“Donne e Guerra”: un progetto didattico nelle scuole del Valdarno

Negli anni Novanta la scuola italiana aprì la programmazione di Storia al Novecento e, rinnovando l’interesse per le vicende più recenti e l’importanza della ricerca a partire dai testimoni, scelse di farlo partendo dalla storia famigliare, locale per facilitare la comprensione del contesto globale. A questo periodo risale “Donne e guerra”, lavoro di ricerca che nasce da un progetto del Ministero chiamato appunto “Novencento”.

La scuola secondaria di primo grado di Matassino (Figline Valdarno- Firenze) divenne sede di un “Laboratorio storico-ambientale” coordinato da Gabriele Olmi che aveva come scopo la formazione degli insegnanti e l’avvio di progetti, come il nostro “Donne e guerra” degl’anni scolastici 1997/98 e 1998/99 che fu diretto da Carla Mugnai con la collaborazione di Mario Mantovani. Si tratta di una raccolta di testimonianze che gli alunni hanno recuperato dalle proprie nonne con la metodologia dell’intervista.

Le domande rivolte sono state:

  • Cosa ti ricordi della guerra?
  • Ti ricordi di qualche episodio particolare?
  • Come trascorrevi la giornata?
  • Cosa mangiavi e come te lo procuravi?
  • Facevi mai festa? Dove, quando, racconta …
  • Quali erano i luoghi di ritrovo?
  • Dove vi rifugiavate quando c’erano i bombardamenti?
  • Ti ricordi di un episodio del rifugio?
  • Come avevate le notizie e da chi?
  • Cosa ti ricordi dei tedeschi?
  • E degli americani?
  • Hai mai sentito parlare di episodi di maltrattamenti nei confronti delle donne?
  • Conosci episodi nei quali sono state protagoniste le donne?
  • Hai mai aiutato, dato ospitalità a qualcuno in difficoltà?

I risultati del lavoro furono organizzati secondo la provenienza geografica delle testimoni e pubblicate, assieme a delle foto d’epoca sul portale www.valdarnoscuola.net

Gli alunni interessati dal progetto furono:

  • Scuola Media di Incisa Valdarno: Classe 2°A e 3°C
  • Scuola Media di Matassino (Figline Valdarno): Classe 2°H, 2°I, 3°G, 3°H, 3°I
  • Scuola Elementare di Cascia (Reggello): Classe 5° A
  • Scuola Elementare di Vaggio (Reggello): Classe 5° A

Il lavoro fu organizzato e coordinato dagli insegnanti: Sonia Cirri, Gianna Ermini, Cristina Fontanella,  Monica Giuliani, Leontina Mascagni, Sandra Mazzoni,  Anna Mori, Carla Mugnai, Enrica Mugnai e  Ivana Righi.

“Donne e guerra” confluì nel 2009 nel Centro Documentazione Donna di Figline Valdarno grazie all’attenzione della professoressa Mazzoni e rifluisce ora in ToscanaNovecento per tornare alla sua vocazione originaria: rotella del grande ingranaggio della Storia.

Articolo pubblicato nel settembre 2014.




Le donne di Ribolla negli anni Cinquanta

Gli anni Cinquanta si aprirono nel villaggio minerario di Ribolla in un clima di aperta ostilità tra la Società Montecatini, proprietaria della miniera, e gli operai. Una lunga vertenza nel 1951, “lo sciopero dei 5 mesi ”, pur concludendosi con una sconfitta del movimento operaio grossetano ne rappresentò al contempo uno degli episodi più gloriosi, nel quale si inserì sorprendentemente una variabile a lungo trascurata dalla storiografia: il movimento femminile, timido dapprima, imponente poi, tanto da riuscire a tenere il passo di quello sindacale e politico. Molte donne, infatti, già nelle prime fasi dello “sciopero dei 5 mesi ” si erano organizzate – non solo a Ribolla – per sostenere la lotta di padri, fratelli, figli, mariti, fino a costituirsi nell’associazione “Le amiche della miniera”, il 2 giugno 1951. Sul numero delle iscritte si hanno dati precisi solo per il 1951: 328  nel solo comune di Roccastrada, per un totale di 1184 in tutti paesi minerari della provincia.

Comizio di una rappresentante de "Le amiche dei minatori" (anni Cinquanta)

Comizio di una rappresentante de “Le amiche dei minatori” (anni Cinquanta)

Erano “amiche della miniera” anche le operaie, impiegate nei lavori di cernita, carico di lignite sui vagoni, lampisteria e cucina; in genere provenivano da famiglie bisognose, molte erano “orfane” o “vedove” della Montecatini. Chi lavorava in cucina o si occupava delle pulizie degli alloggi degli operai non partecipava agli scioperi e alle manifestazioni, per non venir meno al tradizionale “dovere di cura” dei minatori senza famiglia, ma offriva il proprio contributo alla lotta sindacale facendo propaganda sul posto di lavoro.

