiana e alla Costituzione. L’itinerario che ripercorre il tracciato storico della Linea Gotica attraversa anche il tratto della Linea che collega il Parco storico di Badia Tedalda al Parco nazionale delle Foreste Casentinesi[9].

 

La staffetta della memoria

 

Un altro percorso in bicicletta che riguarda invece solo il territorio di Badia Tedalda e ci consente di visitare i resti della Linea Gotica e di immergersi nell’area dell’Alpe della Luna è “il sentiero della Battaglia”.

 

Il Sentiero della Battaglia

  • Lunghezza percorso: 23. km
  • Dislivello: ± 625 M
  • Punto di partenza: Badia Tedalda
  • Ritorno: Badia Tedalda

 

Pannello descrittivo del Parco Storico sul Sentiero della Battaglia

 

Il sentiero parte da Badia Tedalda e segue una delle vie che nel giugno del 1944 i nazisti percorsero per compiere un accerchiamento ai danni della V Brigata Garibaldi “Pesaro”. La zona in questione fu teatro di uno scontro che contrappose i tedeschi provenienti da Sestino e Badia Tedalda e alcuni raggruppamenti partigiani appostati sui crinali di quelle montagne. I componenti della “Pesaro” riuscirono a resistere per tutta la giornata agli attacchi nemici senza subire gravi perdite e a respingere il nemico[10].

 

Il gruppo di comando della Brigata Garibaldi “Pesaro”

 

L’itinerario di questo percorso è circolare e si snoda per 23 km senza presentare particolari dislivelli proibitivi[11]. Da Badia Tedalda seguiamo le indicazioni per Moteviale e una volta giunti al bivio svoltiamo per Stiavola. Superata la cascata del Presale che troviamo alla nostra sinistra proseguiamo fino all’incrocio successivo seguendo le indicazioni per Montelabreve. Da qui si intraprende una strada in ascesa fino al Passo di Montelaberve (circa 9 km), poi si vira a destra e si prende il sentiero CAI n. 5 e lo si segue integralmente fino a superare il Poggio di Monterano. La strada risulta quasi interamente pedalabile ma vi sono alcuni punti in cui sono presenti delle ripide rampe che costringono a portare la bicicletta a mano. Lungo il cammino è poi possibile poter individuare alcune postazioni tedesche grazie alla segnaletica del Parco Storico; in questo caso sarà necessario compiere delle brevi deviazioni al percorso tradizionale ed addentrarsi per pochi metri nella boscaglia, dove potremo osservare le fortificazioni utilizzate dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. Le trincee, i camminamenti e i luoghi adibiti all’artiglieria e all’osservazione sono in prevalenza situati lungo il crinale, ossia il punto che offre la miglior visibilità.
Giunti al bivio di Monterano il percorso scende a destra sul sentiero segnalato; chi invece volesse individuare altre fortificazioni tedesche dovrà procedere verso Monte Maggiore e poco dopo troverà alla sinistra del sentiero alcune postazioni  che erano state costruite per controllare gli eventuali movimenti nemici nella vallata. Al bivio di Monterano il percorso prosegue dunque verso destra: si abbandona il crinale e si scende sulla strada forestale che ci porterà in poco tempo alla Casa di Monterano, unico casolare sopravvissuto di una piccola frazione che all’epoca fu sede di un comando tedesco.
La strada forestale, ora ampia e senza deviazioni significative, attraversa la Val di Petra e con alcuni saliscendi giunge a Poggio la Piazzuola; qui, superata la sbarra, si prosegue verso destra su una strada sterrata. La discesa – inizialmente dolce ma successivamente più ripida – ci conduce prima a Monteviale e poi, tornati sull’asfalto, all’incrocio presso il ponte di Val di Brucia. Ora, svoltando a sinistra, risaliamo l’ultimo chilometro in salita e giungiamo al punto di partenza nella piazza di Badia Tedalda.

 

 

Un viaggio lungo i sentieri del Parco Storico di Badia Tedalda che ognuno può condurre in modo personale, con ritmi e scelte che ciascuno può fare tra le tante possibilità di visita che vengono proposte. Ognuno segue il proprio passo, più lento o più veloce a seconda delle passioni e dei giorni e ognuno… trova il suo senso.

 

NOTE:

[1] Ivan Tognarini, La Linea Gotica in provincia di Arezzo, in Paesaggi della memoria. Itinerari della Linea Gotica in Toscana, Touring Club Italiano, Milano 2005, pp. 34-37.

[2] Ivan Tognarini (a cura di), 1943-1945, la Liberazione in Toscana: la storia, la memoria, Pagnini, Firenze 1994, p. 22.

[3] Consulta il sito web della Pro Loco di Badia Tedalda https://www.prolocobadiatedalda.it/ e il periodico trimestrale online “Luna Nuova” di informazione e promozione dell’Alta Valmarecchia e Alpe della Luna in https://lunanuovaweb.home.blog/2019/10/16/il-parco-storico-della-linea-gotica-di-badia-tedalda-un-cantiere-aperto/

[4] Cfr.  Linea Gotica. Il Parco Storico di Badia Tedalda in https://blogcamminarenellastoria.wordpress.com/2022/05/10/linea-gotica-il-parco-storico-di-badia-tedalda/

[5] Cfr. Itinerari della Linea Gotica a Badia Tedalda in https://visitbadiatedalda.it/itinerari-e-escursioni/parco-storico-linea-gotica/

[6] I Sentieri della Memoria in https://lunanuovaweb.home.blog/2020/02/04/i-sentieri-della-memoria/

[7] Cfr.  Andrea Meschini e Doriano Pela, Il cammino della Linea Gotica. Un cammino civile sui luoghi dove è nata la Costituzione, Associazione Fuori dalle Vie Maestre.

[8] Alvaro Tacchini, La 5° Brigata Garibaldi “Pesaro”, in https://www.storiatifernate.it/id/la-5a-brigata-garibaldi-pesaro/

[9] Cfr. Il sito web Il cammino della Linea Gotica in https://www.camminolineagotica.it/staffetta-della-memoria/

[10] Alvaro Tacchini, Il rastrellamento del 3-6 giugno 1944 sull’Alpe della Luna, in https://www.storiatifernate.it/id/il-rastrellamento-del-3-6-giugno-1944-sullalpe-della-luna

[11] Cfr. il sentiero su https://www.prolocobadiatedalda.it/itinerari-ed-escursioni/

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel mese di novembre 2024.




Le stragi di Partina e Moscaio

Il 13 aprile 1944 viene generalmente ricordato in Casentino per la strage di Vallucciole, che portò all’uccisione di oltre cento civili, in prevalenza donne, anziani e bambini. La scomparsa della quasi totalità della popolazione del piccolo borgo e degli abitati limitrofi non rappresentò però l’unico eccidio verificatosi quel giorno nella vallata, visto che tra il 12 e il 13 aprile la violenza dei nazisti si scagliò anche sugli abitanti di due paesi nei pressi di Bibbiena, Partina e Moscaio, portando alla morte di trenta innocenti (22 a Partina e 8 a Moscaio). Non è un caso che le stragi in questione siano avvenute il medesimo giorno, come non è altrettanto accidentale che queste azioni abbiano numerose analogie tra di loro. I rastrellamenti di Vallucciole, Partina e Moscaio, ma anche quelli avvenuti negli stessi giorni a Badia Prataglia e San Godenzo rientrano all’interno di un’ampia azione organizzata dai comandi nazisti all’inizio di aprile, volta a debellare la presenza partigiana nelle zone del Casentino e nei pressi del monte Falterona[1].

In questa fase dell’occupazione si assiste ad una progressiva radicalizzazione della presenza nazista in Italia e al crescente utilizzo della violenza ai danni dei civili. Quest’impostazione non era un’anomalia all’interno della strategia militare tedesca, ma rappresentava un tratto tipico della loro conduzione bellica, utilizzato sul fronte orientale fin dal 1941. La strategia stragistica aveva l’intento di allontanare le popolazioni dai ribelli attraverso la conduzione di efferate e indiscriminate azioni ai danni dei civili. In Italia questo genere di atteggiamento venne adottato dalla fine del marzo 1944, quando l’attentato di via Rasella (23 marzo), lo sciopero di inizio mese e le notizie riguardanti il rafforzamento delle formazioni partigiane portarono i comandi nazisti a mutare giudizio e considerare il contesto italiano un problema di difficile soluzione. I principali tratti del nuovo approccio emergono in modo chiaro ed evidente nelle misure antipartigiane che il feldmaresciallo Kesselring diffuse ai suoi subordinati il 7 aprile: all’interno del documento il responsabile del fronte italiano invitava i soldati ad operare in modo deciso e risoluto, garantendo l’impunità a coloro che avrebbero agito in tale modo; Kesselring concludeva infine la comunicazione precisando che le problematiche sarebbero sorte qualora qualcuno non fosse stato sufficientemente determinato e spietato[2].

Con queste premesse all’inizio di aprile venne organizzato un grande rastrellamento che avrebbe dovuto ripulire la dorsale appenninica dalla Liguria alle Marche. In Toscana le operazioni iniziarono il 10 aprile: colpirono inizialmente alcuni borghi del Mugello, per poi spostarsi successivamente nel Casentino, dove veniva segnalata una forte presenza di ribelli. Nel Casentino e sul versante orientale del Falterona l’azione ebbe inizio la notte tra il 12 e il 13 aprile ed investì paesi dall’importanza secondaria come San Godenzo, Castagno d’Andrea, Badia Prataglia, Vallucciole, Partina e Moscaio.

Protagonisti di quest’operazione furono gli uomini del Reparto esplorante della Divisione Hermann Gӧring, comandati dal colonnello von Heydebreck e guidati sul campo dal capitano von Loeben. Si trattava di un contingente composto da oltre mille soldati, suddivisi in cinque compagnie tutte motorizzate; non era un corpo noto per le sue qualità militari, ma celebre piuttosto per essere una delle formazioni più politicizzate dell’esercito, composta in prevalenza da volontari e nazisti della prima ora. Nella seconda metà di marzo la Divisione aveva inoltre messo in evidenza le sue capacità nel rastrellamento con le stragi emiliane di Cervarolo e Civago[3].

Il primo paese ad essere colpito nel Casentino fu Moscaio, un piccolo gruppo di case situato su una collina distante pochi chilometri da Bibbiena. I tedeschi giunsero nella frazione nella notte tra il 12 e il 13 aprile ed irruppero nelle case degli abitanti trascinando gli uomini fuori dalle loro abitazioni: cinque furono fucilati sul retro delle loro case, altri due vennero abbattuti mentre cercavano di fuggire al rastrellamento e uno venne ucciso con un colpo di pistola da un soldato irritato dalle sue grida[4]. Secondo la ricostruzione compiuta da Raffaello Sacconi i soldati della Gӧring penetrarono nel paese grazie alle indicazioni fornite da un ragazzo che avevano incontrato lungo il percorso di avvicinamento all’abitato[5]. Rispetto alla strage di Partina, che coinvolse un maggior numero di vittime, non vi è certezza riguardo l’esatto numero dei morti (una cifra compresa tra sette e nove) e sono pressoché assenti le testimonianze dei superstiti dell’eccidio.  Le poche dichiarazioni a nostra disposizione presentano però numerose analogie con gli eventi che di lì a poco si sarebbero verificati nel vicino paese di Partina: i figli delle vittime affermano che nessuno dei morti aveva preso attivamente parte alla Resistenza, ma aveva al massimo fornito rifugio a qualche partigiano transitato per l’abitato, aggiungendo inoltre che molto probabilmente furono presenti durante l’operazione anche alcuni fascisti della zona[6].

 

Lapide in ricordo dei civili di Moscaio caduti durante la strage

 

Qualche ora dopo gli uomini della Gӧring piombarono su Partina, un piccolo paese vicino Soci. Verso le quattro del mattino un gruppo di fascisti e nazisti camuffati da partigiani entrò nel paese e si diresse all’abitazione di Angiolo Cerini, la guardia comunale del paese, chiedendogli se conoscesse qualcuno che li avrebbe potuti aiutare a trasportare del materiale bellico in montagna. Il Cerini non sospettò nulla ed accompagnò i presunti partigiani da coloro che riteneva li avrebbero potuti aiutare: il primo che venne interpellato era il Giovannini, ma questi si rifiutò di aiutarli perché i suoi buoi erano troppo stanchi, aggiungendo che aveva fornito il suo supporto in altre occasioni, ma che questa volta proprio non poteva aiutarli. Al rifiuto del Giovannini i repubblichini non rivelarono la loro identità e continuarono la loro ricerca facendosi accompagnare alla casa del Lorenzoni: una volta chiamato questi chiese di potersi  vestire prima di uscire di casa a parlare, ma gli risposero che non ce ne sarebbe stato bisogno, visto che quel giorno sarebbe stato ucciso. Accortosi dell’inganno il Cerini cercò di ritrattare quanto aveva detto, ma venne immediatamente colpito alla testa da due colpi di pistola. Con la morte della guardia comunale i criminali svelarono la loro identità, dando inizio alla strage[7].

 

Partina

 

Accompagnato da elementi locali, il gruppo si recò nelle abitazioni ritenute maggiormente sospette, come quelle dei partigiani Vecchioni e Paperini, dando alle fiamme le case ed uccidendo coloro che erano stati inseriti all’interno di una lista precedentemente stilata. Gli individui vennero uccisi nei più disparati modi, chi veniva ucciso sulla porta di casa, chi veniva gettato nelle abitazioni in fiamme dopo che era stato utilizzato per trasportare le fascine con le quali arderle e chi veniva ucciso alle spalle dopo che gli era stata promessa la salvezza. Complessivamente nel corso della mattinata vennero uccisi 14 abitanti di Partina, tutti uomini con più di diciotto anni.

Il resto della popolazione venne rinchiuso all’interno della chiesa, mentre all’esterno i tedeschi continuarono a seminare il panico per il paese. Giovanni Cherubini, che all’epoca aveva poco più di cinque anni, ricorda nitidamente il trasferimento della popolazione nella parrocchia: il volto grigio del parroco, la calca e i pianti di disperazione dei presenti. Ancora oggi non è chiaro se i tedeschi volessero uccidere i civili radunati all’interno dell’edificio o se volessero imprigionarli temporaneamente per avere più libertà di movimento nel paese; tuttavia, tra i presenti si diffuse la notizia che l’edificio sarebbe stato fatto saltare in aria. Ormai certo del tragico epilogo don Ezio Turinesi decise di tenere messa e di assolvere tutti i presenti dai loro peccati[8].

Fortunatamente questo rischio venne scongiurato grazie alla mediazione di un’ufficiale tedesco di stanza a Soci, il capitano Tambosi, e del responsabile locale della Todt, il maggiore Kirchberg, che riuscirono a convincere gli uomini della Gӧring ad interrompere la carneficina, testimoniando l’innocenza della popolazione e l’insussistenza delle voci che etichettavano erroneamente Partina quale “covo partigiano”. Grazie a questo intervento la strage non raggiunse dunque le dimensioni dell’eccidio di Vallucciole, ma si limitò all’uccisione di alcuni uomini di età adulta, senza che venissero eliminati gli anziani, i bambini e le donne. La mediazione di Tambosi e Kirchberg evidenzia la presenza di un buon rapporto tra gli abitanti nei dintorni di Soci e i tedeschi della Wehrmacht di stanza nella zona, testimoniata anche dal partigiano Dante Roselli nel corso di un’intervista[9].

