Firenze tinta di bianco

(…) Con guance rosse, spilli
di freddo nelle mani, la sciarpetta
di lana grezza che incendiava il collo
ci lanciavamo dal centro della nostra Via Lattea
ai confini del cortile, dentro il bianco
inesauribile di quel gennaio, un sibilo,
quattro secondi, un secolo –
fine dell’era glaciale, inizio del fango[1].
Al termine del 1984 l’Italia è avvolta da un anomalo tepore: il Natale è ormai vicino ma la neve e il gelo sembrano ancora non volersi impossessare dell’inverno. Benché già in atto il cambiamento climatico, siamo lontani dai vertiginosi numeri degli anni duemila e il tema, ignoto a gran parte dell’opinione pubblica, rimane ancora materia di pertinenza degli studiosi del clima. Non c’è percezione di ciò che accadrà negli anni a venire e ancor meno ve ne sarebbe stata dopo ciò che a breve sarebbe accaduto.
Sul finire dell’anno si registra un sensibile abbassamento delle temperature, niente di anomalo in quanto si tratta di una normale irruzione di aria fredda che interessa soprattutto le regioni centrali: a Firenze il termometro registra – 6°C, a Roma – 2°C.
Ma nonostante l’apparente normalità qualcosa di incredibile sta per accadere: all’estremità settentrionale dell’emisfero boreale un flusso d’aria caldissima fa collassare il vortice polare, innescando un’ondata di aria gelida che investe tutta l’Europa compresa l’Italia; si tratta di un fenomeno inusuale denominato sudden stratospheric warming[2]. Inizia ufficialmente una delle più intense ondate di freddo del ventesimo secolo: venti gelidi investono la penisola provocando un crollo delle temperature e portando, a più riprese, diffuse nevicate anche in zone dove i fiocchi sono un’assoluta rarità. Tra il 4 e il 9 gennaio si osservano nevicate un po’ in tutte le regioni centro-meridionali: Firenze, Bologna, Roma, Cagliari, Napoli, Capri e addirittura parte della costa settentrionale della Sicilia e dell’entroterra sardo si tingono di bianco. Nevicate eccezionali vengono segnalate anche in altre località e paesi mediterranei come Barcellona, Nizza, Marocco e Algeria.
Nel frattempo, complice la copertura nevosa e le prime schiarite, il gelo prende il sopravvento e in molte località il termometro fatica a superare lo zero. A causa dei terreni innevati la maggior parte delle radiazioni solari non vengono assorbite dalla superficie, ma vengono rispedite verso l’atmosfera, incrementando esponenzialmente il raffreddamento notturno[3]. Il Paese del sole si trasforma così nel paese del ghiaccio: nelle regioni centrosettentrionali si registrano minime sorprendentemente sotto la media stagionale: -15 °C a Bolzano, -23 °C a Cortina, -14 °C a Udine, -13 °C a Bologna, -11 °C a Verona; mentre molti fiumi come il Po e l’Adige congelano.
Nelle regioni meridionali dal 12 e 13 gennaio la situazione inizia invece a ristabilirsi. La comparsa di temperature più miti nel sud del paese comporta l’innalzamento della colonnina di mercurio nelle zone settentrionali dello stivale, creando le premesse per la più duratura e copiosa nevicata del ventesimo secolo. Dal pomeriggio del 13 gennaio in Val Padana cominciano a cadere i primi fiocchi di neve. Il giorno successivo la coltre nevosa raggiunge i 20-25 centimetri a Milano, spessori simili si osservano anche in altre città della pianura. La nevicata si protrae nei giorni successivi su quasi tutto il Nord, diventando da gioiosa ad opprimente, a tratti quasi brutale. La precipitazione insiste per altre 60 ore circa, sebbene con notevoli differenze territoriali dovute ai numerosi microclimi che caratterizzano la Val Padana. Una bufera che si accanisce con particolare veemenza su Emilia, Lombardia, Veneto e Trentino. Mai a memoria d’uomo si era vista una nevicata così estesa e abbondante: 50-60 cm a Vicenza, 70-80 cm a Bologna, 80-90 cm a Milano, 110 cm a Como, 120 cm a Varese, 140 cm a Trento, per citarne alcuni[4].
La Toscana fu una delle prime regioni ad essere attraversata dalla perturbazione: nella giornata del 4 gennaio l’intero territorio venne interessato dal crollo delle temperature e da sporadiche nevicate nelle principali città. A Firenze pochi centimetri di neve riuscirono a bloccare il capoluogo; fortunatamente le precipitazioni si verificarono di sabato, rendendo meno caotico e fastidioso l’effetto dei fiocchi. Complice la giornata di festa non si registrarono dunque eccessivi disagi alla circolazione e gran parte delle persone poté godere di quel magnifico, quanto insolito scenario.