Sia alle donne che partecipavano agli scioperi al fianco degli uomini, sia alle operaie che rimanevano al loro posto per “doveri di cura”, si potrebbe avere la tentazione di estendere la categoria interpretativa del maternage di massa (A. Bravo, 1991), usata in un primo momento per spiegare la partecipazione della donne alla Resistenza: donne che si fecero “pubblicamente” madri dei giovani in pericolo dopo lo sbandamento dell’8 settembre, prima, e dei partigiani, poi.

Le Amiche dei minatori di Ribolla, invitate al primo convegno nazionale della FILIE (Pesaro, 23-26 ottobre 1952), portano in dono la bandiera della pace. È riconoscibile Finisia Fratiglioni sulla destra

Le Amiche dei minatori di Ribolla, invitate al primo convegno nazionale della FILIE (Pesaro, 23-26 ottobre 1952), portano in dono la bandiera della pace. È riconoscibile Finisia Fratiglioni sulla destra

Lo stereotipo della protezione degli uomini determinata da un naturale istinto materno e da una scelta morale più intuita che meditata è stato messo da tempo in discussione (Anna Rossi Doria, 1994), con la messa a fuoco del passaggio «dalla compassione alla solidarietà e dalla solidarietà all’impegno politico in prima persona» nella scelta delle donne di prendere parte al movimento di Liberazione. Anche nella scelta delle “amiche della miniera” di lottare a fianco dei propri uomini questo passaggio è evidente, soprattutto se si pone lo sguardo sugli spazi di autonomia che queste donne seppero prendersi all’interno del più ampio movimento sindacale e politico.

Il 4 maggio 1954 uno scoppio di grisou causò la morte di 43 operai della miniera di Ribolla. Appena dopo il disastro e nei giorni seguenti, le donne dell’associazione si mobilitarono per sostenere i familiari delle vittime.

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4 maggio 1954: la notizia del disastro si è diffusa in paese. Le donne accorrono alla miniera

La colpa morale della Montecatini per lo stato di grave mancanza di sicurezza in miniera, denunciato a più riprese nei mesi precedenti, aspettava solo di essere sancita giudizialmente ma le prime incertezze sulla ricostruzione tecnica del disastro e lo spostamento a Firenze dell’istruttoria, permisero alla Montecatini di dispiegare un’ampia opera di persuasione per convincere con lauti risarcimenti le famiglie dei minatori morti a ritirare le procure per la costituzione di parte civile nel processo.

La sentenza di assoluzione dei dirigenti della Montecatini fu dovuta, oltre che alla discordanza tra le varie perizie, anche alla mancata comparizione della parte civile davanti ai giudici, punto decisamente a favore della difesa; anche le ultime 5 famiglie firmatarie delle procure, infatti, non si presentarono al processo di Verona, nell’ottobre 1958.

La vicenda del ritiro delle procure segnò una spaccatura profondissima all’interno della comunità di Ribolla: da una parte, chi dopo anni di lotte voleva inchiodare la Montecatini alle proprie responsabilità; dall’altra, le “vedove”, ree – si diceva – di aver tradito le aspettative di un intero paese lasciandosi “comprare” dalla Società. In realtà, come mostra un recente studio (Adolfo Turbanti, 2005), il ritiro delle ultime procure fu con tutta probabilità avallato dal PCI e dal Sindacato, resisi ormai conto di quale sarebbe stato l’esito del processo e preoccupati che le famiglie ricevessero almeno una giusta riparazione economica.

Il giudizio sulle vedove si è nel corso del tempo attenuato; nella percezione comune oggi esse appaiono come il soggetto che dovette farsi carico della sopravvivenza della famiglia. A rivelarsi, a distanza di anni, sono la debolezza della loro condizione sociale e, a un’analisi più attenta, lo sforzo e l’estrema difficoltà di tenere insieme il nuovo – la scoperta della dimensione politica – e la rilevanza dei compiti di cura e degli affetti. Si è detto di come la categoria del maternage di massa non spieghi fino in fondo la scelta delle donne di lottare al fianco dei minatori; paradossalmente, però, fu proprio la maternità tout court a riportare l’azione di queste donne negli argini del domestico, fuori dall’arena pubblica.

La lenta smobilitazione della miniera, fino alla chiusura definitiva  nel 1959, e l’emigrazione in cerca di lavoro di molte famiglie determinarono la graduale perdita di vigore dell’associazione femminile: in definitiva lo scoppio del grisou ridefinì l’identità politica e sociale del villaggio, distruggendo simbolicamente i riferimenti culturali e il terreno di valori comuni sul quale il movimento femminile si era radicato ed era cresciuto. Nato intorno alla miniera, intorno ad essa si spense.

 

Articolo pubblicato nel maggio 2014.