Gli eccidi nazifascisti nel Comune di Cortona (Ar): itinerari di conoscenza

 

Tracciando un percorso escursionistico – da fare a piedi o in bicicletta – che tocchi gli eccidi del 1944 del Comune di Cortona, in provincia di Arezzo, proponiamo questo itinerario, visibile dalla mappa. Le persone interessate potranno così ripercorrere i vari luoghi della memoria nel territorio.

Il percorso non tiene conto dell’ordine cronologico, bensì della raggiungibilità delle diverse località.

Ogni tappa del sentiero, infatti, potrà essere visitata indipendentemente dalle altre e potrà essere raggiunta con i mezzi privati (talvolta anche pubblici), permettendo così agli escursionisti di selezionare i luoghi a seconda dei propri interessi o possibilità.

Il Comune di Cortona si estende dalla zona della bonifica della Valdichiana attraverso l’Appennino occidentale fino alla Valle del Tevere. Eccetto Cortona stessa e uno o due abitati di qualche entità, lungo la strada che va dal Lago Trasimeno ad Arezzo, la maggior parte delle comunità è costituita da paesini o da borghi. Alcuni di questi sono nascosti tra le colline e sono collegati a Cortona ed a Città di Castello per mezzo di stradine di montagna piuttosto tortuose, che passano attraverso i boschi. In questa zona vari gruppi di partigiani combatterono contro i nazisti [1].

Prima tappa:

La prima tappa del nostro percorso è dunque Cortona. Proprio qui, infatti, tra giugno e luglio 1944 si verificarono alcuni importanti eccidi [2].

Mappa 2 in Janet Kinrade Dethick, Cortona 1944, Fondazione Ranieri di Sorbello, Città di Castello, 2014.

Lunga è stata la scia di sangue nel territorio cortonese dove, come in altre parti d’Italia, si consumarono atroci eccidi. Ripercorriamo insieme i “luoghi resistenti” di Cortona. Ogni paese ebbe delle vittime. Verranno qui toccati solo alcuni luoghi, i più rappresentativi.

Nella cittadina è possibile vedere, ancora oggi, la lapide con i martiri della “ferocia teutonica”. È dunque in Piazza della Repubblica che ha inizio il sentiero della memoria cortonese. Da qui partiamo (a piedi, in bicicletta o in auto) verso le varie tappe.

Giovanni Baldini, 23-10-2007

Seguiamo così il percorso intracittadino della Via Crucis da Porta Berarda alla Basilica di Santa Margherita, patrona della città, inaugurato il 15 giugno 1946, in apertura delle feste per il settimo centenario margaritiano, quando il Vescovo Giuseppe Franciolini, per festeggiare la liberazione di Cortona, decise di sciogliere il voto fatto alla Santa il 22 febbraio 1944, quando era stata invocata la sua protezione dai bombardamenti. Il vescovo commissionò all’artista cortonese Gino Severini i disegni delle quattordici stazioni (i cui cartoni sono oggi al Museo diocesano), che vennero poi messe in opera a mosaico entro edicole in pietra. Una quindicesima edicola, all’inizio del percorso, ricorda invece santa Margherita nei pressi della Porta Berarda da dove essa entrò in città per la prima volta. Il cartone di questa scena venne donato dalla Diocesi di Cortona a papa Paolo VI nel 1973 e si trova oggi esposto nella Collezione d’arte religiosa moderna dei Musei Vaticani. Possiamo quindi lasciare la città per raggiungere la tappa successiva.

2 tappa:

SANTA CATERINA CORTONA

Cortona stava vivendo gli ultimi giorni di giugno in prossimità del fronte. Il 30 fu occupata dalle SS in ritirata dalla battaglia di Castiglion del Lago, ma gli attacchi dell’aviazione inglese li fecero arretrare verso l’argine del torrente Mucchia, preparato per la difesa con postazioni di mitragliatrici e artiglierie leggere. All’interno del martellante cannoneggiamento dei primi giorni di luglio, l’uccisione di un soldato tedesco nelle campagne di Santa Caterina causò una rappresaglia appesantita dalla frustrazione dell’imminente sconfitta e dal conseguente desiderio di vendetta.

I tedeschi incendiarono le case di tre coloni e uccisero 31 capi di bestiame. Incontrati cinque contadini sulla strada, li fucilarono nei pressi di una casa colonica. Altri 7 ostaggi vennero rinchiusi in una casa: il proposito di farli saltare in aria con la gelatina, tuttavia, fu abbandonato per la fuga, cui i soldati furono costretti dall’incalzante mitragliamento alleato. La fuga di quelle ultime retroguardie segnò la liberazione definitiva del paese.

Il cippo è dedicato a 5 civili fucilati dai tedeschi il 2 luglio 1944 per rappresaglia alla morte di un loro commilitone. È posto lungo la Strada Provinciale 28 in un’area lastricata in pietra e delimitata da sei alberi di cipresso. In origine si trovava nel luogo della fucilazione, presso il Podere Vagnetti, a circa 200 metri dalla collocazione attuale, avvenuta il 27 gennaio 2004.

La memorialistica ci parla di una rappresaglia, attuata per punire la morte di un soldato tedesco. L’operazione, tuttavia, va inserita nel contesto di una frenetica ritirata dell’esercito tedesco, incalzato dall’esercito alleato e frustrato dalle continue sconfitte.

Giovanni Baldini, 23-10-2007

3 tappa:

MONTANARE

Lasciata Santa Caterina, la meta della terza tappa è Montanare, piccola località ai piedi degli Appennini, prima di giungere in località Valecchie, “la Torre”, Ca’ de’ Santi.

Qui il 6 giugno 1944 ebbe luogo una schermaglia tra un gruppo di partigiani e alcune truppe tedesche a Palazzo Patrizi, vicino alla casa del prete, in cui un tedesco rimase ucciso. La mattina successiva, verso mezzogiorno, i tedeschi ordinarono al prete di lasciare la sua casa poiché stavano per incendiarla. All’alba dell’8 varie proprietà tra Valecchie e Montanare furono messe al fuoco. Un partigiano russo di nome Ber Bdont e un croato detto “Moscova” furono catturati mente dormivano in località Pianelli. Secondo il prete di Valecchie, li uccisero a colpi di fucile insieme ai loro compagni italiani Marco Vigi, Pasquale Attoniti, Pasquale Gallorini e Domenico Baldoni. Alla casa della famiglia Baldoni fu appiccato il fuoco, mentre Lazzaro Gallorini fu preso in ostaggio e portato al comando tedesco di San Angiolo in Metelliano per poi essere rilasciato per intercessione di un certo Luigi Valli. Altra vittima italiana fu Giuseppe Cuculi.

Il partigiano russo Vassili Belof venne invece portato su un autocarro a La Dogana a Pergo e impiccato ad un pino prima di essere finito con due colpi al collo. Il suo corpo fu lasciato appeso come monito per i passanti e non fu tirato giù fino al giorno successivo, quando venne seppellito nel cimitero locale.

A pochi giorni dalla liberazione di Cortona, tra il 27 e il 28 giugno, in località Casale, il giovane pastore Ferdinando Ferri venne ucciso mentre badava al suo gregge. Da un blindato tedesco di passaggio, i due occupanti, avvistati due giovani seduti in un campo, cominciarono a sparargli con una mitragliatrice. Sentendo gli spari, i due tentarono di cercare riparo, ma un proiettile colpì Ferri alla testa e una raffica successiva lo uccise mentre i tedeschi sopraggiungevano. L’altro giovane fu interrogato e poi rilasciato dopo che ebbe mostrato i suoi documenti.

I tedeschi si spostarono quindi ad Armari, vicino Portole, dove presero il quindicenne Santino Bruni sotto gli occhi della famiglia, che da quel giorno non lo rivide più.

Lunga la scia di sangue nelle giornate successive. Il 1° luglio 1944 vi fu l’omicidio di Donati, uccisione compiuta sul territorio dall’esercito in ritirata. Le uniche informazioni di cui disponiamo sono gli elenchi reperiti presso l’archivio comunale che segnalano la causa di morte: Donati è era stato punito per aver offerto dell’acqua a militari inglesi.