Malgrado la nevicata non fosse stata particolarmente intensa, aveva avuto modo di evidenziare una serie di problematicità che in seguito si sarebbero rilevate più gravi: in primo luogo venne alla luce la generale impreparazione del comune nell’affrontare una situazione di questo tipo; dopodiché si registrarono centinaia di disagi alla rete idrica, causati dalle gelide temperature e dalla presenza di vecchie tubature in gran parte della città; infine, zone periferiche e collinari, come Fiesole e Settignano, rimasero isolate per uno o due giorni, impossibilitate ad avere contatti con il resto del capoluogo.
Pochi giorni dopo, nella giornata di martedì 8 gennaio, una fase più intensa della perturbazione si abbatté su tutta la Toscana, “È nevicato dove la neve non si vedeva da oltre quarant’anni: all’isola d’Elba dove il comune di Marciana è isolato; a Viareggio che ha la spiaggia simile a una lunga pista innevata; a Pisa dove l’accesso alla torre pendente è stato chiuso. (…) Porto chiuso anche a Livorno: le navi aspettano di essere scaricate avvolte da tormente di neve che si succedono a intervalli di tempo”[5]. Nel giro di sei ore si posarono sul capoluogo oltre venti centimetri di neve: in poco tempo l’intera città e le zone limitrofe vennero completamente ricoperte da un soffice strato di coltre bianca. Armati di sgargianti piumini e di improbabili cappellini i fiorentini si riversarono per le strade, desiderosi di poter osservare la città sotto una nuova lente e di poter immortalare quell’inedito paesaggio. Gli amanti della settimana bianca poterono sfoderare per l’occasione l’abbigliamento da montagna, mentre la gran parte degli abitanti dovette correre ai ripari, indossando indumenti nascosti chissà da quanti anni nell’armadio. Lo scenario innevato diede vita a momenti unici come la comparsa di alcuni sciatori che improvvisarono uno slalom scendendo dalle colline che circondano la città o la presenza di gruppi di ragazzi che dopo essersi affrontati a pallate di neve utilizzarono i sacchetti di plastica come slittini.
Nel giro di poche ore il clima di festa lasciò spazio alla conta dei danni creati dalla nevicata: “Mancano sale, le spalatrici meccaniche, gli apripista: il comune non ne ha alcuno, la provincia una ventina che ha impegnato su tutto il territorio che le compete, l’esercito a tarda sera ha messo a disposizione ruspe e uomini. C’è stata una specie di corsa a Rosignano Solvay per i rifornimenti di sale, ma qui i mezzi toscani si sono dovuti mettere in fila in attesa che fossero riforniti i romani, arrivati prima”[6]. Venti centimetri di neve avevano paralizzato la città, interrompendo la circolazione interna e sospendendo temporaneamente i collegamenti con l’esterno. In assenza di mezzi il comune si era trovato costretto a dover ricorrere all’utilizzo di strumenti appartenenti a ditte private e a dover contattare i disoccupati presenti nelle liste di reclutamento. In un ultimo disperato tentativo il sindaco Lando Conti aveva perfino chiamato in causa il senso civico dei suoi concittadini, invitandoli a rispettare l’articolo 67 del regolamento di polizia municipale che obbligava tutti i possessori di immobili a ripulire lo spazio antistante le loro proprietà[7].
La nevicata non colse di sorpresa solamente il comune, ma trovò impreparati anche numerosi fiorentini. Tra l’8 e il 9 gennaio furono più di settanta le persone che vennero medicate negli ospedali del capoluogo; la prevalenza degli infortuni era stata causata da tamponamenti o da rovinose cadute. Tra gli sfortunati eventi ve ne erano alcuni che avevano un tono quasi fantozziano, come nel caso di uno studente che si era fratturato la tibia giocando a palle di neve con i suoi compagni o come l’episodio di un sessantaquattrenne caduto mentre cercava di montare le catene al suo furgone[8].
L’eccezionale evento aveva fornito ai guidatori una preziosa lezione, istruendoli sulla necessità di dover limitare al massimo l’utilizzo del freno sulle superfici ghiacciate. L’impreparazione degli automobilisti generò situazioni caotiche per le vie del capoluogo con auto e bus che “improvvisavano strani balletti sulle strade bianche andando ogni tanto a finire contro un palo della luce o uno sfortunato albero”[9]. Con le strade innevate i cittadini si trovarono costretti a doversi cimentare nel montaggio delle catene, “Operazione forse facile per chi vive in montagna”, ma disastrosa per chi, come i fiorentini, non vi era abituato: si generarono così esilaranti scene di “auto con le catene piazzate nelle ruote sbagliate, con le catene che cadevano da tutte le parti, senza catene ma costrette a fare slalom imprevisti e pericolosi”[10].
