Modesta Rossi (1914-1944)

Modesta Rossi

Nata a San Martino d’Ambra (Bucine) in provincia di Arezzo nel 1914, Modesta impara il mestiere di sarta. Nel 1935 sposa Dario Polletti, con cui ha cinque figli; la famiglia contadina abita in via Cornia, non lontano da Civitella della Chiana. Dopo l’8 settembre 1943 il marito entra a far parte della banda “Renzino”; anche Modesta aderisce alla formazione svolgendo mansioni di staffetta. Dopo la battaglia di Montaltuzzo, avvenuta il 23 giugno 1944, compie lunghi tragitti a piedi insieme alla cognata Assunta Polletti per ripristinare i collegamenti fra i componenti della formazione, ritiratisi nelle aree circostanti.

Lo scontro di Montaltuzzo e altre azioni compiute dalla banda diventano il pretesto per un grande rastrellamento operato dai tedeschi, sotto il comando della divisione corazzata “Hermann Göring”. L’operazione si deve infatti verosimilmente al più ampio obiettivo di “ripulire” dalla presenza partigiana un territorio divenuto, con la risalita del fronte, strategico nell’ottica di contrastare l’avanzata degli alleati e di garantire rifornimenti alle truppe. Il 29 giugno unità naziste compiono dunque una strage nella cittadina di Civitella della Chiana e nelle zone limitrofe (per un totale di 146 vittime), nella località Valle di Sopra (8 vittime) e a San Pancrazio di Bucine (58 vittime).

Nello stesso giorno l’azione si estende anche alla località di Cornia, riconosciuta come un punto d’appoggio della banda. Militi tedeschi e italiani giungono a Solaia, piccolo insediamento vicino alla casa di Modesta, dove si è recata per avvisare alcuni suoi famigliari del rastrellamento in corso; vogliono sapere dove sia il marito e avere indicazioni sui nascondigli dei partigiani. Dato che si rifiuta di dare qualsiasi tipo di informazione, viene uccisa insieme al figlio più piccolo (13 mesi); nei dintorni colpi d’arma da fuoco raggiungono altre quattro persone. I corpi delle vittime sono poi ritrovati in una capanna data alle fiamme.

Dopo la Liberazione sarà riconosciuta partigiana combattente e le sarà conferita la Medaglia d’oro al valor militare alla memoria.

Conferimento della medaglia d’oro

__________

🟪Memoria del partigiano Edoardo Succhielli, “Renzino”, comandante della formazione (in: Edoardo Succhielli, La Resistenza nei versanti tra l’Arno e la Chiana, Arezzo, Tip. Sociale, 1979, pp. 261-2. 

Un altro posto di rilievo meriterebbe Assuntina Polletti, cognata di Modesta, ed agli effetti della famiglia Polletti e della formazione Renzino sua assidua collaboratrice ed emula nei rischi e nel lavoro. Durante la battaglia di Montaltuzzo molti partigiani s’erano sbandati. Nella notte che seguì, furono Modesta ed Assuntina a camminare di più per riorganizzarli, dato che diversi erano passati da casa loro e vi avevano lasciato il prossimo recapito. Tale compito si riteneva più pericoloso per gli uomini in considerazione che pattuglie nemiche potevano essere in giro alla ricerca dei dispersi. Assuntina andò a rilevare Gesualdo Doganieri ed Edilio e Lionello Caldelli oltre la Sughera in un capanno di carbonai. Partì da sola in piena notte e da sola ricoprì quella distanza, che richiede parecchie ore di cammino a piedi senza spaventarsi all’abbaiare dei cani ed ai fremiti indecifrabili dei boschi nelle tenebre.

__________

🟧 Memoria del marito Dario Polletti (in: Dario Polletti, La lucida follia, in Edoardo Succhielli, La Resistenza nei versanti tra l’Arno e la Chiana, Arezzo, Tip. Sociale, 1979, p. 205)

I miei quattro bambini superstiti, appena i fascisti e le SS ebbero lasciato le casa di Solaia, si precipitarono giù per l’erta verso casa.

Non fu Giovanni il primo a darmi la notizia. Egli, che sentiva la responsabilità d’essere il più grande, era rimasto attardato per aiutare a scendere giù e sorreggere Gualtiero, che non aveva ancora compiuto i tre anni. Arrivarono per primi Mario e Silvano, sconvolti dal terrore, poveri piccoli.