Lo stesso giorno furono uccisi Giulierini e Mantelli. Anche in questo caso, si trattò con ogni probabilità, di uccisioni compiute sul territorio dall’esercito in ritirata, solo che Giulierini e Mantelli vennero uccisi perché si rifiutarono di andare con i tedeschi.

 

Giovanni Baldini, 23-10-2007

 

Giovanni Baldini, 23-10-2007

 

4 tappa:

FALZANO

Si consiglia l’uso di un’auto per raggiungere la località di Falzano, piccolo borgo in collina e non facilmente raggiungibile. Ci vogliono circa 35 min. in auto da Cortona.

Proprio qui, il 27 giugno 1944 si verificò un importante eccidio.

Stando alla ricostruzione, nei giorni antecedenti, alcuni partigiani avrebbero ripetutamente danneggiato dei ponti, talvolta arrivando a scontarsi con le truppe tedesche.

Il 26 giugno 1944 una pattuglia tedesca, formata da tre soldati, fu trovata a compiere una razzia nei pressi di una fattoria da un gruppo di partigiani. Ne nacque uno scontro a fuoco, che costò la vita a due dei soldati e portò al ferimento del terzo. Quest’ultimo, tuttavia, riuscì a fuggire e a raggiungere un ponte vicino, dove si trovava un gruppo di genieri dell’esercito tedesco. Costoro appartenevano all’818° “Battaglione Pionieri di Montagna” della Wehrmacht, posto a guardia di un gruppo di civili incaricati della riparazione del ponte medesimo.

Avvertiti dell’agguato, il gruppo di soldati mosse immediatamente in direzione di Falzano. Lungo la strada, venne ucciso un giovane del luogo e la sua casa venne data alle fiamme. A questo punto il gruppo tedesco entrò nuovamente in contatto coi partigiani, che riuscirono a bloccarli per la notte. Il mattino seguente i nazisti ripartirono in direzione di Falzano e lungo il percorso, vennero uccise altre tre persone, mentre undici furono catturate e successivamente rinchiuse in un’abitazione precedentemente data alle fiamme. A questo punto la casa fu fatta esplodere e solo un giovane, allora quindicenne, Gino Massetti, riuscì miracolosamente a salvarsi grazie ad una trave caduta poco prima dello scoppio, che lo riparò dall’esplosione.

Dietro richiesta della popolazione locale, i partigiani del ‘Poggioni’ sospesero le attività per diversi giorni e nascosero le loro armi.  Questa fu forse la seconda occasione in tutta la provincia – la prima era stata a Partina – in cui un gruppo di partigiani riconobbe la propria responsabilità nella catena degli eventi che condussero ad un massacro.

Il 16 febbraio 2004 il Tribunale militare di La Spezia rinviò a giudizio l’ex maggiore Herbert Stommel, 88 anni, già comandante del reparto pionieri di montagna, responsabile del massacro, e Josef Scheungraber, all’epoca sottufficiale dello stesso battaglione. Nel processo, il Comune di Cortona e la provincia di Arezzo si sono costituite parti civili.

Gli imputati furono condannati all’ergastolo nel 2006, sentenza confermata poi dal Tribunale militare d’appello di Roma, nel novembre del 2007.

Nel 2008 anche il Tribunale militare di Monaco di Baviera condannò i due all’ergastolo.

Falzano è stato infatti il paese più martoriato della zona [3], luogo di un’azione antipartigiana ai danni della popolazione civile.

Interessante è l’opera di Alessandro Eugeni, Il falegname di Ottobrunn: processo a un criminale di guerra (con lettera-prefazione di Andrea Camilleri), dove si racconta la storia attorno a Josef Scheungraber, il boia di Falzano, scomparso nel 2015.

Ricordo anche i fatti di Ossaia, Riccio, Pietraia, S. Angiolo a Metelliano, San Lorenzo Rifrena, S. Bartolomeo a Pergo, Metelliano e Montanare narrati dai parroci di allora nel libro di Pancrazi. Si tratta di eventi spesso simili, uccisioni di civili, per lo più accusati di connivenza con i partigiani, scontri tra partigiani e tedeschi, esempi della diffusa realtà di uccisioni anche individuali che segnano l’occupazione nazista, in particolare nella fase della ritirata, oltre i più noti eccidi.

Giovanni Baldini, 23-10-2007

https://www.letruria.it/attualit%C3%A0/verso-gli-ottaanni-della-strage-nazifascista-di-falzano-del-27-giugno-1944-9977

Bibliografia:

Agostino Coradeschi e Mario Parigi (a cura di), Arezzo dalla dichiarazione di guerra al referendum istituzionale. 1940-1946, Carocci, Roma 2008.

Janet Kinrade Dethick, The Trasimene line: june-july 1944, Uguccione Ranieri di Sorbello Foundation, Perugia 2002

Janet Kinrade Dethick, Cortona 1944, Fondazione Ranieri di Sorbello, 2014

Alessandro Eugeni, Il falegname di Ottobrunn: processo a un criminale di guerra, Pacini, Pisa 2011

Renata Orengo, Diario del Cegliolo: cronaca della guerra in comune toscano, giugno-luglio 1944, All’Insegna del Pesce d’Oro, Milano 1965

Pietro Pancrazi ( a cura di), La piccola patria: cronache della guerra in un comune toscano: Giugno-Luglio 1944, Monnier, Firenze 1946

 

Note:

  1. Janet Kinrade Dethick, Cortona 1944, Fondazione Ranieri di Sorbello, Città di Castello, 2014, pp. 13-14. L’opera in questione è un’ottima fonte per approfondire le vicende del cortonese.
  2. Sulle vicende del 1944 nella Val di Chiana e non solo, rimando a Janet Kinrade Dethick, The Trasimene line: june-july 1944, Uguccione Ranieri di Sorbello Foundation, Perugia 2002
  3. Pietro Caporali, la strage di Falzano, in Pietro Pancrazi (a cura di), La piccola patria: cronache della guerra in un comune toscano: Giugno- Luglio 1944,  Monnier, Firenze 1946, pp. 31-34.

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo scritto nel mese di settembre 2024.




Scolpiti nella memoria

 Dietro ogni cippo, una storia.

Dietro ogni pietra, una vita.

 

Oggi più che mai di fronte ad un certo revisionismo storico spalleggiato da una parte della classe politica che mal sopporta il dichiararsi antifascista si ha la necessità di continuare a parlare di quei valori della Resistenza da cui ha tratto origine la nostra costituzione e di raccontare le storie di coloro che hanno combattuto per liberare l’Italia dal nazifascismo e soprattutto di coloro che hanno dato la propria vita per sconfiggere la dittatura e farci riassaporare la democrazia. Ed è proprio per mantenere viva la memora che è stato utile negli anni, per circoscrivere come in un fermo-immagine il ricordo di chi è caduto per il nobile ideale di libertà, erigere monumenti o affiggere targhe commemorative. Scomparsa quasi del tutto la generazione protagonista di quella stagione storica, in un tempo in cui si sta perdendo o si tenta di offuscare la memoria di quegli avvenimenti che hanno dato vita alla Resistenza, i monumenti rimangono lì “immobili” a testimoniare il sacrificio ed il martirio di coloro che hanno combattuto per la liberazione del nostro paese. Monumenti e lapidi hanno il compito di tenere desta la memoria di quei fatti che hanno segnato il drammatico passaggio dalla caduta del fascismo all’Italia repubblicana, attraverso la conquista della libertà democratiche. Ed oggi assumono forse una nuova valenza ed una rinnovata importanza nella loro funzione di tramandare alle giovani generazioni il ricordo della Resistenza e dei suoi caduti. Ma spesso durante il passaggio per le vie e le piazze, distratti dal via vai della città, immersi nello stress della vita quotidiana o nei propri pensieri, questi monumenti rimangono quasi invisibili, se non addirittura per alcuni incomprensibili perché ne ignorano il significato. Purtroppo, sono targhe, lapidi e monumenti che spesso solo nel giorno dell’anniversario riprendono vita con fiori, corone, commemorazioni, bandiere, stendardi e bande musicali… ma il resto dell’anno sembrano perdere il loro valore simbolico rientrando in una sorta di anonimato e di indifferenza. Ed è per questo che abbiamo pensato, prendendo l’occasione dall’ottantesimo Anniversario della Liberazione di Arezzo, di creare un itinerario attraverso i monumenti dedicati alla Resistenza sparsi per la città, in modo tale da far conoscere a chi ne ignora la storia o a rammentarla agli altri l’esistenza ed il loro valore simbolico e di memoria.