La strage non limitò la sua estensione agli abitanti di Partina, ma coinvolse anche otto operai della Todt che nel corso della mattinata transitarono dal paese per dirigersi a lavorare verso Serravalle. Malgrado fossero muniti di regolare lasciapassare e lavorassero alla costruzione delle fortificazioni tedesche, questi vennero etichettati come partigiani ed uccisi lungo l’argine del torrente Archiano.

 

Cippo per gli operai della Todt

 

Nel corso degli anni la strage ha sollevato numerosi interrogativi, portando taluni a sostenere che l’azione fosse dovuta alla presenza in paese dei partigiani, infatti la mattina del 13 aprile tre componenti del Gruppo Casentino – il Vecchioni, il Paperini e il Ciabatti – si recarono in paese per raccogliere viveri e materiali prima di incamminarsi verso il Pratomagno, dove nel frattempo li stavano aspettando altri compagni del raggruppamento. Per quanto sia innegabile che l’eccidio sia avvenuto in concomitanza della presenza a Partina dei ribelli e dei tedeschi, è altrettanto indiscutibile che la presenza in paese dei soldati della Hermann Gӧring fosse precedente quella del Vecchioni, del Paperini e del Ciabatti. Inoltre è estremamente improbabile che i tedeschi o i fascisti locali fossero a conoscenza dell’imminente arrivo dei tre uomini, visto che la presenza partigiana in paese si trattava di un ripiegamento che non era stato preventivato, dovuto all’occupazione tedesca di San Paolo in Alpe.

Se poi si analizza l’evento da una prospettiva più ampia ci si accorge che la strage non era un’azione isolata, ma era parte di un’ampia operazione che si svolse in tutto il Casentino. I luoghi vittime delle incursioni nazifasciste furono scelti in base alle delazioni che elementi locali fornirono ai comandi tedeschi. Malgrado le denunce non fossero corroborate da prove che convalidassero la presenza di azioni svolte ai danni dei nazisti o testimoniassero l’esistenza di gruppi partigiani che operassero nella zona, le formazioni protagoniste della strage non si preoccuparono di verificare la veridicità delle delazioni e non contattarono neppure i connazionali che nel frattempo operavano nella zona da diverso tempo per avere informazioni in merito. La denuncia non veniva dunque vagliata, ma diveniva per i comandi tedeschi pretesto per poter attuare azioni indiscriminate che allontanassero le popolazioni dai partigiani ed eliminassero potenziali sostenitori della Resistenza. Nel caso di Partina è doveroso ricordare che i partigiani in questione operavano in luoghi lontani dal loro paese natale; dei tre solamente il Paperini perse la vita nel corso della giornata, sacrificandosi per salvare la vita del compagno Vecchioni.

Nonostante nel corso degli anni si sia raggiunta un’intesa riguardo l’origine e la natura della strage, permangono ancora dei dubbi in merito ad alcuni aspetti dell’eccidio, che né gli storici né le testimonianze dei sopravvissuti sono riusciti a chiarire. In particolare sono due le zone d’ombra che sollevano alcuni interrogativi sull’evento, in primo luogo ci si domanda come mai i partigiani si fossero recati in paese nonostante un gruppo di nazisti e di fascisti fosse già presente a Partina dalle prime ore del mattino. Sappiamo che questi erano camuffati da partigiani, ma è altrettanto veritiero che la presenza di un gruppo, pur con le sembianze di un potenziale alleato, sarebbe difficilmente passato inosservato all’interno di un paese dalle piccole dimensioni ed avrebbe dovuto allertare i tre partigiani che avevano ricevuto oltretutto la notizia di un probabile rastrellamento nel Casentino. L’unica spiegazione plausibile presuppone che il gruppo di repubblichini e nazisti abbia agito nel più assoluto silenzio e sia riuscito contemporaneamente a non farsi udire ed individuare dai partigiani di ritorno nel paese.

Un altro aspetto che solleva alcuni interrogativi riguarda il mancato intervento di Sacconi in soccorso dei civili. In questo caso sappiamo che Sacconi si era appostato con i membri del gruppo Casentino nel vicino podere “Prati”, distante solamente pochi chilometri da Partina, e che avesse udito la mattina del 13 aprile gli spari provenire dal paese. In questo caso è probabile che il trasferimento sul Pratomagno avesse precedenza rispetto a qualsiasi altra operazione e che dunque il gruppo si fosse diretto verso il massiccio nonostante avesse sentito le grida provenire da Partina. In merito a questo aspetto non abbiamo però testimonianze o informazioni che ci permettano di chiarire la questione, e possiamo solamente ipotizzare una presunta precedenza dello spostamento sul Pratomagno rispetto ad un intervento in soccorso degli abitanti del paese.

Le stragi del 12 e 13 aprile ‘44 hanno segnato in modo profondo la memoria di questi paesi, che hanno deciso di ricordare le vittime attraverso una serie di opere monumentalistiche. A Partina le vittime della strage vengono commemorate all’interno di un’area verde situata in via San Francesco dove è presente un memoriale dedicato ai caduti del comune durante la seconda guerra mondiale: all’interno dello spazio sono presenti una serie di targhe in bronzo, ognuna delle quali è dedicata ad una specifica categoria di caduti. Per quanto riguarda la strage di Partina sono presenti tre steli destinate agli eventi del 13 aprile, una per i civili vittime dell’eccidio, una per gli otto operai della Todt e una in onore di Santi Paperini, sacrificatosi per salvare la vita del compagno Salvatore Vecchioni[10]. Sempre in via di San Francesco è poi presente una lapide situata sull’argine del torrente Archiano, in ricordo degli otto operai della Todt fucilati dagli uomini della Gӧring[11]. Per quanto riguarda invece le vittime di Moscaio queste vengono commemorate attraverso due lapidi, una posta nella strada che attraversa l’abitato dove avvenne la strage[12] e una posta nel cimitero di Bibbiena[13].

 

Area verde di Partina adibita al ricordo delle vittime della seconda guerra mondiale

 

Note:

[1] È interessante notare come Partina e Vallucciole siano state entrambe designate quale luoghi adibiti all’occultamento delle armi che il nascente gruppo di Vallucciole insieme a quello di Bibbiena derubarono il 13 settembre 1943 a Stia. Per approfondire l’episodio cfr. L. Grisolini, Vallucciole, 13 aprile 1944. Storia, ricordo e memoria pubblica di una strage nazifascista, Consiglio regionale della Toscana, Firenze 2017, pp. 71-72.

[2] G. Fulvetti, Uccidere i civili. Le stragi naziste in Toscana (1943-1945), Carocci, Roma 2009, pp. 71-72.

[3] Ivi, pp. 72-73.

[4] Ivi, p. 78.

[5] R. Sacconi, Partigiani in Casentino e Val di Chiana, Quaderni dell’Istituto Storico della Resistenza Toscana, ed. Nuova Italia, Firenze 1975, p. 70.

[6] Testimonianza di Giancarlo Giannini, https://perlamemoria.it/i-luoghi/bibbiena/moscaio/.

[7] R. Sacconi, Partigiani in Casentino e Val di Chiana, cit., pp. 66-67.

[8] Testimonianza di Giovanni Cherubini, https://perlamemoria.it/i-luoghi/bibbiena/partina/.

[9] Testimonianza di Dante Roselli, https://perlamemoria.it/i-luoghi/bibbiena/partina/.

[10] Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/memoriale-ai-caduti-di-partina-di-bibbiena-guerra-1940-45/.

[11] Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/cippo-agli-operai-della-organizzazione-todt-fucilati-il-13-4-1944-partina-di-bibbiena/.

[12] Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/lapide-ai-caduti-delleccidio-del-13-4-1944-moscaio-di-bibbiena/.

[13] Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/monumento-ai-caduti-del-moscaio/.

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel novembre 2024.




Ricordare per non dimenticare

 

“Cari compagni… io muoio ma l’idea vivrà nel futuro, luminosa, grande e bella. Siamo alla fine di tutti i mali. Questi giorni sono come gli ultimi giorni di vita di un grosso mostro che vuol fare più vittime possibili. Se vivrete tocca a voi rifare questa Italia che è così bella… Sui nostri corpi si farà il faro della libertà”[1].

Un mostro che negli ultimi giorni di vita – due giorni dopo i nazisti avrebbero lasciato l’aretino per risalire verso la Linea Gotica – si è adoperato con una meticolosa precisione, che è una delle virtù dell’ingegno tedesco, per rendere più efficaci ed inesorabili i metodi di sterminio. Seppellire vivi degli esseri umani mettendoli in tasca dell’esplosivo e poi farlo esplodere, immaginando che i sintomi di asfissia lasciassero il posto alle lacerazioni causate dall’esplosione, è un calcolo di una finezza macabra del peggior aguzzino. Questo hanno compiuto i tedeschi a San Polo, questo è uno dei tanti orribili misfatti che hanno attuato nella provincia aretina, questa è una delle tante stragi rimaste impunite!

L’intenzione dei tedeschi di spezzare il movimento della Resistenza annientando la popolazione, perché lì vi erano i fiancheggiatori e lì si annidavano i partigiani difficilmente identificabili, causò molte vittime innocenti la cui colpa era solo di trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato. E pensare che molti di loro avevano lasciato la città di Arezzo per salvarsi la vita fuggendo dai bombardamenti che nella primavera del ’44 si ripetevano quotidianamente. Ma in quelle campagne, dove credevano di poter vivere lontano dalla guerra, rimasero vittime prima di rastrellamenti e successivamente di quella macchina di morte che si era materializzata tra le file dei nazisti. Ma seppur civili e non combattenti, seppur innocenti e distanti dallo scontro bellico, anche il loro sacrificio – indubbiamente evitabile, pensiamo a tutti i bambini morti – ha dato un ulteriore spinta alla lotta contro l’invasore tedesco, coadiuvato dai fascisti repubblichini, per porre fine una volta per tutte a quella mattanza, a quello stillicidio di vite umane innocenti. E per dare un senso, per quanto difficile, alla morte di queste persone le dobbiamo accomunare al sacrificio delle vite dei partigiani che sono morti con il sogno che la loro “idea vivrà nel futuro, luminosa, grande e bella” e dobbiamo ricordare tutti gli uomini, donne e bambini che hanno perso la vita in quel periodo, tutte vittime della Resistenza, andando anche a visitare quei monumenti che ne ricordano il sacrificio, perché su quei “corpi si è fatto il faro della libertà“, e tocca a noi fare attenzione che non si spenga, tocca a noi mantenerlo vivo ed acceso negli anni a venire.

 

Oggi i martiri di San Polo vengono ricordati da due monumenti. Il primo si trova nel luogo della strage, all’interno della proprietà di Villa Gigliosi ma comunque visitabile grazie ad un percorso esterno: l’Edicola ai Caduti civili e partigiani della strage del 14 Luglio 1944 a San Polo di Arezzo.

 

Edicola ai caduti di San Polo a Villa Gigliosi.

 

Si tratta di una struttura in laterizio e marmo a pianta rettangolare con la volta superiore ad arco. All’interno della nicchia si trova una lastra di marmo su cui è incisa l’epigrafe, con la data della strage e la dedica dei familiari delle vittime.  Nella parte inferiore della nicchia è collocata una lapide marmorea su cui sono incisi i nomi dei Caduti in ordine sparso. Mentre nella parte superiore dei fianchi dell’edicola, su due listelli rettangolari di marmo, sono incastonate alcune foto stampate su ceramica di alcune delle vittime ognuna con il proprio nome [2].

 

Particolare del monumento (1): lastra di marmo sulla quale è incisa l’epigrafe.

 

Particolare del monumento (2): Lapide marmorea su cui sono incisi, su tre file da sedici, i nomi dei Caduti in ordine sparso, alcuni dei quali trascritti in maniera errata.

 

Particolare del monumento (3): uno dei due listelli rettangolari di marmo, dove sono incastonati i fotoritratti in ceramica di alcune delle vittime.

 

Spostandoci invece nella parte alta di San Polo, a lato dell’antica pieve, si può ammirare il monumento in memoria dell’eccidio di San Polo, realizzato grazie ad un progetto che a partire dal 2006 coinvolse sia il Comune di Arezzo, che la Circoscrizione 1 Giovi e il Liceo Artistico “Piero della Francesca”.

 

Monumento in memoria dell’eccidio di San Polo.

 

Quello che chiedevano gli abitanti di San Polo e i parenti delle vittime era di rendere giustizia alla memoria dell’eccidio attraverso un monumento e un luogo dove celebrare il ricordo dei propri concittadini e dei propri cari. Il monumento, affidato alla progettazione degli allievi della scuola, offriva anche l’occasione di condurre un’indagine conoscitiva sull’evento, per molti aspetti ancora oscuro e dibattuto. All’inizio solo pochi cittadini presero parte al processo realizzativo, poi nel tempo anche gli altri cominciarono a parteciparvi, chi con interesse e chi con dolore ha voluto testimoniare il ricordo di una strage vissuta direttamente.

Il monumento che ricorda l’efferato eccidio – in cemento e bronzo – è opera dell’artista Sandro Ricci, su bozzetto della studentessa Elisabetta Festa dal titolo “La disperazione e la memoria”. Una lastra verticale forata simboleggia una vittima con le braccia alzate prima di cadere colpita a morte. A terra una statua in bronzo di un caduto e a sinistra, su un supporto metallico, una targa in plexiglass con l’elenco dei caduti tra i rastrellamenti avvenuti a Pietramala, Molin dei Falchi, Vezzano e San Polo e l’eccidio di Villa Gigliosi [3].

 

Targa in plexiglass con l’elenco dei caduti, accanto al monumento in memoria dell’eccidio di San Polo.

 

Un monumento per ricordare a tutti le vittime civili innocenti morte in guerra, per ricordare cosa vuol dire perdere un amico, un fratello od un padre che aveva la sola colpa di essere nel posto sbagliato nel momento sbagliato, in una guerra non cercata, non voluta e nemmeno combattuta.

Da questo progetto è stato poi realizzato anche un volume dal titolo Memoria di un eccidio – San Polo 1944” e un docufilm per la regia di Alessandro Benci, a cui aderirono vari enti e associazioni [4]

Ogni 14 luglio la comunità locale e le autorità organizzano una cerimonia per ricordare quell’atroce eccidio. Durante queste commemorazioni vengono poste corone di fiori, accompagnate da discorsi in onore delle vittime.

Questi monumenti sono importanti non solo per la comunità locale, ma anche per mantenere viva la memoria di ciò che accadde in quei tragici giorni.

 

ITINERARIO NELLA MEMORIA DI SAN POLO

 

Mappa del percorso: da Molin dei Falchi a San Polo

 

Calcare gli stessi passi, osservare le stesse cose, respirare la stessa aria di chi ottant’anni fa ha perso la vita in quella strage. È fondamentale che la coscienza civica rimanga forte.

