Sempre per non dimenticare

Il nostro percorso storico, per mantenere viva la memoria, attraverso i luoghi che sono stati teatro della lotta per la Liberazione nella provincia aretina, iniziato con la città di Arezzo e proseguito via via con Molin dei Falchi, Pietramala, San Polo, Badicroce, Palazzo del Pero, Staggiano, Mulinaccio e Chiassa Superiore per giungere alla Valtiberina a Monterchi, Anghiari, Caprese Michelangelo e Badia Tedalda, si conclude, sempre in Valtiberina, con i comuni di Sansepolcro, Pieve Santo Stefano e Sestino, con gli ultimi due completamente rasi al suolo com’erano soliti fare i nazisti durante la loro ritirata verso nord, incalzati dall’avanzata degli Alleati, che costituiscono l’ennesima prova, se ce n’era ancora bisogno, dell’efferatezza e disumana azione messa in atto dai nazisti nelle vallate aretine. Vuoi per ostacolare l’arrivo delle truppe angloamericane, vuoi per vendicarsi di un paese ritenuto traditore, vuoi per la frustrazione che sentivano nel ritirarsi davanti al nemico o per ritorsione nei confronti della popolazione che appoggiava ed alimentava la Resistenza, i tedeschi quando si ritiravano facevano “terra bruciata” dei luoghi che si lasciavano dietro e spesso non solo dei luoghi ma anche di vite umane con stragi ed eccidi perpetrati senza alcuna pietà. E tutto ciò non era frutto di un’improvvisazione casuale, ma calcolato scientificamente dalle autorità germaniche: il famoso befehl di Kesserling del 17 giugno 1944 incitava le milizie tedesche ad uccidere senza ritegno e a mettere a ferro e fuoco tutti i paesi e le città che venivano lasciate alle spalle durante la ritirata.

 

Quest’ultimo itinerario che prende le mosse da Sansepolcro fino a giungere a Sestino percorre parte della Valtiberina toscana, una zona al confine con l’Umbria, le Marche e la Romagna, regioni con caratteristiche diverse che ne hanno influenzato la storia, la cultura ed il paesaggio, lasciando segni ancora tangibili. È un territorio a cavallo tra Tirreno e Adriatico, difficile da raccontare in poche parole poiché non è solo la valle dove è nato il Tevere, che ha designato per millenni la fertile pianura, ma è anche montagna, anzi possiamo dire che sia molto più montagna che pianura. Una specie di “terra di mezzo” ricca di contrasti e di diversità, di storia e di segni di una cultura rurale che in molte parti d’Italia è ormai scomparsa. Un territorio che in larga parte durante la seconda guerra mondiale è stato attraversato dalla Linea Gotica, quel fronte di fortificazioni che tagliava in due lo stivale, e che insieme a tutta la provincia aretina è stato in prima fila nella lotta di liberazione nazionale dalla dittatura fascista e dall’occupazione nazista.

 

SANSEPOLCRO

Iniziamo il percorso da Sansepolcro, paese più grande della Valtiberina, che si trova lungo la Superstrada E45, collegamento tra la Romagna e l’Umbria. È velocemente raggiungibile anche da Anghiari, solo 8 chilometri di strada completamente dritta. Si trova a 34 chilometri dalla città di Arezzo ed è situato ai piedi dell’Alpe della Luna.

Il Paese ha dato i natali al pittore rinascimentale Piero della Francesca, nato intorno al 1416. Fra le opere che Sansepolcro ha ricevuto in eredità dal pittore, la Resurrezione è diventata lo stemma della città: un affresco realizzato nel 1460 circa che si trova all’interno del museo civico, a due passi dal Duomo e dal Palazzo Comunale. Ed è grazie a la Resurrezione se furono evitati i bombardamenti e la conseguente distruzione della città nell’estate del ’44 per l’intervento di un uomo innamorato dell’arte.

In Valtiberina sono in molti a conoscere la storia del capitano Antony Clarke, un giovane ufficiale inglese comandante di una batteria di artiglieria dislocata sulle colline a sud di Sansepolcro, che salvò la città dai bombardamenti. Egli, secondo la ricostruzione storica, disobbedì all’ordine di aprire il fuoco sulla città pierfrancescana perché si ricordò della lettura fatta in gioventù del saggio di Aldous Huxley nel quale narrava di un viaggio da Arezzo a Sansepolcro che meritava di essere fatto perché lì in quel paese vi era la Resurrezione di Piero della Francesca, che Huxley descriveva come “la più bella pittura del mondo”. E Clarke pur di non distruggere l’opera disobbedì agli ordini e grazie a questo gesto la città fu salvata dal cannoneggiamento alleato, proprio mentre i partigiani locali riuscirono autonomamente a respingere i tedeschi e prendere il controllo del suo centro storico[1].

Clarke in occasione del ventesimo Anniversario della Liberazione della città fu invitato a Sansepolcro dove fu accolto con grandi festeggiamenti. Ma sedici anni dopo a seguito di una lunga malattia il salvatore della Resurrezione morì e l’anno seguente, nel 1982, la Giunta comunale di Sansepolcro gli intitolò una strada.

 

Sansepolcro dopo l’8 settembre fino al giorno della Liberazione:

Dopo l’8 settembre Sansepolcro visse il dramma dell’occupazione tedesca con i conseguenti rastrellamenti e sfollamenti[2], inoltre la città venne invasa da sbandati di ogni sorta ai quali si unirono i circa 5.000 internati slavi evasi dal Campo di Renicci nella vicina cittadina di Anghiari, molti dei quali si dettero alla macchia per sfuggire dai rastrellamenti tedeschi e molti si arruolarono nelle file della Resistenza.

A Sansepolcro il 19 marzo del ‘44 in seguito all’aggressione di un fascista, con un’improvvisa ordinanza prefettizia, venne decretato il coprifuoco su tutto il territorio comunale con inizio alle ore sei del pomeriggio. Era un giorno di festa, l’ordinanza venne affissa in ritardo e i cittadini per protesta contro l’ennesimo ingiustificato sopruso si riunirono in piazza Berta per protestare, mentre un nucleo corposo di partigiani, per lo più appartenenti alla banda di Eduino Francini[3], avuta notizia, discesero dall’Alpe della Luna e riuscirono ad infiltrarsi in città nella tarda serata. I partigiani approfittarono dell’occasione per effettuare un’azione dimostrativa: assalirono la caserma dei carabinieri, occuparono il telefono pubblico e si appropriarono di un autobus scorrazzando per la città, ma successivamente con l’intervento delle autorità fasciste, che avevano ottenuto i rinforzi da Città di Castello, i partigiani furono costretti a ritirarsi[4].

Gli eventi del 19 marzo – come scrive lo storico Alvaro Tacchini – «suscitarono vasto eco, soprattutto per il significato politico della spontanea protesta di massa contro il regime fascista»[5], e ancora oggi, ogni 19 marzo, la popolazione di Sansepolcro ricorda ciò che successe ottant’anni fa.

 

Monumento che ricorda l’insurrezione del 19 marzo inaugurato nel 2014 nella strada intitolata a tale data.

 

Dopo la giornata del 19 marzo le formazioni partigiane che operavano sul territorio si divisero in tre gruppi: Eduino Francini si mosse verso l’Umbria insieme ai suoi compagni e ad altri ragazzi che si unirono a loro presso la zona di Molin Nuovo, costituendo un gruppo di 18 partigiani; altri tornarono sull’Alpe della Luna, mentre un gruppo si spostò sull’Alpe di Catenaia. Il gruppo di Francini diretto verso Perugia, lungo il tragitto, sostò a Villa Santinelli. Questi occuparono per qualche giorno, con uno stratagemma, la villa qualificandosi inizialmente come militi della Guardia Nazionale Repubblicana e solo dopo, una volta entrati, dichiararono di essere partigiani che avevano bisogno di riposare e di rifocillarsi per qualche giorno. In pratica presero “in ostaggio” l’intera famiglia, ma una volta scoperta la loro presenza, furono assediati e costretti alla resa dalle truppe fasciste coadiuvate da un reparto corazzato tedesco. Dopo un eroico scontro durato oltre diciotto ore, il 27 marzo 1944, Eduino Francini insieme ad altri otto compagni furono barbaramente trucidati, mentre altri riuscirono a fuggire[6].

Nel cimitero comunale di Sansepolcro è presente un sacrario realizzato dal Comune e dalla locale sezione ANPI per dare onorata sepoltura e per ricordare i partigiani fucilati nei rastrellamenti nazi-fascisti a Villa Santinelli; mentre nel luogo dell’eccidio è stata posta invece una lapide commemorativa.

 

Monumento ai partigiani, cimitero di Sansepolcro.

 

Lastra rettangolare di marmo apposta lungo la parete esterna di Villa Santinelli. L’epigrafe, oltre alla comune data di morte, reca incisi i nomi dei nove partigiani caduti.

 

Nell’estate del ‘44 il territorio di Sansepolcro si trovò sulla linea del fronte bellico e gran parte della popolazione si diresse verso le campagne per sottrarsi ai bombardamenti. In città restò il vescovo Pompeo Ghezzi, punto di riferimento per quella parte di popolazione non sfollata, unico autorevole interlocutore degli ufficiali tedeschi, che tentò di ridare un minimo di organizzazione alla vita civile e salvare il borgo dai sabotaggi nazifascisti. Ma, ciò nonostante, i suoi tentativi furono vani: i nazisti distrussero la stazione ferroviaria e l’industria Buitoni che dava benessere e prestigio alla città e demolirono, prima di lasciare il centro abitato, la storica Torre di Berta, uno dei simboli della storia e dell’identità di Sansepolcro[7].

Le truppe tedesche lasciarono il paese prima dell’arrivo degli Alleati che entrarono in Sansepolcro il 3 settembre del 1944.

Una lastra apposta sul muro in piazza Garibaldi nel quarantesimo anniversario dalla Liberazione della città ne ricorda l’evento.

 

Lastra commemorativa 40° anniversario liberazione della città di Sansepolcro, Piazza Garibaldi.

 

Negli anni Settanta vennero istituiti per volere dell’ANPI locale il museo e la biblioteca della Resistenza di Sansepolcro con lo scopo di ricordare quei tragici fatti legati al passaggio del fronte, alla Resistenza e alla Liberazione del paese. La sede del museo si trova oggi in via Matteotti all’interno di un edificio di proprietà comunale.

Sempre negli anni Settanta a Sansepolcro venne realizzato, nel cimitero comunale, il Monumento Ossario che raccoglie gli slavi caduti durante la seconda guerra mondiale nel territorio dell’Italia settentrionale e centrale. Tra gli jugoslavi internati in Italia vi furono i quasi 8.000 che trascorsero mesi in condizioni proibitive nel Campo di concentramento internati civili di Renicci, nel comune di Anghiari.

Da questa iniziativa nacque un rapporto di amicizia con la Jugoslavia che si concretizzò negli anni Ottanta con un patto di gemellaggio con la città croata di Sinj.

 

Sacrario commemorativo dei caduti jugoslavi in Italia, cimitero comunale, Sansepolcro.

 

Sansepolcro negli anni Novanta è stata insignita della medaglia d’argento al valor militare per l’attività partigiana.

 

Percorrendo in direzione nord la Strada statale 3 bis Tiberina (SS3bis) si giunge a Pieve Santo Stefano dopo circa quindici minuti. A nord di Pieve (circa dodici chilometri), in direzione di Verghereto, sono conservate alcune permanenze territoriali legate all’intervento dei cantieri della società di costruzione TODT per l’apprestamento della Linea Gotica.

 

PIEVE SANTO STEFANO E LA CITTA’ DEL DIARIO

Il paese sorge sulla riva destra del Tevere a cinquanta chilometri da Arezzo, situato quasi al confine tra la Toscana, l’Umbria e la Romagna. La cittadina è famosa soprattutto per il suo Archivio Diaristico che si trova all’interno del Palazzo Pretorio, in piazza Plinio Pellegrini, dove sono raccolti diari, epistolari, memorie autobiografiche di vario genere scritti dalla “gente comune”. Non a caso Pieve è denominata la “Città del Diario[8]. L’archivio è stato fondato nel 1984 da Saverio Tutino e si configura quale “vivaio di memorie”, in quanto oltre alla sua attività museale di conservazione vuol far fruttare in vario modo la ricchezza che in esso viene depositata. A tale scopo l’Archivio ha istituito un premio letterario volto ad incentivare l’invio di materiali “nascosti nei cassetti” da coloro che amano scrivere. Da allora ad oggi il concorso continua a svolgersi ogni anno in autunno ed ha portato alla premiazione di oltre venti scritti e alla raccolta di numerosi testi pubblicati da vari editori. Nel 2001 è stata inoltre intrapresa una collaborazione con la casa di produzione di Angelo Barbagallo e Nanni Moretti, la Sacher Film, per trasformare alcuni scritti qui conservati nei “Diari della Sacher”, un film-documentario distribuito dalla Warner Bros.

(Per informazioni più dettagliate sulla storia di questo prezioso archivio si consiglia di contattare la Fondazione Archivio Diaristico Nazionale Onlus situata sempre a Palazzo Pretorio).

 

 

 Pieve 1944: Il Paese cancellato

L’8 settembre la popolazione di Pieve Santo Stefano, credendo fosse finita la guerra, si riversò esultante nelle strade e molti osannavano pregando la Madonna dei Lumi che aveva accolto le loro richieste di pace (proprio l’8 settembre ancora oggi il popolo pievano la festeggia ed onora)[9]. Ma purtroppo la guerra non era finita e il peggio doveva ancora arrivare… L’Italia era divisa in due, da sud premevano gli Alleati, mentre al centro-nord la presenza dell’esercito tedesco divenne sempre più opprimente, e anche Pieve Santo Stefano visse il dramma dell’occupazione nazista con i conseguenti rastrellamenti. In più nel dicembre del ’43 si insediò in luogo del podestà un commissario prefettizio della Repubblica Sociale Italiana che andò ad affiancare nel controllo della popolazione e nella repressione il comando tedesco. Nello stesso periodo iniziarono in questa zona i lavori di costruzione della Linea Gotica con il conseguente reclutamento di manodopera locale da parte della società di costruzione Todt. E con la disfatta di Monte Cassino, Pieve Santo Stefano si ritrovò in prossimità del fronte, con i tedeschi in ritirata che attuarono ogni sorta di violenze e saccheggi nei confronti della popolazione. Poi alla fine di luglio il comando nazifascista impartì l’ordine di sfollamento: tutti i residenti dovevano essere deportati a nord, oltre la Linea Gotica, verso Rimini e Cesena e da qui verso la Val Padana; furono fatti viaggiare con convogli notturni per sfuggire ai bombardamenti alleati. La deportazione fu eseguita con particolare brutalità e molte persone furono uccise: «Le famiglie furono smembrate e disperse e obbligate a lasciare tutti i loro averi. La soldataglia si fece padrona di tutte le case, ne forzò i nascondigli, distrusse o sfregiò quello che non poté asportare. Un’intera colonna di autocarri fu addetta a svuotare le case. […] Né l’Ospedale, né il Ricovero per i vecchi furono rispettati: fatti sfollare, vennero adibiti rispettivamente a stazione radio e a deposito di munizioni»[10]. Inoltre, vi fu la distruzione completa del paese, ripetendo quello schema tristemente noto della ritirata, che nell’estremo tentativo di rallentare l’avanzata degli Alleati verso nord, prevedeva lo sbarramento di tutte le vie di transito distruggendo case e ponti. Il paese distrutto faceva parte di quel piano efferato del generale Kesserling: fare “terra bruciata” di tutto il territorio, ordine che riecheggiava ogni qual volta le truppe tedesche erano costrette a ritirarsi verso il nord Italia.  Il 99 percento delle abitazioni del capoluogo fu ridotto ad un cumolo di macerie, si salvarono solamente gli edifici ecclesiastici e parte del Palazzo Pretorio. Alla fine di agosto prima di evacuare il paese i tedeschi fecero saltare tutti i ponti sulla strada nazionale Tiberina 3Bis e posero delle mine nel palazzo comunale e nella torre campanaria che saltarono in aria dopo una decina di giorni che i tedeschi si erano ritirati. “Tra le granate e le bombe degli aerei dell’esercito che avanzava, (…), la nostra Pieve tutta coperta da una coltre di polverone e fumo nero, avrebbe rappresentato benissimo l’immagine più tetra dell’Apocalisse”[11].

Il 23 agosto ciò che rimaneva di Pieve venne raggiunto dalle truppe inglesi; il Paese completamente distrutto dalla furia nazista dovette pagare anche un tributo di 35 persone trucidate e 76 dilaniate dalle bombe.

A dimostrazione delle sofferenze patite dalla popolazione locale, nel 1957 il Comune fu insignito della “Croce di Guerra al Valor Militare” con la seguente motivazione: «Durante la guerra di liberazione sopportò, con la fiera tenacia della sua gente, persecuzioni, deportazioni ed intense offese aeree e terrestri che causarono numerose perdite tra la popolazione e gravi e dolorose distruzioni. Tanto sacrificio, serenamente affrontato con indefettibile dedizione alla propria terra, contribuì ad esaltare e a rinsaldare la fede nei destini della Patria»[12].

Una lapide apposta sul muro del Palazzo comunale in piazza Plinio Pellegrini ne ricorda l’evento.

 

Lastra in ricordo della Croce di Guerra al Valor Militare, Palazzo comunale, Pieve Santo Stefano.

 

Mentre una lastra commemorativa sempre sul muro del Palazzo comunale è stata posta in occasione del ventennale della Liberazione della città per ricordare le numerose vittime che si sacrificarono per la riconquista della libertà.

 

Lastra alle vittime delle rappresaglie tedesche, Palazzo comunale, Pieve Santo Stefano.

 

Presso i giardini pubblici Collacchioni possiamo invece scorgere il monumento ai caduti di Pieve Santo Stefano. Due blocchi distinti, il primo è il vecchio monumento ai caduti della Grande Guerra spostato da piazza Santo Stefano, affiancato dall’opera che ricorda “le vittime militari e civili di tutte le guerre”.

 

Monumento ai caduti di Pieve Santo Stefano, Giardini Collacchioni.

 

Usciti da Pieve Santo Stefano si prosegue l’itinerario in direzione di Sestino, percorrendo la Strada Provinciale Nuova Sestinese (SP50), per poi continuare in direzione est sulla Strada Statale Marecchia (SP258) ed infine arrivare a destinazione dopo un tratto della Strada Provinciale 49 (SP49). Il tragitto da Pieve Santo Stefano a Sestino è lungo complessivamente 40 chilometri e prevede almeno cinquanta minuti di macchina. Per chi volesse compiere una breve pausa lungo il percorso è poi possibile potersi fermare a circa metà del viaggio nel comune di Badia Tedalda, dove è presente il Parco Storico della Linea Gotica, ricco di sentieri che testimoniano le tracce delle fortificazioni costruite dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale.

 

SESTINO

Sestino, paese all’estremo margine della provincia aretina, praticamente immerso nel Pesarese, che durante la seconda guerra mondiale si trovava a ridosso della Linea Gotica. Nella primavera del ’44 la presenza militare dei tedeschi si fece sempre più massiccia con la conseguente crescita del calvario delle popolazioni che dovevano subire limitazioni di libertà, un continuo coprifuoco, prestazioni d’opera coatte per i lavori di fortificazione e requisizione di case per l’acquartieramento delle truppe e di mezzi di trasporto di materiale bellico[13]. La situazione era resa pesante anche da quella numerosa presenza di fuggiaschi provenienti dal campo di Renicci di Anghiari e da sfollati qui rifugiati per sfuggire dai bombardamenti. Come tutta la Valtiberina anche questa zona fu interessata da una forte presenza di formazioni partigiane che, loro malgrado, ebbero dei risvolti negativi per la popolazione civile per le dure misure di repressione adottate dai tedeschi e dai fascisti in risposta agli attacchi subiti. Negli scontri che si verificarono nei paesi di Monterone, Monteromano, Montecese, Palazzi e Sestino vi furono numerosi giovani caduti con un’età media di vent’anni. Merita una menzione particolare il sacrificio del giovane Ferruccio Manini, diciannovenne di Cremona, fucilato a Sestino il 27 luglio del ’44, che per unirsi ai partigiani disertò da un reparto fascista repubblicano quando fu mandato nella zona della Linea Gotica[14]. Fu poi catturato dai fascisti durante uno scontro a fuoco nel Sestinate e rifiutandosi di collaborare venne fucilato presso il cimitero del paese. Il Tribunale militare di Milano nel 1947 acclarò che a comandare il plotone di esecuzione fu il sottotenente Giorgio Albertazzi, futuro attore e regista, che venne però assolto perché «aveva agito in stato di necessità».