 

Monumenti, lapidi e cippi che raccontano le tracce della guerra, della Resistenza e della Liberazione della città

 

“La storia si fa arredo urbano

e l’arredo urbano muta

con il variare delle fasi storiche…”

Mario Isnenghi

 

Mappa dell’itinerario.

 

  • Percorso: Piazza Poggio del Sole (Monumento ai caduti della Resistenza) – via Cavour (Liceo classico-musicale Francesco Petrarca) – Piazza della Libertà (Palazzo del Municipio) – Cimitero Urbano (Monumento ai caduti nella guerra di Liberazione) – via Francesco Severi (Lapide del Fiume) – via Anconetana (Cippo ad Eliseo Brocherel) – viale Giotto (Monumento ai caduti dell’artiglieria) – largo Inigo Campioni (Monumento ai caduti del mare) – piazzetta San Niccolò (Cippo a Isolina Boldi e Anna Lisa Innocenti).
  • Tempo di percorrenza: 1 ora e 45 minuti circa
  • Distanza: 7,3 km
  • Dislivello: + 91 m – 64 m

 

Iniziamo il nostro percorso da Piazza Poggio del Sole, dove troviamo il Monumento ai caduti della Resistenza, testimonianza significativa del sacrificio e del coraggio dimostrato dai partigiani e dai cittadini durante la lotta contro l’occupazione nazifascista. Arezzo e la sua provincia furono particolarmente colpiti dalla strategia stragista degli occupanti subendo l’impressionante cifra di 3110 caduti fra combattenti e popolazione civile. La provincia è stata insignita della medaglia d’oro per “l’irriducibile opposizione al nemico da parte di agguerrite formazioni armate e delle patriottiche popolazioni di città e campagna, sui monti e le valli…”[1]. I partigiani aretini, un esercito di poco più di 3500 uomini e donne, riuscirono ad impegnare, sottraendoli dal fronte alleato, ingenti forze nazifasciste infliggendo loro pesanti perdite.

Il Monumento ai caduti della Resistenza è posto all’interno dei giardini antistanti la Prefettura, una collocazione strategica, facilmente accessibile, situata in prossimità della stazione e del centro storico.

 

“Il Popolo delle vallate aretine ai caduti per la Resistenza”.

 

L’opera fu commissionata dal Comune di Arezzo e realizzata dallo scultore brasiliano di origini italiane Bruno Giorgi intorno al 1975. Il monumento è dominato da una figura centrale di bronzo che si protende nell’aria con le braccia alzate appoggiata a due “X” bronzee. Colpiscono nel monumento questi arti alzati al cielo, che troveremo successivamente anche nel monumento ai caduti nella guerra di liberazione all’interno del Cimitero Urbano, che simboleggiano un atto di estrema violenza “per uscire dall’età e dal periodo che ha visto troppe persone divenire corpi senz’anima e troppi corpi divenire caduti”[2].

 

Uscendo da piazza Poggio del Sole ci dirigiamo verso piazza Guido Monaco e procediamo in direzione nord-est percorrendo l’omonima via fino all’incrocio con via Cavour. Giunti al bivio svoltiamo a sinistra e dopo pochi metri ci troviamo di fronte al liceo Classico-Musicale Francesco Petrarca. All’interno vi sono una lastra e un monumento che commemorano studenti e professori caduti durante la prima e la seconda guerra mondiale e la guerra civile spagnola.

 

Monumento agli studenti del liceo ginnasio Francesco Petrarca di Arezzo.

Il monumento è costituito da una struttura a nicchia in travertino al cui interno è collocata la scultura in bronzo di un eroe accompagnato in cielo da un angelo, sopra un’altra figura alata che porta, correndo, una fiaccola e in basso un soldato nudo morente giace al suolo con la spada rivolta all’indietro. Ai lati della nicchia vi sono due lastre rettangolari che riportano i nomi dei caduti nella Grande Guerra e successivamente è stata aggiunta una lastra con i nomi dei caduti del secondo conflitto mondiale. Tra gli allievi del liceo rimasti vittime durante la guerra del 1940-45 si annoverano Sante Tani, animatore e martire della Resistenza aretina (a cui è dedicato anche un bassorilievo che visiteremo successivamente), e Pio Borri, primo caduto della Resistenza ad Arezzo.

 

Lastra in ricordo degli alunni del liceo Francesco Petrarca caduti nella seconda guerra mondiale e nella Resistenza.

 

A Pio Borri è stata dedicata anche l’aula magna del liceo in cui sono presenti in una parete dei cimeli che ricordano lo studente, compresa la motivazione della medaglia d’argento.

 

Cimeli in onore di Pio Borri.

 

Pio Borri fu il comandante della prima brigata partigiana formatasi spontaneamente, la “Vallucciole”, che nel corso di uno dei primi rastrellamenti in grande stile dei nazifascisti in Casentino, proprio in località Vallucciole l’11 novembre del 1943 fu arrestato, torturato, giustiziato e gettato in un fosso in mezzo alla neve. Successivamente in onore del proprio comandante la formazione partigiana prese il nome di XXIII Brigata garibaldina “Pio Borri”.

 

Continuando il nostro percorso in direzione nord-ovest prendiamo via Andrea Cesalpino e dopo cinque minuti si arriva al Palazzo del Municipio in Piazza della Libertà. Qui all’interno si trova una Lastra in ricordo delle forze Alleate entrate in città il 16 luglio 1944 e un bassorilievo in pietra dedicato a Sante Tani.

 

Lastra in ricordo delle forze Alleate.

Questa lastra posta in una parete interna del Municipio è un importante simbolo della liberazione della città dall’occupazione nazifascista. La mattina del 16 luglio 1944 alle ore sette l’antico campanone posto sulla torre del comune cominciò a suonare a distesa, seguito dopo poco dalle altre campane cittadine e della campagna circostante, valido segnale per gli Sherman, i carri armati alleati, che nella tarda mattinata entrarono nella città ormai libera. Sulla targa è riportato un messaggio, scritto sia in italiano che in inglese, di gratitudine verso le forze Alleate per il loro fondamentale contributo.

 

Nel cortile del Municipio troviamo il bassorilievo dedicato a Sante Tani, primo fondatore e capo indiscusso dell’antifascismo aretino. Nato a Rigutino in provincia di Arezzo il 3 aprile 1904 e barbaramente trucidato sempre ad Arezzo il 15 giugno 1944, insignito della medaglia d’oro al valor militare alla memoria.

 

Cortile del Municipio.

Bassorilievo dedicato a Sante Tani: “A Sante Tanti, animatore e martire della Resistenza, la Democrazia Cristiana al comitato antifascista nel trentesimo della liberazione”, 1974, Palazzo comunale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Figlio di Angiolo Tani ed Elisa Meacci, Sante Tani fin da giovane fu aperto oppositore del fascismo. Si laureò in giurisprudenza a Roma e una volta rientrato ad Arezzo operò come agitatore e cospiratore in contatto con esponenti di tutti i partiti politici clandestini. Il 25 aprile del 1942 venne processato per le sue idee politiche e assegnato per quattro anni al confino in provincia di Benevento. Il fascismo cadde prima della conclusione della sua condanna ed egli, tornato ad Arezzo, dopo l’8 settembre del 1943 fu nominato presidente del Comitato Provinciale di Concentrazione Antifascista (CPCA). Prese anche parte direttamente alla lotta armata dirigendo alcune formazioni partigiane. Caduto in mano ai tedeschi, il 30 maggio 1944 a Casenovole insieme al fratello don Giuseppe e all’amico Aroldo Rossi – ventinovenne, commerciante aretino -, riuscì a resistere per diciassette giorni alle torture, alternate alle offerte di libertà in cambio di informazioni. Il Comitato Provinciale di Liberazione Nazionale (CPLN) organizzò la loro evasione dal carcere per il successivo 15 giugno, ma l’operazione fallì e lo stesso giorno Sante insieme al fratello e al giovane Rossi furono barbaramente trucidati nella cella dove erano rinchiusi. Morirono anche due partigiani, il tenente belga Jean Mauritz Justin Meuret (al quale è stato eretto un cippo commemorativo ad Arezzo nella strada che porta verso San Domenico) e Giuseppe Oddone, che insieme ad altri avevano tentato inutilmente di attuare il piano di evasione.