Riportiamo qui di seguito un itinerario della memoria tratto del libro “Memoria di un eccidio” [5] che invita a vedere e toccare con mano i segni di quello che avvenne in quel tragico 14 luglio.

Si tratta di un’esplorazione che può essere condotta da soli o in gruppo per visitare i siti delle case che ospitavano le famiglie sfollate nel 1944, di Pietramala, Mulin dei Falchi, Vezzano, dove ebbe inizio il rastrellamento; percorrere poi il sentiero 531, soffermarsi presso i cippi che ricordano i momenti in cui i tedeschi uccisero, lungo il percorso, alcuni dei prigionieri; passare per villa Mancini a San Polo, dove alloggiava il comando tedesco e giungere poi a villa Gigliosi, nel boschetto della Ragnaia, dove vennero barbaramente uccise decine di persone, e fermarsi a guardare l’edicola commemorativa.

Tempo: Un’ora e mezzo circa a piedi (6,4 km)

Dislivello + 148, – 367

Un itinerario che si interseca con quello del paesaggio più ampio dei Beni Culturali e Artistici: sono visibili i resti del Castello di Pietramala, la chiesa della Madonna del Giuncheto di San Polo, che ospita una piccola raccolta di residui della seconda guerra mondiale e il monumento commemorativo alle vittime di San Polo.

 

Note:

[1] Lettera di Giordano Cavestro scritta poco prima di esser fucilato a Bardi il 4 maggio 1944, in https://www.istitutostoricoparma.it/storia-digitale/lettere-dei-condannati-a-morte/giordano-cavestro/ultima-lettera.

[2] Edicola ai caduti civili e partigiani della strage del 14 luglio 1944 a San Polo di Arezzo in https://www.pietredellamemoria.it.

[3] Monumento in memoria dell’eccidio di San Polo Arezzo in https://www.pietredellamemoria.it.

[4] Memoria di un eccidio, San Polo 14 luglio 1944 il giorno più lungo in https://www.youtube.com/.

[5] Memoria di un eccidio: San Polo 1944, Le Balze, Montepulciano 2003, pp. 150-154.

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel mese di ottobre 2024.

 




Il Casentino durante la guerra di Liberazione

Tradizionalmente lo studio del passato è stato prevalentemente insegnato e studiato attraverso l’utilizzo dei libri, tuttavia negli ultimi decenni questo monopolio è stato progressivamente messo in discussione dalla comparsa di diverse modalità di apprendimento che hanno enormemente accresciuto le potenzialità diffusive della storia. Ciascun campo e settore ha affinato le proprie modalità di circolazione, cercando di diversificare le possibilità divulgative e di includere al contempo un pubblico sempre più vasto che non limitasse il proprio apprendimento alla sola lettura dei libri. Per quanto riguarda l’apprendimento della Resistenza e della guerra di Liberazione un’eccezionale forma di insegnamento proviene dai numerosi luoghi della memoria sparsi per la penisola: i cippi, le lapidi e i monumenti presenti nel territorio rappresentano un’incredibile fonte a nostra disposizione, grazie alla loro accessibilità e alla loro facile comprensione. Con la loro presenza e la loro solidità i luoghi della memoria hanno inoltre un’importante funzione nei confronti della nostra società, ricordandoci la necessità di non dover dimenticare certi episodi nella speranza che questi non vengano ripetuti. Abbiamo dunque deciso di sfruttare questa ricchezza e di proporre un itinerario, che attraverso la descrizione di alcuni dei luoghi della memoria presenti nel Casentino, ripercorresse alcuni dei momenti principali della Resistenza nella vallata a nord di Arezzo e fornisse una modalità di insegnamento alternativa ed accessibile a tutti.

Il percorso si estende lungo tutto il Casentino per una lunghezza complessiva di 90 chilometri e un tempo stimato di circa due ore. L’itinerario ha inizio dal comune di Pratovecchio-Stia, situato all’estremità settentrionale del Casentino e discende la vallata fino ad arrivare ad Arezzo, capoluogo di provincia posto al confine meridionale della valle. Le ampie distanze fra uno spostamento e l’altro impongono necessariamente l’utilizzo dell’automobile. Per motivi di spazio abbiamo dovuto limitare l’attenzione solamente ad alcuni luoghi del Casentino, senza poter estendere la nostra attenzione ad altri comuni e frazioni interessati dalla guerra e meritevoli di un approfondimento. Il nostro percorso rappresenta solamente un modello di itinerario che ripercorre i luoghi della memoria; invitiamo dunque i visitatori a non doversi necessariamente attenere all’itinerario da noi proposto, ma ad approfondire ed estendere la conoscenza del Casentino attraverso sentieri e percorsi alternativi.

 

L’itinerario che percorre il Casentino

 

Il nostro percorso ha inizio dal margine settentrionale del Casentino; rispetto alle zone centro-meridionali della vallata quest’area venne interessata per prima dagli eventi che seguirono l’Armistizio (8 settembre 1943): infatti nei dintorni di Stia nacque la prima formazione partigiana della provincia di Arezzo e vi fu poco dopo la scomparsa di Pio Borri, prima vittima della Resistenza nell’aretino. Oltre ad esser stata un’area particolarmente coinvolta nelle prime fasi dell’occupazione nazifascista la zona nei dintorni di Stia venne drammaticamente colpita anche nella primavera dell’anno successivo da un grande rastrellamento promosso dai comandi nazisti che tra il 12 e 13 aprile coinvolse il Casentino centro-settentrionale, colpendo i paesi di Vallucciole, Badia Prataglia, Partina e Moscaio.

Il territorio del comune di Pratovecchio-Stia conta numerosi monumenti che ricordano quel triste periodo, con particolare riferimento alla strage di Vallucciole nella quale persero la vita oltre cento civili innocenti. Sempre nell’ambito del grande rastrellamento quattro giorni dopo l’eccidio un gruppo di partigiani romagnoli venne intercettato nelle foreste casentinesi da una pattuglia nazista e condotto a Stia, dove vennero fucilati nel locale cimitero. Oggi quel cimitero non viene più utilizzato per la sepoltura dei defunti ed è divenuto un luogo monumentale presso il quale possono recarsi i visitatori ad ammirarne la bellezza. Recentemente ristrutturato, il camposanto si trova in via Roma, e contiene un ampio spazio dedicato al ricordo dei 17 partigiani fucilati: è presente un monumento, due lapidi che indicano il luogo dove avvenne la fucilazione ed infine lungo il vialetto di accesso al cimitero sono presenti 17 piccole lapidi recanti il nome dei partigiani caduti[1].

 

Monumento ai 17 partigiani

 

Le 17 lapidi poste lungo il viale d’ingresso al cimitero

 

Da Stia ci dirigiamo verso sud percorrendo via Arno e svoltiamo a destra poco prima di arrivare a Poppi, all’altezza di Ponte d’Arno; dopo aver abbandonato la principale arteria del Casentino procediamo verso ovest attraversando gli abitati di Castel san Niccolò, Prato di Strada, Pagliericcio e Pratarutoli, fino ad arrivare a Cetica, situata sulle pendici del Pratomagno. In queste zone il 29 giugno 1944 gli uomini della XXIIª Brigata Garibaldi “Lanciotto” si scontrarono in un aspro combattimento con i reparti della Brandenburg. Diversamente da quanto solitamente avveniva durante la guerra di Liberazione, caratterizzata da imboscate e azioni di guerriglia, partigiani e nazisti si fronteggiarono in uno scontro frontale, noto come “Battaglia di Cetica”. Malgrado la disparità presente tra i due contendenti la neonata Brigata evidenziò un’ottima predisposizione militare ed organizzativa che sarebbe ulteriormente emersa nel corso della liberazione di Firenze.

Il 29 giugno 1944 reparti della Brandenburg camuffati da partigiani si avviarono in direzione di Cetica, questi vennero però tempestivamente individuati dalle sentinelle partigiane che si affrettarono a porre al riparo i civili ed organizzare una difesa del paese. Giunti a Cetica i tedeschi riuscirono a limitare l’efficacia del fuoco nemico utilizzando come scudo gli abitanti del paese, nonostante questo limite, gli uomini guidati da Aligi Barducci riuscirono ad impedire che venisse attaccato il locale mulino, fonte fondamentale di cibo per la Brigata. A fine giornata buona parte del paese portava i segni dello scontro, mentre tredici erano i civili caduti durante la battaglia. Una cifra certamente alta, ma che avrebbe potuto esser ancora più elevata in assenza della presenza partigiana in paese; nel caso Cetica fosse rimasta sguarnita si sarebbero potute ripetere le scene viste a Vallucciole, Partina e Moscaio qualche mese prima. La sera del 29 l’evento assunse maggior straordinarietà grazie all’imboscata che all’altezza di Pagliericcio una quindicina di uomini della Brigata tesero alle truppe naziste in ripiegamento, infliggendogli rilevanti perdite[2].

Le dimensioni dell’evento – probabilmente il più rilevante di tutto il Casentino insieme alla strage di Vallucciole – hanno portato alla costruzione di numerose lapidi e cippi dedicati alla memoria di coloro che il 29 giugno 1944 persero la vita. Il territorio è disseminato di testimonianze dell’evento, sia lungo strada di avvicinamento a Cetica, in particolar modo a Pratarutoli, sia nella vegetazione circostante Cetica, dove è possibile imbattersi nei cippi eretti in ricordo dei caduti. In questo caso limiteremo la nostra attenzione alla descrizione dei due principali monumenti dedicati all’evento. Nello spazio che separa l’ecomuseo del carbonaio, presso la Pro Loco “I tre confini” e la chiesa di san Michele è presente un cippo in ricordo degli uomini della “Lanciotto” caduti durante la battaglia, a fianco del quale è stato recentemente collocato un pannello informativo. A pochi metri di distanza è poi possibile poter osservare sulle pareti sempre della Pro Loco una lastra in onore dei civili che persero la vita, collocata ad appena due anni dall’accaduto, il 29 giugno 1946[3].

 

Cippo in onore dei componenti della “Lanciotto” caduti a Cetica

 

Lastra in ricordo dei civili che persero la vita il 29 giugno 1944

 

Da Cetica ritorniamo a fondovalle e procediamo in direzione sud fino ad arrivare a Soci, da dove seguiremo le indicazioni per Marciano, frazione di Bibbiena. In questo caso la lapide che stiamo cercando non è storicamente paragonabile ai monumenti precedentemente incontrati, ma nonostante ciò ha una notevole importanza poiché testimonia la cooperazione che partigiani e forze alleate misero in campo durante la guerra di Liberazione e che troppo spesso viene dimenticata. La lapide è dedicata ai partigiani Arpelio Cresti e Renato Ristori, caduti il 3 settembre 1944 nel tentativo di liberare Marciano alla testa di una pattuglia inglese. Il cippo non è facilmente individuabile sia perché si trova in una posizione marginale (di fianco a un piccolo cancello all’altezza della curva che precede l’ingresso a Marciano), sia perché è ormai inghiottita dalla vegetazione circostante. Il monumento è composto da due lapidi, una risalente al 1947 ed ormai illeggibile e una più recente, inglobata a quella originaria nel 1992. Al Ristori, medaglia d’argento al valore, è stata inoltre dedicata una lapide situata sotto il loggiato della Misericordia di Pratovecchio[4].

 

Monumento in ricordo di Arpelio Cresti e Renato Ristori

 

Dopo Marciano continuiamo a discendere la vallata fino a Rassina e svoltiamo a destra in direzione di Castel Focognano, superiamo il cartello che indica l’ingresso all’interno del comune e continuiamo lungo la strada principale fino a quando ci si imbatte in un monumento incastonato all’interno di un muro appartenente ad un’abitazione posta sulla sinistra. Il cippo in questione è dedicato ai quattro partigiani che il 4 luglio 1944 vennero impiccati lungo la strada che attraversa Castel Focognano.

La notte del 3 luglio alcuni membri della XXIIIª Brigata “Pio Borri” si diressero in direzione di Arezzo per recuperare del materiale bellico; sfortunatamente Giuseppe Ceccaroni, Elio Vannucci, Leonello Lenzi, Niccolino Niccolini e un ex prigioniero di guerra sovietico di cui non conosciamo il nome (non verrà impiccato, ma verrà deportato in Romagna) non erano a conoscenza di un contemporaneo rastrellamento nell’area che stavano attraversando e vennero fermati vicino a Terrossola e trasportati al Comando di Castel Focognano. Dopo esser stati percossi e interrogati senza alcun esito i partigiani vennero impiccati. L’impiccagione e la conseguente esibizione dei loro corpi aveva l’intento di intimorire la popolazione e di sconsigliare future azioni o forme di sostegno nei confronti della Resistenza. Durante l’esecuzione anche il partigiano Piero Pieri, precedentemente catturato dai nazisti, venne costretto ad osservare la tremenda scena. Riguardo un potenziale intervento da parte dei compagni dei partigiani tratti in arresto sono presenti due versioni che non necessariamente si escludono vicendevolmente, ma che possono con gradi differenti coesistere: i membri della XXIIIª Brigata “Pio Borri” sostengono che non intervennero a causa della rilevante presenza di forze tedesche all’interno del paese, mentre gli abitanti di Castel Focognano affermano che furono loro stessi a dissuadere i partigiani da un intervento per la paura di probabili ripercussioni nei loro confronti[5]. Il monumento venne inaugurato in occasione del ventisettesimo anniversario dell’accaduto, il 4 luglio 1971[6].

 

Cippo in ricordo dei quattro partigiani impiccati a Castel Focognano

 

Dopo aver visitato Castel Focognano ritorniamo sui nostri passi e da Rassina proseguiamo verso sud fino ad arrivare a Subbiano, il confine meridionale del Casentino, situato alle porte di Arezzo. Diversamente dagli altri comuni casentinesi a Subbiano durante la guerra di Liberazione non si verificarono stragi o altri fatti incresciosi. Dopo la liberazione di Arezzo (16 luglio 1944) il territorio venne interessato dall’arrivo del fronte e l’area compresa tra Subbiano e Capolona divenne terra di nessuno, contesa dalle fazioni rivali. Malgrado non si siano verificati eventi che abbiano segnato drammaticamente la memoria delle popolazioni locali a Subbiano è presente una lapide che testimonia l’ampio contributo che il comune ha fornito durante il secondo conflitto mondiale: si tratta di un enorme lapide suddivisa in due parti, quella posta più in alto ricorda i caduti della Grande Guerra, mentre quella sottostante riporta gli abitanti del comune caduti nel corso della seconda guerra mondiale. La sezione riguardante il conflitto conclusosi nel 1945 elenca 96 vittime suddivise in nove categorie diverse, riferenti alle modalità e alle tempistiche della loro morte. La lapide è situata all’incrocio tra via Verdi e via Martiri della Libertà, sulla facciata del municipio di Subbiano[7].

 

Lapide in onore delle vittime causate dalle guerre mondiali

 

A qualche minuto di distanza è poi possibile recarsi al locale cimitero, dove è presente una cappella dedicata ai caduti della Resistenza provenienti da Subbiano. Tra le quattordici lapidi all’interno della struttura sono state incluse quella di don Domenico Mencaroni, fucilato nei pressi di Anghiari nel 1944 e quella di Siro Rosseti, animatore della Resistenza nella provincia di Arezzo venuto a mancare nel 2004[8].

