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“Vite spezzate”: si è svolta la nuova edizione del Meeting degli studenti della Regione Toscana per il Giorno della Memoria

La mattina del 27 Gennaio, al Nelson Mandela Forum di Firenze si è tenuto il Meeting degli studenti toscani in occasione del giorno della memoria, organizzato dalla Regione Toscana e dalla Museo e centro di documentazione della Deportazione e Resistenza di Prato. Il titolo dell’edizione di questo anno è  “Vite spezzate. Guerre, deportazioni, stermini”. Infatti a una prima parte dedicata alla Shoah e alle altre pratiche di deportazione nel contesto del secondo conflitto mondiale, è seguita una seconda intitolata “Il razzismo e le guerre nel presente”.

I circa 8000 studenti, che hanno partecipato a titolo totalmente gratuito all’evento, sono stati accolti dalla musica dell’orchestra multietnica di Arezzo che, sotto la artistica direzione di Enrico Fink, musicista e membro della comunità ebraica di Firenze,k e con la partecipazione del gruppo di Alexian Santino Spinelli, musicista e docente universitario Rom, ha creato un sincretismo musicale fra musica ebraica e musica romanì.

L’evento è ufficialmente iniziato con la preghiera ebraica El Male Rachamin interpretata da Enrico Fink. È una poesia in ebraico del poeta Yehuda Amichai utilizzata come canto di preghiera elevato in memoria delle persone morte di morte violenta, intonata spesso, quindi, nelle celebrazioni della Shoah.

Dopo una introduzione al meeting da parte di Ugo Caffaz, il solerte organizzatore da molti anni di questo evento, e dopo i saluti istituzionali del sindaco di Firenze Dario Nardella e della vicepresidente della Regione Toscana Monica Barni, il Professor Giovanni Gozzini, docente di storia contemporanea all’Università di Siena, ha tenuto una introduzione storica che, lungi da essere una lezione frontale, è stata un’esortazione contro l’indifferenza e contro ogni tipo di esclusione. Puntando il dito verso l’uditorio e dicendo “tu sì, tu sì, tu no”, ha introdotto il tema dalle leggi razziali del ‘35 Germania e del ‘38 in Italia, partendo dall’espulsione degli ebrei dalle scuole italiane. Poi ha fatto notare come non solo i Tedeschi nazisti abbiano deportato  masse di persone e creato campi di concentramento, ma che l’avevano già fatto prima gli Italiani fascisti durante l’occupazione della Libia negli anni ’30, deportando 100.000 abitanti dell’interno, zone in cui erano attivi i partigiani libici, in prevalenza anziani, donne, bambini, ai campi di concentramento sulla costa, causando la morte di 10.000 persone nelle marce forzate nel deserto e di 20.000 nei campi di concentramento, nei quali tra l’altro sono state eseguite almeno 1000 sentenze capitali; “abbiamo insegnato noi a Hitler come si fa”, dice provocatoriamente Gozzini.

La mattina è poi proseguita con la lettura da parte dell’attore William Pagano di alcuni passi tratti dal diario Quarantaquattro mesi di vita militare (Firenze 2014) di Elio Materassi, un IMI, cioè un internato Militare italiano, che ha scelto di non prestare servizio, una volta internato Germania, nell’esercito della Repubblica sociale Italiana.

Per ricordare anche la deportazione politica sono stati trasmessi filmati in memoria di due sopravvissuti ai lager scomparsi recentemente: Vera Michelin Salomon e Marcello Martini.

Vera a 19 anni, a Roma, entra nell’organizzazione del Comitato studentesco di agitazione il cui compito era quello di distribuire materiale di propaganda antifascista contro l’occupante nazista, davanti alle scuole superiori e all’università. Il 14 febbraio 1944, (dietro delazione) un commando di SS arresta tutto il gruppo e Vera, davanti al Tribunale Militare Tedesco, è condannata a tre anni di carcere duro, da scontarsi in Germania.

