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La Miniera e i minatori di Santa Barbara

Miniera Santa BarbaraL’escavazione della lignite nell’area di Santa Barbara ebbe inizio intorno al 1860 anche se per uso  prevalentemente artigianale. In breve però la lignite si dimostrò perfettamente adeguata anche per le esigenze della “Ferriera”, l’azienda siderurgica di San Giovanni Valdarno che decise per lo sfruttamento industriale del bacino lignitifero. Padrini dell’impresa furono Ubaldino Peruzzi e Carlo Fenzi. La miniera a fine Ottocento era già la più importante in Italia per l’estrazione della lignite, il periodo che seguì fu ancora più roseo e nel 1907 venne costituita la Società Mineraria ed Elettrica Valdarnese, o SMEV.
Le condizioni dei minatori erano però pessime, con turni di lavoro di 10/12 ore. In caso di morte sul luogo di lavoro, spettava alla direzione decidere se versare un sussidio alla famiglia. L’unica forma di tutela per i minatori e per le loro famiglie erano le sole Società di Mutuo Soccorso. Il lavoro in queste condizioni era tutt’altro che agevole, come ricorda Libero Santoni: «all’inizio delle coltivazioni una piccola parte del minerale fu estratta a cielo aperto, come si fa nelle cave di pietra […] poi si son dovute scavare gallerie sempre più profonde, fino a 120 metri […] manca l’ossigeno e si respira a fatica quel poco che c’è, mescolato alla polvere di carbone; spesso la temperatura supera i 40 gradi e l’acqua di sgrondo ti infradicia e ti costringe a torcere dieci volte al giorno i pantaloni per strizzare acqua e sudore; lo spazio per lavorare è ristretto e scarsamente illuminato dalle lampade ad acetilene; c’è il pericolo delle frane, del grisou […] è come un serpente velenoso sempre pronto a mordere […] Basta una scintilla, l’accensione di una sigaretta e la lingua di fuoco del mostro si scatena».
Nonostante ciò il numero di lavoratori impiegati nelle miniere continuava a crescere, fino ad arrivare a 5000 durante la prima guerra mondiale. Devono essere costruiti dei dormitori, come la famosa “dispensa” a Castelnuovo dei Sabbioni. Si diffonde presto una forte sindacalizzazione, prima socialista, ma presto anche anarchica e sindacalista rivoluzionaria. Le agitazioni e gli scioperi si seguirono in un crescendo che raggiunse il suo culmine nel biennio rosso del 1919-20. Dopo sessantotto giorni di sciopero la SMEV concesse  in quell’occasione una riduzione dell’orario di lavoro e aumenti salariali.
Questa per gli operai sarebbe stata però l’unica conquista per tutti i lunghi anni a venire del fascismo. Durante l’autarchia fascista a Cavriglia si giunse a produrre il 74% del prezioso combustibile nazionale. Ma, durante la seconda guerra mondiale, le popolazioni del luogo pagarono un pesante tributo di vittime con le terribili stragi naziste del 4 luglio 1944 in cui vennero fucilati 191 civili innocenti.
Con la ricostruzione postbellica e il piano Marshall l’Italia viene invasa dal carbone, più economico e con una resa migliore. Le vendite di lignite cadono a picco e per la SMEV è il crollo definitivo. I piani della direzione sono tragici. I minatori però non si rassegnano a quel destino. Per molti di loro può razionalizzare, si può selezionare qualitativamente la lignite, si può soprattutto cercare una politica concorrenziale dei prezzi. I minatori hanno bisogno di idee. Organizzano, pagandolo con i loro risparmi, un convegno nazionale delle ligniti che si svolge a Firenze il 17-18 gennaio 1948. Come relatori sono chiamati esperti da tutta Italia. I minatori, rinfrancati dal successo dell’iniziativa, propongono un loro piano per la gestione diretta alternativo a quello della Smev. Lo scontro è completo. Arriva l’amministrazione controllata statale della miniera ed è la paralisi. La situazione si sblocca solo grazie a un intervento governativo con una soluzione inaspettata: affidare la miniera direttamente ai minatori per i pochi mesi successivi, fino allo scadere dell’amministrazione controllata. Viene costituita una Cooperativa di minatori. Presidente è Priamo Bigiandi, il deputato ex minatore. La situazione dopo mesi di chiusura è difficilissima, ma i risultati sono sostanzialmente positivi. Ma la direzione della SMEV non cambia idea e lo scontro si radicalizza. I minatori hanno uno slogan ben preciso “la mineraria lavori o lasci lavorare”. Se la SMEV non ha più intenzione di gestire la miniera, lasci a loro il compito. Hanno già dimostrato di essere in grado di farlo. I minatori danno inizio a una nuova strategia. Trasferiscono la loro protesta
nel vicino centro abitato, a San Giovanni. La popolazione è con loro e acconsente ad ospitarli. Iniziano 52 giorni di scioperi, dal 3 marzo al 22 aprile 1950. Di nuovo è necessario un intervento governativo per trovare un accordo: la gestione della miniera viene affidata alla cooperativa, ma alla SMEV dovrà essere versata una quota delle vendite.
Da metà anni ’50, viene inaugurata una nuova centrale progettata da Morandi e l’estrazione ritorna a cielo aperto, come alle origini. Enormi escavatori inghiottono il paesaggio costringendo ad evacuare case e villaggi fino al definitivo esaurimento della lignite nel 1994. La centrale viene convertita prima a gasolio, poi a metano. Alcune delle aree soggette agli scavi per la miniera sono già state recuperate e re-interrate. Sembra che, grazie all’interessamento della Regione Toscana, possa costituirsi  un parco minerario, come è auspicabile per la salvaguardia della memoria del passato di questa area.