 

Usciti dal Municipio costeggiamo il Prato della Fortezza Medicea percorrendo viale Bruno Buozzi per circa un chilometro fino ad arrivare al Cimitero Urbano dove è presente all’ingresso il Monumento ai caduti nella guerra di Liberazione.

 

Monumento ossario dei caduti per la libertà, “Arezzo ai 792 caduti durante la guerra di liberazione, partigiani, vittime per rappresaglia nazifascista, caduti per fatti di guerra settembre 1943 luglio 1944”.

Il monumento è un’opera commemorativa dedicata a tutti i combattenti che persero la vita durante la seconda guerra mondiale. Esso è composto da un muro nel quale da una parte vi è un bassorilievo che raffigura i caduti in guerra e per rappresaglia nazifascista con una lastra dedicatoria, dall’altra vi sono grosse lastre con i nomi dei caduti, oltre 700 nomi.

Nel 1973 si formarono due comitati per l’erezione dei più conosciuti monumenti ai caduti di Arezzo, l’Ossario ai caduti per la libertà, opera dello scultore Firenze Poggi ed il Monumento alla Resistenza dello scultore Bruno Giorgi (primo monumento incontrato durante il nostro itinerario). Entrambi i monumenti furono inaugurati in occasione delle celebrazioni del trentennale della Liberazione di Arezzo.

La scelta di collocare il monumento all’interno del cimitero urbano aggiunge un ulteriore livello di solennità e rispetto: questo luogo, già dedicato alla memoria dei defunti, diventa anche un santuario per ricordare i caduti della Resistenza. Colpisce in questa scultura la rappresentazione di questi corpi senza volto che sembrano voler lottare per liberarsi dall’agonia che li costringe[3]. Sono corpi addossati l’uno all’altro, chi in movimento, chi accasciato, chi con le braccia protese in alto “come a voler rompere il momento di disperazione”, le stesse braccia che si allungano, come abbiamo visto, nel monumento alla Resistenza in Piazza Poggio del Sole.

 

Dal Cimitero Urbano procediamo in direzione sud-est e percorriamo via Francesco Redi per circa 20 minuti, svoltando a sinistra in via Francesco Severi possiamo scorgere in un edificio all’altezza del primo piano, posta sul muro esterno, la Lapide del Fiume, una lapide marmorea con elementi di rilievo collocata a perenne ricordo dei partigiani Giuseppe Mugnani, Corrado Luttini e Quinto Genalti. I primi due furono partigiani di Sansepolcro della formazione “Eduino Francini” fucilati a Villa Santinelli di San Pietro (Città di Castello), il 27 marzo 1944 (ad entrambi è stata conferita la medaglia di bronzo al valor militare alla memoria)[4];  mentre il terzo Quinto Genalti, perse la vita nella strage di San Polo, l’eccidio commesso dalle truppe naziste in ritirata dall’aretino il 14 luglio 1944, due giorni prima della liberazione della città.

Dopo la guerra, nel 1961, la comunità di Arezzo decise di onorare la memoria di questi partigiani non ancora ventenni, nati ad Arezzo, con una lapide per mantenere vivo il ricordo di questi eroi locali che combatterono contro l’oppressione nazifascista, spesso a costo della propria vita.

(Alzando lo sguardo quando siamo lì dedichiamoli un pensiero).

 

Lapide del Fiume, “Il fiume ai partigiani, Giuseppe Magnani, Corrado Luttini, Quinto Genalti, caduti eroicamente per la libertà nel 17° del proprio sacrificio”.

 

Tornando indietro per via Francesco Severi, all’incrocio con Viale Redi svoltiamo a sinistra in via Eugenio Calò fino ad arrivare all’incrocio con via Anconetana, giunti al bivio svoltiamo a destra e percorriamo poche centinaia di metri fino a quando sulla sinistra troviamo il cippo commemorativo ad Eliseo Brocherel.

 

Cippo ad Eliseo Brocherel.

 

Giovane partigiano di appena 23 anni ucciso da un fascista repubblichino, Domenico Pancacci, per essersi rifiutato di fornire informazioni sui partigiani e sugli esponenti della Resistenza. Era il 6 giugno 1944 quando Eliseo Brocherel fu ammazzato con due colpi alla schiena. In sua memoria nel luglio 1964 in via Anconetana – luogo in cui avvennero i fatti – venne eretto un cippo. La stele che non versava in un buono stato di conservazione, come possiamo vedere dalla foto, è stata restaurata nel giugno del 2023.

 

Anche se non riguardano propriamente la Resistenza, ma sempre commemorativi ai caduti della seconda guerra mondiale, abbiamo inserito nel tour altre due tappe per rendere più uniforme il nostro percorso: il Monumento ai caduti dell’artiglieria e il Monumento ai caduti del mare.

Lasciato alle spalle il cippo di Brocherel proseguiamo in direzione nord-ovest, svoltiamo a sinistra e dopo pochi passi in via del Pantano ci immettiamo in via Raffaele Sanzio che percorriamo in direzione sud-ovest fino ad arrivare ad una rotonda dove svolteremo a destra su Viale Giotto. Dopo aver percorso pochi metri troviamo sulla sinistra una piccola area verde al cui interno è collocato il Monumento ai caduti dell’Artiglieria. Si tratta di un cannone in bronzo e ferro di colore verde militare che poggia su una piattaforma di cemento. Il monumento vuole rendere omaggio a tutti coloro che hanno dato la vita per difendere il paese combattendo contro mezzi terrestri e aerei per proteggere i confini.

 

Monumento ai caduti dell’artiglieria.

 

Poi percorriamo viale Giotto fino ad arrivare all’incrocio con viale Luca Signorelli, dove giriamo a destra fino a giungere largo Inigo Campioni, qui vi è un piccolo parco all’interno del quale è posto il Monumento ai caduti del mare. Il monumento è costituito da una base di pietra triangolare, su cui è posta un’altra pietra di forma piramidale simile ad uno scoglio, che sostiene una grande ancora di ferro, con la sua catena. Su una lastra di pietra posta davanti vi è la scritta “Arezzo ai caduti del mare”.

 

Monumento ai caduti del mare.

 

 

 

 

 

 

L’itinerario prosegue in direzione nord prendendo il viale Andrea Sansovino e svoltando poi a sinistra giungiamo in piazzetta San Niccolò dove si trova il Cippo in memoria di Isolina Boldi e Anna Lisa Innocenti, due donne, madre e figlia, vittime della ferocia della guerra. Un monumento inaugurato nel settantesimo anniversario dall’eccidio, che ricorda una vicenda terribile, legata ad uno dei tanti crimini compiuti dai nazisti nel territorio aretino.

 

 

Il Cippo di San Niccolò: “Isolina Boldi e Anna Lisa Innocenti, madre e figlia, il 3 luglio 1944 nel difendersi con coraggio caddero vittime della ferocia nazista nell’eccidio di Toppo Fighine di Policiano, per non dimenticare la figlia Vanda Innocenti dona al comune di Arezzo, 3 luglio 2024”.