Marcello, pratese, è stato il più giovane deportato politico italiano, che ha vissuto a soli 14 anni l’esperienza del campo di concentramento di Mauthausen, perché si trovava coinvolto, giovanissimo, con la sua famiglia nelle attività clandestine di resistenza al nazi-fascismo, in sostegno all’emittente clandestina Radio Cora. E ai giovani di oggi, nell’ultima  intervista registrata, lascia questo messaggio “siate curiosi, abbiate  desiderio di imparare qualsiasi cosa, perché un giorno nella vita potrebbe esserti tolto tutto, come è accaduto nei lager, ma quello che tu sai non te lo può togliere nessuno”.

Moderate  da Adam Smulevich, giornalista e scrittore, salgono sul palco tre testimoni: Vera Vigevani Jarach, Kitty Braun Falaschi e Tatiana Bucci.

Vera presenta la sua duplice storia di dittature, di uccisione di due persone care -nonno e figlia- senza neppure una tomba su cui ricordarle.

Vera viene espulsa da scuola con le leggi razziali del ’38; l’anno dopo con la famiglia (i nonni rimangono invece in Italia e saranno deportati ad Auschwitz) emigra in Argentina ma lì nel 1976 un colpo di stato provoca la caduta del governo e l’instaurarsi del regime di Videla che mira a reprimere qualsiasi forma di opposizione politica e sociale tramite un sistema repressivo basato sulla violazione sistematica dei diritti umani e civili passato alla storia come Guerra Sucia. Vittime del regime sono soprattutto gli studenti – universitari e delle scuole superiori -, considerati pericolosi poiché pensano, credono nella giustizia, nella solidarietà e nella libertà, proprio come Franca, la figlia di Vera, molto attiva nel movimento studentesco della sua scuola. Venerdì 25 giugno 1976, Franca scompare: viene catturata e condotta all’Escuela de Mecánica de la Armada, adibita a centro di detenzione e tortura dei ribelli. La detenzione di Franca dura qualche settimana: a metà luglio è vittima di un “volo della morte”. Vera viene a sapere del destino della figlia solo nel 2000, dopo oltre 20 anni. Vera è una delle madri di Plaza de Mayo, movimento nato nel 1977 che riunisce le madri dei desaparecidos. Da allora porta in testa un fazzoletto bianco, che in realtà era il pannolone dei bambini, con il nome di figlia ricamato. Questo è il simbolo delle madri di Plaza de Mayo.

La seconda a parlare è Kitty, che racconta, con un’espressione dolce e con la voce riarsa da tanti anni di insegnamento, la sua esperienza di bambina ebrea. Del periodo vissuto in clandestinità, sotto pseudonimo, Kitty ha un ricordo quasi fiabesco, perché era troppo piccola per presentire ciò che le sarebbe accaduto. Invece a 9 anni è stata deportata con la mamma nel campo di concentramento di Ravensbrück e poi a Bergen Belsen. Cinque mesi nei lager, sei con il soggiorno nella risiera di San Sabba, il campo di concentramento a Trieste, spesso tappa di partenza verso la Germania.

La terza testimone è Tatiana Bucci, per una volta senza la sorella Andra, a cui va comunque il saluto di tutti. Le due sorelle sono state deportate insieme alla madre e al cuginetto Sergio a Birkenau. Si sono salvate dalla selezione perché credute gemelle da Mengele, “il dottor morte”, che in quel periodo conduceva esperimenti sui gemelli. I tre bambini dunque dovevano essere cavie. Racconta Tatiana “ci siamo salvate perché una blockova ci aveva preso a ben voler. Un giorno ci averti che, qualora ci fosse stato chiesto se volevamp rivedere la mamma, avremmo dovuto rispondere dovuto rispondere di no.  Noi ci siamo fidate e non abbiamo fatto un passo avanti (che avrebbe significato vita o morte) ma, con puerile naturalezza, il nostro cuginetto dice invece di voler raggiungere la mamma, così viene mandato con altri 19 bambini come cavia nel campo di concentramento di Neuengamme dove il Dottor -se tale si può definire-  Hessmeyer conduceva esperimenti sulla tubercolosi.  Quando da Berlino arriva l’ordine di liquidare i bambini, a Sergio e agli altri fu iniettata una dose di morfina e furono quindi impiccati alle pareti della stanza con ganci da macellaio”. Dopo queste parole cade il cielo in sala e poi scroscia un commosso applauso.