E in suo ricordo è stata posta una lapide presso il cimitero comunale di Sestino.

 


Lapide in ricordo di Ferruccio Manini, cimitero comunale, Sestino.

 

Anche a Sestino con l’avvicinarsi degli Alleati, i tedeschi costretti ad abbandonare la Linea Gotica, come ultima rappresaglia, il 24 settembre del ’44, fecero saltare in aria tutti i ponti sulle vie di comunicazione, strade, acquedotti, edifici pubblici e seminarono nel territorio una ventina di campi minati. Le macerie lasciate dalla guerra furono immense e tali da fare di Sestino uno dei paesi tra i più martoriati della Valtiberina. Soltanto il 1° ottobre il paese fu liberato dagli Alleati.

Nella Cappellina dei Caduti, eretta nel 1923 sul colle di Carletto, che domina Sestino, campeggia una targa con i nomi dei soldati sestinesi caduti sul fronte nella seconda guerra mondiale.

Due Lapidi commemorative sono invece poste in piazza Garibaldi sul muro del Municipio ai “caduti di tutte le guerre”.

 

Municipio, Piazza Garibaldi, Sestino.

 

Sestino. Caduti in tutte le guerre, Piazza Garibaldi, facciata del Municipio.

 

 

E in Piazza dei Martiri all’incrocio con via Roma sulla facciata di un edificio troviamo una lapide dedicata ai caduti della Resistenza, che così recita: “La popolazione sestinese pone questa lapide a ricordo dei partigiani caduti durante la Resistenza del 1944-45: Arcaro Danilo, Bragori Fermamdp, Chiarabini Gioseppe, Guazzolini Secondo, Nannini Adelfo, Santi Laurini Roberto. Sestino 26-6-1974”.

 

 

 

Lapide commemorativa ai caduti durante la Resistenza, Via VI Martiri, Sestino

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE:

[1] Ivan Tognarini (a cura di), 1943-1945, la Liberazione in Toscana: la storia, la memoria, Pagnini, Firenze 1994, p. 53.

[2] Cfr. il testo di Giovanni Ugolini, E’ passata la rovina a Sansepolcro. Cronaca cittadina dall’8 settembre 1943 al 3 settembre 1944, Boncompagni, Sansepolcro 1945.

[3] Eduino Francini: giovane partigiano di Sansepolcro, ma originario di Massa Carrara, che arruolatosi in marina nell’ottobre del ’42, dopo l’8 settembre rientrò a Sansepolcro e pochi giorni dopo ottenne dal Comitato provinciale di concentrazione antifascista di Arezzo l’incarico di organizzare una formazione di partigiani nell’Alta Valle del Tevere, nonostante la giovane età, non ancora ventenne.

[4] L’episodio è raccontato da G. Ugolini nel suo libro del 1945 È passata la rovina a Sansepolcro, cit., pp. 20-25.

[5]  Alvaro Tacchini, La banda partigiana “Francini” e la rivolta di Sansepolcro, in La battaglia di Villa Santinelli e la fucilazione dei partigiani, Quaderno n. 12 dell’Istituto di Storia Politica e Sociale “Venanzio Gabriotti”, Città di Castello 2017, https://www.storiatifernate.it/id/la-banda-partigiana-francini-e-la-rivolta-di-sansepolcro/

[6] Sulla fucilazione di Eduino Francini insieme agli altri otto partigiani a Villa Santinelli cfr. il libro di Antonio Curina, Fuochi sui monti dell’Appennino toscano, Tip. Badiali, Arezzo 1957, pp. 468-69.

[7]  I. Tognarini (a cura di), 1943-1945, la Liberazione in Toscana, cit. p.53.

[8] Ivan Tognarini, Da Pieve Santo Stefano a Poppi, in Paesaggi della memoria. Itinerari della Linea Gotica in Toscana, Touring Club Italiano, Milano 2005, pp. 105-6.

[9] I. Tognarini (a cura di), 1943-1945, la Liberazione in Toscana, cit. p.49.

[10] A. Tacchini, La distruzione di Pieve Santo Stefano, in Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, cit., https://www.storiatifernate.it/id/la-distruzione-di-pieve-santo-stefano/

[11] Onelio Dalla Ragione (a cura di), La guerra 1940-1945 a Pieve Santo Stefano. Deportazioni – Razzie – Devastazioni – Massacri, Amministrazione comunale di Pieve Santo Stefano, Pieve Santo Stefano 1996, p. 28.

[12] Ivi, p. 31.

[13] Giancarlo Renzi, Sestino. Quarant’anni di repubblica (1946-1986), Grafica Vadese, Sant’Angelo in Vado (PS), 1986, l’autore ripercorre la storia del comune dal dopoguerra ad oggi con un breve paragrafo dedicato proprio alle tragedie della guerra, pp. 11-20.

[14] Cfr. Biblioteca comunale di Sestino, 45° anniversario della fucilazione di Ferruccio Manini. Sestino – Domenica 23 luglio 1989, Stampa Artigrafiche, Sansepolcro 1989, p 4.

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel mese di novembre 2024.




Foiano della Chiana tra Fascismo e Resistenza. Breve percorso della memoria

Prima di procedere con il percorso resistente, voglio qui ricordare, seppur brevemente, la Storia di Foiano della Chiana, Comune della provincia di Arezzo, nella Valdichiana.

Foiano venne liberata il 4 luglio 1944, assieme con Marciano della Chiana e Monte San Savino. Due giorni prima era stato liberato Lucignano e il 3 luglio venne liberata Cortona, sino -progressivamente- alla città di Arezzo, liberata il 16 luglio 1944 [1].

Il Comune di Foiano ha subito particolarmente l’avvento del Fascismo, sino ai tragici eventi della Seconda Guerra mondiale e della Resistenza. Con il progressivo affermarsi del Fascismo, Foiano, la cui amministrazione aveva aderito in blocco al neocostituito Partito Comunista d’Italia, divenne un obiettivo primario per gli squadristi della zona, i quali nei primi mesi del 1921, iniziarono a devastare e terrorizzare la Valdichiana con spedizioni punitive. Il 12 aprile il municipio venne colpito da un attacco squadrista volto a far dimettere la giunta. Il 17 aprile, un camion con a bordo una ventina di fascisti, guidati da un ufficiale in forza al 70° fanteria di Arezzo, compì una seconda spedizione a Foiano e nei dintorni. Una volta terminato il raid, gli squadristi si fermarono nella cittadina per pranzare. Successivamente, il gruppo si divise: una parte rimase a Foiano, mentre una ventina partirono a bordo dell’autocarro alla volta di Arezzo. Poco dopo, in località Renzino [2], il camion cadde in un’imboscata tesa da alcuni contadini della zona, guidati da Bernardo Melacci e Galliano Gervasi. Nel corso dell’attacco, tre squadristi rimasero uccisi. I fascisti superstiti però, dopo essere riusciti a chiedere rinforzi dalle città vicine, contrattaccarono. Le campagne foianesi divennero così teatro di una caccia all’uomo che culminò con l’assassinio di due uomini ed una donna. Poco dopo, in paese, i fascisti giustiziarono un comunista che si era rifiutato di rinnegare i propri ideali. Il giorno seguente, una colonna di squadristi fiorentini e ferraresi, guidata da Tullio Tamburini, occupò il paese, costringendo il deputato socialista Ferruccio Bernardini, sequestrato ad Arezzo dalle stesse camicie nere, ad un elogio del fascismo sulla pubblica piazza. Poco dopo anche un socialista del luogo venne trascinato nella medesima piazza per compiere abiura. Al suo rifiuto, venne assassinato. Nei giorni seguenti, le violenze fasciste, nonostante una delegazione di contadini si fosse recata da Tamburini a supplicare la fine delle rappresaglie, continueranno indisturbate [3]. Quello che accadde a Renzino cento anni fa è stato sicuramente uno degli episodi di lotta allo squadrismo fascista tra i più rilevanti a livello nazionale.

Negli anni la situazione non migliorò. Messa a dura prova dalla Seconda guerra mondiale, la cittadina pagò un notevole prezzo a livello di vite umane e distruzioni. L’8 giugno 1944, tre partigiani vennero fucilati dai militi fascisti della GNR (Guardia nazionale repubblicana) in Piazza Garibaldi.

Quella stessa mattina, Libero Sarri, Gabriele Antonini e Carlo Grazi, detenuti presso la caserma dei Carabinieri di Foiano della Chiana, vennero prelevati dalla loro cella e condotti in quella stessa Piazza, dove furono fucilati da un plotone d’esecuzione composto da legionari della Compagnia OP della G.N.R. di Bergamo [4].

Il 2 luglio successivo, Foiano della Chiana fu liberata dagli alleati. Teatro di scontri tra le truppe alleate e quelle tedesche, Foiano ospita oggi un cimitero militare inglese, in cui sono sepolti i soldati d’Oltremanica caduti nelle azioni militari locali.

L’Archivio storico dell’antifascismo locale, nato negli anni ’50 per iniziativa dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI) sezione Licio Nencetti, conserva una preziosissima raccolta di fonti storiografiche sulla Lotta di Liberazione in provincia di Arezzo.

Il giorno successivo alla liberazione di Foiano della Chiana da parte delle truppe anglo-americane, infatti, dalla locale casa del Fascio, parzialmente distrutta dalle truppe tedesche in ritirata, che avevano minato e fatto saltare la torre civica, vennero recuperati dai partigiani i documenti delle milizie mussoliniane. Nella stessa sede si insediò il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) costituito su impulso di Galliano Gervasi, che fu tra i protagonisti della rivolta di Renzino e successivamente sindaco di Foiano e componente dell’Assemblea costituente. Quelle carte recuperate dalle macerie, insieme ai documenti del CLN, andarono a costituire il primo nucleo documentario dell’Archivio foianese.

Di lì a poco venne fondata la locale sezione dei partigiani, che riuniva combattenti antifascisti, patrioti e tutti coloro che avevano contribuito a liberare l’Italia dai nazifascisti durante il periodo Resistenziale. L’ANPI di Foiano della Chiana ereditò la sede del Comitato di Liberazione e gli associati si dedicarono alla raccolta delle informazioni per l’ottenimento di indennità, riconoscimenti di medaglie al valore, pensioni e forme di assistenza per gli ex combattenti e per le famiglie dei caduti [5].

 

Le tappe del percorso foianese

La prima meta nel percorso è Piazza Fra’ Benedetto, a Foiano della Chiana.

Qui il 2 luglio 1944, due giorni prima del ritiro definitivo dei tedeschi, venne ucciso senza apparente motivo il giovane Cesare Marchi.

  • A soli pochi passi, in Piazza Cavour, n.1, sulla facciata esterna del Municipio, è posta la targa ai partigiani Sarri, Antonini e Grazi.

Pietre della Memoria, 5602 – Lapide ai partigiani Sarri, Antonini e Grazi – Foiano della Chiana, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/lapide-ai-partigiani-sarri-antonini-e-grazi/

  • Non molto distante, in via via Martiri della Libertà/ piazza Garibaldi, si trova anche questa lapide ad Antonini, Grazi e Sarri.

Giovanni Baldini, Lapide ad Antonini, Grazi e Sarri, in ResistenzaToscana.it,  23-10-2007, https://www.resistenzatoscana.org/monumenti/foiano_della_chiana/lapide_ad_antonini_grazi_e_sarri/

Facciata del Municipio

  • Tra Piazza Garibaldi e via Indipendenza troviamo invece la targa commemorativa di Igino Milani, capolega di 35 anni, lavoratore dell’agenzia tabacchi di Foiano, sequestrato sul posto di lavoro, torturato e seviziato, morto per mano dei fascisti nell’aprile 1921, nel corso della feroce rappresaglia che seguì lo scontro armato di Renzino.

Lapide a Milani, in ResistenzaToscana.it, https://resistenzatoscana.org/monumenti/foiano_della_chiana/lapide_a_milani/

  • A cinque minuti a piedi, arriviamo al giardino pubblico comunale di piazza Caduti della Resistenza, dove, al centro, si erge il monumento-fontana ai martiri della resistenza. Il monumento ricorda la fucilazione di tre partigiani, Libero Sarri, Gabriele Antonini e Carlo Grazi per mano dei nazifascisti, avvenuta l’8 giugno 1944 durante la Festa del Corpus Domini. La fontana, circolare, presenta la forma di un giglio. La base è costituita da tre grandi massi in ognuno dei quali è inciso in rilievo il nome di un partigiano. Lungo il lastricato, che si trova tra la fontana e la recinzione in ferro battuto, è posta una lapide commemorativa in pietra.

5597 – Monumento-fontana ai martiri della resistenza – Foiano della Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/fontana-di-piazza-dei-caduti-della-resistenza-di-foiano-della-chiana/

  • A soli 15 minuti a piedi (4 in auto), si trova, in località Renzino, il Commonwealth War Cemetery, dove riposano le spoglie di 256 soldati. Progettato da Louis de Soissons, è un cimitero di guerra, che originariamente accoglieva i soldati della 4ª Divisione e che, in seguito fu ampliato per le sepolture dei militari caduti in tutta l’area della Valdichiana e del Valdarno [6]. La maggior parte delle sepolture nel cimitero risalgono comunque alle prime due settimane di luglio 1944.

Francesco Bellacci, I segreti del cimitero monumentale di Foiano della Chiana, in LaValdichiana, 25 marzo 2020 https://www.lavaldichiana.it/i-segreti-del-cimitero-monumentale-di-foiano-della-chiana-quarta-parte/

Mappa del percorso escursionistico a Foiano della Chiana (Ar)

Francesco Bellacci, I segreti del cimitero monumentale di Foiano della Chiana, in LaValdichiana, 25 marzo 2020 https://www.lavaldichiana.it/i-segreti-del-cimitero-monumentale-di-foiano-della-chiana-quarta-parte/

  • In circa 1ora a piedi (8 minuti in auto), in direzione nord, si può raggiungere la località di Pozzo della Chiana, dove il 26 giugno 1944 si verificò una ribellione dei contadini arrabbiati per le requisizioni tedesche nella zona. A tale atto seguirono rappresaglie da parte delle truppe naziste. Quel giorno morirono, in due episodi diversi, due uomini: Nazzaro Biagini, sfollato con la famiglia, venne ucciso nella frazione di Pozzo, mentre nel pomeriggio, una casa colonica in località Pagliericcio (Comune di Castel San Niccolò, nel Casentinese) venne fatta saltare in aria e incendiata con il proprietario dentro, il giovane Alberto Ginestrini. La matrice era la stessa dell’episodio antecedente, una punizione, da parte dei tedeschi per la rivolta dei contadini.

A Pozzo, nessuna targa pare ricordare l’evento.

Da Pozzo si può proseguire, camminando, verso Marciano della Chiana, continuando così il sentiero nella Valdichiana.

 

Note

1. Claudia Failli, 16 luglio 1944: “Arezzo è stata liberata”. Così la città risorse dalle proprie ceneri, in ArezzoNotizie, 16 luglio 2023,  https://www.arezzonotizie.it/attualita/16-luglio-1944-arezzo-liberata-storia.html [consultato in data 11 novembre 2024]

2.Sulla rivolta di Renzino si veda, Giulio Bigozzi, Cento anni fa: i fatti di Renzino, IlPostalista.it, 14 aprile 2021, https://www.ilpostalista.it/arezzo/arezzo_0323.htm [consultato il 12 novembre 2024]

3. Cfr. Foiano della Chiana, in Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Foiano_della_Chiana [consultato in data 11 novembre 2024]

4. Redazione, 70 anni fa: eccidio a Foiano della Chiana (SI), 8 giugno 2014, 70 anni fa, https://www.ultimelettere.it/?p=258 [consultato in data 11 novembre 2024]

5. Francesco Bellacci, L’Istituto storico dell’Antifascismo e della Resistenza in Valdichiana, in La Valdichiana, https://www.lavaldichiana.it/listituto-storico-dellantifascismo-e-della-resistenza-in-valdichiana/ [consultato l’11 novembre 2024].

6. Foiano della Chiana (AR) Cemetery, in GoticaToscanaasp, https://www.goticatoscana.eu/it/portfolio/foiano-della-chiana-ar-cemetery/  [consultato  il 10 novembre 2024]

 

Bibliografia e sitografia:

Bellacci Francesco, L’Istituto storico dell’Antifascismo e della Resistenza in Valdichiana, in La Valdichiana, https://www.lavaldichiana.it/listituto-storico-dellantifascismo-e-della-resistenza-in-valdichiana/ [consultato l’11 novembre 2024]

Bigozzi Giulio, Cento anni fa: i fatti di Renzino, IlPostalista.it, 14 aprile 2021, https://www.ilpostalista.it/arezzo/arezzo_0323.htm [consultato il 12 novembre 2024]

Failli Claudia, 16 luglio 1944: “Arezzo è stata liberata”. Così la città risorse dalle proprie ceneri, in ArezzoNotizie, 16 luglio 2023,  https://www.arezzonotizie.it/attualita/16-luglio-1944-arezzo-liberata-storia.html [consultato in data 11 novembre 2024]

Foiano della Chiana, in Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Foiano_della_Chiana [consultato in data 11 novembre 2024]

Foiano della Chiana (AR) Cemetery, in GoticaToscanaasp, https://www.goticatoscana.eu/it/portfolio/foiano-della-chiana-ar-cemetery/  [consultato  il 10 novembre 2024]

Redazione, 70 anni fa: eccidio a Foiano della Chiana (SI), 8 Giugno 2014, 70 anni fa, https://www.ultimelettere.it/?p=258 [consultato in data 11 novembre 2024]

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo scritto nel mese di novembre 2024.




Camminando nella Resistenza tra i Comuni della Valdichiana aretina. Lucignano, Marciano della Chiana e Monte San Savino

Prima di procedere con il percorso resistente, è opportuno ricordare, seppur brevemente, la Storia dei Comuni interessati.

Lucignano, Marciano della Chiana e Monte San Savino sono Comuni della provincia di Arezzo, nella Valdichiana toscana, i primi ad essere stati liberati dagli Alleati nell’Aretino: il 2 luglio 1944, venne liberato Lucignano, il giorno successivo Cortona, il 4 luglio, Marciano della Chiana e Monte San Savino e Foiano della Chiana, sino -progressivamente- alla città di Arezzo, liberata il 16 luglio 1944 [1].

Vediamo più da vicino la loro storia durante e dopo il Fascismo.

Partiamo da Lucignano, piccolo Comune impegnato nella lotta di liberazione, liberato dagli alleati il 2 luglio 1944. Degno di nota è qui Licio Nencetti, il giovane capo partigiano lucignanese, insignito della Medaglia d’oro al valore militare, che fu fucilato dai fascisti a Talla, il 26 maggio del 1944[2]. Altri lucignanesi che si ribellarono ai nazifascisti sono Ugo Masini (15 gennaio 1923-3 luglio 1944) ed Augusto Toti (29 luglio 1921-17 luglio 1944), che pagarono con la vita la loro sete di libertà. Ugo Masini, giovane caporale, dopo l’8 settembre ’43, era riuscito a tornare a Lucignano dove iniziò l’attività clandestina collaborando con la “Teppa” di Licio Nencetti. Fu ucciso negli stessi giorni della Liberazione di Lucignano, quando la sua formazione, a seguito di una delazione, fu attaccata il 2 luglio dai nazifascisti nei pressi di Camagiura (Arezzo) ed interamente sterminata [3].