 

Cappella all’interno del cimitero di Subbiano dedicata ai partigiani caduti durante la guerra di Liberazione

 

Il nostro percorso si conclude ad Arezzo, al Monumento ai caduti della Resistenza, situato in piazza Poggio del Sole. L’imponente struttura, realizzata dallo scultore Bruno Giorgi, rappresenta la degna conclusione del nostro percorso grazie al suo forte impatto emotivo che ci ricorda la sofferenza e lo sforzo di coloro che combatterono e subirono l’occupazione nazifascista. Nella parte inferiore del monumento è riportata la frase di ringraziamento a coloro che sacrificarono la loro vita in nome della libertà, “il popolo della vallate aretine ai caduti della Resistenza”.

 

Monumento alla Resistenza

 

Note:

[1] https://www.pietredellamemoria.it/pietre/monumento-ai-17-partigiani-fucilati-il-17-4-44-al-cimitero-vecchio-di-stia/.

[2] F. Fusi, La 22° Brigata Garibaldi “Lanciotto” e la battaglia di Cetica (29 giugno 1944), https://www.toscananovecento.it/custom_type/la-22-brigata-lanciotto-e-la-battaglia-di-cetica-29-giugno-1944/.

[3] https://www.pietredellamemoria.it/search/keyword/Cetica/type/pietre/.

[4] https://www.pietredellamemoria.it/pietre/cippo-ad-arpelio-cresti-e-renato-ristori-marciano-di-bibbiena/.

[5] R. Sacconi, Partigiani in Casentino e Val di Chiana, Quaderni dell’Istituto Storico della Resistenza Toscana, ed. Nuova Italia, Firenze 1975, pp. 105-108.

[6] https://resistenzatoscana.org/monumenti/castel_focognano/monumento_a_ceccaroni_ed_altri/.

[7] https://www.pietredellamemoria.it/pietre/lapide-ai-caduti-di-subbiano-nella-seconda-guerra-mondiale/.

[8] https://resistenzatoscana.org/monumenti/subbiano/cappella_dei_caduti_partigiani/.

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nell’ottobre 2024.




Alla “scoperta” del Parco Memoriale della Torricella

Rivivere le emozioni, le paure e la tragedia di un conflitto diretto perpetuato per più di dieci giorni in una zona suggestiva e immersa nella natura. Questo è ciò che si propone di fare il Parco Memoriale della Linea Gotica, istituto nel 2003 grazie alla Provincia di Prato, alla Comunità Montana Val di Bisenzio, al Comune di Vernio e all’UNUCI di Prato, come luogo della memoria di una delle battaglie più cruente vissute dalla Val di Bisenzio, la battaglia della Torricella. L’obiettivo di questo museo aperto ed itinerante, oltre che il mantenimento vivido del ricordo, è la possibilità di dare al visitatore l’occasione di passeggiare tra i campi di battaglia, scorgendo i resti di trincee e postazioni tedesche immerse nel verde dei castagni, in una zona dal forte carattere suggestivo ed emozionale. Per raggiungerlo è possibile optare per due diverse tipologie di itinerari, una più impegnativa utilizzando “in prestito” due sentieri del CAI (Club Alpino Italiano) e un’opzione maggiormente tranquilla e meno impegnativa fisicamente.

Sentiero 1

  • Percorso: Piazza del Comune 20, San Quirico di Vernio, Prato (Mostra permanente della Linea Gotica) – Sentiero CAI 460 – Sentiero CAI 420Passo della TorricellaParco Memoriale della Torricella
  • Tempo di percorrenza: 2 ore
  • Distanza: 7,4 km
  • Dislivello: pianeggiante (+ 555 m – 145 m)

 

Il nostro percorso inizia dalla piazza del comune di San Quirico di Vernio. Qui, la domenica e su prenotazione, sarà possibile visitare la mostra permanente della Linea Gotica, organizzata dall’associazione Linea Gotica Alta Val Bisenzio A P S. La mostra racchiude tutta una serie di reperti inerenti alla battaglia della Torricella appartenenti ad entrambi gli schieramenti: dalle Deutsche Erkennungsmarken (piastrine tedesche) e U.S. Military Dog Tags (piastrine americane) agli elmetti fino a materiale medico di ogni genere e oggetti per la pulizia personale. Vi sono persino i pezzi del bombardiere statunitense B25, originariamente preposto al bombardamento di Cecina ma poi dirottato a causa della nebbia nella zona di Vernio per colpire la Direttissima che collega Firenze e Bologna per poi essere abbattuto dalla contraerea tedesca. Una piccola mostra quindi, ma che racchiude le immagini e gli oggetti di una delle battaglie più decisive della Val di Bisenzio. Una volta visitata il nostro consiglio è quello di proseguire in auto seguendo l’indicazione per Celle, imboccandosi poi a sinistra in una strada in salita per raggiugere la località di La Bandiera. Da qui sarà possibile proseguire a piedi immettendosi nel percorso CAI 460 [1], che percorre in quota tutto il crinale della Calvana. Prima ci troveremo di fronte alla fattoria del Cotone fino a raggiungere poi i ruderi della fattoria La Soda. Da qui sarà possibile ammirare un bellissimo panorama sulla Val di Bisenzio e ci potremmo inserire nel sentiero CAI 420 [2]. Giunti sul crinale si potranno notare i resti delle trincee della Linea Gotica. Mantenendosi sul sentiero CAI 420, alla fine del pianoro, dopo una breve discesa, si incontra il passo della Torricella, dove attraversiamo la strada asfaltata per arrivare fino al Poggio della Torricella, mèta principale dell’itinerario, e al Parco Memoriale omonimo, dove si trova il monumento a ricordo della battaglia.

 

Sentiero 2

  • Percorso: Montepiano – Sentiero CAI 420Passo della TorricellaParco Memoriale della Torricella
  • Tempo di percorrenza: 30 minuti
  • Distanza: 5,2 km
  • Dislivello: pianeggiante (+ 116 m – 126 m)

 

Il secondo percorso si presenta invece come un’alternativa facilitata e meno faticosa per il raggiungimento del Parco Memoriale. In questo caso consigliamo di partire da Montepiano imboccando la strada verso Barberino fino all’incrocio del sentiero CAI 420 (si trova circa 750 m prima dell’arrivo al Parco, in prossimità di un cartello che delinea la fine di Prato e l’inizio di Firenze), dove saremmo già ad un buon punto e vicini al Parco Memoriale.

 

 

Note

 

[1] Descrizione sentiero 460 CAI

https://www.caiprato.it/sentiero-460-cai-prato/

 

[2] Descrizione sentiero 420 CAI

https://www.caiprato.it/sentiero-420-cai-prato/

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

 

Articolo pubblicato nell’ottobre 2024.

 




Primavera/estate 1944: le vallate aretine grondano sangue

Dopo lo sfondamento di Montecassino degli Alleati, la ritirata delle truppe tedesche dalla Linea Gustav alla Linea Gotica si è portata dietro una lunga scia di sangue con una serie raccapricciante di eccidi, molto spesso pianificati da una strategia stragista.

La sensazione, che man mano diventava realtà, di non essere più un esercito invincibile, che il sogno di conquistare il mondo sarebbe rimasto tale, che la guerra si sarebbe persa, rese i nazisti, da Hitler all’ultimo soldato semplice, sempre più violenti e disumani. In più vi era quell’azione di guerriglia portata avanti dalle formazioni partigiane, atte a contrastare la loro ritirata, che logorava fino allo sfinimento il morale tra le file dei militari; militari già esasperati dalle condizioni di una guerra che per molti di loro si stava protraendo da quasi cinque anni, in giro per il mondo, lontano da casa e con la morte sempre ad un passo. E dall’alto del comando giungeva l’ordine di usare la mano pesante per debellare l’attività di coloro che venivano definiti “banditi”, ai quali, non essendo militari, non veniva riconosciuto nessun diritto delle leggi di guerra. Lo stesso Kesserling, comandate delle forze tedesche in Italia, era andato oltre auspicando un contegno durissimo ed intransigente anche verso i civili in quanto fiancheggiatori o possibili partigiani. Per lui il problema consisteva nel fatto che i partigiani non portassero la divisa per cui si poteva supporre che ogni civile fosse pronto a colpire facendo vivere i soldati tedeschi sotto continua minaccia. Il famoso “Befehl” del 17 giugno 1944, a sua ispirazione, redazione e firma che dice: “uccidete, e qualsiasi cosa vi accada vi difenderò, e se non vi scatenerete contro gli italiani vi punirò”, costrinse tutti i militari tedeschi a strafare.

E durante il passaggio del fronte di guerra nella provincia aretina il “Befehl” di Kesserling fu messo in pratica con una ferocia disumana che probabilmente andò anche oltre le intenzioni del comandante tedesco. Nessuna pietà né per donne, anziani e bambini, perfino un neonato di due settimane fu trucidato con una sventagliata di mitra. Nessuna pietà neanche per quella donna incinta che durante il tragitto della “marcia della morte” da Molin dei Falchi a San Polo stanca per il cammino si accasciò a terra e fu uccisa con il suo bimbo in grembo con un colpo alla pancia. Una follia rabbiosa che trovava nell’eccidio di esseri umani inermi la sua massima espressione e che a volte non aveva bisogno neanche di giustificazioni (se possono esistere giustificazioni) di ritorsioni per uccisioni nelle file tedesche. Si uccideva barbaramente per il solo gusto di uccidere, si uccideva solo perché gli italiani venivano considerati traditori: dal nonno al nipotino seppur innocenti ed estranei alla guerra per il solo fatto di essere italiani meritavano la morte…

Nel territorio aretino non avvennero grandi stragi per numero di vittime come a Marzabotto (oltre 800 vittime) o a Sant’Anna di Stazzema (560 vittime), ma si susseguirono una serie di eccidi, 42 per la precisione, sparsi per le colline e le campagne che nella primavera/estate del ‘44, in soli quattro mesi causarono quasi 1500 morti. Quel territorio costituiva l’ultimo baluardo per contrastare l’avanzata degli Alleati e dovevano resistere fintantoché non fosse ultimata la costruzione della Linea Gotica e quando le truppe tedesche lentamente si ritiravano facevano terra bruciata dietro a loro.

 

PERCHE’ LA MEMORIA NON SI CANCELLI

Nell’anno dell’ottantesimo Anniversario della Liberazione della provincia aretina, perché si tenga sempre alta l’attenzione e vivido il ricordo di ciò che è avvenuto, abbiamo individuato una sorta di “Sentiero Resistente” inteso come caduti per la Resistenza, dove narriamo e ripercorriamo alcune stragi meno note compiute nell’aretino. Nel corso di questo percorso andremo a visitare i vari monumenti dedicati alle vittime di quelle violenze compiute dai nazifascisti nell’estate del ‘44.

L’itinerario è lungo complessivamente 39 km, percorribili in automobile in circa un’ora, in bicicletta in due ore, oppure per i più “coraggiosi” amanti del trekking è possibile effettuarlo a piedi impiegando circa 8 ore di cammino.

 

Mappa del percorso

 

Le Tappe: Monumento ai caduti dell’eccidio di Badicroce – Monumento ai caduti dell’eccidio dell’Intoppo-Palazzo del Pero – Monumento ai caduti di Staggiano – Carcere di Arezzo – Cippo ai caduti dell’eccidio del Mulinaccio – Monumento ai caduti di San Leo – Monumento in memoria dell’eccidio di San Polo – Murales della Chiassa Superiore.

 

1° tappa: Monumento ai caduti dell’eccidio di Badicroce

Il nostro percorso inizia con la visita al monumento in ricordo delle 17 vittime civili trucidate dai tedeschi nella fattoria di Badicroce e nei suoi dintorni. Il monumento si trova in uno spiazzo al lato della strada provinciale che unisce Gambaronica a Palazzo del Pero.

Dalla metà di giugno questa era un’area di passaggio delle truppe tedesche che facevano la spola tra il fronte e il presidio di Arezzo. Una sera un ufficiale dopo essersi fermato a cenare alla fattoria aveva sparato in aria un colpo di pistola ottenendo come risposta una raffica di mitra in lontananza, segno inequivocabile che nella zona ci fossero uomini armati. Questo fu sufficiente a sospettare che il proprietario della fattoria, il dottor Alberto Lisi, fosse coinvolto con la Resistenza e a considerare la zona un ricettacolo di partigiani protetti dalla popolazione civile, cosicché nei giorni seguenti la morte di un soldato fece scattare subito la rappresaglia in quel luogo. Iniziarono mettendo a fuoco le case di contadini e boscaioli all’interno della tenuta eccetto la colonica detta “Aia vecchia”, che fu occupata dai tedeschi diventando la loro base logistica per i crimini dei giorni a seguire. Le stalle della casa furono adibite a centro di raccolta e detenzione, ma anche luogo di interrogatori e torture (e non mancarono in quelle stanze anche stupri per le malcapitate donne), per tutti gli abitanti e gli sfollati che furono presi in ostaggio durante le azioni di rastrellamento.

Il 3 luglio cominciava l’emorragia di civili: le prime vittime furono tre uomini arrestati a Palazzo del Pero e condotti a Badicroce per essere giustiziati e fino al 10 luglio caddero sotto i colpi nazisti diciassette persone (sei anziani, sette adulti, due donne e due bambini). Una delle donne era Olga Badini, giovane sposa sfollata ad Arezzo, la cui colpa fu solo quella di impedire, opponendosi energicamente, a due soldati tedeschi di usare violenza su alcune ragazze. I due inizialmente desistettero ma dopo alcune ore tornarono nella stalla dove erano reclusi gli sfollati, presero la Badini e la condussero fuori. Il suo cadavere fu trovato insieme ad altre vittime il giorno dopo la liberazione nel bosco con incredibili segni di violenza e con un fazzoletto alla gola, causa probabile di morte per asfissia[1].

L’opera in ricordo dell’eccidio è stata realizzata dagli studenti di terza dell’Istituto d’Arte “Piero della Francesca” di Arezzo, ed è stata inaugurata il 26 marzo 2011. La scultura rappresenta una donna che cerca di rialzare il corpo di un uomo, con accanto anche quello giacente di una ragazza. Sul basamento sono poste due targhe in metallo, una, quella a destra, in cui sono incisi i nomi dei caduti, l’altra, quella a sinistra, ha invece inciso il simbolo della Repubblica italiana, la dedica alle vittime e gli autori dell’opera.

 

Monumento eccidio Badicroce, a Pian di Usciano.

 

2° tappa: Monumento ai caduti dell’eccidio dell’Intoppo-Palazzo del Pero

Badicroce – Palazzo del Pero 3,4 km (4 minuti in auto, 46 minuti a piedi).

Proseguendo in direzione nord si oltrepassa l’abitato di Palazzo del Pero, in direzione Molin Nuovo e si arriva, dopo circa tre chilometri e mezzo, al monumento ai caduti dell’eccidio di Palazzo del Pero, posto in un ampio spazio nella parallela della strada statale 73.