I disagi creati dalla nevicata ebbero comunque modo di stimolare la solidarietà e il senso civico dei fiorentini. Come riportato da La Nazione del 6 gennaio “Gruppetti di volontari si sono adoperati qua e là fino a tarda ora per aiutare gli automobilisti in difficoltà, per segnalare preventivamente le strade da non prendere, per indicare che di lì a poco c’era un lastrone di ghiaccio”[11]. L’altruismo dei cittadini non si limitò alle ventiquattro ore successive alla prima nevicata, ma si estese anche alle giornate successive; infatti, molti fiorentini risposero positivamente agli appelli del sindaco, contribuendo alla pulizia delle strade e dei marciapiedi delle loro zone di residenza, supplendo in questo modo alla cronica assenza di mezzi e uomini.
Analogamente a quanto accadeva con i grandi avvenimenti La Nazione decise di dedicare alla nevicata un’apposita rubrica. Dal 9 gennaio il quotidiano stilò giornalmente un bollettino riguardante le principali problematiche che avevano colpito la città, come scuola, viabilità, trasporti pubblici e situazione idrica. Dal momento che si trattava di un evento inconsueto il giornale fiorentino decise di tenere costantemente aggiornata la cittadinanza sulle mutevoli difficoltà che colpivano il capoluogo. La drammaticità della situazione aveva portato il comune ad istituire un numero telefonico appositamente creato per dare sostegno alle persone più anziane che vivevano sole[12].
Nei giorni successivi la nevicata vennero rilevate in tutta Italia temperature altamente sotto la media stagionale. A Firenze fra l’8 e il 13 gennaio la colonnina di mercurio non riuscì mai a superare lo zero e la città fu completamenti avvolta dal gelo. L’11 gennaio fu la giornata più fredda: a Peretola venne registrata la minima record di -23 °C, un primato ancora imbattuto per il capoluogo, mentre in città la temperatura arrivò a toccare -11 °C[13]. Come spiegato da padre Bravieri, responsabile dell’Osservatorio Ximeniano, la differenza di temperatura fra la città e la periferia era motivata dalla presenza di una “cupola termica” creata dagli impianti di riscaldamento e dal vapore acqueo che usciva dai tubi di scarico delle auto presenti in città. Le proibitive condizioni di quei giorni portarono il comune a dover estendere in via eccezionale il numero di ore nelle quali poter utilizzare il riscaldamento[14].
Le gelide temperature portarono al congelamento dei fiumi e degli specchi d’acqua di piccole dimensioni. L’Arno e i suoi affluenti vennero ricoperti da una spessa lastra di ghiaccio, così come il lago di Massaciuccoli che si ritrovò completamente ghiacciato. Molti fiorentini si riversarono lungo gli argini dell’Arno per poterlo ammirare immobile, chiuso sotto una lastra di ghiaccio, e i più temerari provarono l’ebrezza di camminare da una sponda all’altra, mentre altri si lanciarono in un’insolita pattinata sul letto del fiume. Malgrado si trattasse di un evento eccezionale, l’attraversamento dell’Arno comportava seri rischi per l’incolumità di coloro che lo compivano e l’elevata affluenza di cittadini portò Palazzo Vecchio a dover porre a sorveglianza del corso d’acqua alcune squadre di vigili per allontanare dal fiume i più spericolati e curiosi[15].
Come abbiamo visto la nevicata del 1985 fu un evento talmente anomalo e al tempo stesso straordinario da rimanere indelebilmente impresso nella memoria collettiva. Ancora oggi, a quarant’anni di distanza, l’episodio continua a rappresentare un piacevole ricordo per coloro che lo vissero e a costituire una testimonianza capace di allontanare, anche solo per un momento, i problemi del presente. In occasione dell’anniversario giornali ed emittenti locali continuano a dedicare ampio spazio alla celebrazione della “nevicata del secolo”, supportati in quest’azione dalle testimonianze che lettori e spettatori fanno pervenire alle loro redazioni. In quest’ambito anche i social hanno contribuito enormemente alla produzione di memorie, offrendo a migliaia di utenti la possibilità di poter rievocare liberamente quei primi giorni di gennaio e di confrontare le proprie esperienze con quelle altrui. Nel corso degli anni la rievocazione è progressivamente sfociata in una sua idealizzazione, riducendone la descrizione all’esaltazione degli aspetti più positivi e folcloristici e ponendo in secondo piano le numerose problematiche ad esso connesse.