Augusto Toti, sottotenente, tornato a casa dopo l’8 settembre 1943, conobbe il maggiore Cesare Caponi, con il quale iniziò il lavoro per l’organizzazione di formazioni partigiane. Raggiunto il comando italiano del fronte sud, l’8 novembre 1943, per consegnare un messaggio segreto, prese parte ai combattimenti di Cassino, Balzo della Cicogna, Guardiagrele e morì il 17 luglio 1944, (il giorno dopo la liberazione di Arezzo) al comando di un’importante operazione nei pressi di Rustico.

Della banda di Nencetti faceva parte anche Ezio Raspanti [4], da poco scomparso, che – per anni- ha mantenuto viva nelle nuove generazioni la memoria di quegli eventi. Insignito della Medaglia d’argento al valore militare per le azioni della Resistenza, ottenne anche altre prestigiose onorificenze e riconoscimenti per il suo impegno: nel 2003 fondò l’Istituto storico per l’Antifascismo e la Resistenza in Valdichiana; l’11 luglio 2004 fu nominato cittadino onorario del Comune di Capolona e il 29 luglio 2006 del Comune di Castel Focognano. Con Decreto del Presidente della Repubblica del 27 dicembre 2011, venne insignito dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine “Al merito della Repubblica Italiana”. Ezio Raspanti, “Mascotte” nella “Teppa”, fu giovanissimo compagno di lotta e grande amico di Nencetti, ed ha raccontato in tutti questi anni attraverso disegni e scritti, con un costante lavoro di ricerca e ricostruzione storica, gli avvenimenti legati alla Resistenza ]5].

Il territorio di Marciano della Chiana, liberata il 4 luglio 1944, non subì invece particolari eventi tragici, almeno dalle fonti a mia disposizione. Si ricorda comunque la morte di Luigi Pecchi, ucciso il giorno prima della tanto agognata libertà, dai soldati tedeschi [6].

Più facile da ricostruire è invece la storia di Monte San Savino. Il ventennio fascista vede Monte San Savino calato nel «definitivo amalgama di quelle forze sociali che il fascismo era riuscito a coagulare e utilizzare, e che trovò espressione politica nella gestione delle amministrazioni comunali» (Galli). Già nel 1924, il Consiglio comunale, all’unanimità, conferì – su proposta di G. Veltroni, segretario politico del fascio locale – la cittadinanza onoraria a Mussolini “quale modesto significativo riconoscimento” della sua grandiosa opera per la “ricostruzione nazionale”, mentre più tardi, facendo eco alla diligente applicazione delle leggi razziali del ’38, appariva su “Giovinezza” del 13 febbraio 1939 un articolo a firma di P.F.V. che ricordava come i savinesi potessero ‘vantarsi’ d’aver già allontanato a suo tempo nel 1799, dando sfogo «alla loro giusta vendetta», tutti i membri dell’antica comunità ebraica savinese con esplicita dichiarazione che «oggi il paese non conta alcun ebreo!». Rimaneva però viva, durante gli anni della dittatura, una solida organizzazione antifascista che avrebbe dato un notevole contributo alla Resistenza.

Nel Secondo Conflitto mondiale, Monte San Savino ricorda 23 morti sul campo (fra cui Pietro Valeri), 22 dispersi, 15 persone decedute per cause belliche e 11 vittime per rappresaglie tedesche (fra cui due donne, Gina Valeri e Gesuina Sestini); particolare sgomento suscitarono la fucilazione del sottotenente Luigi Carletti, l’impiccagione di Del Bellino e, in seguito, l’imboscata che costò la vita a Giuseppe Civitelli. Fin dall’annuncio dell’arresto di Mussolini (25 luglio ’43) e dopo la resa dell’Italia (8 settembre)  si assistette a Monte San Savino alla distruzione dei fasci littori e alla smobilitazione di quant’altro simboleggiava il regime fascista. Ben presto fu creato il CLN comunale savinese. Il paese fu duramente colpito dalle truppe tedesche in ritirata che si abbandonarono a violenze ed uccisioni, tuttavia, coraggiosamente contrastate da elementi della resistenza locale. Le incursioni aeree alleate iniziate il 17 gennaio ’44 causarono, oltre che diversi feriti, tre morti in località Brancoleta. Dopo la liberazione del 4 luglio 1944, Monte San Savino ospitò il quartier generale tattico dell’VIII Armata, al comando del generale Oliver Leese, cui re Giorgio d’Inghilterra in persona fece visita il 26 luglio [7].

 

Alessandro Bargellini, lapide a re Giorgio, in ResistenzaToscana.it, 27-7-2008 https://resistenzatoscana.org/monumenti/monte_san_savino/lapide_a_re_giorgio/ 43,331187N, 11,723721E | 43° 19.871N, 11° 43.423E

Il percorso escursionistico:

La prima meta del percorso è Badicorte, nel Comune di Marciano della Chiana.

Volendo unire tale percorso al sentiero di Foiano della Chiana, Badicorte si può raggiungere, proseguendo verso nord, da Pozzo della Chiana, in un’ora a piedi o in sei minuti in auto. Altrimenti, potrà essere raggiunta in auto autonomamente, cominciando da qui il percorso resistente.

Qui il 3 luglio 1944, alla vigilia della liberazione, venne fucilato Luigi Pecchi, che era stato trovato dai tedeschi in possesso di alcune armi, probabilmente facenti parte di un deposito dei partigiani. Nessuna targa o cippo ricordano l’evento (almeno da quel che ho potuto trovare).

La seconda meta del percorso resistente è Monte San Savino.

Nel Comune di Monte San Savino, dal 23 giugno 1944 al 30 giugno 1944, dopo una battaglia combattuta nella località di Montaltuzzo, nel Comune di Bucine (Arezzo) tra partigiani e tedeschi, reparti nazifascisti operarono un poderoso rastrellamento.

  • Per ricordare le tragiche vicende che avevano visto coinvolta la popolazione locale, la prima tappa del percorso sansavinese è Viale XXIV Maggio, dove si trova il monumento dedicato ai caduti per la resistenza, eretto nel trentennale della Liberazione.

 

Alessandro Bargellini, Monumento del trentennale, in ResistenzaToscana.it, 12-12-2008, https://resistenzatoscana.org/monumenti/monte_san_savino/monumento_del_trentennale/

A Monte San Savino, nel clima di rastrellamenti e di caccia al partigiano, tra il 2 e il 3 luglio 1944, tre uomini furono catturati nelle campagne, torturati e quindi fucilati da una pattuglia tedesca. Le vittime erano due civili, Mosè Gudini e Bruno Milaneschi e un partigiano, Luigi Carletti detto “Gigino”, senese residente a Monte San Savino, nonché sottotenente dell’Artiglieria contraerea del Regio Esercito e comandante di una squadra partigiana a Monte San Savino. Egli era già stato catturato il 28 giugno precedente con tutta la famiglia e lungamente interrogato. Gudini e Carletti furono ritrovati in un bosco dieci giorni più tardi.

  • La seconda tappa è, dunque, il Cimitero comunale, dove si trova il sepolcro dedicato a Luigi Carletti [8].

Alessandro Bargellini, Sepolcro di Carletti, in ResistenzaToscana.it, 27-7-2008 https://resistenzatoscana.org/monumenti/monte_san_savino/sepolcro_di_carletti/ [consultato il 9 novembre 2024]

Presso il cimitero comunale di Monte San Savino (AR)

Luigi Carletti, in Memoria dell’Antifascismo e della Resistenza aretina, Istituto storico aretino della Resistenza e dell’età contemporanea

Luigi Carletti è un nome noto e centrale nella Storia locale. Cittadino savinese, partigiano del Raggruppamento “Monte Amiata”, ufficiale di artiglieria, membro dell’Azione Cattolica e laureando in Legge, fu trucidato dai nazisti nei boschi in località San Poerino a Monte San Savino a soli 23 anni, il 2 luglio del 1944.

L’8 settembre 1943, Carletti si trovava sul fronte francese in qualità di sottotenente dell’artiglieria contraerea. In seguito allo sbandamento generale, dopo parecchi giorni di faticoso cammino, giunse a Monte San Savino, ove poté riabbracciare i suoi cari. Animato da una fede incrollabile nella futura rinascita dell’Italia, cautamente, cominciò a svolgere la sua opera, preparando un piano di lotta contro i tedeschi. Assieme a diversi ex prigionieri alleati, si trovava nei pressi della sua proprietà, per procurare loro, a sue spese, vitto, vestiario, armi, onde agire al momento più opportuno, insieme coi partigiani.

Il 28 giugno 1944, un reparto della divisione Herman Goering fece irruzione nella villa, arrestando tutti i componenti della famiglia: essi, sotto l’accusa di antifascismo, vennero, per alcuni giorni, torturati, allo scopo di estorcere notizie precise sull’assistenza ai prigionieri alleati. Il padre fu ferito gravemente con le percosse e venne minacciato di fucilazione se entro due ore non avesse parlato. Riuscì miracolosamente ad evadere ed a mettersi in salvo nella notte del 30 giugno. I tedeschi infierirono maggiormente contro Luigi e, con incredibili torture, cercarono di strappargli, ad ogni costo, le notizie di loro interesse.

Le atroci torture durarono fino al mattino del 2 luglio, giorno in cui fu trascinato in un bosco e fucilato. Il suo corpo venne nascosto fra le frasche e fu ritrovato soltanto dopo nove giorni di ansiose ricerche con ancora evidentissimi i segni delle torture e delle sevizie subite. [Questi particolari sono stati narrati da testimoni oculari imprigionati anch’essi nella villa Carletti e le cui deposizioni, regolarmente firmate, furono consegnate al C.L.N. di Monte San Savino].

Anche la madre, Carolina Veltroni, e la sorella Licia, vennero deportate ed incarcerate a Firenze; riuscirono miracolosamente a salvarsi.

Villa Carletti

A Serarmonio, sulla via che va da Monte San Savino a Palazzuolo, si era infatti stabilita, verso la fine di giugno 1944, la Feldgendarmerie tedesca ed aveva installato nella villa dei Carletti quella che possiamo ritenere la sua “Villa triste”, come quella che i fascisti avevano organizzato a Firenze in funzione antipartigiana. La villa è ancora esistente.

È lì che il criminale nazista Heinz Barz, capitano della Wehrmacht, l’ufficiale nazista che svolse un ruolo di primo piano nella programmazione e nell’esecuzione delle stragi di Civitella, Cornia e San Pancrazio, faceva portare gli arrestati. Ed è lì che i nazisti conducevano i loro interrogatori, tra violenze e sevizie, come venne accertato dagli investigatori inglesi del SIB (Special Investigation Branch) che, a partire dall’estate 1944 – all’indomani di quei tragici eventi – condussero una vasta indagine avvalendosi anche della collaborazione dell’Arma dei Carabinieri italiani: decine e decine di testimoni vennero chiamati a riferire i fatti e a contribuire ad individuare i responsabili. Era la materia prima di un possibile processo che non si celebrò e che venne tenuta nascosta nell’ormai celebre “armadio della vergogna”. Il processo sarebbe poi stato avviato a La Spezia, soltanto 58 anni dopo, quando gran parte dei responsabili erano ormai deceduti.

A Villa Carletti venne portato Lorenzo Del Bellino, arrestato il 23 giugno 1944, mentre lavorava sul suo campo e che forse non comprese nemmeno ciò che gli veniva chiesto dai tedeschi e dunque non dette loro risposte soddisfacenti riguardo la cosiddetta battaglia di Montaltuzzo: dopo le sevizie, venne portato a Monte San Savino ed impiccato il 30 giugno 1944 ad un lampione nella Piazza del Legname. Sul corpo, che rimase esposto per due giorni, era stato messo un cartello con la seguente scritta: “così muoiono i partigiani della Cornia”.

  • La terza tappa sansavinese sarà dunque Piazza del Legname, al Porticciolo, dove è stata posta la targa dedicata a Del Bellino.

Alessandro Bargellini, Lapide a Del Bellino, in ResistenzaToscana.it, 27-7-2008 https://resistenzatoscana.org/monumenti/monte_san_savino/lapide_a_del_bellino/

  • La quarta tappa è la Villa Serarmonio, la casa dove visse e dove morì Luigi Carletti e dove fu portato Del Bellino, distante 30 minuti a piedi dal Comune di Monte San Savino. Nella stessa villa vennero condotti i coniugi Cau, arrestati a Gebbia ed accusati di spionaggio a favore dei partigiani: il capitano Barz era stato avvisato, dunque sapeva benissimo che la signora Cau, al secolo Helga Elmqvist, era di nazionalità svedese e che godeva di immunità in base ai trattati fra Germania e Svezia. Eppure, dopo serrati interrogatori e maltrattamenti, la fece fucilare assieme al marito, il professor Giovanni Cau. I due corpi furono nascosti sotto la sabbia della Fornace Focardi, dove vennero rinvenuti, casualmente, solo nel 1950 e identificati dai parenti [9].
  • La quinta ed ultima tappa sansavinese è il tabernacolo intitolato a Carletti, in via di San Poerino [coordinate 43° 19.029N, 11° 42.266E].

Alessandro Bargellini, 12-12-2008 Tabernacolo a Carletti, in ResistenzaToscana.it, https://resistenzatoscana.org/monumenti/monte_san_savino/tabernacolo_a_carletti/ [consultato l’11 novembre 2024]

Come riporta l’iscrizione:

Organizzatore comandante di patrioti

catturato dal nemico e seviziato

mentre riforniva i compagni

che rifiutò di tradire

LUIGI CARLETTI

ufficiale di artiglieria laureando in legge

il 2 VII 1944 a soli XXIII anni

cadeva per la salvezza d’Italia

ai genitori Antonio e Carolina

e alla sorella Licia

lasciando preziosa eredità di gloria

e un dolore che solo la fede lenisce.

 

Il lungo itinerario nella Storia e nella memoria dei Comuni di Marciano della Chiana, di Monte San Savino e, seppur solo di passaggio, nel Comune di Lucignano, potrà sia essere percorso per intero, sia per singoli Comuni.

 

Note

1.Claudia Failli, 16 luglio 1944: “Arezzo è stata liberata”. Così la città risorse dalle proprie ceneri, in ArezzoNotizie, 16 luglio 2023,  https://www.arezzonotizie.it/attualita/16-luglio-1944-arezzo-liberata-storia.html [consultato in data 11 novembre 2024]

2. Licio Nencetti, in Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, https://www.anpi.it/biografia/licio-nencetti [consultato l’11 novembre 2024].

3.Lucignano ricorda la Resistenza ed i suoi protagonisti nel 70° anniversario della Liberazione, in Toscana Novecento. Portal di Storia Contemporanea, https://www.toscananovecento.it/custom_type/70-della-liberazione-di-lucignano-celebrando-licio-nencetti/ [consultato l’11 novembre 2024].

4.Michele Lupetti, Lucignano: Una targa per Ezio Raspanti, in ValdichianaOggi, https://www.valdichianaoggi.it/comunicati/dai-comuni/lucignano-omaggio-alla-resistenza-e-a-nencetti-con-i-disegni-di-ezio-raspanti/ [consultato in data 11 novembre 2024]

5.Cfr. Momenti in bianco e nero. Licio Nencetti nei racconti di Ezio Raspanti Comune di Foiano Della Chiana, Assessorato alla Cultura e Turismo, con la collaborazione di Sezione Licio Nencetti di Foiano Della Chiana, I.S.A.R.V., Istituto Storico dell’Antifascismo e della Resistenza “Bernardo Melacci” https://www.toscananovecento.it/wp-content/uploads/2014/04/coperta-Raspanti_2014.pdf [consultato in data 11 novembre 2024]

6.Marciano della Chiana, Memoria dell’Antifascismo e della Resistenza aretina, in Istituto storico aretino della Resistenza e dell’età contemporanea, https://memoria.provincia.arezzo.it/comuni/marciano.asp [consultato in data 11 novembre 2024]

7.Monte San Savino, Associazione ProLoco, http://www.prolocomontesansavino.it/info-contatti/2-monte-san-savino.html [consultato in data 9 novembre 2024]

8.Cfr. Luigi Carletti, in Memoria dell’Antifascismo e della Resistenza aretina, Istituto storico aretino della Resistenza e dell’età contemporanea, https://memoria.provincia.arezzo.it/biografie/luigi_carletti.asp  [consultato il 9 novembre 2024]

9.Claudia Failli, Due sposi, un partigiano e un contadino: quattro vite spezzate, Monte San Savino ricorda, in ArezzoNotizie, 26 giugno 2019, https://www.arezzonotizie.it/attualita/monte-san-savino-cau-bellino-carletti.html [consultato l’11 novembre 2024]

 

Bibliografia e sitografia:

Carletti Luigi, in Memoria dell’Antifascismo e della Resistenza aretina, Istituto storico aretino della Resistenza e dell’età contemporanea, https://memoria.provincia.arezzo.it/biografie/luigi_carletti.asp  [consultato il 9 novembre 2024]

Failli Claudia, 16 luglio 1944: “Arezzo è stata liberata”. Così la città risorse dalle proprie ceneri, in ArezzoNotizie, 16 luglio 2023,  https://www.arezzonotizie.it/attualita/16-luglio-1944-arezzo-liberata-storia.html [consultato in data 11 novembre 2024]

Ead., Due sposi, un partigiano e un contadino: quattro vite spezzate, Monte San Savino ricorda, in ArezzoNotizie, 26 giugno 2019, https://www.arezzonotizie.it/attualita/monte-san-savino-cau-bellino-carletti.html [consultato l’11 novembre 2024]

Lucignano ricorda la Resistenza ed i suoi protagonisti nel 70° anniversario della Liberazione, in Toscana Novecento. Portal di Storia Contemporanea, https://www.toscananovecento.it/custom_type/70-della-liberazione-di-lucignano-celebrando-licio-nencetti/ [consultato l’11 novembre 2024].

Lupetti Michele, Lucignano: Una targa per Ezio Raspanti, in ValdichianaOggi, https://www.valdichianaoggi.it/comunicati/dai-comuni/lucignano-omaggio-alla-resistenza-e-a-nencetti-con-i-disegni-di-ezio-raspanti/ [consultato in data 11 novembre 2024]

Momenti in bianco e nero. Licio Nencetti nei racconti di Ezio Raspanti Comune di Foiano Della Chiana, Assessorato alla Cultura e Turismo, con la collaborazione di Sezione Licio Nencetti di Foiano Della Chiana, I.S.A.R.V., Istituto Storico dell’Antifascismo e della Resistenza “Bernardo Melacci” https://www.toscananovecento.it/wp-content/uploads/2014/04/coperta-Raspanti_2014.pdf [consultato in data 11 novembre 2024]

Marciano della Chiana, Memoria dell’Antifascismo e della Resistenza aretina, in Istituto storico aretino della Resistenza e dell’età contemporanea, https://memoria.provincia.arezzo.it/comuni/marciano.asp [consultato in data 11 novembre 2024]

Monte San Savino, Associazione ProLoco, http://www.prolocomontesansavino.it/info-contatti/2-monte-san-savino.html [consultato in data 9 novembre 2024]

Nencetti Licio, in Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, https://www.anpi.it/biografia/licio-nencetti [consultato l’11 novembre 2024].

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo scritto nel mese di novembre 2024.




Sui sentieri della Linea Gotica a Badia Tedalda

Badia Tedalda è un comune della Valtiberina in provincia di Arezzo situato nella zona appenninica al confine con le Marche e l’Emilia-Romagna. Con i suoi 1.463 abitanti Badia Tedalda è il principale centro dell’Alpe della Luna, un gruppo montuoso dell’Appennino settentrionale. Dalla fine del 1943 al settembre del 1944 il paese e le zone circostanti furono attraversati dalla Linea Gotica, l’approntamento difensivo costruito dai tedeschi lungo tutta la dorsale appenninica per bloccare le truppe alleate che risalivano la penisola.

