Lina Tozzi (1915-2002)

Lina Tozzi nel 1940

Nasce nel 1915 in una famiglia mezzadrile del Comune di Radicondoli; il padre, socialista e iscritto alla Lega contadina, è avverso al fascismo fin dalle sue origini. All’età di 23 anni Lina si sposa con Primo Radi e vanno a vivere nel podere La Brezza non lontano da Gerfalco, in un territorio posto fra le provincie di Siena, Grosseto e Pisa. Primo viene richiamato in guerra: inviato a combattere sul fronte albanese, otterrà l’esonero solo nella primavera del 1943. Nel frattempo Lina alleva tre figli, coltiva il podere e accudisce gli animali.

Con l’occupazione tedesca diventa col marito un riferimento per il coordinamento e la trasmissione di informazioni tra i primi gruppi di partigiani che si vanno organizzando nella zona e che da lì a pochi mesi daranno vita alla 23a Brigata Garibaldi “Guido Boscaglia”. Fornisce aiuto e solidarietà sfamando i soldati sbandati che bussano alla porta del podere nei giorni successivi all’8 settembre 1943. Con l’organizzarsi della lotta il marito fa la staffetta di notte, Lina prepara da mangiare, lava, cuce gli indumenti ai partigiani, affronta frequenti spostamenti anche in presenza di pattuglie armate e tiene i contatti con gli esponenti del CLN di Gerfalco, da cui si reca per richiedere i rifornimenti di medicinali da consegnare alle bande.

Lina Tozzi

Cura lei stessa i partigiani che arrivano malati e feriti a La Brezza. Così accade anche nei primi giorni di maggio del 1944, quando dà ricovero ad Alvaro Betti e Dario Cellesi. Alvaro, nome di battaglia “Ciocco”, non sopravvive nonostante Lina sia riuscita a contattare di notte il dottore della brigata e condurlo al suo capezzale; Dario (“Luigi”) invece è in condizioni meno gravi e viene curato. Nello stesso scontro ha perso la vita il partigiano Guido Radi “Boscaglia”, alla cui memoria viene dedicato il nome dell’intera brigata.

Durante il passaggio del fronte ospita diversi sfollati in cerca di rifugio a causa dei bombardamenti che colpiscono soprattutto i centri abitati.

Nel dopoguerra si impegna nella campagna per il diritto di voto alle donne; è attiva nella Lega contadina, motivo per cui subisce ben due sfratti dai poderi dove va ad abitare dopo aver lasciato La Brezza. Con la fine dei patti di mezzadria nei primi anni ’60, Lina si sposta con la famiglia a Poggibonsi; qui si iscrive all’UDI partecipando attivamente alle iniziative dell’organizzazione. Non fa invece domanda di riconoscimento dell’attività partigiana. Muore a Poggibonsi il 7 ottobre 2002.

Lina Tozzi col marito Primo Radi

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🟦Stralcio da un’intervista realizzata nel 1992, in Folchi, Frau, La memoria e l’ascolto, pp. 113-4.

Il mi’ marito andava da casa. La notte, lui girava sempre la notte. Faceva la staffetta. A volte si sapeva che erano in qualche posto in un capanno, allora andavo io a portargli da mangiare. Poi tante volte andavo a Travale, non è molto vicino. Io ero a Gerfalco, Travale resta così, più lontano su, tutto per il bosco. Andavo a Travale perché c’era un certo Cioni che aveva il collegamento con dei dottori dell’ospedale di Massa Marittima. Allora procurava un po’ di medicine. Io andavo a prenderle e poi quell’altri venivano a prenderle lì. Insomma è stato un inverno proprio di tragedia più che altro. Anche di miseria, perché ’un s’aveva nulla. […] Quando poi cominciarono questi partigiani allora facevano in modo di farci avere qualche sacco di farina, gli facevo il pane. Poi qui nel libro parla, mi pare Stoppa, che parla: “facevamo delle gallette”.1 Dico: sì, queste gallette le facevo io. Si faceva il pane, no? Poi il pane quando era un pochino mezzo cotto si tagliava a fette e poi si ricuoceva, bello secco. E poi si portava nel bosco, ci s’aveva una botte nel bosco, tutta coperta. Lì bisognava andarci la notte e senza lume. Ora non ci andrei di certo […].

Insomma, la mattina dell’8 di maggio alle 4 sono arrivati lì. C’era il mi’ cugino di Colle, che è anche decorato, Tozzi Nello, decorato a Medaglia di bronzo al valore partigiano che aveva portato questi feriti, due. Uno era Alvaro, che è morto la mattina dopo. […]. Mi ha detto: “C’è Primo?” Il mi’ marito. “Si”. Dice: “Scendete giù”. Siamo scesi giù. Alvaro stava lì in terra disteso perché non ce la faceva a stare in piedi, e così che si fa? Si mette a letto, senza nemmeno pensare. Lo vidi che ci aveva sangue. Senza nemmeno pensare a mettere un incerato nel letto, nulla. Si mette nel mi’ letto. Meno male ci avevo du’ camere. Si mette nel mi’ letto e poi ritorno giù, e questo mi stava lì. Dico: “O che fai?” Lo conoscevo, veniva tante volte. “Eh dice sai, sono ferito”. E difatti era Cellesi Dario che è morto nemmeno du’ anni fa. È morto di malattia, insomma, era anziano che aveva preso una pallottola qui. Allora che si fa? Dice: “Bisogna andare al Comitato di liberazione nazionale”. Il mi’ marito: “Via, vo io”.

