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La profuganza tra I e II guerra mondiale

Il Novecento, il secolo caratterizzato da due conflitti mondiali che, nell’arco di 30 anni, sconvolsero le nazioni e le popolazioni europee, fu anche il secolo della profuganza, dal momento che le guerre causarono importanti trasferimenti di civili che interessarono tutta l’Europa.

Alla fine del secondo conflitto mondiale, infatti, si verificò un immane spostamento di popolazioni che furono costrette dai Trattati di pace e dalle conseguenti ridefinizioni dei confini ad abbandonare i propri territori, per reintegrarsi in altri paesi. Dal Confine orientale, dall’Istria in particolare, giunsero in Italia circa 300.000 esuli giuliano-dalmati che, tra il 1943 e la fine degli anni ’50, abbandonarono le località di origine per trovare accoglienza nel nostro paese.

 In fuga da Caporetto

In fuga da Caporetto

Non molti anni prima, al tempo della Grande Guerra, si era verificato un analogo allontanamento di uomini, ma soprattutto di donne e bambini, dai paesi che si trovavano lungo il confine nord-orientale, che separava il nostro Stato dall’Impero austro-ungarico. Vennero evacuati interi paesi posti in zona di guerra e le popolazioni furono spostate in Austria, se si trovavano a nord della linea di confine, o in Italia, se vivevano a sud.

La riflessione sulla profuganza e sull’esodo che hanno caratterizzato la I e la II Guerra mondiale apre uno spaccato sul dolore di un popolo costretto a provare sentimenti quali l’abbandono, lo spaesamento, il traumatico distacco da ciò che aveva caratterizzato fino a poco tempo prima il loro vivere quotidiano. Tale riflessione ci permette di cogliere analogie e differenze tra le due esperienze.

Le zone interessate dai due esodi sono in parte le stesse: è dal Confine orientale, in particolare dall’Istria, che a partire dal 1943 iniziò l’esodo dei giuliano-dalmati, mentre il I Conflitto mondiale, con la sua guerra di trincea combattuta lungo tutto il confine nord-orientale, coinvolse nella profuganza, oltre al Friuli, anche il Veneto e il Trentino.

Ciò che fece realmente la differenza, oltre ai numeri (più di 600.000 profughi quelli della I Guerra mondiale, circa 300.000 gli esuli della II), furono le motivazioni che portarono migliaia di persone in Italia come luogo.

Nel corso della Grande Guerra le evacuazioni dai territori interessati dal conflitto furono predisposte dalle autorità italiane e da quelle austriache per motivi legati alla sicurezza delle popolazioni, ma anche per la necessità di garantire ai comandi militari libertà d’azione, nonché per la diffidenza nei confronti dei civili. Se da parte italiana si temeva il lealismo degli abitanti della Venezia Giulia nei confronti della monarchia asburgica, da parte austriaca si temevano i sentimenti filoitaliani di buona parte della popolazione.

Profughe, loro malgrado, queste popolazioni furono indirizzate e accolte in molte città italiane, da cui ripartirono alla fine della guerra per ritornare nelle loro terre di origine.

Diverso l’esodo che si verificò, a partire dal 1943, dalle terre poste al Confine orientale.

Arrivo dei primi profughi istriani a Porta Nuova a Torino, febbraio 1947 © Archivio Storico della Città di Torino

Arrivo dei primi profughi istriani a Porta Nuova a Torino, febbraio 1947
© Archivio Storico della Città di Torino

In questo caso la popolazione non dovette rispondere a nessun decreto di espulsione o a nessun piano di evacuazione che la costringesse a lasciare Pola, Trieste e le altre città dell’Istria. La guerra, in queste terre, generò violenze inaudite, nate e perpetrate all’interno delle stesse comunità in cui convivevano da anni italiani e slavi. Gli infoibamenti del 1943 e soprattutto quelli del 1945, dopo l’arrivo dell’esercito di Tito, caratterizzarono un periodo in cui venne applicata su vasta scala la pratica del terrore, volta a cancellare ogni traccia della presenza istituzionale italiana sul territorio.

Ebbero così inizio i primi esodi di massa da Fiume, a cui fece seguito l’esodo dei quasi 30.000 abitanti di Pola. Anche in questo caso la meta immediata degli esuli fu l’Italia, ma non sempre il loro inserimento nelle nuove realtà fu possibile da realizzarsi con la necessaria serenità, a causa anche delle condizioni materiali del nostro paese, devastato in ogni senso dal conflitto appena terminato.

Un filo rosso congiunge la I e la II Guerra mondiale, attraverso questo fenomeno della profuganza/esodo.

Fu con la Grande guerra, infatti, che città come Gorizia, Trieste, Fiume e tutta l’Istria entrarono a far parte del Regno d’Italia e con esse una pluralità di popoli, lingue, culture e religioni. Fu il fascismo che, con la sua politica deslavizzante e fortemente nazionalizzatrice, approfondì la frattura tra l’elemento slavo e quello italiano. Fu la seconda guerra mondiale, con il gioco delle varie ingerenze politiche che si svolse a fine guerra sulla zona del Confine orientale, che portò agli estremi una ormai insanabile frattura che causò, come risposta alla politica slava decisamente anti-italiana, l’esodo di migliaia di italiani che abbandonarono le loro terre e tutti i loro beni per affermare la propria italianità.

Pochi di questi esuli tornarono nelle loro terre, loro italiani non potevano e non volevano riconoscersi nella Jugoslavia di Tito che, così come il fascismo nei confronti degli slavi anni prima, aveva fatto propria una politica di intolleranza nei confronti dell’elemento italiano.

Profughi, dunque, quelli della I Guerra mondiale, costretti da decisioni militari a lasciare le loro terre a cui fecero poi ritorno.

Esuli quelli della II Guerra mondiale, liberi di rimanere nelle terre di origine a costo della privazione della loro italianità e che per scelta esercitarono il diritto di opzione. Il Trattato di pace, secondo quanto riportato all’Articolo 19, prevedeva infatti il ricorso al diritto di opzione: optare significò scegliere la cittadinanza e optare per la cittadinanza italiana significò di fatto lasciare le terre dove si era nati, dove si era vissuti fino a quel momento, le terre che la diplomazia internazionale aveva assegnato alla Jugoslavia, optare significò in definitiva lasciare tutto quello che si aveva: la terra, la casa, gli affetti e prendere la via dell’esodo, per non tornare più nelle loro terre.