Le montagne che circondano Badia Tedalda offrono un’eccezionale visuale sugli accessi di tre vallate, l’alta Valtiberina, l’alta Valmarecchia e l’alta Valle del Foglia. Questo segmento della difesa era dunque di importanza cruciale per i tedeschi poiché offriva la possibilità di poter bloccare l’avanzata alleata su Forlì, Rimini e Pesaro e danneggiare l’aviazione diretta sui principali centri del Mar Adriatico.

Seguendo un modus operandi ormai collaudato i nazisti in queste zone procedevano al reclutamento forzato degli uomini atti al lavoro per la costruzione delle opere difensive e mettevano in atto soprusi di qualsiasi genere come violenze, stupri e razzie. Questa impostazione veniva arricchita da quella politica della “terra bruciata” volta ad isolare i partigiani attraverso l’esecuzione di azioni efferate ai danni delle popolazioni locali[1].

A Badia Tedalda l’esercito tedesco arrivato nei primi mesi del ’44 vi stazionò per quasi un anno fissandovi la sede di comando di una delle sue divisioni, la 114ª Jäger-Division, deputata – insieme agli artiglieri della contraerea – alla difesa di quella zona. La 114 ª era una divisione nata nell’Europa orientale per combattere i partigiani ed era stata spostata proprio nella Valtiberina con il compito di difendere la Linea Gotica in quel tratto dal Passo dei Mandrioli (valico di crinale dell’Appennino tosco-romagnolo) fino a Sestino (il comune più orientale della Valtiberina).

Questi reparti una volta sistematisi lungo le fortificazioni della Linea si occuparono inizialmente del completamento dei lavori di fortificazione per controllare gli Alleati che stavano avanzando lungo la Valtiberina.  Ma tra il 20 e il 25 settembre con lo sfondamento della Linea Gotica sull’Adriatico e al Passo del Giogo di Scarperia il comandante delle forze tedesche in Italia, Kesserling, fece immediatamente retrocedere i reparti qui dislocati che abbandonarono le postazioni senza subire un vero e proprio attacco. Però al momento della ritirata i tedeschi, oltre ad interrompere tutte le vie di comunicazione, rasero al suolo diversi edifici, tra cui il palazzo comunale, l’attiguo mattatoio e le case circostanti[2].

Oggi la scoperta di una cospicua serie di resti di fortificazioni sui crinali di queste montagne, insieme alla raccolta delle memorie dei testimoni, ha portato alla nascita del Parco storico della Linea Gotica. È una realtà ancora in costruzione che rende fruibile ai visitatori questo luogo di storia e di memoria, con i percorsi guidati per gli escursionisti, con le proposte didattiche per le scuole e con la realizzazione di spettacoli e manifestazioni.

Il Parco storico della Linea Gotica, nato nel 2011 dalla collaborazione tra la Pro Loco di Badia Tedalda e la cooperativa sociale Costess – con il patrocinio della Provincia di Arezzo e della Regione Toscana -, è un museo open air delle fortificazioni belliche che valorizza un patrimonio storico conservatosi in un ambiente naturale intatto e suggestivo[3].

 

L’area del Parco Storico della Linea Gotica

 

Parallelamente alla valorizzazione delle postazioni difensive sparse per il territorio è stata allestita anche una “Sala della Memoria”, uno spazio culturale con installazioni multimediali, ricavata all’interno del Centro-Visite della Riserva Alpe della Luna (nei pressi della piazza del paese). La sala raccoglie reperti storici locali di varie epoche, ma soprattutto pannelli ed installazioni video relativi alla Linea Gotica e alla storia del periodo[4].

 

La Sala della Memoria

 

Per consentire ai visitatori di muoversi nel Parco sono stati creati una serie di itinerari a piedi e in bicicletta, grazie ai quali è possibile raggiungere pressoché tutti i principali siti in cui sono ancora presenti i resti delle fortificazioni (trincee, fortini in pietra in pieno bosco, casematte, postazioni antiaeree, postazioni radio, rifugi e ricoveri). Tali itinerari – le cui descrizioni sono in parte consultabili sul sito web della Pro Loco – possono essere percorsi con facilità grazie alle segnalazioni e alle tabelle informative sparse per il Parco[5].

Nel Parco sono stati individuati più di 250 siti con resti di fortificazioni e alcuni di questi, quelli più significativi, sono stati completamente restaurati.

Ed è proprio per recuperare la memoria della Linea Gotica nel territorio di Badia Tedalda che vogliamo dare questo contributo invitando ad andare a visitare quei luoghi per scoprire i segni di una storia recente, come quelle opere militari, ormai inserite nella natura e nel paese, che hanno reso possibile la formazione del Parco Storico.

Riportiamo qui di seguito alcuni dei sentieri presenti all’interno del Parco storico ripresi dagli itinerari della Pro Loco di Badia Tedalda: alcuni sono percorribili a piedi ed altri in bicicletta.

È consigliabile prima di iniziare un’escursione prendere informazioni aggiornate presso il Centro Visite sullo stato della rete sentieristica e sull’accessibilità dei luoghi.

 

Sentiero di Hinton Brown

 

  • Lunghezza percorso: 10.4 km
  • Dislivello: ± 840 m
  • Difficoltà: EE
  • Punto di partenza: Valico di Montelabreve
  • Ritorno: per lo stesso percorso

 

Pilota Hinton-Brown

 

Hinton Brown era un pilota sudafricano facente parte di una squadriglia dell’esercito britannico[6]. Durante la seconda guerra mondiale l’aviatore venne colpito dalla contraerea tedesca attestatasi sulle montagne dell’Appenino tosco-romagnolo e non ebbe altra scelta se non quella di lanciarsi con il paracadute atterrando nelle campagne attorno a Sant’Agata Feltria, in una zona presidiata dai tedeschi. Vedendolo scendere i contadini ed i partigiani del posto lo soccorsero e lo portarono al sicuro nella frazione di Monteriolo; da qui Hinton iniziò un lungo cammino che lo portò a ricongiungersi con i suoi compagni giunti dalle parti di Anghiari in Valtiberina. Grazie all’aiuto dei partigiani e dei contadini il pilota riuscì ad attraversare le montagne evitando i nazisti ed i repubblichini, trovando ospitalità in case coloniche e chiese. Il suo itinerario toccò molte località: Donicilio, Tavolicci, Pereto, Castelpriore, Fragheto, Casteldelci, l’Alpe della Luna, Val di Canali, il Condotto, Montagna, fino al Tevere. Grazie al ritrovamento del suo diario oggi possiamo ripercorrere i sentieri che Hinton Brown attraversò per ricongiungersi ai suoi commilitoni. Lungo il sentiero sarà possibile poter individuare diverse postazioni che i tedeschi costruirono nelle zone attraversate dalla Linea Gotica.

Questo sentiero percorre in parte una delle più antiche vie dell’Alpe della Luna percorsa fin dal Medio Evo dai pellegrini e dai pastori e utilizzata fino ai primi anni Cinquanta del secolo scorso dai contrabbandieri che trasportavano clandestinamente il sale della Romagna e il tabacco della Valtiberina per evitare i dazi: con pesanti sacchi sulle spalle risalivano fino allo sbocco del Bucine, percorrevano un pezzo di crinale e poi scendevano giù per altri sentieri segreti fino a Sansepolcro dove scaricavano il sale, caricavano il tabacco e nuovamente salivano su per lo stesso percorso a ritroso fino in Romagna.  Per questa ragione gli abitanti del posto lo chiamano ancora il “sentiero dei contrabbandieri”.

 

Pannello descrittivo del Parco Storico sul sentiero di Hinton Brown

 

ITINERARIO

(È possibile effettuarlo sia a piedi che in mountain bike)

Il sentiero ha inizio al Valico di Montelabreve (Badia Tedalda) in corrispondenza con il sentiero CAI n. 5 in direzione di Monte Maggiore. Dopo pochi metri seguendo le indicazioni si svolta a sinistra scendendo nella valle e toccando le località di Montelabreve e Gorgoscura fino al guado sul torrente Auro (circa 3 chilometri dalla partenza). Superato il guado il sentiero sale a destra sovrapponendosi al sentiero BT6 (che corrisponde alla “via dei contrabbandieri”) e risale la valle dell’Auro fino al crinale (1.002 m).  Da qui i due sentieri si dividono: il “sentiero dei contrabbandieri” scende verso il colle delle Quarantelle, mentre il sentiero di Hinton Brown percorre il crinale del Poggio dell’Oppione fino allo sbocco del Bucine (circa otto chilometri dalla partenza, 1.232 m). Dal crinale si attraversa il sentiero 00/E1 e si scende fino alla località Val di Canale nei pressi di un rudere (10 chilometri dalla partenza, 898 m). In questa zona durante la seconda guerra mondiale vi erano molti casolari e poderi che davano ospitalità agli sfollati e a tutti coloro che cercavano sicurezza e libertà oltre il fronte della Linea Gotica. In uno di questi, il Podere il Condotto, alloggiò il pilota Hinton Brown prima di passare il Tevere per ricongiungersi ai suoi compagni. Da qui volendo si intraprende a ritroso lo stesso sentiero per ritornare al punto di partenza.

 

Il sasso di Cocchiola

 

  • Lunghezza percorso: 3 km
  • Dislivello: ± 231 MT
  • Difficoltà: E
  • Punto di partenza: Parco della Memoria – Badia Tedalda
  • Ritorno: per lo stesso percorso

 

Il Sasso di Cocchiola

 

Il percorso comincia dal “Parco della Memoria” situato alle porte di Badia Tedalda. Inaugurato nel novembre del 2011 grazie al contributo della Pro Loco e del comune il parco è stato creato per ricordare i caduti civili e militari delle due guerre mondiali, a ciascuno dei quali è stato dedicato un albero della pineta all’ingresso sud del paese.

Dal Parco storico della Linea Gotica seguiamo la segnaletica giallo-blu e saliamo fino alla sommità del primo rilievo sovrastante Badia e la strada provinciale, dove è possibile rintracciare, anche se poco riconoscibili, i resti di una postazione di avvistamento. Da qui procediamo sempre seguendo i segnavia colorati del Parco fino a raggiungere una strada sterrata che originariamente collegava Badia a Pratieghi (località al confine con l’Emilia-Romagna). Seguendo il tracciato di questa strada in circa 45 minuti giungiamo al rilievo montuoso del Sasso di Cocchiola (929 m), un sito con rilevanti resti della Linea Gotica che sono stati ripuliti e restaurati. Il nucleo di fortificazioni ancora presenti è interessante perché possiamo trovarvi diverse tipologie di costruzione e la tabella esplicativa aiuta il visitatore a prenderne conoscenza. Questo luogo era di fondamentale importanza per la sua posizione panoramica che garantiva alla contraerea tedesca una visibilità ideale per intercettare l’aviazione alleata e al tempo stesso, essendo vicino al quartier generale della Divisione, fungeva anche da presidio difensivo per un eventuale attacco terrestre. Sul Sasso di Cocchiola sono ancora visibili e riconoscibili i resti di due casematte: adibite principalmente per il deposito di munizioni, ma che fungevano al contempo da riparo per i soldati tedeschi in occasione degli attacchi alleati. Oltre alle casematte sono inoltre visibili i resti delle postazioni da tiro della contraerea tedesca che completavano il sistema difensivo della zona e servivano a contrastare i bombardamenti angloamericani[7].

 

La “casamatta”, Sasso di Cocchiola

 

Postazione antiaerea, Sasso di Cocchiola

 

Pannello descrittivo del Parco Storico sul Sasso di Cocchiola

 

Il Monte dei Frati

 

  • Lunghezza percorso: 5 km
  • Dislivello: ± 631 M
  • Difficoltà: E
  • Punto di partenza: Poggio La Piazzuola
  • Ritorno: per lo stesso percorso

 

 

Il Monte dei Frati

 

Queste zone dell’Alpe della Luna prima dell’arrivo dei tedeschi videro la presenza di diversi raggruppamenti partigiani, più precisamente quelli della V Brigata Garibaldi “Pesaro[8] e quelli della XXIII Brigata Garibaldi “P. Borri”, e furono teatro di azioni partigiane, rastrellamenti nazifascisti, scontri a fuoco e fucilazioni.

Il percorso qui di seguito proposto ha inizio da Poggio la Piazzuola che è possibile raggiungere in auto da Badia Tedalda in dieci minuti seguendo le indicazioni per Monteviale. Una volta lasciata l’auto si intraprende il sentiero CAI n. 19 che sale dolcemente alla sommità boscosa del Monte dei Frati (1.453 m), la massima elevazione dell’Alpe della Luna. La cima, segnalata da una piramide di pietre e da un cartello, è completamente coperta da una faggeta fiabesca; poco sotto si trova il piccolo Bivacco Paolo Massi, una piccola costruzione in legno sempre aperta, e a poca distanza dalla vetta il fianco orientale del Monte dei Frati è squarciato dalla Ripa della luna, un salto impressionante di roccia chiara e verticale che precipita per circa 300 metri di dislivello, la cui vista ci lascia affascinati dalla bellezza della natura.

 

Cima del Monte dei Frati

 

Nella prima parte del percorso si possono notare diversi punti panoramici sulla Val di Bruci, che fu la “base logistica” per gli uomini impegnati nella costruzione delle fortificazioni della Linea Gotica sul Monte dei Frati: fino a questo punto i tedeschi riuscivano ad arrivare con i mezzi a motore, dopodiché procedevano fino a dove era possibile con i muli e successivamente a piedi.

Proseguendo lungo il percorso si può notare come i principali punti di fortificazione fossero, oltre che strategici, anche in “contatto visivo” tra loro.

Una volta giunti al Monte dei Frati, dopo circa due ore di cammino dal punto di partenza, i cartelli del Parco consentono di raggiungere un ampio sito storico, dove possiamo ammirare una sorta di “cittadella” fortificata destinata ad ospitare la contraerea tedesca.

Se proseguiamo invece verso il Monte Maggiore giungiamo nel luogo dove era posizionato uno dei principali osservatori di tutta l’area, di cui ad oggi non vi è praticamente più traccia se non alcuni resti delle postazioni di servizio, alcune “buche” e “piazzole”.

 

Monte Verde

 

  • Lunghezza percorso: 5.5. km
  • Dislivello: ± 472 M
  • Difficoltà: E
  • Punto di partenza: Passo di Viamaggio
  • Ritorno: per lo stesso percorso

 

L’itinerario ha inizio dal Passo di Viamaggio, dove sono ancora visibili alcune batterie della contraerea tedesca e pezzi di artiglieria. Lasciata l’auto nei pressi del Bar L’Alpe seguendo i segnali giallo-blu si intraprende il sentiero CAI n.00 che arriva dopo circa un’ora a Monte Verde. Lungo il cammino è possibile incontrare resti di postazioni di fucilieri e mitraglieri che erano destinate a difendere i tedeschi dagli attacchi terrestri. L’individuazione di queste fortificazioni non è sempre facile, talvolta si possono nascondere sotto il fogliame o nella folta vegetazione che contraddistingue queste montagne.

Giunti in cima al Monte Verde si può avvistare sia una postazione di tiro che il punto terminale di una trincea, seguendo il quale si arriva a tre grandi postazioni per il ricovero delle truppe.

Per chi volesse approfondire la conoscenza della Linea Gotica consigliamo di proseguire verso Monte Macchione, un promontorio di crinale a quota più bassa del Monte Verde, dove sono presenti numerosi resti delle fortificazioni tedesche. Sebbene non siano stati ancora recuperati sono visibili i resti di dodici postazioni di tiro in prevalenza utilizzate per fucilieri e mitraglieri e nella parte posteriore della cima del Monte i resti di un ricovero per la truppa e di una casamatta sotterranea.

Per gli amanti della bicicletta si consiglia La staffetta della memoria, un’iniziativa molto seguita e partecipata, che si snoda in una lunga pedalata appenninica nei giorni del 25 aprile e del 1° maggio, per mantenere sempre vivi nella memoria gli avvenimenti che hanno portato alla nascita della Repubblica Italiana e alla Costituzione. L’itinerario che ripercorre il tracciato storico della Linea Gotica attraversa anche il tratto della Linea che collega il Parco storico di Badia Tedalda al Parco nazionale delle Foreste Casentinesi[9].

 

La staffetta della memoria

 

Un altro percorso in bicicletta che riguarda invece solo il territorio di Badia Tedalda e ci consente di visitare i resti della Linea Gotica e di immergersi nell’area dell’Alpe della Luna è “il sentiero della Battaglia”.

 

Il Sentiero della Battaglia

  • Lunghezza percorso: 23. km
  • Dislivello: ± 625 M
  • Punto di partenza: Badia Tedalda
  • Ritorno: Badia Tedalda

 

Pannello descrittivo del Parco Storico sul Sentiero della Battaglia

 

Il sentiero parte da Badia Tedalda e segue una delle vie che nel giugno del 1944 i nazisti percorsero per compiere un accerchiamento ai danni della V Brigata Garibaldi “Pesaro”. La zona in questione fu teatro di uno scontro che contrappose i tedeschi provenienti da Sestino e Badia Tedalda e alcuni raggruppamenti partigiani appostati sui crinali di quelle montagne. I componenti della “Pesaro” riuscirono a resistere per tutta la giornata agli attacchi nemici senza subire gravi perdite e a respingere il nemico[10].

 

Il gruppo di comando della Brigata Garibaldi “Pesaro”

 

L’itinerario di questo percorso è circolare e si snoda per 23 km senza presentare particolari dislivelli proibitivi[11]. Da Badia Tedalda seguiamo le indicazioni per Moteviale e una volta giunti al bivio svoltiamo per Stiavola. Superata la cascata del Presale che troviamo alla nostra sinistra proseguiamo fino all’incrocio successivo seguendo le indicazioni per Montelabreve. Da qui si intraprende una strada in ascesa fino al Passo di Montelaberve (circa 9 km), poi si vira a destra e si prende il sentiero CAI n. 5 e lo si segue integralmente fino a superare il Poggio di Monterano. La strada risulta quasi interamente pedalabile ma vi sono alcuni punti in cui sono presenti delle ripide rampe che costringono a portare la bicicletta a mano. Lungo il cammino è poi possibile poter individuare alcune postazioni tedesche grazie alla segnaletica del Parco Storico; in questo caso sarà necessario compiere delle brevi deviazioni al percorso tradizionale ed addentrarsi per pochi metri nella boscaglia, dove potremo osservare le fortificazioni utilizzate dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. Le trincee, i camminamenti e i luoghi adibiti all’artiglieria e all’osservazione sono in prevalenza situati lungo il crinale, ossia il punto che offre la miglior visibilità.
Giunti al bivio di Monterano il percorso scende a destra sul sentiero segnalato; chi invece volesse individuare altre fortificazioni tedesche dovrà procedere verso Monte Maggiore e poco dopo troverà alla sinistra del sentiero alcune postazioni  che erano state costruite per controllare gli eventuali movimenti nemici nella vallata. Al bivio di Monterano il percorso prosegue dunque verso destra: si abbandona il crinale e si scende sulla strada forestale che ci porterà in poco tempo alla Casa di Monterano, unico casolare sopravvissuto di una piccola frazione che all’epoca fu sede di un comando tedesco.
La strada forestale, ora ampia e senza deviazioni significative, attraversa la Val di Petra e con alcuni saliscendi giunge a Poggio la Piazzuola; qui, superata la sbarra, si prosegue verso destra su una strada sterrata. La discesa – inizialmente dolce ma successivamente più ripida – ci conduce prima a Monteviale e poi, tornati sull’asfalto, all’incrocio presso il ponte di Val di Brucia. Ora, svoltando a sinistra, risaliamo l’ultimo chilometro in salita e giungiamo al punto di partenza nella piazza di Badia Tedalda.

 

 

Un viaggio lungo i sentieri del Parco Storico di Badia Tedalda che ognuno può condurre in modo personale, con ritmi e scelte che ciascuno può fare tra le tante possibilità di visita che vengono proposte. Ognuno segue il proprio passo, più lento o più veloce a seconda delle passioni e dei giorni e ognuno… trova il suo senso.