 

Le truppe tedesche, sospinte dall’avanzata degli alleati, si ritiravano verso nord attestandosi su linee difensive sempre più arretrate con l’unico scopo di ritardare quanto più possibile la linea del fronte, così da ultimare la costruzione della Linea Gotica, ultima risorsa tedesca per bloccare l’avanzata degli angloamericani. Durante la ritirata i tedeschi, come lupi affamati, razziavano portandosi via generi alimentari, animali, e qualsiasi bene materiale che trovavano nelle case coloniche sparse per la campagna. In una di queste case dove si era rifugiata, scappando dai bombardamenti nella città di Arezzo, la famiglia Innocenti, il 3 luglio del ’44 fecero irruzione due soldati tedeschi. In quel momento in casa c’erano le figlie Adriana e Anna Lisa e la madre Isolina. Quest’ultima intuendo le intenzioni dei due uomini, che avevano invitato le ragazze a seguirli in camera da letto, tentò di opporsi ma una mitragliata la colpì insieme alla figlia Anna Lisa che rimasero inermi sul pavimento. Anche Adriana rimase ferita alle gambe ed uno dei due tedeschi volendole dare il colpo di grazia le sparò con la pistola all’addome. I due militari credendole tutte e tre morte se ne andarono via. Ma Adriana rimase solo ferita in quanto la pallottola perforandole il rene uscì dalla schiena. Solo nella tarda mattinata del giorno successivo fu trovata dagli abitanti della zona e fu portata all’ospedale di Cortona. La ragazza si salvò e raccontò questa sua terribile storia in un manoscritto inedito da cui Enzo Gradassi ha riportato l’avvenimento nel testo “Innocenti. Un eccidio aretino nel 1944”, edito da “Le Balze”[5].

 

Lasciando l’ultimo monumento alle spalle delle due donne barbaramente uccise, nella via di ritorno molto probabilmente le tristi e sofferenti storie dei caduti della Resistenza rimbalzeranno nella mente rendendoci consapevoli che la memoria è necessaria: dobbiamo ricordare perché le cose che si dimenticano potrebbero ritornare (Mario Rigoni Stern).

 

Questo “percorso-resistente” si effettua in circa due ore di cammino che può variare in conseguenza al tempo che ognuno di noi decide di soffermarsi davanti ai vari luoghi della memoria.

 

NOTE:

[1] Motivazione di concessione della Medaglia d’oro per attività partigiana.

[2] Massimo Baioni e Camillo Brezzi (a cura di), Memorie scolpite. Itinerari tra i monumenti alla Resistenza nella provincia di Arezzo, Maschietto e Musolino, Arezzo 2000, p. 30.

[3] Ibidem.

[4] Nella notte dal 24 al 25 marzo un gruppo di partigiani toscani della formazione di Eduino Francini, che agiva sui monti di Sansepolcro e che era di passaggio per la zona, occuparono per qualche giorno Villa Santinelli. Scoperta la loro presenza, furono assediati e costretti alla resa da ingenti truppe fasciste e da un reparto corazzato tedesco. Dei 18 componenti della banda, 9 furono fucilati, 4 incarcerati, gli altri riuscirono a sfuggire alla cattura.

[5] Enzo Gradassi, Innocenti. Un eccidio aretino nel 1944, Le Balze, Montepulciano 2006.

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel settembre 2024.

 

 

 




Monte Giovi e dintorni: memorie e commemorazioni della Resistenza in provincia di Firenze

La piramide in ricordo del contributo femminile alla Resistenza In ricordo del contributo femminile alla Resistenza ed alla Costituzione dello Stato Repubblicano

Monte Giovi è un complesso montuoso situato nella provincia di Firenze, entro la dorsale appenninica di Monte Morello e Monte Senario, che separa il Mugello dal Valdarno e dalla Valdisieve. Il suo territorio è diviso tra i comuni di Pontassieve e Borgo San Lorenzo e, in misura minore, da quelli di Rufina, Vicchio e Dicomano.

Foto da Google Maps di Monte Giovi dal satellite

Il massiccio raggiunge l’altitudine maggiore nella sua cima (992 metri), ma lungo il crinale principale si trovano anche Poggio Ripaghera (914 metri) e Monte Calvana (913 metri) [1].

A dimostrazione della centralità di Monte Giovi negli eventi della Resistenza toscana, la Provincia di Firenze assieme alle Comunità montane “Montagna Fiorentina” e “Mugello” e ai comuni di Borgo San Lorenzo, Dicomano, Pontassieve e Vicchio vi hanno istituito un parco dedicato alla guerra di Liberazione chiamato, “Parco culturale della Memoria”.

Dopo l’8 settembre, giorno dell’armistizio, Monte Giovi fu uno dei luoghi dove i primi “ribelli” si aggregarono in formazioni partigiane. È qui che si costituirono alcune delle più famose brigate.

Tra la popolazione dei paesi presso Monte Giovi e coloro che parteciparono alla Resistenza si creò un legame di collaborazione. Molti, tra cui Acone, tutt’oggi luogo della memoria del Monte, offrirono rifugio, non senza ferite, come dimostrano le varie stragi nel territorio.

I partigiani ricambiarono, salvando i beni dei contadini dai sequestri che operavano i tedeschi o dall’ammasso obbligatorio che esigevano i fascisti, per poi riconsegnarli di soppiatto con la complicità dei “derubati”.

Fra i primi gruppi partigiani ci fu il “Gruppo Pontassieve” rimasto noto per la volontà di agire in totale indipendenza: i partigiani che lo costituivano non si aggregarono alle altre formazioni se non dopo il suo scioglimento. Sempre a Monte Giovi si formarono la “Faliero Pucci” e la “Spartaco Lavagnini”. Qui operarono anche la “Caiani” e la “Lanciotto Ballerini”.

Ai partigiani si unirono alcuni prigionieri di guerra russi, allora reclusi in un campo nei pressi della vetta del monte, a Tamburino, che poi avevano trovato rifugio ad Acone.

Nell’agosto del ’44 da qui partì o transitò buona parte dei partigiani che contribuirono alla battaglia di Firenze.

I tedeschi e i fascisti non restarono, però, in questi mesi, con le mani in mano. Durante la ritirata nazifascista, in vari gruppi di partigiani erano presenti anche spie e infiltrati. Il loro ruolo serviva a minare ulteriormente il rapporto tra le varie brigate e la popolazione civile, spesso vittima di ritorsioni.

Per quel che riguarda il versante pontassievese e rufinese, è bene ricordare che quel territorio, dopo l’8 settembre 1943, diventò un obiettivo di grande interesse per gli Alleati e le loro azioni aeree, essendo Pontassieve un importante snodo ferroviario e stradale, oltre ad essere sede delle Officine delle Ferrovie dello Stato. Come del resto in tutta la Toscana, i bombardamenti e le rappresaglie tedesche non mancarono, essendo stata quella toscana una terra martirizzata dalla ritirata nemica.

Monte Giovi e la sua popolazione subirono molte ferite proprio in quell’anno. A fronte del forte legame tra i partigiani e la cittadinanza, si verificarono eventi drammatici, come in molte altre zone d’Italia.

Già durante gli ultimi mesi del 1943 si erano intensificati gli scontri tra nazi-fascisti e ribelli, come dimostra il tafferuglio scoppiato a Nave di Ponte a Vico, tra Pontassieve e Rufina. Pontassieve venne inoltre presa di mira dai bombardamenti.

Nella primavera del 1944, fascisti e tedeschi avevano cercato di intercettare le formazioni partigiane tra Monte Giovi e Falterona, così come nei mesi seguenti. Nei monti del Mugello e della Valdisieve si rifugiavano molte squadre di ribelli che, via via, si andarono strutturando. Tristemente noto l’eccidio nazifascista consumatosi a Berceto (Rufina) [2][3], tappa del Sentiero della Memoria, il 17 aprile 1944. In quell’occasione, proprio durante una di queste intercettazioni, nell’incontro-scontro tra nazifascisti e partigiani, sempre per rappresaglia, furono uccise undici persone, compresi donne e bambini.

Giovanni Baldini, Monumento per la strage di Berceto, in ResistenzaToscana.it, 2 ottobre 2006

Nel frattempo, nel maggio del 1944, il movimento partigiano fiorentino fu costretto a riorganizzarsi. L’obiettivo era quello di superare il modello delle piccole formazioni autonome, per passare ad una grande formazione unica, un’unica brigata partigiana. Tale compito fu affidato dai centri dirigenti fiorentini a Aligi Barducci (“Potente”), dal 24 maggio 1944 alla guida della prima Brigata “Garibaldi”, la “Lanciotto Ballerini”. La Brigata si ricostituì proprio su Monte Giovi [4].