Lina Tozzi

Io: “No”. Perché io l’avevo avuto tre anni alla guerra il mi’ marito, era tornato per combinazione con l’esonero. Ne aveva il diritto perché il podere era abbastanza grande, non lo lavorava nessuno, e poi perché durante la guerra fu in Albania, e allora fu malato. Fu malato e se l’è portata una vita: prese una bronchite cronica. Hai visto, a quel tempo le medicine… E allora era inabile ai servizi di guerra, e insomma glielo dettero questo esonero. E invece so’ andata io a cercare soccorso, perché avevo paura, però era la mattina, non era ancora giorno. So’ arrivata a entrare in paese, a Gerfalco, era una stradellina così, erano già arrivati da Massa i fascisti e i tedeschi. Ma su nelle Carline, nel monte, non ci andavano. Per quanto avevano paura. Avevano piazzato le mitragliatrici, schianti… Perché le Cornate è un monte di sassi, tutto di sassi. E sparavano. Gli sono passata molto vicino, però nessuno mi ha detto nulla, e sono andata a cercare quelli del Comitato di liberazione nazionale.

1Si riferisce al libro di Pier Giuseppe Martufi, La tavola del pane. Storia della 23a Brigata Garibaldi “Guido Boscaglia”, Siena, ANPI, 1980, e al medico Giorgio Stoppa, la cui formazione confluì nella Brigata Garibaldi “Guido Boscaglia”.

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🟧Il ricordo di Alfredo Merlo sull’inserto di Patria indipendente del 2003 – “Lina Tozzi Radi valorosa staffetta

Il 7 ottobre scorso cessava di vivere, all’Ospedale Alta Val d’Elsa per una grave e improvvisa malattia, Lina Tozzi Radi, valorosa staffetta partigiana che operò durante la guerra di Liberazione nella zona dei monti delle “Carline” dove conduceva la lotta contro i nazifascisti la 23ª Brigata Garibaldi “G. Boscaglia”. Ho conosciuto Lina nel febbraio del ’44 agli inizi della mia attività partigiana. Dopo l’8 settembre ’43, firma dell’armistizio, fui chiamato alle armi dai fascisti “repubblichini” ma non mi presentai anche a rischio della morte. Scelsi come altri giovani la clandestinità e successivamente mi aggregai ad uno dei primi gruppi partigiani che avevano stabilito la propria base sui monti delle “Carline” dove Lina abitava con la famiglia al podere “Brezza” – comune di Montieri – lavorando la terra. Fu verso la metà di febbraio, di un inverno rigidissimo, che fui mandato dal comando partigiano al podere “Brezza”, già importante punto di riferimento dell’attività clandestina, per ritirare scarpe ed indumenti mandatici dal CLN di Travale. Dovevo chiedere di Lina dicendo che mi mandava il “dottore”. Mi avvicinai con cautela alla modesta abitazione; lì una donna stava raccogliendo legna. Mi fece cenno di avvicinarmi… Era lei. «Tu sei il “Biondo”, ero stata avvistata che saresti venuto». Mi consegnò un voluminoso pacco, poi mi domandò quanti anni avevo. «Diciotto», dissi. «Sei molto giovane, però ai fatto una scelta giusta; noi lottiamo per la pace e un mondo migliore», mi volle dare un pezzo di pane e del formaggio poi mi sollecitò a ripartire: faceva buio e stava nevicando. Così conobbi Lina, una meravigliosa donna che con il suo coraggio e la sua solidarietà ci fu di grandissimo aiuto per tutto il periodo della lotta di Liberazione. Il podere “Brezza”, Lina e il suo compagno Primo, che nel frattempo era tornato dal fronte albanese perché ammalato, assunsero sempre maggiore importanza, con l’intensificarsi della lotta, trovandosi in un punto strategico del versante grossetano delle “Carline”. Fino alla Liberazione saranno il punto di raccordo fra le forze partigiane e il CLN di Travale, Montieri, Gerfalco e Castelnuovo Val di Cecina per l’invio e il ricevimento di messaggi, informazioni, materiale tra i partigiani operanti nei paesi della zona. Lina, insieme ad altre donne, raccolse cibo, medicinali, indumenti, nascose nella propria casa partigiani e quanti sfuggivano alla rappresaglia nazifascista. Nella notte dell’8 maggio ’44 una squadra partigiana, nel corso di un trasferimento per compiere un sabotaggio, ha un violento scontro a fuoco con militari fascisti al Ponte del Pavone (Montieri) nel corso del quale muore il partigiano Guido Radi “Boscaglia”; da quel giorno la Brigata prenderà il suo nome. Nello scontro rimangono feriti altri due partigiani – Dario Cellesi “Luigi” e Alvaro Betti “Ciocco”, che poi morirà – sarà proprio nella casa di Lina che troveranno ospitalità e cure. Dopo la Liberazione Lina è attiva, insieme al marito, nella Lega dei contadini della zona e per ben due volte sarà cacciata dal podere. Poi, quando la vita in campagna diviene più difficile ed inizia l’esodo dei lavoratori della terra verso le città, Lina con la famiglia si trasferisce a Poggibonsi. Anche nella nuova “vita” Lina rimane la donna ricca di interessi e iniziative che tendono a migliorare le condizioni di vita dei lavoratori e della società. Così ha fatto fino alla fine dei suoi giorni. (Alfredo Merlo)