 

NOTE:

[1] Ivan Tognarini, La Linea Gotica in provincia di Arezzo, in Paesaggi della memoria. Itinerari della Linea Gotica in Toscana, Touring Club Italiano, Milano 2005, pp. 34-37.

[2] Ivan Tognarini (a cura di), 1943-1945, la Liberazione in Toscana: la storia, la memoria, Pagnini, Firenze 1994, p. 22.

[3] Consulta il sito web della Pro Loco di Badia Tedalda https://www.prolocobadiatedalda.it/ e il periodico trimestrale online “Luna Nuova” di informazione e promozione dell’Alta Valmarecchia e Alpe della Luna in https://lunanuovaweb.home.blog/2019/10/16/il-parco-storico-della-linea-gotica-di-badia-tedalda-un-cantiere-aperto/

[4] Cfr.  Linea Gotica. Il Parco Storico di Badia Tedalda in https://blogcamminarenellastoria.wordpress.com/2022/05/10/linea-gotica-il-parco-storico-di-badia-tedalda/

[5] Cfr. Itinerari della Linea Gotica a Badia Tedalda in https://visitbadiatedalda.it/itinerari-e-escursioni/parco-storico-linea-gotica/

[6] I Sentieri della Memoria in https://lunanuovaweb.home.blog/2020/02/04/i-sentieri-della-memoria/

[7] Cfr.  Andrea Meschini e Doriano Pela, Il cammino della Linea Gotica. Un cammino civile sui luoghi dove è nata la Costituzione, Associazione Fuori dalle Vie Maestre.

[8] Alvaro Tacchini, La 5° Brigata Garibaldi “Pesaro”, in https://www.storiatifernate.it/id/la-5a-brigata-garibaldi-pesaro/

[9] Cfr. Il sito web Il cammino della Linea Gotica in https://www.camminolineagotica.it/staffetta-della-memoria/

[10] Alvaro Tacchini, Il rastrellamento del 3-6 giugno 1944 sull’Alpe della Luna, in https://www.storiatifernate.it/id/il-rastrellamento-del-3-6-giugno-1944-sullalpe-della-luna

[11] Cfr. il sentiero su https://www.prolocobadiatedalda.it/itinerari-ed-escursioni/

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel mese di novembre 2024.




Ricordare per non dimenticare

 

“Cari compagni… io muoio ma l’idea vivrà nel futuro, luminosa, grande e bella. Siamo alla fine di tutti i mali. Questi giorni sono come gli ultimi giorni di vita di un grosso mostro che vuol fare più vittime possibili. Se vivrete tocca a voi rifare questa Italia che è così bella… Sui nostri corpi si farà il faro della libertà”[1].

Un mostro che negli ultimi giorni di vita – due giorni dopo i nazisti avrebbero lasciato l’aretino per risalire verso la Linea Gotica – si è adoperato con una meticolosa precisione, che è una delle virtù dell’ingegno tedesco, per rendere più efficaci ed inesorabili i metodi di sterminio. Seppellire vivi degli esseri umani mettendoli in tasca dell’esplosivo e poi farlo esplodere, immaginando che i sintomi di asfissia lasciassero il posto alle lacerazioni causate dall’esplosione, è un calcolo di una finezza macabra del peggior aguzzino. Questo hanno compiuto i tedeschi a San Polo, questo è uno dei tanti orribili misfatti che hanno attuato nella provincia aretina, questa è una delle tante stragi rimaste impunite!

L’intenzione dei tedeschi di spezzare il movimento della Resistenza annientando la popolazione, perché lì vi erano i fiancheggiatori e lì si annidavano i partigiani difficilmente identificabili, causò molte vittime innocenti la cui colpa era solo di trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato. E pensare che molti di loro avevano lasciato la città di Arezzo per salvarsi la vita fuggendo dai bombardamenti che nella primavera del ’44 si ripetevano quotidianamente. Ma in quelle campagne, dove credevano di poter vivere lontano dalla guerra, rimasero vittime prima di rastrellamenti e successivamente di quella macchina di morte che si era materializzata tra le file dei nazisti. Ma seppur civili e non combattenti, seppur innocenti e distanti dallo scontro bellico, anche il loro sacrificio – indubbiamente evitabile, pensiamo a tutti i bambini morti – ha dato un ulteriore spinta alla lotta contro l’invasore tedesco, coadiuvato dai fascisti repubblichini, per porre fine una volta per tutte a quella mattanza, a quello stillicidio di vite umane innocenti. E per dare un senso, per quanto difficile, alla morte di queste persone le dobbiamo accomunare al sacrificio delle vite dei partigiani che sono morti con il sogno che la loro “idea vivrà nel futuro, luminosa, grande e bella” e dobbiamo ricordare tutti gli uomini, donne e bambini che hanno perso la vita in quel periodo, tutte vittime della Resistenza, andando anche a visitare quei monumenti che ne ricordano il sacrificio, perché su quei “corpi si è fatto il faro della libertà“, e tocca a noi fare attenzione che non si spenga, tocca a noi mantenerlo vivo ed acceso negli anni a venire.

 

Oggi i martiri di San Polo vengono ricordati da due monumenti. Il primo si trova nel luogo della strage, all’interno della proprietà di Villa Gigliosi ma comunque visitabile grazie ad un percorso esterno: l’Edicola ai Caduti civili e partigiani della strage del 14 Luglio 1944 a San Polo di Arezzo.

 

Edicola ai caduti di San Polo a Villa Gigliosi.

 

Si tratta di una struttura in laterizio e marmo a pianta rettangolare con la volta superiore ad arco. All’interno della nicchia si trova una lastra di marmo su cui è incisa l’epigrafe, con la data della strage e la dedica dei familiari delle vittime.  Nella parte inferiore della nicchia è collocata una lapide marmorea su cui sono incisi i nomi dei Caduti in ordine sparso. Mentre nella parte superiore dei fianchi dell’edicola, su due listelli rettangolari di marmo, sono incastonate alcune foto stampate su ceramica di alcune delle vittime ognuna con il proprio nome [2].

 

Particolare del monumento (1): lastra di marmo sulla quale è incisa l’epigrafe.

 

Particolare del monumento (2): Lapide marmorea su cui sono incisi, su tre file da sedici, i nomi dei Caduti in ordine sparso, alcuni dei quali trascritti in maniera errata.

 

Particolare del monumento (3): uno dei due listelli rettangolari di marmo, dove sono incastonati i fotoritratti in ceramica di alcune delle vittime.

 

Spostandoci invece nella parte alta di San Polo, a lato dell’antica pieve, si può ammirare il monumento in memoria dell’eccidio di San Polo, realizzato grazie ad un progetto che a partire dal 2006 coinvolse sia il Comune di Arezzo, che la Circoscrizione 1 Giovi e il Liceo Artistico “Piero della Francesca”.

 

Monumento in memoria dell’eccidio di San Polo.

 

Quello che chiedevano gli abitanti di San Polo e i parenti delle vittime era di rendere giustizia alla memoria dell’eccidio attraverso un monumento e un luogo dove celebrare il ricordo dei propri concittadini e dei propri cari. Il monumento, affidato alla progettazione degli allievi della scuola, offriva anche l’occasione di condurre un’indagine conoscitiva sull’evento, per molti aspetti ancora oscuro e dibattuto. All’inizio solo pochi cittadini presero parte al processo realizzativo, poi nel tempo anche gli altri cominciarono a parteciparvi, chi con interesse e chi con dolore ha voluto testimoniare il ricordo di una strage vissuta direttamente.

Il monumento che ricorda l’efferato eccidio – in cemento e bronzo – è opera dell’artista Sandro Ricci, su bozzetto della studentessa Elisabetta Festa dal titolo “La disperazione e la memoria”. Una lastra verticale forata simboleggia una vittima con le braccia alzate prima di cadere colpita a morte. A terra una statua in bronzo di un caduto e a sinistra, su un supporto metallico, una targa in plexiglass con l’elenco dei caduti tra i rastrellamenti avvenuti a Pietramala, Molin dei Falchi, Vezzano e San Polo e l’eccidio di Villa Gigliosi [3].

 

Targa in plexiglass con l’elenco dei caduti, accanto al monumento in memoria dell’eccidio di San Polo.

 

Un monumento per ricordare a tutti le vittime civili innocenti morte in guerra, per ricordare cosa vuol dire perdere un amico, un fratello od un padre che aveva la sola colpa di essere nel posto sbagliato nel momento sbagliato, in una guerra non cercata, non voluta e nemmeno combattuta.

Da questo progetto è stato poi realizzato anche un volume dal titolo Memoria di un eccidio – San Polo 1944” e un docufilm per la regia di Alessandro Benci, a cui aderirono vari enti e associazioni [4]

Ogni 14 luglio la comunità locale e le autorità organizzano una cerimonia per ricordare quell’atroce eccidio. Durante queste commemorazioni vengono poste corone di fiori, accompagnate da discorsi in onore delle vittime.

Questi monumenti sono importanti non solo per la comunità locale, ma anche per mantenere viva la memoria di ciò che accadde in quei tragici giorni.

 

ITINERARIO NELLA MEMORIA DI SAN POLO

 

Mappa del percorso: da Molin dei Falchi a San Polo

 

Calcare gli stessi passi, osservare le stesse cose, respirare la stessa aria di chi ottant’anni fa ha perso la vita in quella strage. È fondamentale che la coscienza civica rimanga forte.

Riportiamo qui di seguito un itinerario della memoria tratto del libro “Memoria di un eccidio” [5] che invita a vedere e toccare con mano i segni di quello che avvenne in quel tragico 14 luglio.

Si tratta di un’esplorazione che può essere condotta da soli o in gruppo per visitare i siti delle case che ospitavano le famiglie sfollate nel 1944, di Pietramala, Mulin dei Falchi, Vezzano, dove ebbe inizio il rastrellamento; percorrere poi il sentiero 531, soffermarsi presso i cippi che ricordano i momenti in cui i tedeschi uccisero, lungo il percorso, alcuni dei prigionieri; passare per villa Mancini a San Polo, dove alloggiava il comando tedesco e giungere poi a villa Gigliosi, nel boschetto della Ragnaia, dove vennero barbaramente uccise decine di persone, e fermarsi a guardare l’edicola commemorativa.

Tempo: Un’ora e mezzo circa a piedi (6,4 km)

Dislivello + 148, – 367

Un itinerario che si interseca con quello del paesaggio più ampio dei Beni Culturali e Artistici: sono visibili i resti del Castello di Pietramala, la chiesa della Madonna del Giuncheto di San Polo, che ospita una piccola raccolta di residui della seconda guerra mondiale e il monumento commemorativo alle vittime di San Polo.

 

Note:

[1] Lettera di Giordano Cavestro scritta poco prima di esser fucilato a Bardi il 4 maggio 1944, in https://www.istitutostoricoparma.it/storia-digitale/lettere-dei-condannati-a-morte/giordano-cavestro/ultima-lettera.

[2] Edicola ai caduti civili e partigiani della strage del 14 luglio 1944 a San Polo di Arezzo in https://www.pietredellamemoria.it.

[3] Monumento in memoria dell’eccidio di San Polo Arezzo in https://www.pietredellamemoria.it.

[4] Memoria di un eccidio, San Polo 14 luglio 1944 il giorno più lungo in https://www.youtube.com/.

[5] Memoria di un eccidio: San Polo 1944, Le Balze, Montepulciano 2003, pp. 150-154.

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel mese di ottobre 2024.

 




Primavera/estate 1944: le vallate aretine grondano sangue

Dopo lo sfondamento di Montecassino degli Alleati, la ritirata delle truppe tedesche dalla Linea Gustav alla Linea Gotica si è portata dietro una lunga scia di sangue con una serie raccapricciante di eccidi, molto spesso pianificati da una strategia stragista.

La sensazione, che man mano diventava realtà, di non essere più un esercito invincibile, che il sogno di conquistare il mondo sarebbe rimasto tale, che la guerra si sarebbe persa, rese i nazisti, da Hitler all’ultimo soldato semplice, sempre più violenti e disumani. In più vi era quell’azione di guerriglia portata avanti dalle formazioni partigiane, atte a contrastare la loro ritirata, che logorava fino allo sfinimento il morale tra le file dei militari; militari già esasperati dalle condizioni di una guerra che per molti di loro si stava protraendo da quasi cinque anni, in giro per il mondo, lontano da casa e con la morte sempre ad un passo. E dall’alto del comando giungeva l’ordine di usare la mano pesante per debellare l’attività di coloro che venivano definiti “banditi”, ai quali, non essendo militari, non veniva riconosciuto nessun diritto delle leggi di guerra. Lo stesso Kesserling, comandate delle forze tedesche in Italia, era andato oltre auspicando un contegno durissimo ed intransigente anche verso i civili in quanto fiancheggiatori o possibili partigiani. Per lui il problema consisteva nel fatto che i partigiani non portassero la divisa per cui si poteva supporre che ogni civile fosse pronto a colpire facendo vivere i soldati tedeschi sotto continua minaccia. Il famoso “Befehl” del 17 giugno 1944, a sua ispirazione, redazione e firma che dice: “uccidete, e qualsiasi cosa vi accada vi difenderò, e se non vi scatenerete contro gli italiani vi punirò”, costrinse tutti i militari tedeschi a strafare.

E durante il passaggio del fronte di guerra nella provincia aretina il “Befehl” di Kesserling fu messo in pratica con una ferocia disumana che probabilmente andò anche oltre le intenzioni del comandante tedesco. Nessuna pietà né per donne, anziani e bambini, perfino un neonato di due settimane fu trucidato con una sventagliata di mitra. Nessuna pietà neanche per quella donna incinta che durante il tragitto della “marcia della morte” da Molin dei Falchi a San Polo stanca per il cammino si accasciò a terra e fu uccisa con il suo bimbo in grembo con un colpo alla pancia. Una follia rabbiosa che trovava nell’eccidio di esseri umani inermi la sua massima espressione e che a volte non aveva bisogno neanche di giustificazioni (se possono esistere giustificazioni) di ritorsioni per uccisioni nelle file tedesche. Si uccideva barbaramente per il solo gusto di uccidere, si uccideva solo perché gli italiani venivano considerati traditori: dal nonno al nipotino seppur innocenti ed estranei alla guerra per il solo fatto di essere italiani meritavano la morte…

Nel territorio aretino non avvennero grandi stragi per numero di vittime come a Marzabotto (oltre 800 vittime) o a Sant’Anna di Stazzema (560 vittime), ma si susseguirono una serie di eccidi, 42 per la precisione, sparsi per le colline e le campagne che nella primavera/estate del ‘44, in soli quattro mesi causarono quasi 1500 morti. Quel territorio costituiva l’ultimo baluardo per contrastare l’avanzata degli Alleati e dovevano resistere fintantoché non fosse ultimata la costruzione della Linea Gotica e quando le truppe tedesche lentamente si ritiravano facevano terra bruciata dietro a loro.

 

PERCHE’ LA MEMORIA NON SI CANCELLI

Nell’anno dell’ottantesimo Anniversario della Liberazione della provincia aretina, perché si tenga sempre alta l’attenzione e vivido il ricordo di ciò che è avvenuto, abbiamo individuato una sorta di “Sentiero Resistente” inteso come caduti per la Resistenza, dove narriamo e ripercorriamo alcune stragi meno note compiute nell’aretino. Nel corso di questo percorso andremo a visitare i vari monumenti dedicati alle vittime di quelle violenze compiute dai nazifascisti nell’estate del ‘44.

L’itinerario è lungo complessivamente 39 km, percorribili in automobile in circa un’ora, in bicicletta in due ore, oppure per i più “coraggiosi” amanti del trekking è possibile effettuarlo a piedi impiegando circa 8 ore di cammino.

 

Mappa del percorso

 

Le Tappe: Monumento ai caduti dell’eccidio di Badicroce – Monumento ai caduti dell’eccidio dell’Intoppo-Palazzo del Pero – Monumento ai caduti di Staggiano – Carcere di Arezzo – Cippo ai caduti dell’eccidio del Mulinaccio – Monumento ai caduti di San Leo – Monumento in memoria dell’eccidio di San Polo – Murales della Chiassa Superiore.

 

1° tappa: Monumento ai caduti dell’eccidio di Badicroce

Il nostro percorso inizia con la visita al monumento in ricordo delle 17 vittime civili trucidate dai tedeschi nella fattoria di Badicroce e nei suoi dintorni. Il monumento si trova in uno spiazzo al lato della strada provinciale che unisce Gambaronica a Palazzo del Pero.

Dalla metà di giugno questa era un’area di passaggio delle truppe tedesche che facevano la spola tra il fronte e il presidio di Arezzo. Una sera un ufficiale dopo essersi fermato a cenare alla fattoria aveva sparato in aria un colpo di pistola ottenendo come risposta una raffica di mitra in lontananza, segno inequivocabile che nella zona ci fossero uomini armati. Questo fu sufficiente a sospettare che il proprietario della fattoria, il dottor Alberto Lisi, fosse coinvolto con la Resistenza e a considerare la zona un ricettacolo di partigiani protetti dalla popolazione civile, cosicché nei giorni seguenti la morte di un soldato fece scattare subito la rappresaglia in quel luogo. Iniziarono mettendo a fuoco le case di contadini e boscaioli all’interno della tenuta eccetto la colonica detta “Aia vecchia”, che fu occupata dai tedeschi diventando la loro base logistica per i crimini dei giorni a seguire. Le stalle della casa furono adibite a centro di raccolta e detenzione, ma anche luogo di interrogatori e torture (e non mancarono in quelle stanze anche stupri per le malcapitate donne), per tutti gli abitanti e gli sfollati che furono presi in ostaggio durante le azioni di rastrellamento.

Il 3 luglio cominciava l’emorragia di civili: le prime vittime furono tre uomini arrestati a Palazzo del Pero e condotti a Badicroce per essere giustiziati e fino al 10 luglio caddero sotto i colpi nazisti diciassette persone (sei anziani, sette adulti, due donne e due bambini). Una delle donne era Olga Badini, giovane sposa sfollata ad Arezzo, la cui colpa fu solo quella di impedire, opponendosi energicamente, a due soldati tedeschi di usare violenza su alcune ragazze. I due inizialmente desistettero ma dopo alcune ore tornarono nella stalla dove erano reclusi gli sfollati, presero la Badini e la condussero fuori. Il suo cadavere fu trovato insieme ad altre vittime il giorno dopo la liberazione nel bosco con incredibili segni di violenza e con un fazzoletto alla gola, causa probabile di morte per asfissia[1].

L’opera in ricordo dell’eccidio è stata realizzata dagli studenti di terza dell’Istituto d’Arte “Piero della Francesca” di Arezzo, ed è stata inaugurata il 26 marzo 2011. La scultura rappresenta una donna che cerca di rialzare il corpo di un uomo, con accanto anche quello giacente di una ragazza. Sul basamento sono poste due targhe in metallo, una, quella a destra, in cui sono incisi i nomi dei caduti, l’altra, quella a sinistra, ha invece inciso il simbolo della Repubblica italiana, la dedica alle vittime e gli autori dell’opera.

 

Monumento eccidio Badicroce, a Pian di Usciano.

 

2° tappa: Monumento ai caduti dell’eccidio dell’Intoppo-Palazzo del Pero

Badicroce – Palazzo del Pero 3,4 km (4 minuti in auto, 46 minuti a piedi).

Proseguendo in direzione nord si oltrepassa l’abitato di Palazzo del Pero, in direzione Molin Nuovo e si arriva, dopo circa tre chilometri e mezzo, al monumento ai caduti dell’eccidio di Palazzo del Pero, posto in un ampio spazio nella parallela della strada statale 73.

