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Archeologia della Seconda guerra mondiale.

Quando le truppe del Terzo Reich riuscirono a bloccare l’avanzata degli anglo-statunitensi lungo la linea Gustav (dal 4 ottobre 1943 al 18 maggio 1944), l’intero territorio toscano divenne una delle retrovie dei difensori e ciò aumentò notevolmente i rischi di attacchi aerei; per prevenire questi ultimi, come si capì ben presto nel territorio senese, negli anni precedenti era stato fatto troppo poco. Le prime incursioni pesanti si ebbero rispettivamente il 21 novembre, contro Chiusi, e il 29 dicembre contro Poggibonsi; entrambi gli attacchi provocarono numerose perdite tra la popolazione civile, rilevanti distruzioni[1] e una profonda emozione poiché era palese che, se nel capoluogo alcuni rifugi (in molti casi insufficienti e inadeguati) erano stati realizzati, per quanto riguardava gli altri centri abitati della provincia la situazione era ben diversa. A Chiusi ci si era mossi soltanto nel marzo del 1944, quando era stato depositato un progetto per realizzare un ricovero all’interno del cosiddetto “labirinto”[2] ma a tutt’oggi non si è fatta piena luce su quale fosse lo stato d’avanzamento dei lavori al momento della liberazione della cittadina (avvenuta il 26 giugno di quello stesso anno). Ancora oggi non sono note relazioni circa la presenza di rifugi antiaerei per la popolazione civile in nessuna delle altre città del territorio ma è ipotizzabile che tali opere fossero rarissime e, in buona parte dei casi, dovute all’iniziativa personale dei singoli cittadini.
Non diversa appariva la situazione nelle campagne del senese. Nel 1941 il regime aveva capito che l’integrità dei raccolti era strategica e questo elemento era divenuto pressante a partire dal 1942 quando il reperimento di rifornimenti alimentari per la popolazione civile si era fatto difficoltoso. Si provvide pertanto, oltre ad allertare i vigili del fuoco, a diffondere nelle aree rurali millecinquecento volantini, realizzati dal Ministero degli interni, su “Come proteggersi dalle offese nemiche incendiarie”; a questi si affiancarono dei foglietti dedicati a “Come proteggersi dalla nuova offesa aerea nemica: La piastrina incendiaria” pubblicati l’anno precedente.
Nel 1943 il Ministero degli interni aveva dato alle stampe dei nuovi vademecum dedicati alla difesa delle campagne e dei raccolti. Si raccomandava in particolar modo di tenere sempre riserve d’acqua presso campi, stalle, fienili e legnaie inoltre si invitava a tenere puliti i terreni in prossimità dei campi coltivati e di realizzare in questi ultimi, qualora le dimensioni lo permettessero, delle strisce tagliafuoco. I consigli forniti riguardavano anche la disposizione dei covoni che non dovevano essere né eccessivamente grandi né disposti in fila indiana, bensì a scacchiera mentre il raccolto doveva essere conservato in più luoghi al coperto. Data l’indisponibilità dei vigili del fuoco (che in caso di attacco aereo sarebbero stati presumibilmente impegnati nei centri urbani), il primo intervento di soccorso era affidato a squadre di agricoltori, opportunamente istruiti dagli stessi vigili del fuoco, allarmati da avvistatori reclutati tra la Gioventù del littorio[3].
I provvedimenti e le raccomandazioni dovettero essere di scarsa efficacia poiché il capo della provincia di Siena, il 2 giugno del 1944, in una nuova direttiva inviata agli agricoltori dichiarava che i mezzi per la difesa dagli attacchi aerei nelle campagne erano “quelli di cui si dispone in posto” e che sarebbe stato inutile “attendere l’aiuto di quelli esigui delle città[4]”.
Gli abitanti delle campagne erano dunque invitati ad arrangiarsi con i mezzi che avevano, tuttavia, per molti di loro questa raccomandazione era superflua. Forti dell’esperienza della Prima guerra mondiale, alcuni agricoltori, per sottrarsi ai rigori delle requisizioni di generi alimentari, avevano ben presto attivato una serie di escamotages finalizzati all’occultamento di una parte delle derrate prodotte e, in seguito all’intensificazione degli attacchi aerei sul territorio senese, a partire dalla fine dell’inverno del 1944, avevano costruito un certo numero di rifugi; tra questi, particolarmente degni di nota appaiono quelli scavati nelle sabbie plioceniche (comunemente dette “tufo” in dialetto locale), materiale di cui è ricca l’area settentrionale della Val d’Elsa senese[5].