In uno scontro a fuoco il 23 giugno, nelle vicinanze della fattoria Bianchini a Palazzo del Pero, fu ucciso un soldato della Wehrmacht. Immediata fu la reazione dei tedeschi che arrestarono il proprietario Domenico Bianchini insieme al figlio ed al nipote. Il mattino seguente furono rilasciati, ma un reparto tedesco, probabilmente appartenente alla polizia militare, tornò alla fattoria, catturò i contadini che stavano tranquillamente mietendo il grano e dettero fuoco ai loro poderi. Dal modo di comportarsi dei soldati si comprese fin da subito la gravità della situazione e che la loro azione di rappresaglia sarebbe stata molto dura e luttuosa. Infatti nove contadini vennero prelevati e portati nei pressi di una chiesa in località il Muraglione per essere giustiziati. A niente valsero le grida disperate dei parenti e le loro invocazioni di pietà per i propri cari cercando soprattutto di mettere in rilievo la loro innocenza. Il comandante del reparto fece rispondere all’interprete: “anch’io sono convinto della loro innocenza, come pure sono convinto che noi abbiamo perduto la guerra, però dobbiamo farli fucilare egualmente[2]. Quegli uomini vennero fatti allineare lungo la strada ed al comando uccisi con scariche di mitra.  La decima vittima, Giulio Bacci, fu sorpresa mentre tentava la fuga sulla via fra Maiano e Le Lastre. Sarà la madre il giorno dopo a ritrovare il corpo straziato del figlio sul ciglio della strada.

Due manufatti sono stati posti in tempi diversi in memoria della fucilazione di 10 uomini, tra civili e partigiani, avvenuta in questo luogo il 24 giugno del ‘44 per mano dei soldati tedeschi. Il primo, collocato a breve distanza dall’accaduto, è un cippo di pietra con incassata una lapide di marmo sulla quale sono riportati i nomi dei dieci caduti. L’altro monumento invece, posto nel cinquantesimo anniversario dall’eccidio, è costituito da un masso di pietra in cui è incastonato un bassorilievo che raffigura una Pietà in bronzo.

 

Monumento ai caduti dell’eccidio dell’Intoppo.

 

3° tappa: Monumento ai caduti di Staggiano

Palazzo del Pero – Staggiano 9,5 km (12 minuti in auto, un’ora e mezzo circa a piedi).

Dal monumento dell’eccidio di Palazzo del Pero torniamo indietro per pochi metri sulla strada provinciale e svoltiamo a destra prendendo la strada statale 73, per poi uscire dalla strada principale all’altezza del bivio con indicazione “Poti”; infine proseguiamo fino a Staggiano, una piccola frazione del comune di Arezzo, vittima di un altro eccidio nazista nel luglio del ’44.

Lungo la strada di fronte alla chiesa delle Sante Flora e Lucilla, in via Santa Fiora, si trova il monumento ai caduti di Staggiano, due lapidi di marmo nelle quali sono incisi i nomi dei caduti della prima e della seconda guerra mondiale.

L’11 luglio una pattuglia di soldati tedeschi giunse alla casa colonica Torri, situata in collina sopra il paese di Staggiano, in cui abitava la famiglia Carboni che aveva ospitato alcuni sfollati. Quel giorno era presente in casa anche un giovane capitato lì per caso che possedeva una pistola. Alla vista dei tedeschi egli si allontanò precipitosamente nascondendo l’arma sotto un covone di grano. Quel gesto non passò inosservato: il giovane fu catturato e la sua arma ritrovata. Ma nelle vicinanze vi era una compagnia della formazione “Pio Borri” guidata da Siro Rossetti, che si era attestata su Poggio Tondo, sopra Staggiano per prepararsi alla calata sulla città di Arezzo. I partigiani intervenuti prontamente per risolvere la questione riuscirono ad avere la meglio respingendo la pattuglia tedesca anche se nello scontro a fuoco persero la vita due suoi uomini. Inevitabilmente la ritorsione non tardò ad arrivare e dopo qualche ora i tedeschi ritornarono incendiando la fattoria, considerata una base dei partigiani, sterminarono il bestiame e fermarono sei uomini: i fratelli Angelo e Ferdinando Carboni, intenti a pascolare il gregge; Manlio, Alfonso e Alberto Mazzi, che si trovavano in casa ed il giovane Piero Poretti, il proprietario della rivoltella. Tutti quanti furono portati a villa Sacchetti, sede del comando tedesco, e qui barbaramente uccisi.  I loro corpi vennero rinvenuti quattro giorni dopo, il 16 luglio, giorno della liberazione di Arezzo, in una buca a Santa Fiora: “I corpi da quanto si poté constatare erano stati calcati a forza nella buca. In tasca a ciascuno era stata messa una quantità di esplosivo e si poté anche constatare che per rendere più tremenda la morte erano state sparate addosso a loro alcune fucilate con cartucce di pallini[3].

 

Monumento ai caduti di Staggiano

Nomi dei sei uomini caduti a Staggiano durante la Resistenza.

 

 

 

 

 

 

 

 

4° tappa: Carcere di Arezzo

Staggiano- Arezzo carcere 5,5 km (10 minuti in auto, un’ora circa a piedi).

Da Staggiano proseguiamo in direzione nord-ovest verso Arezzo, prendendo via Anconetana fino a giungere nella zona del centro storico della città.

In via Garibaldi, distante dieci minuti dalla cattedrale dei Santi Pietro e Donato, troviamo la casa circondariale di Arezzo, dove il 15 giugno del ’44 vennero barbaramente trucidati, da componenti della Guardia Nazionale della Repubblica di Salò, Santino Tani (anima della Resistenza aretina), suo fratello don Giuseppe Tani e Aroldo Rossi, catturati il precedente 30 maggio nei pressi di Montauto (Anghiari)[4].

La cella dove i tre partigiani vennero sottoposti ad inaudite violenze e poi massacrati con decine di proiettili è oggi monumento nazionale. Nella lapide posta accanto alla cella sono raffigurati i loro volti, ritratti nei tre ovali apposti sulla sommità della lapide, che recita: “In odio alla libertà, qui furono imprigionati, straziati, uccisi Santino Tani, don Giuseppe Tani, Aroldo Rossi. La libertà risorta ne addita la fede e il sacrificio agli italiani”.

 

Targa posta accanto alla cella nel carcere di Arezzo dove vennero trucidati i tre partigiani.

 

5° tappa: Cippo ai caduti dell’eccidio del Mulinaccio

Arezzo carcere – Mulinaccio 2,3 km (6 minuti in auto, mezz’ora a piedi).

Si continua percorrendo via Giuseppe Garibaldi in direzione sud, per poi svoltare a destra all’altezza dell’incrocio con via San Lorentino e continuare per più di un chilometro fino ad arrivare al bivio con via Antonio Stoppani, svoltiamo a destra e proseguiamo fino a via Camillo Golgi, dove è visibile, prendendo una rampa pedonale, segnalata da un apposito cartello, che scende verso il torrente Castro, il cippo ai caduti dell’eccidio del Mulinaccio.

Il monumento inaugurato nel dopoguerra è stato restaurato, grazie ai parenti delle vittime, nel 2008.

La strage del Mulinaccio venne compiuta il 6 luglio del 1944, a dieci giorni dalla liberazione di Arezzo. Quindici uomini che stavano lavorando nei campi, residenti presso il podere il Mulinaccio, vennero presi dai tedeschi. Nonostante i giorni precedenti avessero intrapreso rapporti amichevoli con loro, i soldati quel 6 luglio li divisero dalle loro mogli e madri e li fecero camminare lungo il sentiero che porta verso il torrente Castro. Qui, poco oltre il guado, vennero uccisi a colpi di mitraglia e gettati in una fossa. Il giorno successivo gli stessi soldati ritornarono al podere intimando alle donne la partenza dalle case coloniche e comunicando loro la morte dei familiari, dicendo ripetutamente “Partisanen kaputt!”.  Le donne, non conoscendo la lingua, non capirono, e soltanto una settimana dopo si resero conto del crimine che era stato consumato scoprendo la fossa dei cadaveri.

Ancora oggi non si riesce a capire le motivazioni dietro a quella strage: la memoria locale suggerisce la motivazione della rappresaglia, ma per il partigiano e scrittore Enzo Droandi si tratta invece di “violenza ingiustificata” e non si esclude la possibilità che si possa parlare di “terra bruciata”: “i tedeschi erano esasperati e catturavano chiunque, vedendo partigiani un po’ ovunque e nelle donne vedevano delle informatrici ribelli[5].

 

Cippo ai caduti dell’eccidio del Mulinaccio.

 

6° tappa: Monumento ai caduti di San Leo

Mulinaccio- San Leo 2 km (cinque minuti in auto, venti minuti a piedi).

Procediamo in direzione est percorrendo via Fiorentina poi via San Leo e giunti all’angolo con via Gaetano Donizzetti scorgiamo in un’area verde al lato della strada il monumento ai caduti di San Leo.

Il 6 giugno 1944 in località San Leo la gendarmeria tedesca catturò tre giovani che riteneva partigiani e li passò immediatamente per le armi. Questi ragazzi, secondo il racconto del parroco di San Leo, don Guido Terziani, che li conosceva di persona, erano stati mobilitati contro la loro volontà dai repubblichini ed aggregati – come tanti altri giovani – all’esercito tedesco[6]. Successivamente decisero di disertare e andare in montagna con i partigiani, ma vennero catturati dai fascisti e consegnati ai tedeschi. Condannati alla fucilazione per diserzione furono condotti lungo il canale della Chiana (nei pressi della Chiusa dei Monaci), in una piccola valle: uno alla volta furono legati ad un palo, bendati e fucilati al petto.

Le vittime: Aldo Esalti di Rovigo, Bruno Greggio di Villadosa, Luigi Guerra di Bosco di Rubano, tutti ventenni, furono sepolti nel cimitero di San Leo. Sopra la tomba vennero poste tre croci di legno con i loro nomi incisi.

Nella lapide commemorativa figurano i nomi di altri tre giovani anche loro disertori che furono fucilati presso il ponte della Chiassa.

Il monumento ai caduti è composto da tre grandi stele rettangolari di pietra che poggiano su un comune basamento in muratura. Nella prima stele, dedicata ai sei disertori italiani fucilati dai tedeschi il 6 giugno ’44, vi è raffigurato un angelo che depone dei fiori in un prato costeggiato da dei cipressi e un’epigrafe che riporta i nomi dei fucilati. Le altre due stele invece sono dedicate, quella centrale, ai caduti della Grande guerra e, la terza, ai caduti della seconda guerra mondiale.

 

Monumento ai caduti di San Leo.

Stele in memoria dei sei disertori italiani fucilati dai tedeschi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

7° tappa: Monumento in memoria dell’eccidio di San Polo

San Leo – San Polo 8 km e mezzo (12 minuti in auto, un’ora e cinquanta circa a piedi).

Dal monumento a San Leo prendiamo a ritroso via Fiorentina fino ad arrivare all’incrocio con viale Giovanni Amendola, dove svoltiamo a sinistra e proseguiamo in direzione nord-est percorrendo viale Filippo Turati. Giunti all’incrocio con via Buonconte da Montefeltro proseguiamo fino al bivio con via Fontebranda che percorriamo fino ad arrivare a San Polo.

La strage di San Polo  avvenne il 14 luglio del  ’44, due giorni prima della liberazione di Arezzo, e conta complessivamente 63 vittime. Fu un eccidio che si consumò a più riprese in diversi luoghi della stessa zona ed ebbe l’epilogo finale a San Polo presso villa Gigliosi. Rimane impressa nella Storia la terribile, raccapricciante violenza con cui si perpetrò questa strage ad opera dei nazisti che non risparmiarono neanche un neonato di due settimane.

 

Monumento in memoria della strage di San Polo.

 

8° tappa: Murales della Chiassa Superiore

San Polo – Chiassa Superiore 7,3 km (9 minuti in auto, un’ora e quaranta a piedi).

Da San Polo ci rechiamo ad Antria e intraprendiamo lo Stradone di Ca’ de Cio per svoltare successivamente all’altezza dell’incrocio della strada della Catona, che percorriamo fino ad arrivare al Murales della Chiassa, posto nel parco vicino al campo sportivo in ricordo dei due partigiani Giovan Battista Mineo e Giuseppe Rosadi, eroi della Chiassa che riuscirono ad evitare l’ennesima strage perpetrata dai tedeschi[7].

Una strage mancata:

Il 26 giugno del ’44 un colonnello tedesco, Maximilian Von Gablenz insieme al suo aiutante, vennero rapiti per la strada della Libbia da una banda partigiana autonoma capitanata da “il Russo” (erano partigiani slavi scappati dal campo di Renicci). Come rappresaglia il comando tedesco organizzò un rastrellamento di 500 civili (scesi poi a 209) che vennero rinchiusi nella chiesa della Chiassa, dando un ultimatum di 48 ore affinché fosse liberato l’ufficiale tedesco pena la fucilazione dei cittadini.

Il comando partigiano guidato da Siro Rossetti incaricò il partigiano siciliano Giovan Battista Mineo di farsi concedere una proroga di 24 ore e di riuscire a scoprire dove la banda partigiana teneva nascosto il colonello. Ottenuta la proroga, Mineo partì immediatamente alla ricerca dei partigiani che tenevano in ostaggio l’ufficiale tedesco riuscendo a trovarli nei pressi di Montercole, ad Anghiari, e dopo una lunga trattativa convinse “il Russo” a liberare il colonnello. Mineo con Giuseppe Rosadi e Bruno Zanghi, appartenenti alla banda del Russo, si misero in marcia verso la Chiassa portandosi appresso i due tedeschi. Dopo molte peripezie, quando ormai sembrava impossibile arrivare in tempo, i partigiani si fecero scrivere una lettera dal colonnello dove dichiarava che era stato liberato e presto sarebbe giunto presso il reparto tedesco. Mineo si mise subito in viaggio correndo verso la Chiassa e arrivò proprio mentre i primi ostaggi venivano portati fuori per la fucilazione. La lettera di Von Gablenz fermò così la strage e poco dopo arrivarono i partigiani con i due tedeschi.

 

Murales dedicato a Gianni Mineo e Giuseppe Rosadi.

 

Pieve di Santa Maria alla Chiassa. Qui possiamo trovare sulla sinistra della chiesa un’abitazione (si vede nella foto) con un’iscrizione che ricorda l’eroico gesto.

 

Ma in questo luogo, pochi giorni prima dalla strage mancata della Chiassa, il 23 giugno, i tedeschi avevano già giustiziato sei persone in segno di rappresaglia per l’uccisione di tre soldati tedeschi.

 

Lapide ai caduti dell’eccidio de “La Casina”, si trova affissa sulla parete esterna della villetta “La Casina”, un’abitazione privata ubicata sulle colline sovrastanti la Chiassa Superiore, dove si consumò la strage.