In uno scontro a fuoco il 23 giugno, nelle vicinanze della fattoria Bianchini a Palazzo del Pero, fu ucciso un soldato della Wehrmacht. Immediata fu la reazione dei tedeschi che arrestarono il proprietario Domenico Bianchini insieme al figlio ed al nipote. Il mattino seguente furono rilasciati, ma un reparto tedesco, probabilmente appartenente alla polizia militare, tornò alla fattoria, catturò i contadini che stavano tranquillamente mietendo il grano e dettero fuoco ai loro poderi. Dal modo di comportarsi dei soldati si comprese fin da subito la gravità della situazione e che la loro azione di rappresaglia sarebbe stata molto dura e luttuosa. Infatti nove contadini vennero prelevati e portati nei pressi di una chiesa in località il Muraglione per essere giustiziati. A niente valsero le grida disperate dei parenti e le loro invocazioni di pietà per i propri cari cercando soprattutto di mettere in rilievo la loro innocenza. Il comandante del reparto fece rispondere all’interprete: “anch’io sono convinto della loro innocenza, come pure sono convinto che noi abbiamo perduto la guerra, però dobbiamo farli fucilare egualmente[2]. Quegli uomini vennero fatti allineare lungo la strada ed al comando uccisi con scariche di mitra.  La decima vittima, Giulio Bacci, fu sorpresa mentre tentava la fuga sulla via fra Maiano e Le Lastre. Sarà la madre il giorno dopo a ritrovare il corpo straziato del figlio sul ciglio della strada.

Due manufatti sono stati posti in tempi diversi in memoria della fucilazione di 10 uomini, tra civili e partigiani, avvenuta in questo luogo il 24 giugno del ‘44 per mano dei soldati tedeschi. Il primo, collocato a breve distanza dall’accaduto, è un cippo di pietra con incassata una lapide di marmo sulla quale sono riportati i nomi dei dieci caduti. L’altro monumento invece, posto nel cinquantesimo anniversario dall’eccidio, è costituito da un masso di pietra in cui è incastonato un bassorilievo che raffigura una Pietà in bronzo.

 

Monumento ai caduti dell’eccidio dell’Intoppo.

 

3° tappa: Monumento ai caduti di Staggiano

Palazzo del Pero – Staggiano 9,5 km (12 minuti in auto, un’ora e mezzo circa a piedi).

Dal monumento dell’eccidio di Palazzo del Pero torniamo indietro per pochi metri sulla strada provinciale e svoltiamo a destra prendendo la strada statale 73, per poi uscire dalla strada principale all’altezza del bivio con indicazione “Poti”; infine proseguiamo fino a Staggiano, una piccola frazione del comune di Arezzo, vittima di un altro eccidio nazista nel luglio del ’44.

Lungo la strada di fronte alla chiesa delle Sante Flora e Lucilla, in via Santa Fiora, si trova il monumento ai caduti di Staggiano, due lapidi di marmo nelle quali sono incisi i nomi dei caduti della prima e della seconda guerra mondiale.

L’11 luglio una pattuglia di soldati tedeschi giunse alla casa colonica Torri, situata in collina sopra il paese di Staggiano, in cui abitava la famiglia Carboni che aveva ospitato alcuni sfollati. Quel giorno era presente in casa anche un giovane capitato lì per caso che possedeva una pistola. Alla vista dei tedeschi egli si allontanò precipitosamente nascondendo l’arma sotto un covone di grano. Quel gesto non passò inosservato: il giovane fu catturato e la sua arma ritrovata. Ma nelle vicinanze vi era una compagnia della formazione “Pio Borri” guidata da Siro Rossetti, che si era attestata su Poggio Tondo, sopra Staggiano per prepararsi alla calata sulla città di Arezzo. I partigiani intervenuti prontamente per risolvere la questione riuscirono ad avere la meglio respingendo la pattuglia tedesca anche se nello scontro a fuoco persero la vita due suoi uomini. Inevitabilmente la ritorsione non tardò ad arrivare e dopo qualche ora i tedeschi ritornarono incendiando la fattoria, considerata una base dei partigiani, sterminarono il bestiame e fermarono sei uomini: i fratelli Angelo e Ferdinando Carboni, intenti a pascolare il gregge; Manlio, Alfonso e Alberto Mazzi, che si trovavano in casa ed il giovane Piero Poretti, il proprietario della rivoltella. Tutti quanti furono portati a villa Sacchetti, sede del comando tedesco, e qui barbaramente uccisi.  I loro corpi vennero rinvenuti quattro giorni dopo, il 16 luglio, giorno della liberazione di Arezzo, in una buca a Santa Fiora: “I corpi da quanto si poté constatare erano stati calcati a forza nella buca. In tasca a ciascuno era stata messa una quantità di esplosivo e si poté anche constatare che per rendere più tremenda la morte erano state sparate addosso a loro alcune fucilate con cartucce di pallini[3].

 

Monumento ai caduti di Staggiano

Nomi dei sei uomini caduti a Staggiano durante la Resistenza.

 

 

 

 

 

 

 

 

4° tappa: Carcere di Arezzo

Staggiano- Arezzo carcere 5,5 km (10 minuti in auto, un’ora circa a piedi).

Da Staggiano proseguiamo in direzione nord-ovest verso Arezzo, prendendo via Anconetana fino a giungere nella zona del centro storico della città.

In via Garibaldi, distante dieci minuti dalla cattedrale dei Santi Pietro e Donato, troviamo la casa circondariale di Arezzo, dove il 15 giugno del ’44 vennero barbaramente trucidati, da componenti della Guardia Nazionale della Repubblica di Salò, Santino Tani (anima della Resistenza aretina), suo fratello don Giuseppe Tani e Aroldo Rossi, catturati il precedente 30 maggio nei pressi di Montauto (Anghiari)[4].

La cella dove i tre partigiani vennero sottoposti ad inaudite violenze e poi massacrati con decine di proiettili è oggi monumento nazionale. Nella lapide posta accanto alla cella sono raffigurati i loro volti, ritratti nei tre ovali apposti sulla sommità della lapide, che recita: “In odio alla libertà, qui furono imprigionati, straziati, uccisi Santino Tani, don Giuseppe Tani, Aroldo Rossi. La libertà risorta ne addita la fede e il sacrificio agli italiani”.

 

Targa posta accanto alla cella nel carcere di Arezzo dove vennero trucidati i tre partigiani.

 

5° tappa: Cippo ai caduti dell’eccidio del Mulinaccio

Arezzo carcere – Mulinaccio 2,3 km (6 minuti in auto, mezz’ora a piedi).

Si continua percorrendo via Giuseppe Garibaldi in direzione sud, per poi svoltare a destra all’altezza dell’incrocio con via San Lorentino e continuare per più di un chilometro fino ad arrivare al bivio con via Antonio Stoppani, svoltiamo a destra e proseguiamo fino a via Camillo Golgi, dove è visibile, prendendo una rampa pedonale, segnalata da un apposito cartello, che scende verso il torrente Castro, il cippo ai caduti dell’eccidio del Mulinaccio.

Il monumento inaugurato nel dopoguerra è stato restaurato, grazie ai parenti delle vittime, nel 2008.

La strage del Mulinaccio venne compiuta il 6 luglio del 1944, a dieci giorni dalla liberazione di Arezzo. Quindici uomini che stavano lavorando nei campi, residenti presso il podere il Mulinaccio, vennero presi dai tedeschi. Nonostante i giorni precedenti avessero intrapreso rapporti amichevoli con loro, i soldati quel 6 luglio li divisero dalle loro mogli e madri e li fecero camminare lungo il sentiero che porta verso il torrente Castro. Qui, poco oltre il guado, vennero uccisi a colpi di mitraglia e gettati in una fossa. Il giorno successivo gli stessi soldati ritornarono al podere intimando alle donne la partenza dalle case coloniche e comunicando loro la morte dei familiari, dicendo ripetutamente “Partisanen kaputt!”.  Le donne, non conoscendo la lingua, non capirono, e soltanto una settimana dopo si resero conto del crimine che era stato consumato scoprendo la fossa dei cadaveri.

Ancora oggi non si riesce a capire le motivazioni dietro a quella strage: la memoria locale suggerisce la motivazione della rappresaglia, ma per il partigiano e scrittore Enzo Droandi si tratta invece di “violenza ingiustificata” e non si esclude la possibilità che si possa parlare di “terra bruciata”: “i tedeschi erano esasperati e catturavano chiunque, vedendo partigiani un po’ ovunque e nelle donne vedevano delle informatrici ribelli[5].

 

Cippo ai caduti dell’eccidio del Mulinaccio.

 

6° tappa: Monumento ai caduti di San Leo

Mulinaccio- San Leo 2 km (cinque minuti in auto, venti minuti a piedi).

Procediamo in direzione est percorrendo via Fiorentina poi via San Leo e giunti all’angolo con via Gaetano Donizzetti scorgiamo in un’area verde al lato della strada il monumento ai caduti di San Leo.

Il 6 giugno 1944 in località San Leo la gendarmeria tedesca catturò tre giovani che riteneva partigiani e li passò immediatamente per le armi. Questi ragazzi, secondo il racconto del parroco di San Leo, don Guido Terziani, che li conosceva di persona, erano stati mobilitati contro la loro volontà dai repubblichini ed aggregati – come tanti altri giovani – all’esercito tedesco[6]. Successivamente decisero di disertare e andare in montagna con i partigiani, ma vennero catturati dai fascisti e consegnati ai tedeschi. Condannati alla fucilazione per diserzione furono condotti lungo il canale della Chiana (nei pressi della Chiusa dei Monaci), in una piccola valle: uno alla volta furono legati ad un palo, bendati e fucilati al petto.

Le vittime: Aldo Esalti di Rovigo, Bruno Greggio di Villadosa, Luigi Guerra di Bosco di Rubano, tutti ventenni, furono sepolti nel cimitero di San Leo. Sopra la tomba vennero poste tre croci di legno con i loro nomi incisi.

Nella lapide commemorativa figurano i nomi di altri tre giovani anche loro disertori che furono fucilati presso il ponte della Chiassa.

Il monumento ai caduti è composto da tre grandi stele rettangolari di pietra che poggiano su un comune basamento in muratura. Nella prima stele, dedicata ai sei disertori italiani fucilati dai tedeschi il 6 giugno ’44, vi è raffigurato un angelo che depone dei fiori in un prato costeggiato da dei cipressi e un’epigrafe che riporta i nomi dei fucilati. Le altre due stele invece sono dedicate, quella centrale, ai caduti della Grande guerra e, la terza, ai caduti della seconda guerra mondiale.

 

Monumento ai caduti di San Leo.

Stele in memoria dei sei disertori italiani fucilati dai tedeschi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

7° tappa: Monumento in memoria dell’eccidio di San Polo

San Leo – San Polo 8 km e mezzo (12 minuti in auto, un’ora e cinquanta circa a piedi).

Dal monumento a San Leo prendiamo a ritroso via Fiorentina fino ad arrivare all’incrocio con viale Giovanni Amendola, dove svoltiamo a sinistra e proseguiamo in direzione nord-est percorrendo viale Filippo Turati. Giunti all’incrocio con via Buonconte da Montefeltro proseguiamo fino al bivio con via Fontebranda che percorriamo fino ad arrivare a San Polo.

La strage di San Polo  avvenne il 14 luglio del  ’44, due giorni prima della liberazione di Arezzo, e conta complessivamente 63 vittime. Fu un eccidio che si consumò a più riprese in diversi luoghi della stessa zona ed ebbe l’epilogo finale a San Polo presso villa Gigliosi. Rimane impressa nella Storia la terribile, raccapricciante violenza con cui si perpetrò questa strage ad opera dei nazisti che non risparmiarono neanche un neonato di due settimane.

 

Monumento in memoria della strage di San Polo.

 

8° tappa: Murales della Chiassa Superiore

San Polo – Chiassa Superiore 7,3 km (9 minuti in auto, un’ora e quaranta a piedi).

Da San Polo ci rechiamo ad Antria e intraprendiamo lo Stradone di Ca’ de Cio per svoltare successivamente all’altezza dell’incrocio della strada della Catona, che percorriamo fino ad arrivare al Murales della Chiassa, posto nel parco vicino al campo sportivo in ricordo dei due partigiani Giovan Battista Mineo e Giuseppe Rosadi, eroi della Chiassa che riuscirono ad evitare l’ennesima strage perpetrata dai tedeschi[7].

Una strage mancata:

Il 26 giugno del ’44 un colonnello tedesco, Maximilian Von Gablenz insieme al suo aiutante, vennero rapiti per la strada della Libbia da una banda partigiana autonoma capitanata da “il Russo” (erano partigiani slavi scappati dal campo di Renicci). Come rappresaglia il comando tedesco organizzò un rastrellamento di 500 civili (scesi poi a 209) che vennero rinchiusi nella chiesa della Chiassa, dando un ultimatum di 48 ore affinché fosse liberato l’ufficiale tedesco pena la fucilazione dei cittadini.

Il comando partigiano guidato da Siro Rossetti incaricò il partigiano siciliano Giovan Battista Mineo di farsi concedere una proroga di 24 ore e di riuscire a scoprire dove la banda partigiana teneva nascosto il colonello. Ottenuta la proroga, Mineo partì immediatamente alla ricerca dei partigiani che tenevano in ostaggio l’ufficiale tedesco riuscendo a trovarli nei pressi di Montercole, ad Anghiari, e dopo una lunga trattativa convinse “il Russo” a liberare il colonnello. Mineo con Giuseppe Rosadi e Bruno Zanghi, appartenenti alla banda del Russo, si misero in marcia verso la Chiassa portandosi appresso i due tedeschi. Dopo molte peripezie, quando ormai sembrava impossibile arrivare in tempo, i partigiani si fecero scrivere una lettera dal colonnello dove dichiarava che era stato liberato e presto sarebbe giunto presso il reparto tedesco. Mineo si mise subito in viaggio correndo verso la Chiassa e arrivò proprio mentre i primi ostaggi venivano portati fuori per la fucilazione. La lettera di Von Gablenz fermò così la strage e poco dopo arrivarono i partigiani con i due tedeschi.

 

Murales dedicato a Gianni Mineo e Giuseppe Rosadi.

 

Pieve di Santa Maria alla Chiassa. Qui possiamo trovare sulla sinistra della chiesa un’abitazione (si vede nella foto) con un’iscrizione che ricorda l’eroico gesto.

 

Ma in questo luogo, pochi giorni prima dalla strage mancata della Chiassa, il 23 giugno, i tedeschi avevano già giustiziato sei persone in segno di rappresaglia per l’uccisione di tre soldati tedeschi.

 

Lapide ai caduti dell’eccidio de “La Casina”, si trova affissa sulla parete esterna della villetta “La Casina”, un’abitazione privata ubicata sulle colline sovrastanti la Chiassa Superiore, dove si consumò la strage.

 

 

Questo fu il pegno da pagare per la popolazione della provincia aretina durante la ritirata delle truppe tedesche. Un sacrificio di vite umane per la Resistenza che sembrava interminabile: vittime di una violenza inaudita che non risparmiava niente e nessuno. Su su, paese per paese, borgo per borgo, porta per porta la furia barbarica nazista passava e livellava come una falce. In ogni luogo come belve feroci e affamate i tedeschi arrivavano balzando con i loro lanciafiamme, con i loro capestri, con i loro strumenti di sterminio, pronti ad impiccare, a fucilare, a torturare, ad incendiare, a massacrare, lasciando dietro di loro una lunga scia di sangue, di cenere e macerie.

 

NOTE:

[1] Gianluca Fulvetti, Uccidere i civili. Le stragi naziste in Toscana (1943-1945), Carocci, Roma 2009, p. 134.

[2]Citato in Antonio Curina, Fuochi sui monti dell’Appennino toscano, Tip. Badiali, Arezzo 1957. p. 486.

[3]Ivi, p. 505.

[4]La vicenda dell’uccisione dei fratelli Tani e Aroldo Rossi è stata ricostruita nelle pagine di “Una lira per tre vite” il libro scritto da Enzo Gradassi e Santino Gallorini.

[5]G. Fulvetti, Uccidere i civili, cit., p. 133.

[6]A. Curina, Fuochi sui monti dell’Appennino Toscano, cit., pp. 482-483.

[7]Sull’eroica vicenda della Chiassa Superiore cfr. il libro di Martinelli Renzo, I giorni della Chiassa, Arti grafiche Cianferoni, Firenze 1946 ed il libro di Santino Gallorini, Vite in cambio: Gianni Mineo, il partigiano infiltrato, che salvò dalla strage la popolazione della Chiassa, Effigi, Arcidosso 2014.

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel mese di ottobre 2024.

 




Camminare ricordando a Castiglion Fiorentino (Ar)

Sentieri resistenti nel Castiglionese (Ar)


Gita di un giorno

A piedi 15,4 km, 3,40 h.

Castiglion Fiorentino sorge su un colle a 342 m s.l.m., 17 km a sud-est di Arezzo. Delimitata a est dai Preappennini, l’area comunale si estende in parte sulla Valdichiana e sulle alture ad essa prospicienti. Il territorio confina con i comuni di Arezzo a nord, Cortona a est e a sud, Foiano della Chiana a sud-ovest e Marciano della Chiana a ovest.

Durante la Resistenza, fu dunque luogo per un importante transito da e verso gli Appennini, fatto questo che portò Castiglion Fiorentino a subire danni materiali e umani notevoli. Il passaggio del fronte fu causa di devastazioni, sia al centro storico che a buona parte del territorio comunale, colpito da bombardamenti che provocarono centinaia di morti, anche tra i civili. Particolarmente grave fu il bombardamento alleato cui Castiglion Fiorentino fu sottoposta il 19 dicembre 1943, che causò la morte di 71 civili, in buona parte donne e bambini. Per quell’episodio, il 26 gennaio 2004 Castiglion Fiorentino è stata decorata con la Medaglia d’argento al merito civile [1].

Ottanta anni fa, inoltre, il 4 luglio 1944, quattro giovani persero la vita alla Nave, zona “Tre Acque-Ceppeto”: Giovanni Milighetti, 24 anni, Vera Buracchi, 18 anni, Zita Moretti, 17 anni e Walter Milighetti,11 anni, furono dilaniati da una mina lasciata dai tedeschi nella campagna castiglionese per assicurarsi la fuga. Il minamento dei territori, delle vie di comunicazione, ma anche di accessi a chiese o altri edifici è una tendenza diffusa nei comportamenti delle truppe naziste in ritirata, non solo per motivi militari ma anche per attuare una volontà di vendetta nei confronti di una popolazione spesso giudicata come ostile nei loro confronti. La presenza delle mine con i loro tragici effetti è uno degli aspetti che evidenzia maggiormente la “lunga durata” del conflitto al di là della data effettiva di conclusione dei combattimenti.

In quello stesso giorno alcuni residenti di Manciano, sotto la minaccia dei mitra tedeschi, vennero costretti a minare la chiesa del paese. Un tonfo sordo e la vita della piccola frazione cambiò all’istante. Eventi tragici che colpirono profondamente un’intera comunità e che segnarono, comunque, l’inizio della libertà [2]. La comunità di Castiglion Fioretino fu infatti liberata proprio quel giorno dagli Alleati.

 

Castiglion Fiorentino, 80 anni fa la liberazione grazie agli Alleati, in Arezzo Notizie, 4 luglio 2024, https://www.arezzonotizie.it/attualita/castiglion-fiorentino-liberazione-alleati.html

Ripercorrendo in breve i mesi antecedenti la Liberazione, questi appaiono piuttosto concitati. Per tale motivo, dunque, le notizie non sono sempre chiare e facili da ricostruire.

Riguardo alla situazione del movimento di Resistenza a occidente del Tevere, la Guardia Nazionale Repubblicana (forza armata istituita dalla Repubblica Sociale Italiana l’8 dicembre 1943 con compiti di polizia interna e militare) aveva informazioni assai confuse sulle bande attive nel territorio. Una di queste era comandata dal conte Ferretti di Ortona. Secondo i fascisti, vi era un’altra formazione partigiana tra Palazzo del Pero e Castiglion Fiorentino, della quale però non si conosceva la consistenza. A confondere le idee al nemico era la stessa tattica messa in atto dai partigiani.

