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Molina di Quosa e S. Anna di Stazzema, due stragi legate

Tra il maggio e il giugno del 1947, a Padova, un tribunale britannico celebra per conto delle Nazioni Unite un processo per crimini di guerra contro il generale Max Simon, comandante della 16ª Divisione Panzergrenadier «Reichsführer-SS».

Inizialmente il procedimento prevede che i capi d’accusa riguardino cinque grandi eventi di sangue, avvenuti per lo più in territorio toscano: le stragi di Sant’Anna di Stazzema (12 agosto 1944, oltre 430 vittime), di Bardine di San Terenzo Monti (19 agosto 1944, 159 vittime), eccidi vari avvenuti lungo le Alpi Apuane (23-27 agosto 1944, 171 vittime solo a Vinca), la strage di Bergiola Foscalina (16 settembre 1944, 71 vittime) e il massacro di Monte Sole (29-30 settembre 1944, quasi 800 vittime).

Nel corso dell’estate del 1944 la 16ª Divisione SS comandata da Simon aveva lasciato dietro di sé un’impressionante striscia di sangue, che dalle vette sopra la Versilia era proseguita lungo l’arco appenninico fino ad arrivare ai valichi tra Firenze e Bologna: il processo vuole ora provare la condotta criminale di Simon e dei suoi uomini a partire da questi cinque episodi luttuosi.

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Max Simon

A pochi giorni dall’inizio del dibattimento, il 15 maggio 1947, la Procura militare inglese chiede ed ottiene di aggiungere anche un sesto evento, avvenuto prima degli altri: la strage della Romagna, località montuosa sopra Molina di Quosa, frazione del comune di San Giuliano Terme (Pisa), che aveva contato 69 vittime. Per ragioni di precedenza cronologica (l’episodio è avvenuto l’11 agosto 1944), diventa il primo capo d’accusa nei confronti del generale Simon.

Al processo di Padova vengono quindi ascoltati due sopravvissuti alla strage, Oscar Grassini e Generoso Giaconi, che raccontano di un rastrellamento avvenuto la notte tra il 6 e il 7 agosto 1944 in località Romagna, dove si erano rifugiate centinaia di famiglie. I tedeschi avevano emanato un bando di sfollamento che obbligava gli uomini adulti a evacuare la zona entro i primi del mese; nella zona inoltre erano stati avvistati dei partigiani. Queste le cause di un’operazione che terminò con la cattura di 300 uomini e di una donna, Livia Gereschi, insegnante di tedesco che si era offerta di mediare con i tedeschi.

Il gruppo era stato diviso in due, tra chi si era dichiarato abile al lavoro e chi no: i primi erano stati inviati a Lucca, per essere smistati nei campi di lavoro; i secondi rinchiusi nella scuola-prigione di Nozzano, poco distante. Dopo alcuni giorni di prigionia, l’11 agosto, i reclusi della Romagna erano stati caricati quattro alla volta su delle camionette e portati in diverse località a qualche chilometro di distanza, verso sud oppure nord-ovest, quindi fucilati. Alla fine furono 69 i morti, uccisi probabilmente per fare posto nelle carceri di Nozzano ai prigionieri dei rastrellamenti che i tedeschi stavano conducendo intorno a S. Anna di Stazzema.

La formulazione del giudizio finale del processo di Padova del 1947 non prende però in considerazione l’episodio della Romagna, forse a causa della povertà dei materiali documentari raccolti in fretta e furia. Più di 60 anni più tardi, il 10 ottobre 2011, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale militare di Roma riapre il procedimento penale a carico della 16ª Divisione Panzer-Grenadier «Reichsführer-SS» per la strage perpetrata l’11 agosto 1944, nella persona del maresciallo Josef Exner. Rovesciando la richiesta di archiviazione presentata dal pubblico ministero, il Gip restituisce alla strage della Romagna la dignità di un percorso giuridico, grazie anche all’Amministrazione comunale di San Giuliano Terme, costituita parte civile.

Il processo si conclude con un’archiviazione, per l’accertato decesso dell’imputato. Intanto però è stato dato un segnale forte e inequivocabile: la storia della guerra non è materia inerte e dimenticata, ma è un periodo che interessa ancora ai cittadini del terzo millennio, da interrogare e sollecitare. È una storia che riguarda il nostro presente.

*Stefano Gallo è assegnista di ricerca presso l’ISSM-CNR di Napoli. Il suo principale campo di ricerca è la storia delle migrazioni e del lavoro, ma si dedica anche alle vicende della Seconda guerra mondiale e della Resistenza. Collabora con l’Istoreco di Livorno ed è socio fondatore della SISLav (Società Italiana di Storia del Lavoro), di cui copre attualmente il ruolo di segretario coordinatore.