La compattezza delle sabbie in questione, la facilità di scavo e il limitato pericolo di crolli, anche in assenza di armatura delle gallerie, erano state notate già in età etrusca, quando le popolazioni locali avevano sfruttato queste caratteristiche non soltanto per scavare tombe a camera più o meno articolate ma anche magazzini e locali di servizio polifunzionali. L’utilizzo dei terreni pliocenici per la realizzazione di cantine e depositi era continuato nel medioevo e nell’età moderna per giungere fino alla prima metà del Novecento quando questa tecnologia si fuse con le conoscenze belliche che buona parte degli agricoltori del posto aveva acquisito nella Grande guerra. Il risultato fu, con l’approssimarsi della linea del fronte, la costruzione, nelle campagne, di un numero imprecisato di ricoveri che, almeno per la zona Poggibonsi-Barberino Val d’Elsa, possono essere raggruppati in due tipologie: una semplice e l’altra complessa. Nel primo caso si hanno delle cavità poste a pochi metri dalle abitazioni, con una sola entrata abbastanza ampia e profonde soltanto pochi metri; queste avevano il compito di offrire un riparo immediatamente raggiungibile in caso di mitragliamento o spezzonamento, pericolo sempre incombente nelle aree rurali.
La seconda tipologia appare invece molto più articolata. In questo caso ci si trova di fronte a realizzazioni di dimensioni importanti, lontane alcune centinaia di metri dagli edifici e realizzate su costoni boscosi che permettevano il camuffamento dell’entrata. Al rifugio vero e proprio si accedeva mediante corridoi stretti (al cui imbocco, su una parete, veniva spesso graffito il nome del costruttore e la data di ultimazione dei lavori) ma sufficientemente ampi da permettere il passaggio delle persone e il trasporto delle derrate alimentari. All’interno si aprivano delle camere in grado di ospitare una o più famiglie di agricoltori e qualche animale. In questi locali si era addirittura pensato a un minimo di confort realizzando nelle pareti delle nicchie dove sistemare piccole suppellettili o lucerne. Le strutture più grandi presentavano vari livelli a cui si accedeva mediante delle scalinate, anch’esse scavate nella sabbia, o talvolta delle camere segrete, in cui venivano occultati il grano e gli altri viveri, collegate per mezzo di scale a pioli. Questa tipologia di struttura presentava sempre una via di fuga (accessibile anch’essa per mezzo di uno stretto corridoio) ragion per cui, alcuni dei rifugi più piccoli (formati da un corridoio d’entrata, uno d’uscita parallelo al primo e una sola camera) sono detti a “U”.
I rifugi più grandi furono preziosi durante il passaggio della linea del fronte dalla Val d’Elsa in quanto si dimostrarono particolarmente efficaci come protezione in caso di cannoneggiamento e come nascondiglio per prevenire razzie e violenze. Ovviamente i combattimenti e le scorrerie di alcune schegge impazzite facenti parte dei diversi eserciti costrinsero spesso i civili a rimanere più giorni all’interno dei rifugi che erano privi di servizi igienici, energia elettrica e acqua corrente. A questi disagi va aggiunto che il sovraffollamento e la presenza degli animali, faceva sì che i locali venissero infestati dai pidocchi e dalle pulci rendendo particolarmente difficile la vita all’interno[6]. Tuttavia il pericolo più importante era costituito dal fatto che il ricovero venisse individuato da qualche gruppo di soldati in cerca di bottino o di donne. In questi casi gli episodi di violenza più brutali si consumavano davanti agli occhi impotenti degli stessi familiari delle vittime[7].
Con fine del conflitto, queste improvvisate ma efficaci opere di difesa, data la loro posizione in siti impervi, vennero abbandonate e talvolta trasformate in discariche per poi essere quasi completamente dimenticate. Soltanto oggi, a tanti anni dalla loro realizzazione, qualche struttura è stata riscoperta e ripulita per essere proposta come laboratorio didattico[8].

