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Il sindacato apuo-versiliese tra riformismo e azione diretta (1900 – 1915)

Il movimento operaio italiano, finita l’illusione di una impossibile alleanza tra capitale e lavoro a cui Giuseppe Mazzini ed i suoi adepti si erano dedicati con cura, lasciatosi alle spalle definitivamente il periodo insurrezionalista della cosiddetta “propaganda attraverso i fatti”, dopo vari travagli interni, polemiche, scissioni, unità più fittizie che reali, riesce ad intravvedere nell’organizzazione politica lo strumento di lotta più efficace per il raggiungimento dei propri obiettivi. Nel 1891 a Capolago, una cittadina del Canton Ticino,  gli anarchici danno vita alla Federazione Italiana del Partito Socialista Anarchico Rivoluzionario, con lo scopo specifico di poter meglio inserirsi fra i lavoratori e diffondervi la propaganda rivoluzionaria. Un anno dopo, a Genova, viene costituito il Partito dei Lavoratori Italiani (nel 1895 trasformerà la sua denominazione in Partito Socialista Italiano), avvenimento, quest’ultimo, che segue in campo politico la definitiva separazione tra le due anime che avevano travagliato, per lungo tempo, il movimento operaio: la riformista e la rivoluzionaria. Al tentativo di alcuni delegati al suddetto congresso di Genova di giungere ad un a riappacificazione, Camillo Prampolini fa efficacemente osservare, rivolto agli anarchici,  che “noi siamo essenzialmente due partiti diversi, percorriamo due vie assolutamente opposte, fra noi non ci può essere comunanza”.

Anche in campo sindacale le due tendenza mostrano la impossibilità di una qualsiasi coesistenza all’interno di uno stesso organismo. Nel 1906 sorge la Confederazione Generale del Lavoro (CGL) e al suo interno appaiono immediatamente due componenti: la maggioritaria, che accetta i principi del gradualismo e si spartisce i ruoli col Partito Socialista (la lotta politica spetta a quest’ultimo e le rivendicazioni economiche al sindacato) e la minoritaria che insiste invece sull’efficacia dell’azione diretta antistatale e antilegalitaria di un sindacato che deve bastare a se stesso, non avendo bisogno di appoggiarsi ad alcun partito per attuare il suo progetto di trasformazione radicale della società.

 L’inconciliabilità delle due posizioni è così evidente che la fittizia unità non può durare a lungo. Infatti, dopo un breve periodo, caratterizzato da aspri confronti, convegni contrapposti, tentativi unitari e inevitabili successive scissioni, l’anno 1912, con la nascita dell’Unione Sindacale Italiana (USI), contraddistinta dai principi del sindacalismo rivoluzionario e dell’anarco-sindacalismo, occasionalmente uniti per contrapporsi al riformismo della CGL, l’anno 1912, dicevo,  segna l’inevitabile chiarimento tra le due correnti.

Il movimento operaio di Carrara e della Versilia è ben inserito all’interno di questo clima e partecipa attivamente sia alle lotte che alle polemiche, fornendo un suo contributo significativo ed una testimonianza che è utile ricordare anche alla luce di avvenimenti che hanno caratterizzato la vita sindacale di questo ultimo periodo e che dimostrano come l’azione diretta nelle lotte sociali  sia comunque apportatrice di migliori risultati, se non immediati, almeno in prospettiva, rispetto alla via burocratica e compromissoria.

meschi Nel 1901 sorge a Carrara la Camera del Lavoro il cui statuto riproduce i principi riformistici usciti dal primo congresso delle Camere del Lavoro, tenutosi a Parma nel 1893. Per i riformisti, compito fondamentale del sindacato è quello del miglioramento delle condizioni economiche e sociali degli operai, con particolare attenzione ai giovani ed alle donne, attraverso la stipulazione dei contratti di lavoro. Viene sancita inoltre l’estraneità delle associazioni operaie da ogni questione politica. In particolare, per i sindacalisti socialisti di Carrara, la Federazione di mestiere, aderente alla Federazione Nazionale Edile, è l’organismo più avanzato e maggiormente capace di attuare il programma sindacale, rispeto alla Camera del Lavoro, alla quale viene attribuito un ruolo subalterno. Per repubblicani e anarchici, anch’essi aderenti al nuovo organismo, la Camera del Lavoro è vista, non tanto come organizzazione economica di classe, quanto come strumento di lotta politica. E’ inevitabile,  pertanto,  di fronte a due posizioni così distanti tra loro,  che, prima o poi,  si giunga ad uno scontro. L’occasione viene offerta dalle elezioni per il rinnovo delle cariche all’interno della Camera del Lavoro nel gennaio 1902. Il responso vede vincitrice la corrente anarco-repubblicana che ne assume così il controllo.