 

 

Questo fu il pegno da pagare per la popolazione della provincia aretina durante la ritirata delle truppe tedesche. Un sacrificio di vite umane per la Resistenza che sembrava interminabile: vittime di una violenza inaudita che non risparmiava niente e nessuno. Su su, paese per paese, borgo per borgo, porta per porta la furia barbarica nazista passava e livellava come una falce. In ogni luogo come belve feroci e affamate i tedeschi arrivavano balzando con i loro lanciafiamme, con i loro capestri, con i loro strumenti di sterminio, pronti ad impiccare, a fucilare, a torturare, ad incendiare, a massacrare, lasciando dietro di loro una lunga scia di sangue, di cenere e macerie.

 

NOTE:

[1] Gianluca Fulvetti, Uccidere i civili. Le stragi naziste in Toscana (1943-1945), Carocci, Roma 2009, p. 134.

[2]Citato in Antonio Curina, Fuochi sui monti dell’Appennino toscano, Tip. Badiali, Arezzo 1957. p. 486.

[3]Ivi, p. 505.

[4]La vicenda dell’uccisione dei fratelli Tani e Aroldo Rossi è stata ricostruita nelle pagine di “Una lira per tre vite” il libro scritto da Enzo Gradassi e Santino Gallorini.

[5]G. Fulvetti, Uccidere i civili, cit., p. 133.

[6]A. Curina, Fuochi sui monti dell’Appennino Toscano, cit., pp. 482-483.

[7]Sull’eroica vicenda della Chiassa Superiore cfr. il libro di Martinelli Renzo, I giorni della Chiassa, Arti grafiche Cianferoni, Firenze 1946 ed il libro di Santino Gallorini, Vite in cambio: Gianni Mineo, il partigiano infiltrato, che salvò dalla strage la popolazione della Chiassa, Effigi, Arcidosso 2014.

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel mese di ottobre 2024.

 




Camminare ricordando a Castiglion Fiorentino (Ar)

Sentieri resistenti nel Castiglionese (Ar)


Gita di un giorno

A piedi 15,4 km, 3,40 h.

Castiglion Fiorentino sorge su un colle a 342 m s.l.m., 17 km a sud-est di Arezzo. Delimitata a est dai Preappennini, l’area comunale si estende in parte sulla Valdichiana e sulle alture ad essa prospicienti. Il territorio confina con i comuni di Arezzo a nord, Cortona a est e a sud, Foiano della Chiana a sud-ovest e Marciano della Chiana a ovest.

Durante la Resistenza, fu dunque luogo per un importante transito da e verso gli Appennini, fatto questo che portò Castiglion Fiorentino a subire danni materiali e umani notevoli. Il passaggio del fronte fu causa di devastazioni, sia al centro storico che a buona parte del territorio comunale, colpito da bombardamenti che provocarono centinaia di morti, anche tra i civili. Particolarmente grave fu il bombardamento alleato cui Castiglion Fiorentino fu sottoposta il 19 dicembre 1943, che causò la morte di 71 civili, in buona parte donne e bambini. Per quell’episodio, il 26 gennaio 2004 Castiglion Fiorentino è stata decorata con la Medaglia d’argento al merito civile [1].

Ottanta anni fa, inoltre, il 4 luglio 1944, quattro giovani persero la vita alla Nave, zona “Tre Acque-Ceppeto”: Giovanni Milighetti, 24 anni, Vera Buracchi, 18 anni, Zita Moretti, 17 anni e Walter Milighetti,11 anni, furono dilaniati da una mina lasciata dai tedeschi nella campagna castiglionese per assicurarsi la fuga. Il minamento dei territori, delle vie di comunicazione, ma anche di accessi a chiese o altri edifici è una tendenza diffusa nei comportamenti delle truppe naziste in ritirata, non solo per motivi militari ma anche per attuare una volontà di vendetta nei confronti di una popolazione spesso giudicata come ostile nei loro confronti. La presenza delle mine con i loro tragici effetti è uno degli aspetti che evidenzia maggiormente la “lunga durata” del conflitto al di là della data effettiva di conclusione dei combattimenti.

In quello stesso giorno alcuni residenti di Manciano, sotto la minaccia dei mitra tedeschi, vennero costretti a minare la chiesa del paese. Un tonfo sordo e la vita della piccola frazione cambiò all’istante. Eventi tragici che colpirono profondamente un’intera comunità e che segnarono, comunque, l’inizio della libertà [2]. La comunità di Castiglion Fioretino fu infatti liberata proprio quel giorno dagli Alleati.

 

Castiglion Fiorentino, 80 anni fa la liberazione grazie agli Alleati, in Arezzo Notizie, 4 luglio 2024, https://www.arezzonotizie.it/attualita/castiglion-fiorentino-liberazione-alleati.html

Ripercorrendo in breve i mesi antecedenti la Liberazione, questi appaiono piuttosto concitati. Per tale motivo, dunque, le notizie non sono sempre chiare e facili da ricostruire.

Riguardo alla situazione del movimento di Resistenza a occidente del Tevere, la Guardia Nazionale Repubblicana (forza armata istituita dalla Repubblica Sociale Italiana l’8 dicembre 1943 con compiti di polizia interna e militare) aveva informazioni assai confuse sulle bande attive nel territorio. Una di queste era comandata dal conte Ferretti di Ortona. Secondo i fascisti, vi era un’altra formazione partigiana tra Palazzo del Pero e Castiglion Fiorentino, della quale però non si conosceva la consistenza. A confondere le idee al nemico era la stessa tattica messa in atto dai partigiani.

L’incapacità del regime di avere un’idea precisa di quanto stava avvenendo sulle montagne, ne sottolineava le difficoltà politiche e militari. In realtà, tra le valli del Cerfone, dell’Aggia, del Nestoro, del Minima e del Niccone, gli affluenti di destra del Tevere, operavano le bande della “Pio Borri” di Morra, Monte Santa Maria, Badia Petroia e Cortona, oltre al Centro “Poti” e ai partigiani dell’Aretino che facevano capo a Marzana. La loro forza complessiva era assai inferiore a quella stimata dai fascisti e il loro comando strategico gravitava su Arezzo. Con la fucilazione di Venanzio Gabriotti era stata eliminata l’unica persona che, nella valle, poteva garantire un qualche coordinamento con le forze partigiane a oriente del Tevere, soprattutto con la Brigata “San Faustino”.

Le bande partigiane non trovarono grandi ostacoli nelle loro azioni: dal 27 maggio al 27 giugno se ne verificarono una cinquantina di carattere militare. A giugno, le tre formazioni di Morra, Monte Santa Maria Tiberina e Badia Petroia effettuarono incursioni quasi quotidiane. Per quanto si debbano in genere considerare con cautela i dati segnalati sulle perdite inflitte al nemico, quando mancano i dati della parte avversa, fonti della Resistenza hanno valutato in più di 20 i tedeschi uccisi nel corso di tali attacchi e in 23 quelli catturati. Per quanto riguarda i prigionieri, solitamente internati nel campo di concentramento di Marzana, il numero non appare esagerato, infatti, quando venne sgomberato, all’inizio di luglio, i partigiani ne condussero 53 oltre le linee, per consegnarli agli Alleati.

Tedeschi e fascisti avevano ormai la consapevolezza di correre seri pericoli nel percorrere le arterie che risalivano gli affluenti di destra del Tevere. L’aggressività partigiana fu particolarmente intensa a ridosso della strada che, dall’Alta Valle del Tevere, attraverso San Leo Bastia, si inerpica verso Cortona e il Valdarno. Lì le formazioni cortonesi della “Pio Borri” sferrarono dall’8 al 26 giugno una ventina di attacchi. Anche gli altotiberini giunsero talvolta a supporto dei partigiani di Cortona e di Castiglion Fiorentino. Non si trattò solo di una fastidiosa attività di sabotaggi e di disturbi al traffico. A giugno, gli agguati agli automezzi in transito sulla strada provinciale da Cortona a Città di Castello, costarono ai tedeschi 13 morti, 5 feriti, 9 prigionieri.

Ombre sull’operato della Resistenza le gettò il comportamento di una banda alla macchia sul tratto appenninico tra Cortona e Città di Castello, che “viveva di violenze e di rapine”, e di alcuni esponenti della banda di Badia Petroia. A quattro di questi non sarebbe infatti stata riconosciuta la qualifica di partigiano combattente, per “indegnità”: li si accusò di “furto commesso durante l’azione partigiana”.

Il territorio castiglionese, dunque, venne messo a dura prova, fino alla Liberazione avvenuta il 4 luglio 1944.

Prima di passare alla descrizione del percorso resistente del Comune di Castiglion Fiorentino, voglio qui citare “Il sentiero dei papaveri”, inaugurato nel 2021 [3] e composto da 18 monumenti e cippi commemorativi della Prima e Seconda guerra mondiale, dislocati nel centro storico e nel territorio. L’itinerario, lungo circa 50 chilometri, comincia da palazzo San Michele e termina al monumento dedicato ai caduti, situato ai giardini pubblici.

Il percorso resistente che intendo proporre toccherà, invece, i cinque luoghi dove vennero uccisi dai nazifascisti alcuni civili inermi. Il tratto, percorribile a piedi o in bicicletta è lungo 15,5 km e dura circa 3 ore e mezzo (a piedi). Ogni tappa potrà però costituire una meta a sé, raggiungibile singolarmente.

 

Prima tappa:

Ponte delle Fontanelle, presso località La Foce

Coordinate: 43°21’46.5″N 11°57’01.5″E

Lungo la strada che da Castiglion Fiorentino sale al Passo della Foce, si trova un monumento in ceramica smaltata dedicato alla donna belga Gabriella De Rosée in Brogi, allora trentunenne, che il 7 luglio 1944 cadde sotto il fuoco dei tedeschi nel tentativo di mediazione per liberare alcuni ostaggi di guerra. La donna era staffetta partigiana. Non si hanno altre notizie dell’accaduto [4].

Targa intitolata a Gabriella de Rosée Brogi Bruxelles, 1913 – Castiglion Fiorentino, 1944 Loc. Foce (S.P. Palazzo del Pero) – Castiglion Fiorentino, AR

 

2 tappa:

Mammi

La seconda tappa porterà alla località di Mammi, territorio, quale quello di Castiglion Fiorentino, importante via di transito, segnato dalla vicinanza del fronte e dalla sua importanza strategica e con una presenza partigiana costante, l’8 luglio 1944 venne qui ucciso da raffiche di mitra, insieme ad un militare inglese, Aurelio Casi, cinquantaduenne. Non si capisce tuttavia se il militare facesse parte delle avanguardie alleate avanzate o se fosse un prigioniero di guerra fuggito [5].

Coordinate del cippo: 43°21’24.4″N 11°55’53.4″E

Terza tappa:

Fornaci

Qui tra il 28 giugno 1944 e il 2 luglio 1944, nell’area di Castiglion Fiorentino, tra la Toscana e l’Umbria, le azioni partigiane si erano intensificate. A seguito di una serie di attacchi partigiani condotti in zona il 28 giugno a San Egidio (Perugia), uomini furono catturati sulla strada che va da Cortona (Arezzo) a Portole (frazione di Cortona)[6]. Furono portati in località Pianelli alla Villa Bertocci, dove vennero interrogati e rinchiusi in una lavanderia per un giorno e una notte. La maggior parte di loro venne poi rilasciata, ma tre delle persone coinvolte furono portate a Pergo di Cortona (Arezzo) alla Villa Passerini, dove aveva la base il comando tedesco. Furono condannate a morte e mandate alla Feldgendarmerie di stanza a Castiglion Fibocchi. Le vittime sono Antonio Bartolini, manovale di Cortona, Luigi Gnerucci, operaio cortonese con quattro figli, nato nel 1902 e Luigi Guerri, anch’egli cortonese, elettricista, nato nel 1914. Il giorno della loro esecuzione non è certo, ma probabilmente avvenne tra il 1 e 2 luglio. I loro corpi furono trovati successivamente in una fossa durante gli ultimi giorni di agosto. Non si conosce il motivo per cui erano stati condannati a morte. Non è da escludere la rappresaglia, secondo alcune fonti, avvenuta a seguito di un ulteriore attacco partigiano. Forse i tre furono fucilati in località Senaia. Nella stessa zona e nello stesso anno, altri due partigiani aretini, Sabatino Capacci e Giulio Rossi, entrambi ventenni, catturati a Favalto, vennero fucilati i primi di luglio nel letto di un ruscello nella zona della Noceta, dove forse sono stati sepolti [7].

Lapide del Municipio di Cortona https://resistenzatoscana.org/monumenti/cortona/lapide_del_municipio/

 

Cerimonia in memoria dei partigiani aretini [8] Il nuovo monumento si trova qui: 43°21’08.8″N 11°56’22.2″E

 

4 tappa:

Cimitero comunale della Misericordia di Castiglion Fiorentino

Ad un mese dalla liberazione da parte degli Alleati dell’Aretino, le forze partigiane rendevano dura la vita alle truppe tedesche dislocate nel territorio castiglionese, che aveva subito già gravi bombardamenti con stragi di civili. Il 18 giugno 1944, infatti, Espartero Bartolomei, quarantaseienne originario di Foligno, venne ucciso da colpi di arma da fuoco sparati da alcuni soldati tedeschi mentre era nell’aia della casa dove era sfollato, presso Cozzano [9]. L’altra vittima, Luigi Galoppi, quarantaseienne castiglionese, morì nelle stesse circostanze. Tutt’oggi non si conosce il motivo di queste due uccisioni.

La lapide in loro ricordo è posta nel Cimitero comunale di Castiglion Fiorentino, meta del percorso memorialistico.

6579 – Lapidi ai Caduti delle guerre mondiali – Cimitero comunale di Castiglion Fiorentino All’interno del Cimitero lapidi con nomi e date in onore dei Caduti di tutte le guerre [10].

 

5 tappa:

La quinta ed ultima tappa riguarda il cippo in via Dante Brocchi, a Castiglion Fiorentino.

Il 29 giugno 1944, Dante Brocchi di 52 anni venne ucciso da una raffica di mitra, ufficialmente per rappresaglia. Pare però che il luogo dell’uccisione fosse nei pressi della piccola frazione di Santa Cristina [11].

 

Coordinate 43.333310269695275, 11.92133425067086

 

Note:

  1. Enzo Droandi, Castiglion Fiorentino 19 dicembre 1943 – ore 13,24, Quaderni della biblioteca, Comune di Castiglion Fiorentino, Castiglion Fiorentino, 1993.

Il 19 dicembre 1943, alle ore 13,24 Castiglion Fiorentino subisce il primo bombardamento da parte delle forze aeree alleate. Le bombe vengono dirette contro il Collegio Serristori e l’Ospedale. La zona di Porta Romana viene pressoché distrutta. In tutto muoiono una settantina di persone, di cui 16 erano bambine e personale del Collegio Serristori.

Sui bombardamenti e i fatti legati al passaggio del fronte, vedi anche Carmelo Serafini (a cura di), Per non dimenticare. Castiglion Fiorentino 1943-45 nei diari del M. Gino Grifoni e di D. Angelo Nunziati, Comune di Castiglion Fiorentino. Ente Biblioteca. Quaderni della Biblioteca n. 2, Ed. Grafica l’Etruria Cortona, Arezzo.