Immagini
Rifugio “complesso” scavato nelle sabbie plioceniche in loc. Barberino Val d’Elsa (Fi).
1. Ingresso.
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2. Corridoio d’accesso alle camere interne.

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3. Corridoio con scalinata per accedere al livello inferiore.

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4. Accesso alla camera interna.

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5. Camera interna.

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6. Locale per magazzino interno.

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7. Seconda uscita.

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Note
[1] Le due incursioni, precedute da uno stillicidio di attacchi minori, causarono la morte di otto civili e il ferimento di quaranta persone a Chiusi (a questo computo mancano le perdite patite delle truppe tedesche presenti in città ma la cifra ci è ignota) nonché numerosi feriti e ben settantadue morti a Poggibonsi. Borri Michelangelo, La guerra aerea su Siena. Misure difensive, bombardamenti, iniziative diplomatiche, Monteriggioni, Il Leccio 2019, pp. 76-77.
[2] Archivio di Stato di Siena, Prefettura 1800-1978, b. 6M, f. 7 Ricovero antiaereo Chiusi.
[3] Borri Michelangelo, La guerra aerea su Siena…, cit., pp. 76-77.
[4] Archivio di Stato di Siena, Prefettura 1800-1978, b. 9M, f. 16, 2 giugno 1944, Lettera del capo della provincia a vari enti.
[5] A tutt’oggi non esiste né una mappa né tantomeno un censimento dei rifugi, scavati nelle sabbie plioceniche, risalenti alla Seconda guerra mondiale. Al momento è stato possibile rintracciarne alcuni nei territori dei seguenti comuni: Poggibonsi, Barberino Val d’Elsa, Gambassi Terme (la fotografia di un rifugio di quest’area è presente sul sito https://www.tripadvisor.it/LocationPhotoDirectLink-g1028659-d1754882-i28657456-Borgo_dei_Cadolingi-Gambassi_Terme_Tuscany.html, visitato il 14 giugno 2021), Empoli (Monterappoli, inaugurata la mostra sul rifugio antiaereo della Seconda Guerra Mondiale in https://2017.gonews.it/2015/01/18/empoli-monterappoli-inaugurata-la-mostra-sul-rifugio-antiaereo-della-seconda-guerra-mondiale/, visitato il 14 giugno 2021), Terricciola (I rifugi di guerra per salvarsi dai bombardamenti. Dalle grotte di campagna ai cunicoli sotterranei in https://www.lanazione.it/pisa/cronaca/i-rifugi-di-guerra-per-salvarsi-dai-bombardamenti-dalle-grotte-di-campagna-ai-cunicoli-sotterranei-1.6252684, visitato il 14 giugno 2021), Cesena (Scavati nel tufo al Rio San Michele: ecco come si viveva nei rifugi ai tempi della Guerra in https://www.cesenatoday.it/eventi/rifugi-seconda-guerra-mondiale-rio-san-michele-30-giugno-2018.html, visitato il 14 giugno 2021), Monte Colombo – Montescudo (Tordi Simone, Monte Colombo. I rifugi antiaerei della Valle del Rio Calamino in https://circolopentapoli.wordpress.com/2015/05/30/monte-colombo-i-rifugi-antiaerei-della-valle-del-rio-calamino/, visitato il 14 giugno 2021).
[6] Cfr. Scavati nel tufo al Rio San Michele: ecco come si viveva nei rifugi ai tempi della Guerra…, cit.
[7] Lucioli Massimo – Sabatini Davide, La ciociara e le altre. Il Corpo di spedizione francese in Italia, Roma, Tusculum 1998, pp. 88-90. Cfr. Bardotti Riccardo, Attenti a dove sparate. La liberazione di Siena raccontata dai fotoreporter dell’esercito francese, Siena, Betti 2018, pp. 43-46.
[8] Si veda a tale riguardo Memoria e trekking per celebrare la liberazione di Poggibonsi, in http://www.sienafree.it/poggibonsi/65569-memoria-e-trekking-per-celebrare-la-liberazione-di-poggibonsi, visitato il 14 giugno 2021.