Presentato in provincia di Lucca il libro di M. Battini su Franco Serantini

Chiara Nencioni - Istituto storico della Resistenza e dell'età contemporanea in provincia di Lucca

5 Marzo 2022 - Lucca
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Venerdì 4 Marzo, alle ore 18, presso la Casa del Popolo di Verciano (Lucca), si è tenuta la presentazione del libro di Michele Battini “Andai perché ci si crede”, il testamento dell’anarchico Serantini, appena uscito per Sellerio.

Il titolo evoca la frase che Serantini pronunciò davanti al giudice che lo interroga dopo l’arresto in risposta alla domanda sul perché avesse partecipato alla manifestazione del 5 maggio, che fu poi la causa della sua morte.

L’evento è stato organizzato dall’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Lucca in collaborazione con la Società Popolare di Mutuo Soccorso “Giuseppe Garibaldi” e Alternativa libertaria.

Ha introdotto la presentazione Armando Sestani, presidente della SPMS ed è poi intervenuto Mario Salvadori che ha rievocato l’ambiente in fermento della federazione anarchica negli anni ’70 fra Pisa e Lucca: “l’esperienza storica dell’anarchismo era stata falciata dal fascismo e prima del ’68 non ci fu una cultura di mezzo dell’anarchismo, prima della rifioritura negli anni ‘70”. Franco Serantini si era formato in questo humus ma era un compagno che spaziava per i suoi interessi, ad esempio aveva dato una mano al “mercatino rosso” al Cep, quartiere in periferia di Pisa, aveva partecipato a quella manifestazione contro il comizio di Niccolai promossa da Lotta Continua, e in questa manifestazione venne massacrato, vittima in primis della polizia, ma anche del giudice che non tenne conto del fatto che davanti aveva un ragazzo che stava morendo, e dei medici e infermieri che ignorarono i gravissimi danni fisici subiti nel pestaggio.

 A presentare il libro è stato Paolo Pezzino, presidente dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri, che ha messo in rilievo come questo testo sia frutto non tanto di una esperienza autobiografica (Battini stesso è stato un militante di Lotta Continua) ma soprattutto una accurata ricostruzione del massacro di Serantini e delle vicende successive “la grande congiura dell’omertà”, basata su fonti (anche dell’archivio privato dell’autore) e atti giudiziari.

Il grosso pregio del libro è quello di contestualizzare la vicenda del giovane anarchico nella storia di Pisa di quegli anni, che era una realtà industriale (il 37% della popolazione lavorava nell’industria), un luogo dove gli studenti, non solo universitari, si erano uniti agli operai, un laboratorio dei gruppi della sinistra alternativa per la creazione di un contropotere non solo verso le istituzioni dello Stato ma anche del patronato e dei sindacati, del partito comunista che sembrava non aver capito i veri bisogni del proletariato”.

Questa creazione non escludeva il ricorso alla violenza, una violenza che viene teorizzata ma non praticata e che esclude il terrorismo. Una violenza che è anche difensiva nei confronti di quella praticata dallo Stato”. E a tale proposto viene citato l’episodio di fronte al noto locale versiliese “La bussola”, il 31 dicembre 1969, quando ai pomodori lanciati dai manifestanti, che contestavano un’ostentazione di ricchezza percepita come uno schiaffo alle condizioni di vita della grande maggioranza dei cittadini, la polizia rispose con le pallottole. Una di queste ha reso paralizzato a vita Soriano Ceccanti, di appena 16 anni.

L’antifascismo militante dei gruppi della sinistra alternativa riteneva che nelle piazze non ci dovesse essere spazio per i fascisti, per Almirante e il Movimento Sociale. “Camerata basco nero il tuo posto è al cimitero”, “Almirante boia”, “PS = SS” alcuni slogan gridati.

È in questo contesto che avvengono i tragici episodi di Pisa il 5 maggio ’72, in cui i gruppi della sinistra militante vogliono impedire il comizio di Niccolai e in cui trova la morte il ventenne Franco Serantini “agnello sacrificale che viene massacrato con una violenza che non ha giustificazione neppure nel clima di quei tempi”.

L’autore conclude la presentazione approfittando il tema della violenza in una Italia che aveva visto

Piazza Fontana nel dicembre ’69 e tentativo di colpo di stato di Borghese nello stesso mese dell’anno successivo.

L’evento si chiude ascoltando La ballata di Franco Serantini, che Piero Nissim scrisse all’indomani della morte del giovane anarchico.

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