La vicenda di Carrara non lascia immune la vicina Versilia, ove lo scontro si presenta di lì a poco. Infatti il 19 gennaio 1902, organizzato dalla Lega Marmisti di Pietrasanta, si tiene il primo congresso delle leghe operaie della Versilia e Lunigiana, allo scopo di costituire una federazione regionale tra le leghe marmisti, comunque aderenti alla federazione nazionale. Al convegno partecipano in forze gli anarchici di Carrara cercando di costituire una Federazione Regionale autonoma autonoma dalla riformista “Edilizia”. Durante il tumultuoso dibattito, il segretario dell’Edilizia, Quaglino,  esce dalla sala del congresso, seguito dai rappresentanti di molte Leghe ci Carrara e della Versilia, annullando perciò l’intento degli anarchici che in questo primo scontro coi socialisti devono rinunciare ai loro intenti. Ma questo è solo il primo tentativo di “irruzione” in Versilia da parte della Camera del Lavoro di Carrara; altri due ne seguiranno con alterne sorti nel 1908 e nel 1912.

 Nel 1908 la simpatia che la Camera del Lavoro di Carrara riscuote fra i cavatori dell’alta Versilia è determinato dall’atteggiamento assunto dal Comitato Provinciale Edile (CPE), nuova denominazione assunta dal sindacato controllato dai socialisti, sulla vertenza per il rinnovo del contratto di lavoro dei cavatori. Alla richiesta dei lavoratori di aumenti salariali e riduzione di orario di lavoro, la controparte padronale oppone un rifiuto, giustificato, secondo lei, dalla crisi del commercio del marmo. Il CPE di Seravezza, che evidentemente ritiene valide le obiezioni degli industriali,  in riunioni in cui è presente anche la Camera del Lavoro di Carrara, tenta di convincere le leghe a recedere dalle loro richieste. Gli industriali, forti della posizione conciliante del CPE, sono intransigenti nel ribadire le loro posizioni cosicché i lavoratori sono costretti a dichiarare lo sciopero. Il sindacato riformista giudica l’agitazione un movimento inconsulto e rifiuta ogni solidarietà ai cavatori che praticamente sono costretti a subire le controproposte padronali. Il CPE giustifica il suo atteggiamento con obiezioni formalistiche, rifacendosi ai deliberati del congresso operaio della Versilia e Lunigiana del 21 gennaio 1908, ove, fra l’altro, veniva deciso di far obbligo ad ogni sezione di sottoporre ogni questione agli organi dirigenti del sindacato prima di iniziare ogni agitazione e proclamare ogni sciopero. Nella stessa assemblea veniva inoltre stabilito che nel  caso in cui una sezione mancasse a questo dovere, sarebbe stato possibile negare a questa la solidarietà e l’aiuto dell’organizzazione dirigente, quando le agitazioni non fossero ritenute giustificate. L’episodio lascia qualche traccia all’interno delle leghe versiliesi ed anche preoccupazione nel CPE. I lavoratori più ricettivi alla propaganda anarco-sindacalista cominciano a nutrire seri dubbi sull’efficacia del comportamento del sindacato riformista ed alcune leghe danno la loro adesione alla Camera del Lavoro di Carrara. Il fatto è significativo perché mostra quali atteggiamenti possano derivare da una concezione burocratica della gestione sindacale, che non è disponibile ad avallare richieste, seppur giuste in linea di principio, che non partano però dall’interno e con l’avallo dell’organizzazione centrale: una concezione cioè di un sindacalismo, seppur teoricamente democratico, pericolosamente inquinato però di formalismo. E’ comprensibile pertanto la disaffezione ed  il conseguente abbandono del CPE da parte di molti lavoratori versiliesi. Con la sola eccezione dell’agitazione dei cavatori dell’alta Versilia nell’estate 1910, che, con l’appoggio del CPE, ottengono miglioramenti salariali e riduzioni d’orario, la Federazione Edilizia sembra perdere quella dinamicità che aveva posseduto in passato. I lavoratori si rivolgono altrove per trovare l’appoggio, l’incoraggiamento ed il sostegno, anche materiale,  alle loro rivendicazioni. Mi riferisco al Sindacato dell’Azione Diretta ed alla sua emanazione  territoriale, la CdL di Carrara, che è guidata dal 1911 da Alberto Meschi e che riuscirà ad espandere la sua influenza oltre che sulla Garfagnana e Viareggio, anche sulla Versilia “storica”. Il motivo di tutto ciò può essere in parte spiegato dalla concezione settoriale che privilegiava i sindacati di mestiere a scapito dell’attività di una Camera del Lavoro che volevano limitata territorialmente mentre  molti lavoratori vedevano con  simpatia la scelta del  sindacato libertario di favorire la costituzione di una unica Camera del Lavoro estesa su tutta la regione del marmo. Un altro possibile motivo della crisi del sindacato riformista può essere attribuito alla  sua diffidenza ed alla successiva dissociazione da quelle azioni di lotta che nascevano spontaneamente dagli operai suscitando negli stessi la convinzione di essere lasciati soli nella lotta contro il padronato.