“E la mamma?” – chiesi ansiosamente.

“Oh, babbo! Sono venuti gli uomini cattivi. Uno ha cavato un coltello e poi così… così… prima a Gloriano e poi alla mamma…” diceva Mario. Agitava il piccolo pugno chiuso come se realmente stringesse un coltello.

Allora corsi su con tutta la fretta che mi dava la trepidazione e più m’avvicinavo a Solaia più avvertivo la dura verità della tragedia. Vedevo alzarsi lassù una colonna di fumo e, quando fui più vicino l’odore acre dei cadaveri ch’andavano carbonizzandosi incominciò a offendere le mie narici. Appena giunto ansimante nella piazzuola, penetrai in una capanna invasa ancora dalle fiamme. Era da lì che proveniva quel fumo. Dentro respiravo a fatica. La visibilità era molto confusa; appena sufficiente a distinguere a terra i corpi umani ch’emanavano il fumo accecante e l’odore sgradevole.

Corsi difilato ad una pozza d’acqua, presi un secchio e con quello cercai di spegnere il fuoco, che lento e implacabile distruggeva le salme. Quando il fumo si fu un po’ dissolto, notai che un foro rosso segnava ogni proiettile penetrato nelle parti non ancora interamente combuste delle vittime, ch’erano sei ammucchiate una sull’altra. Poco discosto da loro c’era il corpo del piccolo Gloriano, accanto a quello di Modesta, che riconobbi dall’anello matrimoniale più che dagli squarci del pugnale, perché il fumo aveva imperversato e consumato.




Bruna Sandroni

Bruna Sandroni

Nata a Castel Focognano il 16 agosto 1926, da Francesco e Caterina Balestri, nubile, casalinga. Avvicinatasi al movimento partigiano per amore del suo compagno, Bruna divenne staffetta partigiana: impegnata in operazioni di rifornimento di beni di prima necessità, si spostava in bicicletta tra il Casentino e Arezzo. Sarà riconosciuta nel dopoguerra come partigiana combattente caduta della 23° Brigata Garibaldi “Pio Borri” dal 2 maggio fino al 15 giugno 1944. 

Proprio il 15 giugno 1944, infatti, in località “Corsalone”, nei pressi di Bibbiena, Bruna venne catturata dai fascisti della Guardia Nazionale Repubblicana, comandati dal famigerato Umberto Cerasi Abbatecola, maresciallo della 96ª legione. Trascinata dentro il capannone della Ferroviaria, dopo inenarrabili sevizie e torture la ragazza venne massacrata a colpi di pugnale per poi essere abbandonata esangue. 

Solo dopo un violento scontro verbale con il sottufficiale repubblichino, il parroco di Ortignano riuscì a recuperare i resti della staffetta Bruna; la sua salma venne condotta all’ospedale di Bibbiena dove il primario, il dottor Conti, fortemente vicino alla Resistenza, prima di riconsegnare il corpo alla famiglia e al parroco di Ortignano per la sepoltura, volle misericordiosamente ricomporre la salma.

Per l’assassinio di Bruna Sandroni la Corte d’Assise straordinaria di Arezzo condannò nel marzo 1945 Giuseppe Corso, Giuseppe Mistretta, Rinaldo Del Buono e Santi Innocenti rispettivamente a 17,15,10 e 8 anni di reclusione.

__________
🟧Don Silio Bidi, Le memorie di un parroco, “Trent’anni fa” Ciclostilato della parrocchia di Ortignano, Agosto 1974

“II 15 giugno presso il Corsalone viene barbaramente seviziata e trucidata la staffetta partigiana Bruna Sandroni della mia parrocchia. Ho un violento scontro verbale col fascista Abbatecola, tristemente noto nella zona, ma riesco a farmi riconsegnare la salma che si trovava all’ospedale di Bibbiena; sul collo, sulle spalle e sul petto era crivellata di pugnalate”.

Lapide in memoria dei caduti, Comune di Ortignano Raggiolo (AR), località Ortignano, chiesa dei santi Matteo e Margherita. Foto di Alessandro Bargellini (https://resistenzatoscana.org/monumenti/ortignano_raggiolo/lapide_dei_caduti/)