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Socialproletari a Prato

In occasione dell’uscita del volume di Alessandro Affortunati intitolato Tra potere e contropotere. Appunti per una storia del PSIUP a Prato, 1964-1972 (Prato, Pentalinea, 2021) abbiamo rivolto alcune domande all’autore. Proponiamo il testo dell’intervista ai lettori di ToscanaNovecento.

 Il PSIUP nasce in conseguenza del varo del centrosinistra organico nel 1964 (a livello locale i primi segnali di insofferenza interna al PSI si erano manifestati in occasione delle “giunte difficili”, dopo le amministrative del 1960, a Firenze e, più vicino a noi, a Carmignano). Parlaci della genesi del nuovo partito.

 All’interno del PSI esisteva una componente di sinistra, molto variegata, che aveva accettato con qualche perplessità la svolta di centrosinistra. Quando il PSI passò dall’appoggio esterno alla partecipazione diretta al governo (dicembre 1963), questa componente si oppose nettamente all’operazione, rifiutò di votare la fiducia e diede vita al PSIUP (gennaio 1964). La sinistra riteneva infatti che l’ingresso dei socialisti nel governo avrebbe avuto come unico risultato la rottura a sinistra fra PSI e PCI e l’integrazione del Partito socialista nel sistema politico esistente, senza che fosse possibile ottenere nulla di significativo sul terreno delle riforme di struttura (e, considerati gli sviluppi politici successivi, non si può dire che questa analisi fosse priva di fondamento).

Tu hai intitolato il tuo libro Tra potere e contropotere. Perché?

 Il titolo allude alla contraddizione (rimasta sostanzialmente irrisolta) in cui il PSIUP venne a trovarsi nelle realtà locali dove aveva responsabilità di governo, diviso com’era fra la gestione del quotidiano, che imponeva di misurarsi con problemi concreti (e talora prosaici) e l’aspirazione a dar vita ad una democrazia di base fondata su gruppi che intendevano opporsi al potere costituito (basti pensare alla concezione psiuppina dei consigli di quartiere, di cui si chiedeva l’elezione diretta, oppure all’ambizione di costruire il contropotere operaio nelle fabbriche). L’idea di contropotere (fatta risalire all’esperienza della Comune parigina) è stata, secondo me, l’elemento qualificante della proposta politica del PSIUP.

Quali furono a Prato le reazioni degli altri partiti alla comparsa del nuovo soggetto politico?

 Le reazioni da parte della DC, del PSDI e, naturalmente, del PSI furono negative (all’interno del PSI, in particolare, i lombardiani – che, dopo la scissione, erano rimasti soli a rappresentare la sinistra – temevano uno scivolamento del PSI su posizioni socialdemocratiche). Quanto al PCI, Mauro Giovannini, segretario della Federazione comunista, definì “dannosa” la scissione (c’era il rischio che il PSIUP erodesse in parte il consenso elettorale del PCI, sottraendogli voti a sinistra), ma poco dopo un documento della Federazione stessa corresse il tiro, sostenendo che fra PSIUP e PCI non poteva che nascere un rapporto di solidarietà.

Come si mosse il Psiup verso gli alleati?

 La politica proposta dal PSIUP era basata sul principio dell’unità di classe e quindi metteva al primo posto l’alleanza col Partito comunista ed anche con il PSI, se disponibile. Continua fu comunque la polemica verso quest’ultimo, accusato di avere rotto l’unità delle forze del lavoro e di essere passato nello schieramento avversario. A livello locale il PSIUP governò con socialisti e comunisti (Piero Spagna, suo primo rappresentante in consiglio comunale, fu eletto anche vicesindaco).

Quali erano le istanze del partito e i punti programmatici a livello locale?

 Il PSIUP elaborò nel 1966 un documento in cui si parlava dei problemi concreti della città: va sottolineato che i socialproletari avevano una loro visione dello sviluppo di Prato che non coincideva con quella dei comunisti. I socialproletari chiedevano, fra l’altro, una programmazione pluriennale in campo economico, sul modello di Bologna, per evitare una nuova crisi del tessile e difendere i livelli occupazionali, una rapida realizzazione del piano regolatore, che non doveva avere riguardi nei confronti degli interessi dei tanti centri di potere, un potenziamento dei trasporti urbani ed extraurbani fondato sulla municipalizzazione della CAP, la società più importante nel settore del trasporto pubblico locale. Molto interessante era poi la proposta di dar vita ad un organismo pubblico che si prendesse cura dei ragazzi abbandonati, dato che la città era allora scossa dallo scandalo dei “Celestini”, scoppiato quando era stato scoperto che i bambini così chiamati, ospitati in un istituto di assistenza gestito da religiosi, non solo erano costretti a vivere in condizioni igieniche inimmaginabili, ma erano anche sottoposti a sadiche punizioni.

CopertinaPSIUP_Prato1024_2Nel corso del tempo, nelle tue ricerche, hai “incontrato” spesso Ferdinando Targetti. E anche stavolta lo hai ritrovato. Un personaggio politico che ha attraversato una parte importante del Novecento. Ci puoi dare un tuo parere di storico?