Dopo la lettura della poesia Se questo è un uomo di Primo Levi, interpretata da William Pagano, e dopo l’intervento di Francesco Galanti, presidente del parlamento degli studenti, inizia la seconda parte del meeting, moderata da Luca Bravi ricercatore presso l’Università di Firenze.

Ed è in questa parte che il meeting si apre verso l’attualità con problematiche che toccano il razzismo e gli stereotipi contro cui ancora combattere, e viene affrontato il tema dei genocidi nel presente o nel vicinissimo passato, come quello avvenuto in Bosnia Erzegovina nel 1995, il culmine più atroce della guerra nei Balcani che ha preso avvio nel 1991, fra stragi di civili, stupri, torture, pulizia etnica.

Di questo argomento ci porta la sua commossa testimonianza Irvin Mujcic, profugo di Srebrenica quando era ancora bambino. La madre con la nonna e i tre figli sono riusciti a scappare da Srebrenica, vivendo in campi profughi prima al confine e poi in Croazia per circa 2 anni prima di arrivare in Italia con un progetto umanitario. Non erano più a Srebrenica l’11 luglio 1995, quando furono massacrati 8.372 musulmani bosniaci per mano de Serbi. “Ho perso mio zio e mio padre nel genocidio e purtroppo è ancora tra le mille persone i cui corpi non sono stati trovati e sepolti”. “Credo che la bellezza e la ricchezza del mondo stiano nella diversità tra culture, etnie e religioni: sogno un mondo in cui ognuno possa essere accettato per quello che è”, dice Irvin e spiega il suo progetto “Srebrenica –  City of Hope” che si sta realizzando anche grazie alla costruzione della “Casa della Natura”. Infatti da qualche anno Irvin è tornato dove suo padre e suo zio sono morti “per difendere non solo una città ma un ideale di convivenza pacifica” con un progetto che punta a cambiare gli stereotipi su Srebrenica e restituirle la sua età dell’innocenza, valorizzandone le bellezze culturali e naturalistiche e puntando sul turismo.

L’ultimo intervento è quello di Eva Rizzin, una spinta rom ricercatrice presso l’università di Verona. È dedicato alla memoria e al presente dei rom e dei sinti.

Se fossi nata ai tempi del nazismo, sarei stata destinata allo sterminio” dice Eva “perché membro della minoranza che da sempre  è vittima di una politica persecutoria”. “L’antiziganismo, come l’antisemitismo, è una delle forme più diffuse di razzismo in Europa e in Italia”.

Quella persecuzione ha avuto una delle pagine più buie durante il Terzo Reich, quando rom e sinti furono deportati in massa. Fu anticipata dallo Zigeneur Buch, un testo pubblicato nel 1905 dal prefetto di Monaco di Baviera che in 344 pagine elencava i dati personali e genealogici di 3350 persone appartenenti all’etnia Rom. Quel censimento fu poi molto utile poi ai nazisti. Ma i censimenti non sono finiti. “Nel 2008 rom e sinti sono stati nuovamente censiti per etnia e religione e nel 2018 in Italia abbiamo avuto rappresentanti istituzionali che hanno chiesto di nuovo un censimento dei nomadi”. Come se poi Rom e Sinti fossero tutti nomadi! “Ancora oggi dichiararsi rom e sinti non è facile perché significa equipararsi a qualcosa di negativo e molti nascondono la propria identità per non essere giudicati in base agli stereotipi“.

E con la musica trascinante d Fink e Spinelli si chiude il meeting, al buio con 1000 torce di cellulari e ragazzi in standing ovation.