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www.occupazioneitalianajugoslavia41-43.it una mostra storica necessaria nell’80° anniversario dell’aggressione nazista e fascista

Il 6 aprile ’41, l’Italia invadeva la Jugoslavia: le truppe tedesche, seguite a ruota da quelle italiane e ungheresi, distrussero il regno dei Karađórđević e spartirono il suo territorio fra i vincitori. 
Seguirono anni terribili. Diciamolo subito: la prima responsabilità dell’inferno in cui precipitò il Paese spetta a chi lo attaccò e scatenò una guerra di tutti contro tutti.
Poi fu il caos: guerra di liberazione contro gli occupatori; guerra civile fra ustašcia croati, četnici serbi, domobranci sloveni, partigiani comunisti; guerra rivoluzionaria per la creazione di uno stato socialista, feroci repressioni antipartigiane; sterminio degli ebrei, tentativi genocidari ai danni di popolazioni dell’etnia sbagliata.

Di quel vortice di violenza, le truppe italiane di stanza nei territori annessi o occupati, non furono semplici spettatrici, ma protagoniste. Si tratta di una delle pagine più buie della nostra storia nazionale, e anche una delle pagine meno illuminate. Sulla nostra invasione della Jugoslavia aleggia ancora il silenzio dell’“Italiano brava gente”, per dirla con le parole di Filippo Focardi (Direttore Scientifico dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri) che parla di una “mancata Norimberga italiana”. La mancata consegna dei 3.800 italiani elencati nella United Nation World Crime Commission per crimini di guerra e contro l’umanità mai estradati né processati. Non concessero l’estradizione né il governo Badoglio né quelli successivi di unità antifascista. E quando poi Tito perse l’aiuto di Stalin la richiesta di Tito verso la consegna dei criminali “evaporò”

E perché? Vari gli scopi: distinguersi da nazisti da guardare come i veri criminali, colpevolizzare i partigiani comunisti, non voler consegnare i prigionieri italiani sulla base di una clausola di reciprocità contenuta nell’allora codice militare di guerra, che alimentò la richiesta da parte degli Italiani agli Jugoslavi di avere consegnati i presunti responsabili di crimini commessi contro le nostre truppe.

Paolo Pezzino, Presidente dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri, afferma: “troppo tempo ci abbiamo messo per trattare di questo argomento, quello di una guerra di aggressione con strumenti e metodi assolutamente criminali, crimini di guerra, crimini contro l’umanità”, quei crimini di cui noi siamo stati vittima dei Tedeschi dopo l’8 settembre, ma ancor prima perpetratori, dall’Etiopia, alla Grecia, alla Jugoslavia.

Oggi, dopo ottanta anni, speriamo che finalmente sia venuto il momento di fare un po’ di chiarezza.

Per ora abbiamo dovuto proporre una mostra fotografica virtuale favorirne la fruizione anche non in presenza ma ci auguriamo che possa girare presto in Italia, anche nelle scuole”).

Questa, dice l’ideatore e responsabile Raoul Pupo, è una mostra corale, è una mostra plurale, nel tentativo di una “purificazione della memoria”, cioè di un atto di fiducia nella capacità di recuperare l’analisi di fatti che sono stati ignorati, evitati, nascosti, alterati perché disturbano le logiche del paese.

 La mostra è molto vasta, per un totale di 54 pannelli, 200 immagini,  testimonianze d’epoca e  interviste ai maggiori studiosi dell’argomento.

Dopo un video introduttivo, la mostra si articola in 10 sezioni (molte delle quali con sotto sezioni e pannelli) ed una conclusione.

 I. La guerra
II. Ribellione e rivoluzione

III/1. Slovenia

III/2. Dalmazia
IV. Croazia
V. Montenegro
VI/1. Le grandi operazioni: Slovenia
VI/2. Le grandi operazioni: Croazia e Montenegro
VII. La repressione
VIII. I campi d’internamento
IX. La fine
X. La rimozione
Conclusioni

I testi dei pannelli sono puramente descrittivi, perché “Quando le fonti gridano, è bene che gli storici parlino sottovoce”.

Alcuni esempi:

La prima sezione ha tre pannelli e inizia significativamente con i “bombardamento di Pasqua” dei Tedeschi su Belgrado, non senza ricordare che Mussolini aveva già espresso l’intenzione di occupare la Jugoslavia già nel ’40, per poi finire con la spartizione dei Balcani.

La terza sezione in due dei tre paragrafi ci mostra come le autorità italiane anche estendono alla provincia di Lubiana la legislazione volta a cancellare l’identità nazionale slovena e a circondano Lubiana dal filo spinato, in un surreale immenso lager.

La sezione 7 è quella forse che ci lascia più un pugno nello stomaco: il pannello 1 riporta il testo completo della famigerata circolare C, del Generale Roatta, quella che nel 1 marzo 1942 scriveva :” Il trattamento da fare ai partigiani non deve essere sintetizzato dalla formula: “dente per dente” bensì da quella “testa per dente”, sulla sua scia nel pannello 2 il Generale Robotti conclude la sua sorta di decalogo con la frase -in grassetto- SI AMMAZZA TROPPO POCO. E poi gli altri 4 pannelli: senza pietà, i prigionieri, le razzie, le stragi sono precedute dall’avviso “Attenzione, le immagini che seguono potrebbero urtare la vostra sensibilità”. Cosa aspettarsi da un articolo che riporta le parole di Mussolini nel luglio 1942: “Deve cessare il luogo comune che dipinge gli italiani come sentimentali incapaci di essere duri quando occorre. Questa tradizione di leggiadria e tenerezza soverchia va interrotta” e nel 1943 così si rivolge ai soldati: “So che a casa vostra siete dei buoni padri di famiglia, ma qui voi non sarete mai abbastanza ladri, assassini e stupratori.”
I soldati obbediscono e in qualche caso bruciano villaggi e sparano ai civili solo per ingannare il tempo. Atrocità vengono compiute da tutte le parti in lotta.

Le immagini dei prigionieri non lasciano indifferenti: molte di esse sono inedite e ritraggono donne in attesa di essere fucilate

La sezione 8 riguarda il sistema concentrazionario italiano: Le truppe italiane, non riuscendo ad aver ragione dei ribelli, procedono all’evacuazione delle zone ad alta densità partigiana. L’intera popolazione viene rastrellata ed i villaggi rasi al suolo per fare terra bruciata …

Nascono così i campi di concentramento italiani per popolazione slava (Arbe, campo di Molat, Gonars, Renicci) e viene riportata anche un’intervista alla sopravvissuta Marija Mahnič, al campo di Fraschette di Alatri.
L’ultima , la 10, si intitola significativamente la rimozione, in un palleggiarsi fra accuse jugoslave e strategia difensiva italiana, depistaggi, mancati processi.

In calce alla mostra virtuale una nota linguistica, bibliografia orientativa, riferimenti iconografici, sigle a rendere fruibile a tutti il contenuto.