 È un parere nettamente positivo. Targetti, pur appartenendo ad una famiglia di grandi industriali (uno dei suoi fratelli, Raimondo, fu anche presidente della Confindustria), si iscrisse giovanissimo alla sezione pratese del PSI, lasciando la sua quota in azienda ad un altro fratello e vivendo solo dei proventi della professione di avvocato. Fu il primo sindaco socialista di Prato, fra il 1912 ed il 1914, e la giunta da lui presieduta fornì un ottimo esempio di amministrazione rossa. Fermo nei suoi principi di antifascista, scampò per caso alla morte in occasione della famigerata “notte di San Bartolomeo” fiorentina (3 ottobre 1925). Dovette poi trasferirsi a Milano ed in Svizzera, ma non cessò mai di svolgere attività antifascista. Nel dopoguerra, riflettendo sull’esperienza della dittatura e della guerra, giunse alla conclusione che la borghesia era pronta a tutto pur di non rinunciare ai  suoi privilegi, e che quindi la più stretta unità d’azione tra socialisti e comunisti era la condizione imprescindibile per la difesa della democrazia e la realizzazione del socialismo (e si badi che Targetti, in quanto riformista, era stato espulso dal PSI ed era entrato a far parte del PSU, il partito di Matteotti). È così che si spiega la sua adesione al PSIUP, di cui egli stesso chiarì le motivazioni in una lettera indirizzata ai compagni di Prato, che viene pubblicata per la prima volta in questo libro. In sostanza, Targetti non accettò mai nessuna forma edulcorata di socialismo: il socialismo significava per lui superamento del capitalismo, non un’operazione di maquillage per rendere accettabile il capitalismo stesso.

L’invasione della Cecoslovacchia è certamente uno spartiacque nel panorama politico della sinistra e coinvolge anche il PSIUP. Quale fu la sua posizione in merito e quali le conseguenze?

 A differenza del PCI, che condannò con fermezza l’invasione, la direzione del PSIUP non andò oltre un comunicato, alquanto fumoso, nel quale non era dato riscontrare una netta parola di condanna dell’accaduto. Questo comunicato rifletteva la posizione dei vertici del partito, cioè della componente che faceva capo a Tullio Vecchietti ed a Dario Valori, ma non quella di tutto il PSIUP. La base psiuppina, infatti, più che filosovietica poteva definirsi terzomondista (con simpatie filocinesi in alcuni casi molto evidenti): qui a Prato, ad esempio, essa si dissociò dalla direzione, sposando la linea della Federazione di Firenze. Comunque sia, la posizione assunta dai vertici (sulla quale ebbero il loro peso – come è stato esplicitamente ammesso da dirigenti di primo piano del partito, come Silvano Miniati – i finanziamenti che il PSIUP riceveva regolarmente dall’Unione sovietica per mantenere un apparato decisamente sovradimensionato) ebbe conseguenze gravi per il partito, cui alienò le simpatie della parte più movimentista del suo elettorato.

Nella logica del sistema proporzionale i socialproletari hanno raggiunto, in alcuni casi, discreti risultati. Che bilancio si può trarre dall’andamento elettorale a livello locale?

 Il PSIUP partecipò a quattro competizioni elettorali (le amministrative del novembre 1964, le politiche del maggio 1968, le amministrative del giugno 1970 e le politiche anticipate del maggio 1972), ottenendo dei discreti risultati, ma non riuscendo a sfondare a sinistra. A Prato oscillò fra il 4,04% del 1968 e l’1,61% del 1972. Le politiche del 1972 furono una vera e propria Caporetto elettorale per il partito, che, non essendo scattato il quorum in nessun collegio, non poté utilizzare i resti e scomparve da Montecitorio. La fine del PSIUP fu la conseguenza del progressivo disimpegno socialista dal centrosinistra, che restrinse il suo spazio politico, della mancata condanna della repressione della “primavera di Praga” e della contemporanea presenza di tre liste concorrenti (il Manifesto, il Movimento politico dei lavoratori e Servire il popolo).

A un certo punto, tratte le conseguenze del voto del 1972, si pone il problema del quo vadis? Detto con un’altra metafora, si pone il problema della Legge di Newton: i corpicini piccoli subiscono la forza di attrazione verso quelli più grandi. Ma non per tutti andò così…

Subito dopo la disfatta elettorale del 1972 il IV (ed ultimo) congresso del PSIUP decise a maggioranza lo scioglimento del partito e la sua confluenza nel PCI. A livello nazionale fu questa la linea che passò e, col senno di poi, si può forse dire che fu la scelta più giusta. A Prato solo una minoranza passò nelle fila comuniste, mentre la maggioranza degli iscritti decise di proseguire la battaglia dando vita al Nuovo PSIUP (nessuno, a quanto mi risulta rientrò nel PSI): la decisione presa dalla maggior parte dei militanti psiuppini della città laniera stava a significare che, pur con tutti i suoi limiti, quella del PSIUP era stata per molti un’occasione di crescita politica e culturale.