Anche il mese di giugno era iniziato con uno scontro tra tedeschi e partigiani, proprio sul Monte Giovi, a Monte Rotondo, presso Casa Messeri, coinvolgendo la 10° Brigata “Garibaldi”, la “Caiani”, dove morirono un partigiano e tre tedeschi. Seguirono bombardamenti degli Alleati su Pontassieve per rendere difficile ai tedeschi di raggiungere Firenze [5].

È in questo contesto che si verificò anche la triste vicenda della Pievecchia, a Pontassieve, l’8 giugno 1944, dove quattordici uomini vennero uccisi, di cui tredici fucilati durante la rappresaglia tedesca, con l’obiettivo di punire la popolazione inerme [6][7].

Pievecchia, Ok!Valdisieve

Tra il 10 e l’11 luglio 1944 si consumerà un nuovo eccidio, questa nel versante mugellano, verso Vicchio. Il mattino del 10 luglio, si presentò alla fattoria di Padulivo, a circa 6 km da Vicchio, alle pendici di Monte Giovi, un reparto di SS con circa una sessantina di uomini. La fattoria ospitava allora circa centocinquanta sfollati mentre il proprietario, Aldo Galardi, aiutava, saltuariamente, le locali formazioni partigiane.

Durante la perquisizione, i tedeschi si accorsero della mancanza di un cavallo che era stato nei giorni precedenti requisito dai partigiani. Questi furono avvertiti della presenza dei tedeschi e tesero un’imboscata poco lontano da Padulivo, quando le SS si stavano ritirando. Un tedesco venne ferito, mentre un altro morì. I tedeschi, tornati alla fattoria, arrestarono tutti coloro che trovarono, prima di appiccare il fuoco all’abitato.

Per rappresaglia, sul ponte dove avevano subito l’agguato, le SS giustiziarono, tra gli arrestati, dieci uomini e una donna; solo uno degli uomini sopravvisse. Dopo una notte di prigionia, i catturati subirono un interrogatorio e furono rilasciati, tranne quattro uomini e tre donne. Gli uomini furono portati di nuovo nel luogo dell’agguato partigiano e uccisi, mentre le donne vennero liberate [8].

In ricordo della triste vicenda è stato posto un cippo in località Padulivo nel 1994. Ogni anno, inoltre, il Comune di Vicchio con l’Anpi locale commemora l’eccidio.

Sempre sul versante mugellano, in zona Borgo San Lorenzo, villa Cerchiai, presso Sagginale, fu attaccata, verso la metà dell’agosto 1944, da alcuni tedeschi che tentarono un accerchiamento delle forze partigiane.

Nello stesso mese vi sarà la strage della famiglia Einstein , nota anche come strage di Rignano o strage del Focardo (3 agosto 1944) e la strage alle ville e fattorie di Legacciolo e di Podernovo, alla Consuma (25-26 agosto 1944), per ricordare altri tristi eventi, non troppo distanti da Monte Giovi [9].

Posteriore e ben diverso il fatto che scosse il Santuario della Madonna del Sasso, vicino a Santa Brigida, reso noto dal romanzo di Cassola, La ragazza di Bube. Il conflitto era da poco terminato, ma tra le macerie ancora ancora ben visibili, la popolazione era divisa dalla guerra civile.

Santuario del Sasso

Il 13 maggio 1945, in occasione della festa alla Madonna del Sasso, infatti, una normale giornata di preghiera e di celebrazioni religiose, sfociò nel caos. Fuori dalla chiesa, prima della funzione, il Rettore del Santuario e tre giovani, ex partigiani, si scontrarono verbalmente, a causa dei vestiti “succinti” di quest’ultimi. Nella discussione intervenne il Maresciallo dei Carabinieri Carmine Zuddas, incaricato della sorveglianza, recatosi al Sasso con la moglie e il figlio diciassettenne. La situazione degenerò: pare che alcuni abbiano tentato di disarmare il Carabiniere, dopo che questi aveva sparato un colpo in aria per ristabilire l’ordine. Stando alle testimonianze, il figlio, impugnata la pistola, avrebbe sparato in direzione di uno dei giovani, il pollivendolo Luigi Panchetti, colpendolo a morte. Le persone attorno fermarono i due uomini, il Maresciallo e il figlio, rinchiudendoli in una stanza della canonica, fino all’arrivo di alcuni partigiani, tra cui Renato Ciambri (Bube), che sparò contro il ragazzo, uccidendolo.

Vennero arrestate 10 persone, dopo le prime indagini, 7 delle quali facenti parte del Corpo Volontari della Libertà. Tutti si dichiararono colpevoli, eccetto Bube.

Il processo si tenne a Torino nel settembre 1946: alla difesa dei giovani contribuirono molti pontassievesi, con una raccolta fondi organizzata nella Casa del popolo di S. Brigida.

La dinamica non è tutt’oggi chiara, Bube si è sempre dichiarato innocente, ma l’evento è significativo di quel clima di passaggio, di tensione e di giustizia sommaria nel dopoguerra italiano. Chiunque si riteneva portatore di una giustizia, spesso in contrasto con le altre. Qualcuno giustificò l’accaduto poiché il Carabiniere era stato antipartigiano e un fascista, stando a certe voci. La vicenda stessa è caduta nell’oblio, già al tempo, complice il Partito Comunista di Pontassieve, reticente e forse -inconsciamente- desideroso di guardare al futuro nel clima di psicosi generale anticomunista, tipica degli ultimi anni Quaranta [10].

La vicenda ispirò Carlo Cassola che la raccontò nel suo romanzo, La ragazza di Bube [11], dal quale Comencini trasse la storia per farne un film. Nada Giorgi, protagonista del libro assieme al marito, non sentendosi ben rappresentata da Cassola, ha in seguito delegato a Massimo Biagioni la scrittura di un altro libro sulla vicenda (Biagioni M., Nada. La ragazza di Bube, Edizioni Polistampa, 2006) [12].

Nessuna lapide ricorda l’evento al Santuario e non vi sono commemorazioni e cerimonie ufficiali al riguardo.

Monte Giovi è rimasto invece un luogo simbolico della Resistenza locale, dove ogni anno si tiene una vera e propria festa dei Partigiani e dei Giovani. Una festa per socializzare e commemorare, come viene definita. L’evento si tiene proprio nel versante pontassievese, presso Acone, piccola frazione in collina.

Tutti gli anni, a cominciare dal 1949, il secondo fine settimana di luglio, l’ANPI della provincia di Firenze con la collaborazione delle Case del Popolo dei paesi vicini, delle Pro-loco e altre associazioni organizza una festa sulla cima del Monte. La manifestazione si articola in due giorni, il sabato dedicato ai giovani, con spettacoli e balli che durano fino a notte fonda, e la domenica, quando si tengono, invece, le commemorazioni e le orazioni ufficiali. Visto che la strada dalla Rufina è lunga ed arrivare ad Acone non è semplice, in molti campeggiano nell’abetina di Fonte alla Capra.

Nella due giorni sono anche attivi stands gastronomici, si effettua la vendita di libri tematici e altre manifestazioni che variano ogni anno [13].