L’incapacità del regime di avere un’idea precisa di quanto stava avvenendo sulle montagne, ne sottolineava le difficoltà politiche e militari. In realtà, tra le valli del Cerfone, dell’Aggia, del Nestoro, del Minima e del Niccone, gli affluenti di destra del Tevere, operavano le bande della “Pio Borri” di Morra, Monte Santa Maria, Badia Petroia e Cortona, oltre al Centro “Poti” e ai partigiani dell’Aretino che facevano capo a Marzana. La loro forza complessiva era assai inferiore a quella stimata dai fascisti e il loro comando strategico gravitava su Arezzo. Con la fucilazione di Venanzio Gabriotti era stata eliminata l’unica persona che, nella valle, poteva garantire un qualche coordinamento con le forze partigiane a oriente del Tevere, soprattutto con la Brigata “San Faustino”.

Le bande partigiane non trovarono grandi ostacoli nelle loro azioni: dal 27 maggio al 27 giugno se ne verificarono una cinquantina di carattere militare. A giugno, le tre formazioni di Morra, Monte Santa Maria Tiberina e Badia Petroia effettuarono incursioni quasi quotidiane. Per quanto si debbano in genere considerare con cautela i dati segnalati sulle perdite inflitte al nemico, quando mancano i dati della parte avversa, fonti della Resistenza hanno valutato in più di 20 i tedeschi uccisi nel corso di tali attacchi e in 23 quelli catturati. Per quanto riguarda i prigionieri, solitamente internati nel campo di concentramento di Marzana, il numero non appare esagerato, infatti, quando venne sgomberato, all’inizio di luglio, i partigiani ne condussero 53 oltre le linee, per consegnarli agli Alleati.

Tedeschi e fascisti avevano ormai la consapevolezza di correre seri pericoli nel percorrere le arterie che risalivano gli affluenti di destra del Tevere. L’aggressività partigiana fu particolarmente intensa a ridosso della strada che, dall’Alta Valle del Tevere, attraverso San Leo Bastia, si inerpica verso Cortona e il Valdarno. Lì le formazioni cortonesi della “Pio Borri” sferrarono dall’8 al 26 giugno una ventina di attacchi. Anche gli altotiberini giunsero talvolta a supporto dei partigiani di Cortona e di Castiglion Fiorentino. Non si trattò solo di una fastidiosa attività di sabotaggi e di disturbi al traffico. A giugno, gli agguati agli automezzi in transito sulla strada provinciale da Cortona a Città di Castello, costarono ai tedeschi 13 morti, 5 feriti, 9 prigionieri.

Ombre sull’operato della Resistenza le gettò il comportamento di una banda alla macchia sul tratto appenninico tra Cortona e Città di Castello, che “viveva di violenze e di rapine”, e di alcuni esponenti della banda di Badia Petroia. A quattro di questi non sarebbe infatti stata riconosciuta la qualifica di partigiano combattente, per “indegnità”: li si accusò di “furto commesso durante l’azione partigiana”.

Il territorio castiglionese, dunque, venne messo a dura prova, fino alla Liberazione avvenuta il 4 luglio 1944.

Prima di passare alla descrizione del percorso resistente del Comune di Castiglion Fiorentino, voglio qui citare “Il sentiero dei papaveri”, inaugurato nel 2021 [3] e composto da 18 monumenti e cippi commemorativi della Prima e Seconda guerra mondiale, dislocati nel centro storico e nel territorio. L’itinerario, lungo circa 50 chilometri, comincia da palazzo San Michele e termina al monumento dedicato ai caduti, situato ai giardini pubblici.

Il percorso resistente che intendo proporre toccherà, invece, i cinque luoghi dove vennero uccisi dai nazifascisti alcuni civili inermi. Il tratto, percorribile a piedi o in bicicletta è lungo 15,5 km e dura circa 3 ore e mezzo (a piedi). Ogni tappa potrà però costituire una meta a sé, raggiungibile singolarmente.

 

Prima tappa:

Ponte delle Fontanelle, presso località La Foce

Coordinate: 43°21’46.5″N 11°57’01.5″E

Lungo la strada che da Castiglion Fiorentino sale al Passo della Foce, si trova un monumento in ceramica smaltata dedicato alla donna belga Gabriella De Rosée in Brogi, allora trentunenne, che il 7 luglio 1944 cadde sotto il fuoco dei tedeschi nel tentativo di mediazione per liberare alcuni ostaggi di guerra. La donna era staffetta partigiana. Non si hanno altre notizie dell’accaduto [4].

Targa intitolata a Gabriella de Rosée Brogi Bruxelles, 1913 – Castiglion Fiorentino, 1944 Loc. Foce (S.P. Palazzo del Pero) – Castiglion Fiorentino, AR

 

2 tappa:

Mammi

La seconda tappa porterà alla località di Mammi, territorio, quale quello di Castiglion Fiorentino, importante via di transito, segnato dalla vicinanza del fronte e dalla sua importanza strategica e con una presenza partigiana costante, l’8 luglio 1944 venne qui ucciso da raffiche di mitra, insieme ad un militare inglese, Aurelio Casi, cinquantaduenne. Non si capisce tuttavia se il militare facesse parte delle avanguardie alleate avanzate o se fosse un prigioniero di guerra fuggito [5].

Coordinate del cippo: 43°21’24.4″N 11°55’53.4″E

Terza tappa:

Fornaci

Qui tra il 28 giugno 1944 e il 2 luglio 1944, nell’area di Castiglion Fiorentino, tra la Toscana e l’Umbria, le azioni partigiane si erano intensificate. A seguito di una serie di attacchi partigiani condotti in zona il 28 giugno a San Egidio (Perugia), uomini furono catturati sulla strada che va da Cortona (Arezzo) a Portole (frazione di Cortona)[6]. Furono portati in località Pianelli alla Villa Bertocci, dove vennero interrogati e rinchiusi in una lavanderia per un giorno e una notte. La maggior parte di loro venne poi rilasciata, ma tre delle persone coinvolte furono portate a Pergo di Cortona (Arezzo) alla Villa Passerini, dove aveva la base il comando tedesco. Furono condannate a morte e mandate alla Feldgendarmerie di stanza a Castiglion Fibocchi. Le vittime sono Antonio Bartolini, manovale di Cortona, Luigi Gnerucci, operaio cortonese con quattro figli, nato nel 1902 e Luigi Guerri, anch’egli cortonese, elettricista, nato nel 1914. Il giorno della loro esecuzione non è certo, ma probabilmente avvenne tra il 1 e 2 luglio. I loro corpi furono trovati successivamente in una fossa durante gli ultimi giorni di agosto. Non si conosce il motivo per cui erano stati condannati a morte. Non è da escludere la rappresaglia, secondo alcune fonti, avvenuta a seguito di un ulteriore attacco partigiano. Forse i tre furono fucilati in località Senaia. Nella stessa zona e nello stesso anno, altri due partigiani aretini, Sabatino Capacci e Giulio Rossi, entrambi ventenni, catturati a Favalto, vennero fucilati i primi di luglio nel letto di un ruscello nella zona della Noceta, dove forse sono stati sepolti [7].

Lapide del Municipio di Cortona https://resistenzatoscana.org/monumenti/cortona/lapide_del_municipio/

 

Cerimonia in memoria dei partigiani aretini [8] Il nuovo monumento si trova qui: 43°21’08.8″N 11°56’22.2″E

 

4 tappa:

Cimitero comunale della Misericordia di Castiglion Fiorentino

Ad un mese dalla liberazione da parte degli Alleati dell’Aretino, le forze partigiane rendevano dura la vita alle truppe tedesche dislocate nel territorio castiglionese, che aveva subito già gravi bombardamenti con stragi di civili. Il 18 giugno 1944, infatti, Espartero Bartolomei, quarantaseienne originario di Foligno, venne ucciso da colpi di arma da fuoco sparati da alcuni soldati tedeschi mentre era nell’aia della casa dove era sfollato, presso Cozzano [9]. L’altra vittima, Luigi Galoppi, quarantaseienne castiglionese, morì nelle stesse circostanze. Tutt’oggi non si conosce il motivo di queste due uccisioni.

La lapide in loro ricordo è posta nel Cimitero comunale di Castiglion Fiorentino, meta del percorso memorialistico.

6579 – Lapidi ai Caduti delle guerre mondiali – Cimitero comunale di Castiglion Fiorentino All’interno del Cimitero lapidi con nomi e date in onore dei Caduti di tutte le guerre [10].

 

5 tappa:

La quinta ed ultima tappa riguarda il cippo in via Dante Brocchi, a Castiglion Fiorentino.

Il 29 giugno 1944, Dante Brocchi di 52 anni venne ucciso da una raffica di mitra, ufficialmente per rappresaglia. Pare però che il luogo dell’uccisione fosse nei pressi della piccola frazione di Santa Cristina [11].

 

Coordinate 43.333310269695275, 11.92133425067086

 

Note:

  1. Enzo Droandi, Castiglion Fiorentino 19 dicembre 1943 – ore 13,24, Quaderni della biblioteca, Comune di Castiglion Fiorentino, Castiglion Fiorentino, 1993.

Il 19 dicembre 1943, alle ore 13,24 Castiglion Fiorentino subisce il primo bombardamento da parte delle forze aeree alleate. Le bombe vengono dirette contro il Collegio Serristori e l’Ospedale. La zona di Porta Romana viene pressoché distrutta. In tutto muoiono una settantina di persone, di cui 16 erano bambine e personale del Collegio Serristori.

Sui bombardamenti e i fatti legati al passaggio del fronte, vedi anche Carmelo Serafini (a cura di), Per non dimenticare. Castiglion Fiorentino 1943-45 nei diari del M. Gino Grifoni e di D. Angelo Nunziati, Comune di Castiglion Fiorentino. Ente Biblioteca. Quaderni della Biblioteca n. 2, Ed. Grafica l’Etruria Cortona, Arezzo.

  1. Castiglion Fiorentino, 80 anni fa la liberazione grazie agli Alleati, in Arezzo Notizie, 4 luglio 2024, https://www.arezzonotizie.it/attualita/castiglion-fiorentino-liberazione-alleati.html
  2. Camminando, in Experience Castiglion Fiorentino, https://www.experiencecastiglionfiorentino.it/Experience/Storie/Castiglion-Fiorentino_645/sentiero_memoria; cfr. Presentato il progetto “Il Sentiero dei Papaveri Rossi”, Comune di Castiglion Fiorentino, 24 aprile 2021, https://comune.castiglionfiorentino.ar.it/notizie/410117/presentato-progetto-sentiero-papaveri-rossi
  3. Gabriella de Rosée Brogi, in Chi era costui? https://www.chieracostui.com/costui/docs/search/schedaoltre.asp?ID=9124
  4. Mammi, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3271
  5. Fornaci, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3226
  6. [1]L’eccidio dimenticato, dopo 76 anni il Comune commemora i giovani morti di Senaia, in SR71, 1 Luglio 2020, https://www.sr71.it/2020/07/01/liberazione-senaia-castiglion-fiorentino/
  7. Cerimonia in memoria dei partigiani aretini, in it, https://www.quinewsvaldichiana.it/partigiani-guerra-memoria-seconda-guerra-mondiale-tedeschi-nazismo-castiglion-fiorentino.htm
  8. Cozzano, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3198
  9. 6579 – Lapidi ai Caduti delle guerre mondiali, Castiglion Fiorentino, Pietro della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/lapidi-ai-caduti-delle-guerre-mondiali-e-per-lunita-ditalia-castiglion-fiorentino/
  10. Santa Cristina, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3515

 

Bibliografia e sitografia:

Enzo Droandi, Castiglion Fiorentino 19 dicembre 1943 – ore 13,24, Quaderni della biblioteca, Comune di Castiglion Fiorentino, Castiglion Fiorentino, 1993.

Pietro Pancrazi, La piccola patria: cronache della guerra in un comune toscano, giugno-luglio 1944, F. Le Monnier, 1946.

Carmelo Serafini (a cura di), Per non dimenticare. Castiglion Fiorentino 1943-45 nei diari del M. Gino Grifoni e di D. Angelo Nunziati, Comune di Castiglion Fiorentino. Ente Biblioteca. Quaderni della Biblioteca n. 2, Ed. Grafica l’Etruria Cortona, Arezzo.

Cozzano, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italiahttps://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3198

Fornaci, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia,  https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3226

Mammi, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia,  https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3271

Ponte delle Fontanelle, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia,  https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3446

Santa Cristina, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia,  https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3515

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo scritto nel mese di ottobre 2024.




Percorsi tra Storia e memoria nel Comune di Civitella in Val di Chiana (Ar)

Le tappe:

  • Viciomaggio
  • Civitella in Val di Chiana
  • Ciggiano

circa 5.15h, 21 km circa [escluso il percorso interno a Civitella]

Immagine dall’Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia dove -in rosso- sono evidenziate le stragi. Come ben si nota, sono tutti paesi alle pendici o nelle aree più collinari degli Appennini. https://www.straginazifasciste.it/?page_id=363

 

Percorso tra Viciomaggio, Civitella e Ciggiano, passando per Cornia

Percorso interno a Civitella

Civitella in Val di Chiana, nota anche come Civitella della Chiana, è un comune italiano della provincia di Arezzo. Sorge sulle Colline delle lepri a 500 m s.l.m., 15 km a sud-ovest di Arezzo. Il territorio comunale si può dividere in due zone: una di bassa montagna, dove è situata la stessa Civitella, circondata dai boschi; una pianeggiante, che forma la parte settentrionale della Val di Chiana. Il territorio civitellino, delimitato a sud dal comune di Monte San Savino e a nord-est da quello di Arezzo, giunge fino ai primi comuni del Valdarno, Laterina a Nord Est, Bucine e Pergine a Nord-Ovest.

La prima tappa del percorso della memoria per ripercorrere, passo dopo passo, le crudeltà del 1944, sarà Viciomaggio, non distante da Civitella in Val di Chiana. Lì, il 29 marzo 1944 avvenne una strage di matrice fascista, nella quale rimase coinvolto un uomo, Mario Mannelli, ucciso dalle truppe fasciste senza un apparente motivo, con un colpo di arma da fuoco. Tale data non è sicura, come sottolinea l’Atlante delle Stragi. Altrettanta divergenza c’è sull’età: per alcuni Mannelli avrebbe avuto 44 anni, per altri 39. Per mancanza di informazioni non si può essere più precisi [1].

Eleonora Antonelli 2012 – Cippo non distante dalla SP di Pescaiola

La seconda tappa del percorso sarà invece la tristemente celebre Civitella in Val di Chiana, dove il 29 giugno 1944 ebbe luogo una delle più cruente stragi naziste verificatesi in Toscana, con 146 i morti tra donne, uomini, bambini e anziani [2].

Nei giorni antecedenti l’eccidio, varie formazioni partigiane attive sulle colline di Civitella, tra cui la “Renzino”, guidata dal giovane Edoardo Succhielli, tesero agguati ad alcuni tedeschi con l’obiettivo di disarmarli [3]. Spesso tali azioni si conclusero con la morte o il ferimento dei soldati e si sommavano ad altre più piccole che, insieme, avrebbero dato ai tedeschi il pretesto per operare contro la popolazione civile.

Passarono i giorni e gli abitanti di Civitella si convinsero che la rappresaglia non ci sarebbe stata, rassicurati in questo senso anche dalle dichiarazioni rilasciate da alcuni ufficiali tedeschi al parroco e al podestà.

Civitella si trovava in quel momento al confine fra la zona controllata dal 76° Corpo corazzato della 10° e della 14° Armata, responsabile del territorio compreso tra la Val di Chiana e l’Adriatico. A partire dalla seconda metà di giugno, il centro si trovava nel territorio d’operazione della Divisione Corazzata Paracadutisti “Hermann Göring”, il cui quartier generale era allocato nei pressi di Monte San Savino: è da lì che, secondo le testimonianze raccolte dagli inquirenti inglesi, arrivarono le truppe responsabili del massacro, in un numero compreso fra le 300 e le 400 unità. Non si esclude il coinvolgimento di reparti minori, né di una squadra di brigate nere (fascisti), operanti a San Pancrazio nel Comune di Bucine e a Cornia.

Ciò che si era temuto, si verificò il 29 giugno, quando i tedeschi, dopo aver iniziato ad uccidere alcuni civili alle porte del paese, rastrellarono Civitella, allora affollata per la festa dei patroni Pietro e Paolo, e le vicine frazioni, procedendo in alcuni casi ad omicidi nelle case, raccogliendo la popolazione nella piazza del paese e dividendola per sesso e per età: le donne e i bambini furono spinti fuori dall’abitato, in direzione di Poggiali, gli uomini, radunati in gruppi di cinque, vennero portati sul retro della scuola e colpiti, ognuno, da un colpo di pistola alla nuca. Due riuscirono a scampare fuggendo. Rastrellati alcuni contadini nelle case coloniche sotto il paese, li mitragliarono nei pressi di un ponte vicino a Civitella. I cadaveri vennero presi dal mucchio e gettati negli androni delle abitazioni in fiamme.

Quel 29 giugno, infatti, per la festa patronale, il centro di Civitella era pieno di persone. Molti non si erano recati nelle campagne o nei boschi per lavorare, restando così a casa o andando a messa. La chiesa di Santa Maria Assunta era colma di fedeli, giunti anche dalle frazioni. L’episodio più truce si consumò proprio qui, mentre si stava celebrando la messa. Il sacerdote, don Alcide Lazzeri, immaginando cosa sarebbe accaduto, benedisse la popolazione e la fece chiudere dentro l’edificio religioso. I tedeschi, trovando la porta della chiesa chiusa, lanciarono una bomba a mano per aprila e trascinarono fuori i fedeli che si erano rinchiusi sperando così di sfuggire ai soldati. Quindi, indossati grembiuli mimetici in gomma per non sporcarsi di sangue, li freddarono con dei colpi alla nuca.

A servire la Messa quella mattina vi erano tre chierichetti, uno dei quali era Luciano Giovannetti, futuro Vescovo di Fiesole, da poco scomparso. Come egli stesso ha raccontato, quando i soldati irruppero nella Chiesa, prima di compiere quella che sarà una vera e propria “profanazione”, don Lazzeri si presentò dicendo: “Sono io il responsabile di quanto è accaduto. Uccidete me e lasciate libero il mio popolo”», riferendosi probabilmente all’uccisione di tre soldati tedeschi, morti durante un blitz dei partigiani avvenuto qualche giorno prima, il 18 giugno [4]. Il tentativo fu però inutile. Gli uomini furono infatti separati dai familiari, portati a lato della chiesa e uccisi a gruppi di cinque. Ad essi vennero uniti coloro che erano stati rastrellati nelle case. Lo stesso don Alcide Lazzeri, rimasto accanto al suo popolo, morì nell’eccidio. Scamparono al massacro un seminarista e chierichetto, Daniele Tiezzi, divenuto sacerdote nel 1950, gettandosi dalle mura insieme al fratello Dino, il piccolo Giovannetti con la sua mamma e un padre con una bambina in braccio, fatto fuggire di nascosto da un soldato. L’ufficiale nazista ucciderà anche uno dei suoi soldati che si era rifiutato di partecipare al massacro. A Daniele Tiezzi è stata dedicata la Campana del Ricordo della Chiesa di Civitella e la statua nella terrazza del paese.

Compiuta la strage, i tedeschi incendiarono le case, provocando così la morte anche di coloro che avevano disperatamente tentato di salvarsi, nascondendosi nelle cantine o nelle soffitte. Solo pochi abitanti riuscirono a scampare al massacro. Si contarono 244 morti: 115 a Civitella, 58 a Cornia e 71 a San Pancrazio [5].

Parallelamente, i tedeschi riproposero un identico modus operandi nella frazione di Gebbia [6]. A Cornia, al contrario, il massacro fu indiscriminato: vennero colpiti donne e bambini e probabilmente ci furono casi di stupro. Cornia è proprio il luogo dove i partigiani, il 21 giugno, avevano aperto il fuoco contro i soldati della Feldgendarmerie.