Fra la miriade di commenti celebrativi compaiono talvolta anche le considerazioni di coloro che invece quelle giornate le vissero con minor spensieratezza, colpiti in vario modo dai molteplici disagi. Malgrado la nevicata del ‘85 venga generalmente ricordata come un evento positivo, è doveroso ricordare che neve e gelo provocarono anche numerosi danni: le abbondanti precipitazioni dei primi giorni arrecarono considerevoli problemi alle comunicazioni, compromettendo gli spostamenti e isolando alcuni paesi, mentre il repentino abbassamento delle temperature dei giorni successivi causò rilevanti problemi alla rete idrica, lasciando senza acqua molte abitazioni. In particolar modo furono le zone periferiche, come le campagne e i piccoli centri, a subire le maggiori difficoltà a causa del loro isolamento e all’assenza degli strumenti e dei mezzi necessari per affrontare l’emergenza; la neve e il freddo danneggiarono inoltre gran parte della produzione agricola, compromettendo i futuri raccolti e causando l’aumento dei prezzi degli ortaggi. Sfortunatamente si registrarono anche alcuni casi di decesso causati dal freddo o di persone venute a mancare a causa dell’impossibilità di poter ricevere soccorso per l’impraticabilità delle strade.
La nevicata del ‘85 non fu l’unico episodio di questo genere verificatosi in Italia nel Novecento. Prima di allora nella penisola c’era stato un gelo eccezionale nel febbraio del 1956 e nevicate abbondanti sia tra il 1940 e il 1941 che tra il 1946 e il 1947. Ma allora perché il 1985 è rimasto così impresso nella memoria collettiva? Innanzitutto, rispetto alle ondate di maltempo appena citate si trattò di un evento straordinario non solo per la sua intensità, ma anche per la sua estensione, coinvolgendo nell’arco di pochi giorni quasi tutta la penisola, comprese aree dello stivale che non erano abituate a veder comparire i fiocchi di neve. In secondo luogo, è doveroso ricordare che la precipitazione avvenne in un’Italia in pieno sviluppo economico, abituata a procedere senza incontrare ostacoli lungo la sua strada. La comparsa della neve rappresentò dunque una brusca interruzione, una sosta forzata imposta dagli agenti atmosferici.
I recenti cambiamenti climatici hanno poi conferito all’evento ulteriore straordinarietà, connotandolo alla stregua di un episodio leggendario. Coloro che non erano nati o non erano abbastanza grandi per averne un ricordo percepiscono i racconti legati a quella nevicata come eventi lontani, appartenenti ad epoche remote e ormai irripetibili. Fenomeni di questo genere difficilmente potranno verificarsi in futuro visto che negli ultimi anni abbiamo assistito ad un progressivo aumento delle temperature e ad una conseguente diminuzione della rigidità degli inverni: nevica sempre di meno e la comparsa dei fiocchi a bassa quota è ormai divenuta un’assoluta rarità, mentre le poche volte che nel corso dell’anno la colonnina di mercurio scende sotto lo zero si possono forse contare sulle dita di una mano.
Difficile, dunque, che un episodio del genere possa ripetersi in futuro, ma come ci insegnano le prime giornate del gennaio 1985 mai dire mai…
Note:
[1] F. Italiano, La grande nevicata, Donzelli, Roma 2023.
[2] Tradotto in italiano “surriscaldamento stratosferico improvviso”.
[3] In ambito meteorologico tale fenomeno viene chiamato “effetto albedo”.
[4] G. Betti, 15 gennaio 1985: la nevicata del secolo, «il Mulino. Rivista di cultura e di politica», 14 gennaio 2023, https://www.rivistailmulino.it/a/15-gennaio-1985-br-la-nevicata-del-secolo.
[5] U. Cecchi, Emergenza in Toscana. Firenze paralizzata dalla neve, «La Nazione», mercoledì 9 gennaio 1985, p. 1.
[6] Ibid.
[7] Il sindaco ai cittadini “Spalare è un dovere”, «La Nazione», domenica 13 gennaio 1985, p. 2.
[8] Scivoloni e tamponamenti. Settantatré feriti, «La Nazione», mercoledì 9 gennaio 1985, p. 2.
[9] Fiesole isolata. Linee Ataf soppresse, «La Nazione», domenica 6 gennaio, p. 1.
[10] Descrizione posta sotto l’immagine in copertina, «La Nazione», domenica 6 gennaio, p. 1.
[11] Sulle colline le maggiori difficoltà. Squadre d’emergenza per aiutare gli automobilisti rimasti bloccati durante la notte, «La Nazione», domenica 6 gennaio 1985, p. 1.
[12] Soccorso anziani: chiamate il 210.075, «La Nazione», giovedì 10 gennaio, p. 1.
[13] P. De Anna, Termometro impazzito (-23). Mezza città senz’acqua, saltano i contatori, ghiaccio all’Anconella, «La Nazione», domenica 13 gennaio, p. 1.
[14] Sotto una cappa di ghiaccio. Scuole chiuse per due giorni. Viabilità nel caos, oggi gli spalatori, «La Nazione», mercoledì 9 gennaio, p. 1.
[15] Pattinano sull’Arno: è pericoloso, «La Nazione», sabato 12 gennaio 1985, p. 1.
Articolo pubblicato nel giugno 2025