 

Panel presso Acone

 

Monumento in ricordo della Resistenza ad Acone

 

La piramide in ricordo del contributo femminile alla ResistenzaIn ricordo del contributo femminile alla Resistenza ed alla Costituzione dello Stato Repubblicano

La piramide in ricordo del contributo femminile alla Resistenza
In ricordo del contributo
femminile alla Resistenza
ed alla Costituzione
dello Stato Repubblicano

 

Spiazzo ad Acone, dove si tiene-ogni anno-la Festa dei partigiani e dei giovani

 

Note:

[1] Vivi Acone! https://viviacone.it/acone/luoghi-da-visitare/monte-giovi/ [consultato nel maggio 2024]

[2] Vangelisti, Lazzaro, Una vita trascorsa sotto tre regimi, Consiglio Regionale della Toscana, Edizioni dell’Assemblea, 2014

[3] Atlante stragi nazifasciste, Berceto, Rufina, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2308 [consultato nel mese di maggio 2024]

[4] cfr.  Fusi, Francesco, Comunità in guerra. Valdisieve 1940-1944, Pacini, Pisa, 2024, pp. 322-323

[5] cfr. Ivi, p. 322

[6] Atlante stragi nazifasciste, Pievecchia, Pontassieve, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2400 [consultato nel mese di maggio 2024]

[7] cfr. Biagioni, Massimo, Achtung! Banditen! L’eccidio di Pievecchia a Pontassieve, Polistampa, Firenze, 2008

[8]Atlante stragi nazifasciste, Ponte a Vicchio e Strada Padulivo-Vicchio, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2412  [consultato nel mese di maggio 2024]

[9] Atlante stragi nazifasciste, Consuma, Pelago, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2371 [consultato nel mese di maggio 2024]

[10] Mazzoni, Dania, Attraverso la bufera. Pontassieve fra guerra, Resistenza e ricostruzione (1943-1948), Comune di Pontassieve, 1990, pp. 142-144

[11] Cassola, Carlo, La ragazza di Bube, Einaudi, Torino, 1960

[12] Biagioni M., Nada. La ragazza di Bube, Edizioni Polistampa, Firenze, 2006

[13] Baldini, Giovanni, Monte Giovi, ResistenzaToscana.it, (9 gennaio 2004), https://resistenzatoscana.org/storie/monte_giovi/ ]

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel luglio 2024.




Percorsi tra Storia e memoria sul Monte Giovi

La Città Metropolitana fiorentina, assieme alle comunità montane “Montagna Fiorentina” e “Mugello” e ai comuni di Pontassieve, Borgo San Lorenzo, Vicchio e Dicomano hanno istituito sul Monte Giovi un parco dedicato alla guerra di Liberazione, chiamato Parco culturale della Memoria, una sorta di «museo diffuso».

Come primo atto della costituzione del Parco culturale della Memoria, per il 60° Anniversario della Liberazione, l’ANPI di Firenze, con il gruppo escursionisti “Geo”, ha promosso una serie di “itinerari partigiani sul monte Giovi”, utilizzando in gran parte la sentieristica attivata dal CAI (Club Alpino Italiano) e intitolando i singoli sentieri a personalità o a gruppi di azione protagonisti dell’antifascismo e della Resistenza.

Il progetto è stato concepito in attuazione della Legge regionale N. 38/02 contenente “Norme in materia di tutela e valorizzazione del patrimonio storico, politico e culturale dell’antifascismo e della Resistenza e di promozione di una cultura di libertà, democrazia, pace e collaborazione tra i popoli” [1].

Oltre alla finalità principale, cioè, promuovere la memoria degli eventi della Resistenza, il progetto si propone di recuperare la viabilità rurale che collega i quattro comuni compresi nell’accordo per valorizzare e rendere nuovamente fruibile la viabilità “secondaria” di un tempo. Il progetto comprende inoltre obiettivi di diffusione e di animazione culturale e sociale e precisi interventi sul territorio, tra i quali la costruzione di un monumento alla Memoria sulla vetta del monte Giovi. L’iniziativa, di alto valore culturale, coinvolge un territorio importante nella guerra di Liberazione, della quale tuttavia non conserva permanenze consistenti. Non meno rilevanti la salvaguardia della flora e della fauna locali, come il Cisto laurino (detto anche fiore della Madonna), unica presenza di tale arbusto in Italia.

Il Parco culturale è stato presentato a Firenze il 12 dicembre 2008 presso la sede della Provincia a Palazzo Medici Riccardi e prevede cinque diversi percorsi tematici:

 

MugelloToscana.it

Sentiero 1

Pievecchia-Acone [2]:

Acone (Pontassieve) – Galiga – Passo Aceraia – Prati Nuovi – Acone

Accesso principale da Pontassieve a Le Colline (8,5 chilometri); da Scopeti ad Acone (6 km). Durante questo itinerario si ricorda la rappresaglia della Pievecchia, quando i tedeschi uccisero 14 innocenti l’8 giugno 1944.

  • Lunghezza anello: 16,5 km
  • Dislivello anello max: 333 m ca. in salita, 627 m ca. in discesa
  • Tempo di percorrenza: 5,30 ore
  • Difficoltà: medio-alta

Sentiero 2

Barbiana-Padulivo [3]: Accesso principale da Dicomano a Tamburino (7,0 chilometri). Anche in questo itinerario, che porta ai luoghi cari a Don Milani, si ricorda l’eccidio di Padulivo, quando il 10 luglio 1944 i tedeschi trucidarono 15 persone.

Mulino di Baldracca (Vicchio)- San Martino a Scopeto – Tamburino – Piramide Brigate Partigiane – Barbiana – Padulivo – Mulino di Baldracca

  • Lunghezza anello: 14 km
  • Dislivello anello max: 530 m ca. in salita, 631 m ca. in discesa
  • Tempo di percorrenza: 4,20 ore
  • Difficoltà: medio-alta

La località mugellana è inoltre parte dell’itinerario denominato “Sentiero della Resistenza”, realizzato grazie a una convenzione con la Presidenza del Consiglio dei ministri – che parte dal cippo che commemora la strage nazifascista di Padulivo a Vicchio e si compone di 33 pannelli, disegnati da studenti e studentesse dell’Accademia di Belle Arti di Firenze e di altre scuole. I pannelli richiamano importanti episodi storici e stralci di lettere dei condannati a morte della Resistenza locale, nazionale ed europea (https://www.donlorenzomilani.it/sentiero-della-resistenza/) [4].

Sentiero 3

Madonna del Sasso: Accesso principale da Polcanto alla cascina di Monterotondo (5,2 chilometri). In questo itinerario si ricorda un evento del 1945 quando, presso il Santuario della Madonna del Sasso, vennero uccisi un maresciallo dei Carabinieri, suo figlio ed un militante comunista. Questi fatti ispirarono il romanzo di Carlo Cassola, La ragazza di Bube.

Santa Brigida (Pontassieve) – Madonna del Sasso – Monte Rotondo – Passo dell’Aceraia – Croce di Aceraia – Santa Brigida

  • Lunghezza anello: 11,5 km
  • Dislivello anello max: 495 m ca. in salita, 398 m ca. in discesa
  • Tempo di percorrenza: 5,15 ore
  • Difficoltà: medio-alta

Sentiero 4

Monte Giovi: Recenti ritrovamenti hanno accertato che qui, in epoche remote, esisteva un luogo di culto, probabilmente dedicato a Giove. Lungo questo itinerario, si trova anche la piramide delle Brigate partigiane e Casa al Cerro (una delle basi più utilizzate dei partigiani). Presso Fonte alla Capra si tiene ogni anno, nella seconda domenica di luglio, il Raduno dei Partigiani e dei giovani di Monte Giovi.

Tamburino – San Giusto – Prati Nuovi – Casa Cerro – Monte Giovi – Piramide Brigate Partigiane – Tamburino

  • Lunghezza anello: 6 km
  • Dislivello anello max: 188 m ca. in salita, 188 m ca. in discesa
  • Tempo di percorrenza: 2,10 ore anello (+ 3 ore con l’ingresso da Dicomano – Celle – Fostia – Pruneta – Tamburino)
  • Difficoltà: media

Piramide Brigate Partigiane (Acone)

 

Sentiero 5

Monte Rotondo: Accesso Principale da Sagginale all’intersezione con il sentiero CAI 3. In questo itinerario si trova villa Cerchiai, attaccata verso la metà dell’agosto 1944, dai tedeschi che tentarono un accerchiamento delle forze partigiane.