L’eccidio di Civitella, Cornia e San Pancrazio fu sicuramente uno dei più efferati. Nell’area aretina, la divisione coinvolta, l’Hermann Goering aveva trucidato, nel mese di Aprile del ’44, tutta la popolazione di Vallucciole, nell’alto Casentino, rubricando poi come Banditen gli uomini, le donne e i bambini, spesso infanti, sorpresi nelle proprie case. Alla Divisione, il 29 giugno, appartenevano anche i membri di un ex Corpo musicale che durante il 1942 si era esibito in varie città italiane, venendo sciolto nel ’43 quando le truppe tedesche presenti in Italia necessitavano di rinforzi.

Il 10 ottobre 2004 fu emessa presso il Tribunale militare di La Spezia la sentenza di primo grado n. 49, con la quale oltre alla condanna all’ergastolo a carico del sergente Max Josef Milde del corpo musicale divisionale, implicato nei massacri, fu condannata, quale responsabile, anche la Repubblica Federale di Germania. Decadde invece il procedimento a carico del tenente Böttcher Siegfried per il decesso dell’imputato durante il dibattimento.

A Roma, la sentenza n. 72 del 18.12.2007 segnò il rigetto dell’impugnazione riguardante la responsabilità civile della Repubblica Federale di Germania.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 1072 del 21.10.2008 rigettò invece il ricorso da parte della Repubblica Federale di Germania sull’illegittimità della condanna della stessa.

Il TPI Aja, sentenza n. 143 del 03.02.2012 accolse tutti i punti di ricorso presentati dalla Germania.

Riguardo la stesura di un elenco completo e preciso delle vittime, si dovettero affrontare grandi difficoltà. Quello riportato si rifà alla sentenza del 2006 Tribunale militare di La Spezia e risulta il più attendibile dato che si mettono in evidenza gli errori riportati negli stessi atti di morte dell’epoca. Inoltre, l’elenco presentato nella scheda è il frutto di un incrocio con più fonti quali bibliografie, nominativi su lapidi e monumenti. Rimane tuttavia un elenco lacunoso almeno per quanto riguarda la mancanza dell’età di alcuni caduti. Il numero dei sopravvissuti è maggiore di quello riportato, ma mancano informazioni anagrafiche per risalire ai nomi.

Ogni anno, il 29 giugno, si ricordano le vittime della strage con una commemorazione pubblica.

La comunità di Civitella è stata insignita nel 1963 della Medaglia d’Oro al Valor Civile per le vittime e le violenze subite durante l’occupazione nazifascista. Il parroco don Alcide Lazzeri è stato insignito di Medaglia d’Oro al Valor Civile (alla memoria), e a lui è intitolata la piazza centrale di Civitella, da dove inizierà il percorso memorialistico di Civitella.

Persino la denominazione della Scuola Media statale commemora quel tragico eccidio, ricordando le vittime col nome Istituto comprensivo Martiri di Civitella.

Tanti i monumenti, le targhe o le lapidi sparse nella cittadina e nel territorio.

Partiamo da via Madonna di Mercatale, dove si trova il sepolcro, presso il cimitero di Civitella, realizzato nel 1962 dall’Associazione vittime civili di guerra che custodisce i resti di 144 caduti che nell’estate del 1944 rimasero vittima delle rappresaglie tedesche nel territorio di Civitella in Val di Chiana. La cappella, ubicata all’interno del cimitero, è un vero e proprio sepolcro: si tratta infatti di un ossario che custodisce i resti di 144 vittime della strage di Civitella in Val di Chiana del 29 giugno 1944. L’edificio è stato realizzato nel 1962 dalla stessa Associazione. Nel corso degli anni, in occasione del 40° e poi del 50° anniversario dell’eccidio, l’amministrazione comunale insieme all’Associazione ha collocato nella facciata esterna due lastre commemorative [7] [8].

Lapidi della chiesa di Civitella Giovanni Baldini 2003

 

Via Madonna di Mercatale, cimitero: Cappella dei martiri. Giovanni Baldini 2007

 

Giovanni Baldini 2007 Monumento ai partigiani

Sempre entro il cimitero troviamo il cippo ai martiri Paggi e Morfini:

Giovanni Baldini 2007

Monumento ai partigiani

Passiamo poi attraverso Piazza don Alcide Lazzeri. La decisione del parroco di morire accanto ai fedeli di Civitella, nella memoria locale, è stata letta in chiave di martirologio, cioè come altruistica offerta della propria vita in cambio di quella dei parrocchiani. Per questo la Cittadina ha intitolato la piazza del paese al parroco, insignito della medaglia d’oro al valor civile, come detto in precedenza [9].

Qui si trova anche la lapide per la 8th British Army.

Poco lontana la Chiesa di Santa Maria Assunta a Civitella. Sulla sinistra un monumento ricorda le vittime della strage [10].

Giovanni Baldini 2007

Jhon Percival Morgan era allora capitano dell’esercito britannico.

Tra la piazza e la via principale del centro abitato di Civitella, intitolata ai caduti della strage (via martiri di Civitella) si erge una lastra commemorativa a muro: il monumento “Pietà del Giugno 1944” di Civitella in Val di Chiana (AR). Il memoriale, inserito sul muro accanto alla chiesa, comprende un bassorilievo in bronzo e una lastra in marmo che ricordano la strage del 29 giugno 1944: nel primo è raffigurata la scena di donne e bambini che riuscirono a scappare dal paese in fiamme, nella seconda è inciso il testo della poesia “Pietà del giugno 1944”. Non distante vi è la “Porta della Pace” di Civitella in Val di Chiana [11].

Giovanni Baldini 2003

Pietà del 1944!

La mattina del 29 era festa in parrocchia

per i santi Pietro e Paolo

ma il giorno che si apriva bellissimo

diventò nebbia fumo fuoco sangue

fragore di mitraglia grida di uccisi

essere uomini significò morire

e gli uccisori non erano uomini ma fiere impazzite

Cadde il parroco sacrificato

benedicendo il suo popolo

bruciarono nel guscio delle case i vivi e i morti

– Addio Civitella che sarà di noi?

fu il lamento delle donne rimaste sole

Ora Civitella è risorta da roghi e da ortiche

i tumoli sono fioriti le lagrime seccate

i bambini che videro muti e pallidi sono cresciuti

il ricordo è cenere

che un vento di giorno in giorno disperde

Ma non sia dimenticato il delitto

che strazia anche l’inerme

sia fuggita la colpa

che macchia anche l’innocente

delitto e colpa che sono l’ingiusto guadagno e l’intolleranza

padre e madre della guerra

Franco Antonicelli

Passiamo dalla statua del chierichetto Daniele in via San Francesco a Civitella. La statua, in bronzo, dello scultore Bino Bini, posizionata nella terrazza del paese, ricorda i martiri dell’eccidio del 29 giugno 1944, avvenuto in tale luogo. Il monumento è in particolare dedicato al chierichetto Daniele che si trovava in chiesa insieme agli altri abitanti di Civitella. La statua lo rappresenta nel gesto estremo di lanciarsi nel vuoto per sfuggire ai tedeschi [12].

Comune di Civitella in Val di Chiana (AR), via San Francesco. Giovanni Baldini, 6-11-2007

L’iscrizione a lato riporta:

“In questo luogo di morte il chierichetto Daniele trovò la forza per volare verso la vita e ne fece dono per tutti”.

Giovanni Baldini, 6-11-2007 [13]

Ci spostiamo poi verso l’obelisco ai caduti di Civitella in Piazza Becattini.

Monumento ai caduti di Civitella in Val di Chiana. Allegoria della Patria. Eretto in memoria delle vittime della Prima Guerra mondiale, dopo il Secondo Conflitto furono aggiunti i nomi delle numerose altre vittime [14].

Poco distante da Civitella, si trova Selva Grossa, dove è stata posta una lapide ai caduti e un cippo che ricorda le vittime del 10 luglio 1944.

Solo dieci giorni dopo la strage compiuta a Civitella, fu perpetrato un altro terribile eccidio: alcuni uomini, già impiegati dai tedeschi per preparare le trincee, vennero costretti a scavare una fossa dove furono massacrati e sepolti. Tre giovani riuscirono a fuggire prima dell’esecuzione e uno, Otello Tavarnesi, che era stato ferito e sepolto nella fossa, riuscì a salvarsi. Questo ennesimo eccidio sarebbe stato compiuto in seguito all’uccisione di due tedeschi, avvenuta ad opera dei partigiani a S. Donato, oppure in seguito all’aggressione contro un tedesco avvenuta nello stesso giorno proprio nel bosco di Selva Grossa.

Cippo ai Caduti di Selva Grossa – Civitella in Val di Chiana [15]

Lì vicino si trova l’ennesimo cippo commemorativo, alle coordinate 43°23’49.0″N 11°43’46.6″E. Il monumento ricorda l’eccidio del 29 giugno 1944, durante il quale furono uccisi molti abitanti di Civitella in Val di Chiana e delle zone circostanti [16].

Cippo alle vittime eccidio di Civitella Val di Chiana

Terza tappa:

Raggiungiamo poi il cippo in località Cornia con nomi di alcune vittime.

Cippo all’eccidio di Cornia. Giovanni Baldini 2007 [17] via della Cornia (cimitero) Il comune di Civitella nel XXV° dell’eccidio di Cornia 1944- 1969

Presso il cimitero (non è chiaro a quale civico si trovi) vediamo la stele a Rosa Pontenani e ai martiri di Cornia [18].

63509 – Stele a Rosa Pontenani e ai martiri di Cornia (Civitella in Val di Chiana)

Presso Borgo Paradise, Via di Solaia, 9, vi è il cippo dedicato a Modesta Rossi Polletti e ai Martiri del 29/6/1944 a Solaia di Civitella in Val di Chiana.

Il cippo è intitolato alla partigiana Modesta Rossi, medaglia d’oro al Valor Militare alla Memoria, moglie del partigiano Dario Polletti, uccisa dai tedeschi in questo luogo il 29 Giugno 1944, col figlio Gloriano ed altri 4 civili. Si trova nel giardino del Relais “Borgo Paradise”. Si tratta di una scultura in bronzo dal titolo significativo di “Rinascita”, opera dell’artista Giancarlo Marini. Scostata rispetto al pilastro, si trova una pietra dal profilo sagomato a mo’ di triangolo rettangolo. Vi è applicata una piccola targa in bronzo con incisa la dedica del Comune di Civitella in Val di Chiana ai Martiri delle stragi del 29 Giugno.

 

[19]

A circa 40 minuti a piedi (9 in auto), presso la Chiesa di San Michele Arcangelo a Cornia, si trova una lastra commemorativa dei martiri di Cornia, dedicata alle vittime civili delle rappresaglie nazifasciste che colpirono il territorio di Civitella in Val di Chiana fra il 29 giugno e il 16 luglio 1944. La lastra riporta, su due colonne, i nomi dei 58 Caduti delle frazioni di Cornia, Burrone, Morcaggiolo, Solaia, Cellere, S. Pancrazio e Caselle. Realizzata in occasione dell’anniversario dell’eccidio 29 giugno 1969, è ubicata in una nicchia della navata laterale di destra della chiesa.

[21] 43194 – Lastra commemorativa dei martiri di Cornia (Civitella in Val di Chiana), Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/lastra-commemorativa-dei-martiri-di-cornia/

 

[20]. Chiesa di San Michele Arcangelo <Cornia, Civitella in Val di Chiana>, le Chiese delle Diocesi italiane, https://chieseitaliane.chiesacattolica.it/chieseitaliane/AccessoEsterno.do?mode=guest&code=50719&Chiesa_di_San_Michele_Arcangelo__Cornia,_Civitella_in_Val_di_Chiana

 

Quarta tappa:

La quarta ed ultima tappa del percorso sarà Ciggiano, frazione di Civitella in Val di Chiana [22].

La mattina del 16 aprile 1944 a Ciggiano, un gruppo di SS fermò due giovani partigiani, Marapitti e Marmo che stavano requisendo un camion di legna e carbone, e li passò immediatamente per le armi.

Qui si trova un monumento ai caduti delle guerre di Ciggiano, in un giardino del centro abitato. Accanto all’altare, a sinistra rispetto a chi guarda, troviamo una stele in cemento con apposte tre distinte lapidi in marmo. La prima riporta indistintamente i nomi dei 30 Caduti e dei 2 Dispersi delle due Guerre mondiali, elencati per grado e ordine alfabetico. Segue una targa rettangolare dedicata ad Enrico Scapecchi, medaglia d’Argento al Valor Militare, caduto il 27 marzo 1944. Infine, la terza lastra riguarda i due partigiani Giovanni Marmo (“Boccanera”, “Napoli”) e Mario Marapitti (“Livorno”). Quest’ultima si trovava nel vecchio cippo posto nel luogo della loro morte, in Via Colombaia, sostituito nel 2014.

Via Colombaia, di fronte al numero civico 44 [23] Cippo a Giovanni Marmo e Mario Marapitti – Ciggiano di Civitella in Val di Chiana

Via Matteotti

Via Colombaia, di fronte al numero civico 44

Alessandro Bargellini 2008 (vecchio monumento) https://memo.anpi.it/monumenti/159/lapide-della-terrazza-delleccidio-di-civitella/

Per concludere

Oggi l’Associazione “Civitella Ricorda”  ha allestito in Via Martiri di Civitella una “Sala della Memoria”. Ci sono i reperti rinvenuti sulle vittime, le fotografie del paese prima e dopo la distruzione, le testimonianze, i libri, le videocassette e i tanti residuati bellici.

Lo scorso 25 Aprile, l’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è recato a Civitella della Chiana per rendere omaggio alle vittime della strage nazifascista. Nell’anno in cui ricorrono gli 80 anni dalla strage del 29 giugno del 1944, il Capo dello Stato ha infatti scelto il piccolo borgo toscano per celebrare la Festa della Liberazione. Alla cerimonia era presente lo stesso Giovannetti, Vescovo emerito.

29 giugno 1944. La strage di Civitella: https://www.rai.it/ufficiostampa/assets/template/us-articolo.html?ssiPath=/articoli/2024/06/29-giugno-1944-La-strage-di-Civitella-2e9f37a0-f154-461b-a98d-3c2186efbe5b-ssi.html

Bibliografia sull’argomento:

– Edoardo Succhielli, La Resistenza nei versanti tra l’Arno e La Chiana, Tip. Sociale, Arezzo, 1979

– Romano Moretti, Il giorno di san Pietro: l’eccidio di San Pancrazio, le memorie e la storia: l’eccidio nazifascista del 29 giugno del 1944 a Civitella in Val di Chiana, Cornia, San Pancrazio, provincia di Arezzo, Le balze, Montepulciano, 2005

– Enrico Biagini, Civitella: un paese, un castello, un martirio, Centro Stampa, Arezzo,  1981

– Santino Gallorini, La memoria riunita: il partigiano Renzino e Civitella tra bugie, silenzi e verità, Effigi, Arcidosso, 2013

– Romano Moretti, Ricordi della Seconda guerra mondiale: Cornia di Civitella in Val di Chiana, Monte San Savino, San Pancrazio di Bucine, con la collaborazione di Luciano e Piero Romanelli, Effigi, Arcidosso, 2019

– Enzo Gradassi, L’ingiustizia assoluta : memoria di un progetto di vita e della sua distruzione, Gebbia di Civitella in Valdichiana 1944, Provincia di Arezzo, Comune di Civitella in Val di Chiana, Fondazione Conservatorio San Girolamo, Siena, 2008

– Ida Balò Valli (a cura di), Giugno 1944: Civitella racconta, L’Etruria, Cortona, 1994

 

Note:

  1. Viciomaggio, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3583
  2. Civitella in Val di Chiana, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia,

https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3211

  1. Santino Gallorini, La memoria riunita: il partigiano Renzino e Civitella tra bugie, silenzi e verità, Effigi, Arcidosso, 2013.

L’opera offre anche una ricostruzione approfondita del tragico eccidio.

Sulla vicenda prese parola lo stesso Edoardo  Succhielli (a cura di), La Resistenza nei versanti tra l’Arno e La Chiana, Tip. Sociale, Arezzo, 1979.

  1. Giacomo Gambassi, Il testimone. Giovannetti: «Io, oggi vescovo, sopravvissuto alla strage nazista», in «Avvenire», 27 giugno 2019, https://www.avvenire.it/agora/pagine/vescovo-giovannetti-sopravvissuto-eccidio-civitella
  2. Romano Moretti, Il giorno di san Pietro. L’eccidio di San Pancrazio (le memorie e la storia) provincia di Arezzo, Le balze, Montepulciano, 2005.
  3. Enzo Gradassi, L’ingiustizia assoluta: memoria di un progetto di vita e della sua distruzione, Gebbia di Civitella in Valdichiana 1944; Provincia di Arezzo, Comune di Civitella in Val di Chiana, Fondazione Conservatorio San Girolamo, Il mio amico, Roccastrada, 2008.
  4. 43184 – Cappella dei martiri della strage di Civitella in Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/cappella-dei-martiri-della-strage-di-civitella-in-val-di-chiana/
  5. Cappella dei Martiri, ResistenzaToscana.it, https://www.resistenzatoscana.org/monumenti/civitella_in_val_di_chiana/cappella_dei_martiri/
  6. 63198 – Lastra d’intitolazione della piazza a don Alcide Lazzeri – Civitella in Val di Chiana (AR), Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/lastra-dintitolazione-della-piazza-a-don-alcide-lazzeri-civitella-in-val-di-chiana-ar/
  7. Civitella in Val di Chiana, https://www.ns-taeter-italien.org/it/stragi/civitella-cornia-e-san-pancrazio/civitella-in-val-di-chiana
  8. 5517 – Monumento “Pietà del Giugno 1944” di Civitella in Val di Chiana (AR), Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/monumento-pieta-del-giugno-1944-di-civitella/
  9. 4727 – Monumento al chierichetto Daniele – Civitella Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/statua-del-chierichetto-daniele/
  10. 6552 – Lastra a ricordo eccidio di Civitella in Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/lapide-delleccidio-di-civitella-in-val-di-chiana/
  11. 5200 – Monumento ai Caduti di Civitella in Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/obelisco-ai-caduti-delle-due-guerre-mondiali-di-civitella/
  12. Cippo ai Caduti di Selva Grossa – Civitella in Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/cippo-ai-caduti-di-selva-grossa-civitella-in-val-di-chiana/
  13. 7421 – Cippo alle vittime eccidio di Civitella Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/obelisco-ai-caduti-di-civitella-val-di-chiana/
  14. Cippo dell’eccidio di Cornia, ResistenzaToscana.it, https://resistenzatoscana.org/monumenti/civitella_in_val_di_chiana/cippo_dell_eccidio_di_cornia/
  15. 63509 – Stele a Rosa Pontenani e ai martiri di Cornia (Civitella in Val di Chiana), Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/stele-a-rosa-pontenani-e-ai-martiri-di-cornia-civitella-in-val-di-chiana/
  16. 122321 – Cippo a Modesta Rossi Polletti e ai Martiri del 29/6/1944 – Solaia di Civitella in Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/cippo-a-modesta-rossi-polletti-e-ai-martiri-del-29-6-1944-solaia-di-civitella-in-val-di-chiana/
  17. Chiesa di San Michele Arcangelo <Cornia, Civitella in Val di Chiana>, le Chiese delle Diocesi italiane, https://chieseitaliane.chiesacattolica.it/chieseitaliane/AccessoEsterno.do?mode=guest&code=50719&Chiesa_di_San_Michele_Arcangelo__Cornia,_Civitella_in_Val_di_Chiana
  18. 43194 – Lastra commemorativa dei martiri di Cornia (Civitella in Val di Chiana), Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/lastra-commemorativa-dei-martiri-di-cornia/
  19. Ciggiano, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3186
  20. 111075 – Cippo a Giovanni Marmo e Mario Marapitti – Ciggiano di Civitella in Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/cippo-a-giovanni-marmo-e-mario-marapitti-ciggiano-di-civitella-in-val-di-chiana-2/

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo scritto nel mese di settembre 2024.