  1. Castiglion Fiorentino, 80 anni fa la liberazione grazie agli Alleati, in Arezzo Notizie, 4 luglio 2024, https://www.arezzonotizie.it/attualita/castiglion-fiorentino-liberazione-alleati.html
  2. Camminando, in Experience Castiglion Fiorentino, https://www.experiencecastiglionfiorentino.it/Experience/Storie/Castiglion-Fiorentino_645/sentiero_memoria; cfr. Presentato il progetto “Il Sentiero dei Papaveri Rossi”, Comune di Castiglion Fiorentino, 24 aprile 2021, https://comune.castiglionfiorentino.ar.it/notizie/410117/presentato-progetto-sentiero-papaveri-rossi
  3. Gabriella de Rosée Brogi, in Chi era costui? https://www.chieracostui.com/costui/docs/search/schedaoltre.asp?ID=9124
  4. Mammi, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3271
  5. Fornaci, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3226
  6. [1]L’eccidio dimenticato, dopo 76 anni il Comune commemora i giovani morti di Senaia, in SR71, 1 Luglio 2020, https://www.sr71.it/2020/07/01/liberazione-senaia-castiglion-fiorentino/
  7. Cerimonia in memoria dei partigiani aretini, in it, https://www.quinewsvaldichiana.it/partigiani-guerra-memoria-seconda-guerra-mondiale-tedeschi-nazismo-castiglion-fiorentino.htm
  8. Cozzano, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3198
  9. 6579 – Lapidi ai Caduti delle guerre mondiali, Castiglion Fiorentino, Pietro della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/lapidi-ai-caduti-delle-guerre-mondiali-e-per-lunita-ditalia-castiglion-fiorentino/
  10. Santa Cristina, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3515

 

Bibliografia e sitografia:

Enzo Droandi, Castiglion Fiorentino 19 dicembre 1943 – ore 13,24, Quaderni della biblioteca, Comune di Castiglion Fiorentino, Castiglion Fiorentino, 1993.

Pietro Pancrazi, La piccola patria: cronache della guerra in un comune toscano, giugno-luglio 1944, F. Le Monnier, 1946.

Carmelo Serafini (a cura di), Per non dimenticare. Castiglion Fiorentino 1943-45 nei diari del M. Gino Grifoni e di D. Angelo Nunziati, Comune di Castiglion Fiorentino. Ente Biblioteca. Quaderni della Biblioteca n. 2, Ed. Grafica l’Etruria Cortona, Arezzo.

Cozzano, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italiahttps://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3198

Fornaci, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia,  https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3226

Mammi, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia,  https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3271

Ponte delle Fontanelle, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia,  https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3446

Santa Cristina, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia,  https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3515

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo scritto nel mese di ottobre 2024.




Percorsi tra Storia e memoria nel Comune di Civitella in Val di Chiana (Ar)

Le tappe:

  • Viciomaggio
  • Civitella in Val di Chiana
  • Ciggiano

circa 5.15h, 21 km circa [escluso il percorso interno a Civitella]

Immagine dall’Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia dove -in rosso- sono evidenziate le stragi. Come ben si nota, sono tutti paesi alle pendici o nelle aree più collinari degli Appennini. https://www.straginazifasciste.it/?page_id=363

 

Percorso tra Viciomaggio, Civitella e Ciggiano, passando per Cornia

Percorso interno a Civitella

Civitella in Val di Chiana, nota anche come Civitella della Chiana, è un comune italiano della provincia di Arezzo. Sorge sulle Colline delle lepri a 500 m s.l.m., 15 km a sud-ovest di Arezzo. Il territorio comunale si può dividere in due zone: una di bassa montagna, dove è situata la stessa Civitella, circondata dai boschi; una pianeggiante, che forma la parte settentrionale della Val di Chiana. Il territorio civitellino, delimitato a sud dal comune di Monte San Savino e a nord-est da quello di Arezzo, giunge fino ai primi comuni del Valdarno, Laterina a Nord Est, Bucine e Pergine a Nord-Ovest.

La prima tappa del percorso della memoria per ripercorrere, passo dopo passo, le crudeltà del 1944, sarà Viciomaggio, non distante da Civitella in Val di Chiana. Lì, il 29 marzo 1944 avvenne una strage di matrice fascista, nella quale rimase coinvolto un uomo, Mario Mannelli, ucciso dalle truppe fasciste senza un apparente motivo, con un colpo di arma da fuoco. Tale data non è sicura, come sottolinea l’Atlante delle Stragi. Altrettanta divergenza c’è sull’età: per alcuni Mannelli avrebbe avuto 44 anni, per altri 39. Per mancanza di informazioni non si può essere più precisi [1].

Eleonora Antonelli 2012 – Cippo non distante dalla SP di Pescaiola

La seconda tappa del percorso sarà invece la tristemente celebre Civitella in Val di Chiana, dove il 29 giugno 1944 ebbe luogo una delle più cruente stragi naziste verificatesi in Toscana, con 146 i morti tra donne, uomini, bambini e anziani [2].

Nei giorni antecedenti l’eccidio, varie formazioni partigiane attive sulle colline di Civitella, tra cui la “Renzino”, guidata dal giovane Edoardo Succhielli, tesero agguati ad alcuni tedeschi con l’obiettivo di disarmarli [3]. Spesso tali azioni si conclusero con la morte o il ferimento dei soldati e si sommavano ad altre più piccole che, insieme, avrebbero dato ai tedeschi il pretesto per operare contro la popolazione civile.

Passarono i giorni e gli abitanti di Civitella si convinsero che la rappresaglia non ci sarebbe stata, rassicurati in questo senso anche dalle dichiarazioni rilasciate da alcuni ufficiali tedeschi al parroco e al podestà.

Civitella si trovava in quel momento al confine fra la zona controllata dal 76° Corpo corazzato della 10° e della 14° Armata, responsabile del territorio compreso tra la Val di Chiana e l’Adriatico. A partire dalla seconda metà di giugno, il centro si trovava nel territorio d’operazione della Divisione Corazzata Paracadutisti “Hermann Göring”, il cui quartier generale era allocato nei pressi di Monte San Savino: è da lì che, secondo le testimonianze raccolte dagli inquirenti inglesi, arrivarono le truppe responsabili del massacro, in un numero compreso fra le 300 e le 400 unità. Non si esclude il coinvolgimento di reparti minori, né di una squadra di brigate nere (fascisti), operanti a San Pancrazio nel Comune di Bucine e a Cornia.

Ciò che si era temuto, si verificò il 29 giugno, quando i tedeschi, dopo aver iniziato ad uccidere alcuni civili alle porte del paese, rastrellarono Civitella, allora affollata per la festa dei patroni Pietro e Paolo, e le vicine frazioni, procedendo in alcuni casi ad omicidi nelle case, raccogliendo la popolazione nella piazza del paese e dividendola per sesso e per età: le donne e i bambini furono spinti fuori dall’abitato, in direzione di Poggiali, gli uomini, radunati in gruppi di cinque, vennero portati sul retro della scuola e colpiti, ognuno, da un colpo di pistola alla nuca. Due riuscirono a scampare fuggendo. Rastrellati alcuni contadini nelle case coloniche sotto il paese, li mitragliarono nei pressi di un ponte vicino a Civitella. I cadaveri vennero presi dal mucchio e gettati negli androni delle abitazioni in fiamme.

Quel 29 giugno, infatti, per la festa patronale, il centro di Civitella era pieno di persone. Molti non si erano recati nelle campagne o nei boschi per lavorare, restando così a casa o andando a messa. La chiesa di Santa Maria Assunta era colma di fedeli, giunti anche dalle frazioni. L’episodio più truce si consumò proprio qui, mentre si stava celebrando la messa. Il sacerdote, don Alcide Lazzeri, immaginando cosa sarebbe accaduto, benedisse la popolazione e la fece chiudere dentro l’edificio religioso. I tedeschi, trovando la porta della chiesa chiusa, lanciarono una bomba a mano per aprila e trascinarono fuori i fedeli che si erano rinchiusi sperando così di sfuggire ai soldati. Quindi, indossati grembiuli mimetici in gomma per non sporcarsi di sangue, li freddarono con dei colpi alla nuca.

A servire la Messa quella mattina vi erano tre chierichetti, uno dei quali era Luciano Giovannetti, futuro Vescovo di Fiesole, da poco scomparso. Come egli stesso ha raccontato, quando i soldati irruppero nella Chiesa, prima di compiere quella che sarà una vera e propria “profanazione”, don Lazzeri si presentò dicendo: “Sono io il responsabile di quanto è accaduto. Uccidete me e lasciate libero il mio popolo”», riferendosi probabilmente all’uccisione di tre soldati tedeschi, morti durante un blitz dei partigiani avvenuto qualche giorno prima, il 18 giugno [4]. Il tentativo fu però inutile. Gli uomini furono infatti separati dai familiari, portati a lato della chiesa e uccisi a gruppi di cinque. Ad essi vennero uniti coloro che erano stati rastrellati nelle case. Lo stesso don Alcide Lazzeri, rimasto accanto al suo popolo, morì nell’eccidio. Scamparono al massacro un seminarista e chierichetto, Daniele Tiezzi, divenuto sacerdote nel 1950, gettandosi dalle mura insieme al fratello Dino, il piccolo Giovannetti con la sua mamma e un padre con una bambina in braccio, fatto fuggire di nascosto da un soldato. L’ufficiale nazista ucciderà anche uno dei suoi soldati che si era rifiutato di partecipare al massacro. A Daniele Tiezzi è stata dedicata la Campana del Ricordo della Chiesa di Civitella e la statua nella terrazza del paese.

Compiuta la strage, i tedeschi incendiarono le case, provocando così la morte anche di coloro che avevano disperatamente tentato di salvarsi, nascondendosi nelle cantine o nelle soffitte. Solo pochi abitanti riuscirono a scampare al massacro. Si contarono 244 morti: 115 a Civitella, 58 a Cornia e 71 a San Pancrazio [5].

Parallelamente, i tedeschi riproposero un identico modus operandi nella frazione di Gebbia [6]. A Cornia, al contrario, il massacro fu indiscriminato: vennero colpiti donne e bambini e probabilmente ci furono casi di stupro. Cornia è proprio il luogo dove i partigiani, il 21 giugno, avevano aperto il fuoco contro i soldati della Feldgendarmerie.

L’eccidio di Civitella, Cornia e San Pancrazio fu sicuramente uno dei più efferati. Nell’area aretina, la divisione coinvolta, l’Hermann Goering aveva trucidato, nel mese di Aprile del ’44, tutta la popolazione di Vallucciole, nell’alto Casentino, rubricando poi come Banditen gli uomini, le donne e i bambini, spesso infanti, sorpresi nelle proprie case. Alla Divisione, il 29 giugno, appartenevano anche i membri di un ex Corpo musicale che durante il 1942 si era esibito in varie città italiane, venendo sciolto nel ’43 quando le truppe tedesche presenti in Italia necessitavano di rinforzi.

Il 10 ottobre 2004 fu emessa presso il Tribunale militare di La Spezia la sentenza di primo grado n. 49, con la quale oltre alla condanna all’ergastolo a carico del sergente Max Josef Milde del corpo musicale divisionale, implicato nei massacri, fu condannata, quale responsabile, anche la Repubblica Federale di Germania. Decadde invece il procedimento a carico del tenente Böttcher Siegfried per il decesso dell’imputato durante il dibattimento.

A Roma, la sentenza n. 72 del 18.12.2007 segnò il rigetto dell’impugnazione riguardante la responsabilità civile della Repubblica Federale di Germania.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 1072 del 21.10.2008 rigettò invece il ricorso da parte della Repubblica Federale di Germania sull’illegittimità della condanna della stessa.

Il TPI Aja, sentenza n. 143 del 03.02.2012 accolse tutti i punti di ricorso presentati dalla Germania.

Riguardo la stesura di un elenco completo e preciso delle vittime, si dovettero affrontare grandi difficoltà. Quello riportato si rifà alla sentenza del 2006 Tribunale militare di La Spezia e risulta il più attendibile dato che si mettono in evidenza gli errori riportati negli stessi atti di morte dell’epoca. Inoltre, l’elenco presentato nella scheda è il frutto di un incrocio con più fonti quali bibliografie, nominativi su lapidi e monumenti. Rimane tuttavia un elenco lacunoso almeno per quanto riguarda la mancanza dell’età di alcuni caduti. Il numero dei sopravvissuti è maggiore di quello riportato, ma mancano informazioni anagrafiche per risalire ai nomi.

Ogni anno, il 29 giugno, si ricordano le vittime della strage con una commemorazione pubblica.

La comunità di Civitella è stata insignita nel 1963 della Medaglia d’Oro al Valor Civile per le vittime e le violenze subite durante l’occupazione nazifascista. Il parroco don Alcide Lazzeri è stato insignito di Medaglia d’Oro al Valor Civile (alla memoria), e a lui è intitolata la piazza centrale di Civitella, da dove inizierà il percorso memorialistico di Civitella.

Persino la denominazione della Scuola Media statale commemora quel tragico eccidio, ricordando le vittime col nome Istituto comprensivo Martiri di Civitella.

Tanti i monumenti, le targhe o le lapidi sparse nella cittadina e nel territorio.

Partiamo da via Madonna di Mercatale, dove si trova il sepolcro, presso il cimitero di Civitella, realizzato nel 1962 dall’Associazione vittime civili di guerra che custodisce i resti di 144 caduti che nell’estate del 1944 rimasero vittima delle rappresaglie tedesche nel territorio di Civitella in Val di Chiana. La cappella, ubicata all’interno del cimitero, è un vero e proprio sepolcro: si tratta infatti di un ossario che custodisce i resti di 144 vittime della strage di Civitella in Val di Chiana del 29 giugno 1944. L’edificio è stato realizzato nel 1962 dalla stessa Associazione. Nel corso degli anni, in occasione del 40° e poi del 50° anniversario dell’eccidio, l’amministrazione comunale insieme all’Associazione ha collocato nella facciata esterna due lastre commemorative [7] [8].

Lapidi della chiesa di Civitella Giovanni Baldini 2003

 

Via Madonna di Mercatale, cimitero: Cappella dei martiri. Giovanni Baldini 2007

 

Giovanni Baldini 2007 Monumento ai partigiani

Sempre entro il cimitero troviamo il cippo ai martiri Paggi e Morfini:

Giovanni Baldini 2007

Monumento ai partigiani

Passiamo poi attraverso Piazza don Alcide Lazzeri. La decisione del parroco di morire accanto ai fedeli di Civitella, nella memoria locale, è stata letta in chiave di martirologio, cioè come altruistica offerta della propria vita in cambio di quella dei parrocchiani. Per questo la Cittadina ha intitolato la piazza del paese al parroco, insignito della medaglia d’oro al valor civile, come detto in precedenza [9].

Qui si trova anche la lapide per la 8th British Army.

Poco lontana la Chiesa di Santa Maria Assunta a Civitella. Sulla sinistra un monumento ricorda le vittime della strage [10].

Giovanni Baldini 2007

Jhon Percival Morgan era allora capitano dell’esercito britannico.