(San Cresci – Borgo San Lorenzo) – Innesto sentiero 3/A – Villa Cerchiai – Passo dell’Aceraia – Monte Rotondo – Montepulico – Poggio Santa Margherita – Campiano – Innesto sentiero 9 – (San Cresci)

  • Lunghezza anello: 16 km (da innesto sentiero 3/A a innesto sentiero 9)
  • Dislivello anello max: 530 m ca. in salita, 290 m ca. in discesa
  • Tempo di percorrenza: 5,10 ore anello+ 1 ora da San Cresci
  • Difficoltà: media

 

Il 25 aprile 2009 è stato inoltre inaugurato il Sentiero della Memoria, percorribile anche a cavallo ed in mountain-bike, che unisce Pontassieve alla Consuma passando da Rufina e da tre luoghi ove nel 1944 sono avvenute stragi di civili. Il sentiero, voluto dai Comuni di Pelago, Pontassieve e Rufina e dalla Comunità Montana della Montagna Fiorentina, è stato realizzato dal Gruppo Escursionisti Organizzati di Sieci e dalla Sottosezione di Pontassieve.

Riguardo a quel che avvenne in quei tragici giorni e alle vittime, è stata stampata una Cartoguida, distribuita gratuitamente dai Comuni, dal GEO, dalla Sottosezione di Pontassieve e scaricabile anche da https://www.caipontassieve.it/sentiero-della-memoria/, insieme alle tracce GPS.

Cartoguida lato carta, Sentiero della Memoria, CAI, Sezione di Firenze, sottosezione di Pontassieve “Romano Pini”

Cartoguida lato guida, Sentiero della Memoria, CAI, Sezione di Firenze, sottosezione di Pontassieve “Romano Pini” [5]

Il sentiero è lungo complessivamente circa 29 km e, percorrendolo da Pontassieve verso la Consuma, ha un dislivello complessivo di circa 1680 metri in salita e 800 in discesa.

In estrema sintesi. La partenza è nelle vicinanze del municipio di Pontassieve; il primo tratto, in comune con il sentiero 7, salendo conduce fuori dal paese. Dopo un tratto in prevalenza boscoso, ma non privo di scorci panoramici, si giunge alla Pievecchia. Il sentiero prosegue fino alla strada asfaltata proveniente da Monterifrassine, che seguirà fino a Montebonello, con il massiccio del Monte Giovi sulla sinistra a dominare in distanza la scena, mentre quello della Secchieta che fa capolino sulla destra. Superato il paese di Rufina, s’imbocca la vallata di Pomino, fino al piccolo borgo di Pinzano. Da lì, in breve, si perviene poi a Pomino, sino a Berceto, ove avvenne la strage del 17 aprile 1944 [6]. Passato il bosco e preso il sentiero 5, si giunge alla strada regionale per la Consuma [7], fino alla fattoria di Podernuovo, per arrivare poi alla villa, luogo della terza strage, compiuta il 25 agosto 1944. Proseguendo, si giunge alla villa di Lagacciolo. Il Sentiero della Memoria incontra quindi il sentiero 6, a cui si sovrappone fino alla Consuma, dove arriva anche il 5.

Tornando al Monte Giovi, dunque, esso è ricco di percorsi per gli amanti del trekking che della Storia. Questi, infatti, hanno la possibilità di raggiungere e osservare alcuni dei luoghi chiave e dei siti della Resistenza, segnalati da panel descrittivi. È comunque bene ricordare che Monte Giovi è noto anche per le burraie (percorso delle burraie) e per il parco archeologico, con i relativi ritrovamenti etruschi.

Una menzione particolare va fatta per il paese di Acone, piccola frazione nel comune di Pontassieve, dove ogni anno si organizza una festa per commemorare i fatti del 1944.

 

Note

  1. Nel Parco culturale di Monte Giovi, MugelloToscana.it, https://www.mugellotoscana.it/it/details/3-ristoranti/146-trattoria-lago-azzurro.html?mlt=ja_purity&tmpl=component [consultato nel maggio 2024]
  2. Atlante stragi nazifasciste, Pievecchia, Pontassieve, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2400 [consultato nel mese di maggio 2024]; cfr. Biagioni, Massimo, Achtung! Banditen! L’eccidio di Pievecchia a Pontassieve, Polistampa, Firenze, 2008
  3. Atlante stragi nazifasciste, Ponte a Vicchio e Strada Padulivo-Vicchio, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2412 [consultato nel mese di maggio 2024]
  4. Sentiero della Resistenza, Fondazione Don Lorenzo Milani, https://www.donlorenzomilani.it/sentiero-della-resistenza/
  5. Sentiero della Memoria, CAI Sezione di Firenze Sottosezione di Pontassieve “Romano Pini”, https://www.caipontassieve.it/sentiero-della-memoria/ [consultato nel mese di maggio 2024]
  6. Atlante stragi nazifasciste, Berceto, Rufina, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2308 [consultato nel mese di maggio 2024]
  7. Atlante stragi nazifasciste, Consuma, Pelago, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2371 [consultato nel mese di maggio 2024]

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel giugno 2024.




Vialibera: una mappa per conoscere la Resistenza a Pisa

Inaugurato in occasione del 70° anniversario della liberazione di Pisa, il 2 settembre 2014, Vialibera è un itinerario  per i luoghi dell’antifascismo e della Resistenza a Pisa. Il progetto realizzato dal Comune e dall’ANPI provinciale di Pisa ha censito 27 luoghi per la città inerenti l’antifascismo, la resistenza e la liberazione e la ricostruzione. Sono stati apposti dei pannelli che sintetizzano le storie delle vicende e dei protagonisti di quei fatti dai quali attraverso un codice QR è possibile accedere ai contenuti speciali (documenti e immagini) sul sito www.vialibera.org.

Le tappe includono luoghi che ricordano i primi circoli antifascisti pisani in epoca fascista, la guerra con i bombardamenti alleati e gli eccidi nazisti, la reazione delle autorità e del clero per aiutare i civili a sopravvivere in città, la liberazione e la prima giunta democratica.

Alcuni itinerari consigliati

1. Itinerario breve: Per poter avere un’idea generale di cosa è stata la Resistenza a Pisa Vialibera.org consiglia un itinerario di circa 3 Km da svolgere in 1h che parte da via del Carmine (dietro corso Italia) e giunge nei pressi della Torre. Strade tipicamente percorse dai turisti che però potranno essere lette con uno sguardo nuovo. Si partirà col racconto delle prime riunioni clandestine che hanno alimentato il pensiero antifascista fino a giungere in Piazza dell’Arcivescovado, dietro la Torre, luogo simbolo della Liberazione.

Altri itinerari sono stati realizzati, sulla base dei pannelli di Vialibera anche dall’associazione MemorySharing e dal CISE, Centro interdipartimentale di studi ebraici dell’Università di Pisa.

Itinerario 1: Ebrei tra fascismo e antifascismo a Pisa (1921-1943)

L’itinerario intende presentare la storia di Pisa e degli ebrei pisani tra fascismo e antifascismo. Il percorso prenderà avvio da una parte dal racconto delle violenze squadriste degli anni ’20 e della nascita e l’avvento al potere del fascismo e d’altra parte dalle prime esperienze antifasciste, con l’organizzazione di una embrionale organizzazione pisana, come per esempio il movimento unitario nato nelle carceri di San Matteo (pannello 1). Si passerà poi a trattare la politica antiebraica e le conseguenze che questa provocò sul territorio (pannelli 4 e 9). Il percorso proseguirà poi con l’analisi dell’atteggiamento della Chiesa pisana di fronte al fascismo (pannello 5) e la costituzione di altri gruppi antifascisti (pannello 3). Il percorso si chiuderà con l’analisi dell’entrata in guerra dell’Italia e degli effetti dei primi due anni e mezzo di guerra sulla città, fino alla caduta del fascismo (pannello 10).

Itinerario 2: Ebrei, guerra e resistenza a Pisa (1943-1945)

L’itinerario intende presentare la realtà della guerra totale a Pisa. Saranno analizzate le reazioni alla caduta del fascismo (pannello 10) e alla firma dell’armistizio (pannello 13), la politica del massacro messa in atto dagli occupanti tedeschi e dai fascisti repubblicani contro la popolazione civile e contro gli ebrei, come Pardo Roques (pannelli 21 e 11), le attività delle formazioni partigiane (pannello 20), e delle donne come Livia Gereschi o Licia Rosati (pannello 23) fino alla liberazione della città da parte degli Alleati (pannello 25).