 L’episodio che determina il progressivo allontanamento delle leghe dall’influenza del CPE e l’adesione al sindacato dell’azione diretta è la totale mancanza di appoggio e di solidarietà alle richieste dei cavatori del Monte Altissimo nel 1912. L’obiettivo reale dei lavoratori in questa vertenza è la riunificazione delle paghe e della normativa di tutti i cavatori della regione del marmo e lo sciopero v iene proclamato nella primavera del 1912. La solidarietà della CdL di Carrara non si fa attendere, anche perché le richieste dei lavoratori dell’Altissimo sono in linea con la sua battaglia qualificante: eliminazione delle disparità di trattamento fra i lavoratori. I motivi del mancato appoggio del Sindacato Provinciale Edile (SPE) possono così venir riassunti: un accordo della controparte non può essere disdetto prima della scadenza (ma i lavoratori fanno osservare che la controparte aveva promesso lo stesso trattamento dei lavoratori di Carrara e con quella lotta volevano appunto la equiparazione delle paghe); questa agitazione era vista come azione di disturbo di altri obiettivi cari al sindacato riformista: la costituzione di una Cassa di Mutuo Soccorso per i malati e quella per le famiglie delle vittime delle cave.

 Lo sciopero viene autonomamente proclamato il 4 maggio e dura compatto sei mesi, favorito anche dalla solidarietà della CdL di Carrara che agli scioperanti ha trovato lavoro altrove. La vertenza viene definitivamente sistemata con un accordo  favorevole agli operai l’8 novembre. Nello stesso periodo il panorama sindacale è arricchito da due altre importanti iniziative: la battaglia per le pensioni operaie e quella per le otto ore. Sul primo argomento Alberto Meschi interviene con un articolo pubblicato dal periodico di Carrara “La Battaglia” e lo incanala in un preciso ambito sindacale considerandolo una conquista operaia, fiducioso dell’appoggio  della classe operaia unita. Gli operai di Carrara ottengono questo diritto dopo oltre dieci giorni di sciopero. Pure la vertenza per la conquista generalizzata delle otto ore di lavoro tiene impegnati gli operai dell’intera regione del marmo in una serrata lotta nei primi mesi del 1913. Fino ad allora i marmisti di Carrara, non addetti alle cave, erano impegnati in media otto ore e trentasette minuti, mentre i segatori lavoravano dodici ore consecutive, in Versilia,  invece, con una paga inferiore, gli operai avevano un orario di lavoro ancora più lungo. Quindi la lotta per una riduzione d’orario è sentita dai lavoratori  versiliesi che rispondono senza esitazione agli appelli ed alle sollecitazioni che vengono dalla CdL di Carrara, assente anche in questo caso il SPE di Seravezza. Dopo un mese di inutili riunione con la controparte padronale il 15 marzo 1913 viene proclamato lo sciopero accompagnato da agitazioni e comizi. La vertenza si conclude con la vittoria dei lavoratori che ottengono l’applicazione del nuovo orario di otto ore con l’intervallo di un’ora.

Questa è l’ultima importante vertenza prima della Grande Guerra che porta di conseguenza il ristagno del commercio del marmo. I primi a pagarne le conseguenze sono i lavoratori che si vedono inesorabilmente negare quel lavoro così necessario per il loro sostentamento, mentre i generi di prima necessità subiscono un sensibile aumento di prezzo. Così un intenso periodo di lotte e di conquiste sindacali termina con l’avvio di tanti giovani lavoratori a difendere i confini di una patria che, a fronte di grandi sacrifici richiesti, ha sempre concesso poco a coloro che hanno avuto la sventura di appartenere alle classi subalterne.