Tra la piazza e la via principale del centro abitato di Civitella, intitolata ai caduti della strage (via martiri di Civitella) si erge una lastra commemorativa a muro: il monumento “Pietà del Giugno 1944” di Civitella in Val di Chiana (AR). Il memoriale, inserito sul muro accanto alla chiesa, comprende un bassorilievo in bronzo e una lastra in marmo che ricordano la strage del 29 giugno 1944: nel primo è raffigurata la scena di donne e bambini che riuscirono a scappare dal paese in fiamme, nella seconda è inciso il testo della poesia “Pietà del giugno 1944”. Non distante vi è la “Porta della Pace” di Civitella in Val di Chiana [11].

Giovanni Baldini 2003

Pietà del 1944!

La mattina del 29 era festa in parrocchia

per i santi Pietro e Paolo

ma il giorno che si apriva bellissimo

diventò nebbia fumo fuoco sangue

fragore di mitraglia grida di uccisi

essere uomini significò morire

e gli uccisori non erano uomini ma fiere impazzite

Cadde il parroco sacrificato

benedicendo il suo popolo

bruciarono nel guscio delle case i vivi e i morti

– Addio Civitella che sarà di noi?

fu il lamento delle donne rimaste sole

Ora Civitella è risorta da roghi e da ortiche

i tumoli sono fioriti le lagrime seccate

i bambini che videro muti e pallidi sono cresciuti

il ricordo è cenere

che un vento di giorno in giorno disperde

Ma non sia dimenticato il delitto

che strazia anche l’inerme

sia fuggita la colpa

che macchia anche l’innocente

delitto e colpa che sono l’ingiusto guadagno e l’intolleranza

padre e madre della guerra

Franco Antonicelli

Passiamo dalla statua del chierichetto Daniele in via San Francesco a Civitella. La statua, in bronzo, dello scultore Bino Bini, posizionata nella terrazza del paese, ricorda i martiri dell’eccidio del 29 giugno 1944, avvenuto in tale luogo. Il monumento è in particolare dedicato al chierichetto Daniele che si trovava in chiesa insieme agli altri abitanti di Civitella. La statua lo rappresenta nel gesto estremo di lanciarsi nel vuoto per sfuggire ai tedeschi [12].

Comune di Civitella in Val di Chiana (AR), via San Francesco. Giovanni Baldini, 6-11-2007

L’iscrizione a lato riporta:

“In questo luogo di morte il chierichetto Daniele trovò la forza per volare verso la vita e ne fece dono per tutti”.

Giovanni Baldini, 6-11-2007 [13]

Ci spostiamo poi verso l’obelisco ai caduti di Civitella in Piazza Becattini.

Monumento ai caduti di Civitella in Val di Chiana. Allegoria della Patria. Eretto in memoria delle vittime della Prima Guerra mondiale, dopo il Secondo Conflitto furono aggiunti i nomi delle numerose altre vittime [14].

Poco distante da Civitella, si trova Selva Grossa, dove è stata posta una lapide ai caduti e un cippo che ricorda le vittime del 10 luglio 1944.

Solo dieci giorni dopo la strage compiuta a Civitella, fu perpetrato un altro terribile eccidio: alcuni uomini, già impiegati dai tedeschi per preparare le trincee, vennero costretti a scavare una fossa dove furono massacrati e sepolti. Tre giovani riuscirono a fuggire prima dell’esecuzione e uno, Otello Tavarnesi, che era stato ferito e sepolto nella fossa, riuscì a salvarsi. Questo ennesimo eccidio sarebbe stato compiuto in seguito all’uccisione di due tedeschi, avvenuta ad opera dei partigiani a S. Donato, oppure in seguito all’aggressione contro un tedesco avvenuta nello stesso giorno proprio nel bosco di Selva Grossa.

Cippo ai Caduti di Selva Grossa – Civitella in Val di Chiana [15]

Lì vicino si trova l’ennesimo cippo commemorativo, alle coordinate 43°23’49.0″N 11°43’46.6″E. Il monumento ricorda l’eccidio del 29 giugno 1944, durante il quale furono uccisi molti abitanti di Civitella in Val di Chiana e delle zone circostanti [16].

Cippo alle vittime eccidio di Civitella Val di Chiana

Terza tappa:

Raggiungiamo poi il cippo in località Cornia con nomi di alcune vittime.

Cippo all’eccidio di Cornia. Giovanni Baldini 2007 [17] via della Cornia (cimitero) Il comune di Civitella nel XXV° dell’eccidio di Cornia 1944- 1969

Presso il cimitero (non è chiaro a quale civico si trovi) vediamo la stele a Rosa Pontenani e ai martiri di Cornia [18].

63509 – Stele a Rosa Pontenani e ai martiri di Cornia (Civitella in Val di Chiana)

Presso Borgo Paradise, Via di Solaia, 9, vi è il cippo dedicato a Modesta Rossi Polletti e ai Martiri del 29/6/1944 a Solaia di Civitella in Val di Chiana.

Il cippo è intitolato alla partigiana Modesta Rossi, medaglia d’oro al Valor Militare alla Memoria, moglie del partigiano Dario Polletti, uccisa dai tedeschi in questo luogo il 29 Giugno 1944, col figlio Gloriano ed altri 4 civili. Si trova nel giardino del Relais “Borgo Paradise”. Si tratta di una scultura in bronzo dal titolo significativo di “Rinascita”, opera dell’artista Giancarlo Marini. Scostata rispetto al pilastro, si trova una pietra dal profilo sagomato a mo’ di triangolo rettangolo. Vi è applicata una piccola targa in bronzo con incisa la dedica del Comune di Civitella in Val di Chiana ai Martiri delle stragi del 29 Giugno.

 

[19]

A circa 40 minuti a piedi (9 in auto), presso la Chiesa di San Michele Arcangelo a Cornia, si trova una lastra commemorativa dei martiri di Cornia, dedicata alle vittime civili delle rappresaglie nazifasciste che colpirono il territorio di Civitella in Val di Chiana fra il 29 giugno e il 16 luglio 1944. La lastra riporta, su due colonne, i nomi dei 58 Caduti delle frazioni di Cornia, Burrone, Morcaggiolo, Solaia, Cellere, S. Pancrazio e Caselle. Realizzata in occasione dell’anniversario dell’eccidio 29 giugno 1969, è ubicata in una nicchia della navata laterale di destra della chiesa.

[21] 43194 – Lastra commemorativa dei martiri di Cornia (Civitella in Val di Chiana), Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/lastra-commemorativa-dei-martiri-di-cornia/

 

[20]. Chiesa di San Michele Arcangelo <Cornia, Civitella in Val di Chiana>, le Chiese delle Diocesi italiane, https://chieseitaliane.chiesacattolica.it/chieseitaliane/AccessoEsterno.do?mode=guest&code=50719&Chiesa_di_San_Michele_Arcangelo__Cornia,_Civitella_in_Val_di_Chiana

 

Quarta tappa:

La quarta ed ultima tappa del percorso sarà Ciggiano, frazione di Civitella in Val di Chiana [22].

La mattina del 16 aprile 1944 a Ciggiano, un gruppo di SS fermò due giovani partigiani, Marapitti e Marmo che stavano requisendo un camion di legna e carbone, e li passò immediatamente per le armi.

Qui si trova un monumento ai caduti delle guerre di Ciggiano, in un giardino del centro abitato. Accanto all’altare, a sinistra rispetto a chi guarda, troviamo una stele in cemento con apposte tre distinte lapidi in marmo. La prima riporta indistintamente i nomi dei 30 Caduti e dei 2 Dispersi delle due Guerre mondiali, elencati per grado e ordine alfabetico. Segue una targa rettangolare dedicata ad Enrico Scapecchi, medaglia d’Argento al Valor Militare, caduto il 27 marzo 1944. Infine, la terza lastra riguarda i due partigiani Giovanni Marmo (“Boccanera”, “Napoli”) e Mario Marapitti (“Livorno”). Quest’ultima si trovava nel vecchio cippo posto nel luogo della loro morte, in Via Colombaia, sostituito nel 2014.

Via Colombaia, di fronte al numero civico 44 [23] Cippo a Giovanni Marmo e Mario Marapitti – Ciggiano di Civitella in Val di Chiana

Via Matteotti

Via Colombaia, di fronte al numero civico 44

Alessandro Bargellini 2008 (vecchio monumento) https://memo.anpi.it/monumenti/159/lapide-della-terrazza-delleccidio-di-civitella/

Per concludere

Oggi l’Associazione “Civitella Ricorda”  ha allestito in Via Martiri di Civitella una “Sala della Memoria”. Ci sono i reperti rinvenuti sulle vittime, le fotografie del paese prima e dopo la distruzione, le testimonianze, i libri, le videocassette e i tanti residuati bellici.

Lo scorso 25 Aprile, l’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è recato a Civitella della Chiana per rendere omaggio alle vittime della strage nazifascista. Nell’anno in cui ricorrono gli 80 anni dalla strage del 29 giugno del 1944, il Capo dello Stato ha infatti scelto il piccolo borgo toscano per celebrare la Festa della Liberazione. Alla cerimonia era presente lo stesso Giovannetti, Vescovo emerito.

29 giugno 1944. La strage di Civitella: https://www.rai.it/ufficiostampa/assets/template/us-articolo.html?ssiPath=/articoli/2024/06/29-giugno-1944-La-strage-di-Civitella-2e9f37a0-f154-461b-a98d-3c2186efbe5b-ssi.html

Bibliografia sull’argomento:

– Edoardo Succhielli, La Resistenza nei versanti tra l’Arno e La Chiana, Tip. Sociale, Arezzo, 1979

– Romano Moretti, Il giorno di san Pietro: l’eccidio di San Pancrazio, le memorie e la storia: l’eccidio nazifascista del 29 giugno del 1944 a Civitella in Val di Chiana, Cornia, San Pancrazio, provincia di Arezzo, Le balze, Montepulciano, 2005

– Enrico Biagini, Civitella: un paese, un castello, un martirio, Centro Stampa, Arezzo,  1981

– Santino Gallorini, La memoria riunita: il partigiano Renzino e Civitella tra bugie, silenzi e verità, Effigi, Arcidosso, 2013

– Romano Moretti, Ricordi della Seconda guerra mondiale: Cornia di Civitella in Val di Chiana, Monte San Savino, San Pancrazio di Bucine, con la collaborazione di Luciano e Piero Romanelli, Effigi, Arcidosso, 2019

– Enzo Gradassi, L’ingiustizia assoluta : memoria di un progetto di vita e della sua distruzione, Gebbia di Civitella in Valdichiana 1944, Provincia di Arezzo, Comune di Civitella in Val di Chiana, Fondazione Conservatorio San Girolamo, Siena, 2008

– Ida Balò Valli (a cura di), Giugno 1944: Civitella racconta, L’Etruria, Cortona, 1994

 

Note:

  1. Viciomaggio, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3583
  2. Civitella in Val di Chiana, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia,

https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3211

  1. Santino Gallorini, La memoria riunita: il partigiano Renzino e Civitella tra bugie, silenzi e verità, Effigi, Arcidosso, 2013.

L’opera offre anche una ricostruzione approfondita del tragico eccidio.

Sulla vicenda prese parola lo stesso Edoardo  Succhielli (a cura di), La Resistenza nei versanti tra l’Arno e La Chiana, Tip. Sociale, Arezzo, 1979.

  1. Giacomo Gambassi, Il testimone. Giovannetti: «Io, oggi vescovo, sopravvissuto alla strage nazista», in «Avvenire», 27 giugno 2019, https://www.avvenire.it/agora/pagine/vescovo-giovannetti-sopravvissuto-eccidio-civitella
  2. Romano Moretti, Il giorno di san Pietro. L’eccidio di San Pancrazio (le memorie e la storia) provincia di Arezzo, Le balze, Montepulciano, 2005.
  3. Enzo Gradassi, L’ingiustizia assoluta: memoria di un progetto di vita e della sua distruzione, Gebbia di Civitella in Valdichiana 1944; Provincia di Arezzo, Comune di Civitella in Val di Chiana, Fondazione Conservatorio San Girolamo, Il mio amico, Roccastrada, 2008.
  4. 43184 – Cappella dei martiri della strage di Civitella in Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/cappella-dei-martiri-della-strage-di-civitella-in-val-di-chiana/
  5. Cappella dei Martiri, ResistenzaToscana.it, https://www.resistenzatoscana.org/monumenti/civitella_in_val_di_chiana/cappella_dei_martiri/
  6. 63198 – Lastra d’intitolazione della piazza a don Alcide Lazzeri – Civitella in Val di Chiana (AR), Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/lastra-dintitolazione-della-piazza-a-don-alcide-lazzeri-civitella-in-val-di-chiana-ar/
  7. Civitella in Val di Chiana, https://www.ns-taeter-italien.org/it/stragi/civitella-cornia-e-san-pancrazio/civitella-in-val-di-chiana
  8. 5517 – Monumento “Pietà del Giugno 1944” di Civitella in Val di Chiana (AR), Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/monumento-pieta-del-giugno-1944-di-civitella/
  9. 4727 – Monumento al chierichetto Daniele – Civitella Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/statua-del-chierichetto-daniele/
  10. 6552 – Lastra a ricordo eccidio di Civitella in Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/lapide-delleccidio-di-civitella-in-val-di-chiana/
  11. 5200 – Monumento ai Caduti di Civitella in Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/obelisco-ai-caduti-delle-due-guerre-mondiali-di-civitella/
  12. Cippo ai Caduti di Selva Grossa – Civitella in Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/cippo-ai-caduti-di-selva-grossa-civitella-in-val-di-chiana/
  13. 7421 – Cippo alle vittime eccidio di Civitella Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/obelisco-ai-caduti-di-civitella-val-di-chiana/
  14. Cippo dell’eccidio di Cornia, ResistenzaToscana.it, https://resistenzatoscana.org/monumenti/civitella_in_val_di_chiana/cippo_dell_eccidio_di_cornia/
  15. 63509 – Stele a Rosa Pontenani e ai martiri di Cornia (Civitella in Val di Chiana), Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/stele-a-rosa-pontenani-e-ai-martiri-di-cornia-civitella-in-val-di-chiana/
  16. 122321 – Cippo a Modesta Rossi Polletti e ai Martiri del 29/6/1944 – Solaia di Civitella in Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/cippo-a-modesta-rossi-polletti-e-ai-martiri-del-29-6-1944-solaia-di-civitella-in-val-di-chiana/
  17. Chiesa di San Michele Arcangelo <Cornia, Civitella in Val di Chiana>, le Chiese delle Diocesi italiane, https://chieseitaliane.chiesacattolica.it/chieseitaliane/AccessoEsterno.do?mode=guest&code=50719&Chiesa_di_San_Michele_Arcangelo__Cornia,_Civitella_in_Val_di_Chiana
  18. 43194 – Lastra commemorativa dei martiri di Cornia (Civitella in Val di Chiana), Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/lastra-commemorativa-dei-martiri-di-cornia/
  19. Ciggiano, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3186
  20. 111075 – Cippo a Giovanni Marmo e Mario Marapitti – Ciggiano di Civitella in Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/cippo-a-giovanni-marmo-e-mario-marapitti-ciggiano-di-civitella-in-val-di-chiana-2/

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo scritto nel mese di settembre 2024.