1

Alessandro Rinaldi, criminale di guerra dimenticato

Invitato a uno omicidio o a qualunque altra rea cosa,
senza negarlo mai, volenterosamente v’andava
e più volte a fedire e a uccidere uomini
con le proprie mani si trovò volentieri.

G.BOCCACCIO, Decameron, I,1.

Qualora la celeberrima descrizione del Boccaccio venisse purgata della sua aria ironica e assumesse un tono freddo e reale calzerebbe a pennello per un personaggio che tra il 1919 ed il 1947 assurse più volte ai disonori della cronache del territorio senese, ossia Alessandro Rinaldi.

Alessandro Rinaldi

Alessandro Rinaldi

Nato a Siena nel 1903, entrò giovanissimo nel movimento fascista; distintosi ben presto per l’intelligenza ed il coraggio, fece una rapidissima carriera assumendo una posizione di spicco ne La Disperata, la squadra d’assalto più brutale e sanguinaria del territorio.
Quando Mussolini prese il potere in Italia, il fascismo tentò di darsi una facciata di rispettabilità dislocando gli elementi più facinorosi in posti di scarsa importanza e questo fu anche il destino del Rinaldi ‘normalizzato’, come semplice impiegato, dietro una scrivania del Sindacato di Commercio.

Ancora il 25 luglio del ’43, il soggetto viene descritto come un tranquillo scribacchino precocemente invecchiato e piuttosto corpulento ma gli avvenimenti dell’8 settembre lo trasformarono completamente restituendogli vigore.
Con la nascita della Repubblica Sociale Italiana, Il Rinaldi si mise immediatamente a servizio del prefetto di Siena Giorgio Alberto Chiurco, il quale lo nominò commissario politico per la città con pieni poteri.
Il nuovo funzionario non perse tempo. Si insediò alla Casermetta (oggi sede delle Stanze della Memoria), redasse delle accurate liste di antifascisti, sospetti e presunti fiancheggiatori dei partigiani quindi procedé agli arresti, agli interrogatori e alle torture. La sua azione non si arrestò alle mura della città ma si allargò a tutto il territorio con alcune puntate persino nel Grossetano. Una serie di testimonianze confermano la presenza del Rinaldi su buona parte dei luoghi degli eccidi e dei rastrellamenti avvenuti poco prima del passaggio del fronte: a Rigosecco (Montalcino), dove il 19 gennaio 1944 furono fucilati i partigiani Panti Luciano e Marsili Luigi; il 28 marzo dello stesso anno a Casa Giubileo (Monteriggioni) dove vennero fucilati diciassette partigiani che si erano arresi; il 5 aprile a Monticchiello, dove venne passato per le armi il partigiano Mencattelli Mario e infine il 28 aprile a Castellina Scalo, dove in seguito ad un rastrellamento effettuato insieme alle truppe tedesche rimasero uccisi tre civili ed altrettanti vennero deportati. Da notare che in tutte queste circostanze il gerarca ricoprì ruoli decisionali.
Si ipotizza persino, anche se ancora non sono emerse conferme, la presenza dello stesso a Scalvaia (Monticiano), dove vennero fucilati 11 renitenti alla leva, il 21 marzo 1944.
Particolarmente raffinata era anche la cura dell’immagine di se stesso che il Rinaldi presentava; si era fatto realizzare, infatti, una propria divisa diversa dagli altri militi della Guardia Nazionale Repubblicana, ossia un abito da cacciatore su cui facevano bella mostra di sé l’inseparabile fucile mitragliatore e due cartucciere, una per le bombe a mano e una per i caricatori. Dopo ogni azione fruttuosa, i militi della casermetta sfilavano su dei mezzi scoperti per le principali vie della città; sulla prima macchina del corteo, invariabilmente, si vedere il gerarca con la faccia truce.
L’arrivo degli alleati a Siena, i primi di luglio del ’44, vide la fuga di molti fascisti che decisero di seguire, nel nord Italia, le sorti della Repubblica Sociale Italiana.

Alessandro Rinaldi riparò ed operò nella zona di Brescia fino al maggio 1945 quando si rese latitante e divenne un criminale comune.
Riconosciuto a Firenze, venne arrestato e rinviato a giudizio il 28 febbraio del 1947. Inchiodato da prove e testimonianze inconfutabili, il gerarca insieme ad altri commiltoni subì la condanna all’ergastolo, ma la sua vicenda non finì qui: nel luglio 1948, riuscì ad evadere dall’Ospedale San Gallo di Firenze ma fu arrestato nuovamente a Brescia. A questo punto per lui si aprirono definitivamente le porte del carcere.

Nel 1959, dopo dieci anni di detenzione, venne anmistiato.