L’VIII Armata britannica nel Chianti

Giorgio Spini

Ricordi della difficile avanzata Alleata fra Arezzo e Firenze

image_pdfimage_print

Per l’VIII Armata di Sua Britannica Maestà, la traversata del Chianti venne subito dopo il ciclo di combattimento culminato con l’ingresso tra le rovine di Arezzo il 16 luglio 1944, e subito prima dell’altro ciclo, che portò alla liberazione di Firenze, iniziatosi il 13 agosto.

Nei cimiteri militari britannici di Arezzo e di Firenze sono sepolti – rispettivamente – 1.266 e 1.632 caduti: totale quasi 3.000 cadaveri di ragazzi biondicci di capelli e con la pelle chiara degli Inglesi e dei Neozelandesi, oppure con la pelle color oliva scuro e gli occhi nerissimi degli Indù e a volte anche con il barbone nero e il turbante dei Sikh. Si calcolava che i feriti fossero, in genere, tre volte più dei morti. In paragone, quel mesetto che durò l’avanzata da Arezzo a Firenze attraverso il Chianti fu come un respiro, relativamente ai giorni di bufera che l’avevano preceduto e l’avrebbero seguito. Anche se fu un respiro pagato con qualcosa come 10.000 “casualties”: il termine tecnico inglese per indicare il complesso dei morti accertati, degli scomparsi e dei feriti.

Neanche l’avanzata nel Chianti, però, fu una piacevole escursione. A parte qualche sparatoria nei boschi ogni tanto con le retroguardie nemiche, c’era l’incubo delle mine, che i tedeschi avevano seminato dappertutto: magari dietro l’uscio di una casa perché chi vi entrava saltasse in aria oppure, con lugubre umorismo teutonico, sotto un cadavere perché chi lo voleva seppellire, lo andasse a raggiungere nell’altro mondo. E ogni tanto le belle sventole delle granate, perché un osservatore nascosto chissà diavolo dove, aveva scorto col cannocchiale la polvere sollevata da una nostra colonna di automezzi.

Un’estate toscana è sempre bruciata dal sole e molto calda. Ma quella del 1944 fu ancora più rovente del solito: per quei poveri ragazzi biondicci e con la pelle chiara, in battle-dress khaki e con l’elmetto a bacinella degli inglesi, doveva essere un supplizio farsi arrostire da quel sole feroce.

Chi scrive era allora uno scalcinato 2nd Leutenent I.F. (sottotenente delle Forze Italiane) e gironzolava in jeep sul fronte, col suo diretto superiore: un capitano inglese di cittadinanza, ma ebreo egiziano di stirpe, e quindi scaltro come solo un ebreo levantino può esserlo. L’uomo giusto al posto giusto, insomma, visto che lui ed io appartenevamo a un’unità di Intelligence Service, camuffata col nome fasullo di Psychological Warfare Branch (forse per buttare un po’ di polvere negli occhi ai “servizi” dei cugini americani?). L’ordine per noi era di tallonare, con la nostra jeep, la prima avanguardia di carri armati per il caso che ci fosse da scoprire “a caldo” qualcosa di interessante abbandonato dai nemici nella fretta di ritirarsi. I cingoli dei carri armati sollevavano veri “geyser” di polverone e lo gettavano sulla faccia, ridotta a un mascherone di sudore e sudiciume. E quelle sventole maledette delle granate arrivavano sempre più fitte e vicine, a mano a mano che si andava avanti. Infine, come Dio volle, arrivammo a una cittadina, che assomigliava a Pompei, tanto era ridotta in rovine dai bombardamenti aerei e di artiglieria e tanto era spopolata di abitanti: San Casciano in Val di Pesa.

Acquattata dentro le rovine di un ristorante, che ancora oggi esiste, c’era una compagnia di neozelandesi, che aspettava buio per scendere a dare un assalto verso il Ponte dei Falciani. Il relativo respiro che avevamo avuto durante la traversata del Chianti era finito. Eravamo daccapo in ballo. E bisognava ballarlo, sperando nel buon Dio perché ci facesse arrivare alla fine della danza senza buchi nella pelle.

L’articolo, scritto nel 2005 dal prof. Giorgio Speni per la rivista “inChianti” n. 2 di quell’anno, è stato gentilmente concesso da Gabriella Congedo.

  • (will not be published)
  • Chi sei?

  • Titolo del tuo contributo*


  • Iscriviti alla newsletter di ToscanaNovecento
  • Puoi usare codice html: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>