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4 luglio 1944: le stragi di Cavriglia

Strage CavrigliaNel territorio di Cavriglia, fortemente caratterizzato dall’attività mineraria, operano le compagnie “Chiatti” e “Castellani” entrambe inquadrate all’interno della 22a bis brigata Sinigaglia. Nel periodo fra maggio e giugno 1944 l’attività partigiana nella zona è particolarmente intensa. Nel complesso i soldati tedeschi scomparsi sono una ventina. Qui il 4 luglio 1944 a Castelnuovo dei Sabbioni, Meleto, e successivamente Le Matole, tutti nel comune di Cavriglia, ha luogo un’orrenda strage nazista in cui verranno uccisi 189 civili.

Sulla vicenda il maggiore Crawley, dello Special Investigation Branch dell’esercito inglese, stese a poche settimane di distanza una dettagliata indagine che però andrà dimenticata fino a fine anni ’90 in seguito alle tristemente note vicende dell’armadio della vergogna. Sappiamo oggi grazie al suo rapporto che responsabili del massacro furono truppe d’élite dell’aeronautica tedesca: i paracadutisti del 76. Panzerkorps, la cui compagnia principale è la Hermann Göring che è stata responsabile delle stragi di Civitella e San Pancrazio del 29 giugno. Sono comandati dai generali Foster e Heidrich e dai colonnelli Bornscheuer e Kluge. A loro si aggiungono gli uomini della Alarmkompanie Vesuv di Wolf, specializzata nella caccia alle bande partigiane.

La strage viene preparata nei giorni precedenti. Il 29 giugno 1944 un operaio della miniera viene sequestrato e torturato. Alla fine cede. Conferma la presenza di partigiani sul luogo e fornisce informazioni sui boschi in cui sono rifugiati. Per l’esercito tedesco le informazioni ricevute sono una molla ulteriore per far scattare l’operazione contro i civili. Il 3 luglio le truppe si accampano nei pressi di Santa Barbara. I soldati coinvolti sono probabilmente fra i 500 e gli 800. Il comando tedesco divide l’azione su tre fronti. Wolf, Groener ed i loro uomini verso Castelnuovo e Massa Sabbioni; Danisch, Casuski verso San Martino; infine gli uomini di Fraulein avrebbero colpito Meleto.

Al mattino del 4, intorno alle 6, Meleto viene accerchiata con un movimento a tenaglia. I soldati iniziano a rastrellare indiscriminatamente civili di sesso maschile. Li conducono al monumento ai caduti della prima guerra mondiale, uno slargo in viale barberino, nel centro del paese. Nessuno dei civili ha chiaro cosa stia per succedere, in molti sono convinti di essere stati radunati per un controllo di documenti o tutt’60 persone intorno al monumento e altri civili continuano ad arrivare. L’assembramento diventa troppo vasto e ingestibile per i soldati tedeschi. Alle 10:30 viene deciso di dividere i civili in 4 gruppi per condurli in 4 aie, 2 all’estremità ovest e 2 all’estremità est del paese. L’esecuzione è rapidissima. Dei colpi di mitragliatrice fendono l’aria. In pochi minuti, senza un processo, senza una spiegazione, 93 civili perdono la vita. I soldati tedeschi incendiano i luoghi del massacro e velocemente si allontanano.

Sempre il 4 luglio 1944 quasi contemporaneamente, a 4 km, a Castelnuovo dei Sabbioni si consuma un altro massacro. Gli abitanti di Castelnuovo a differenza che a Meleto vengono radunati tutti nello stesso luogo: piazza 4 novembre, ai piedi di un alta muraglia sopra a cui la strada porta alla chiesa nella parte alta del paese. A Meleto in 4 civili erano riusciti a salvarsi o per l’età avanzata e le condizioni fisiche o perché in possesso di documenti che li qualificavano come collaboratori dell’esercito tedesco. A Castelnuovo invece non viene fatta alcuna distinzione. Il parroco del paese, don Ferrante Bagiardi, è fra i rastrellati. Nonostante la disperazione riesce però a trovare la lucidità per somministrare la comunione ai fedeli prima di essere ucciso. Vengono sistemate 2 mitragliatrici a 18 metri dai civili in fila contro il muro. In quegli attimi concitati in 4 riescono a salvarsi gettandosi dallo strapiombo a lato della piazza. Il soldato tedesco dietro alla mitragliatrice si rifiuta di sparare. Viene giustiziato sul posto e sostituito. Le mitragliatrici lasciano a terra 68 cadaveri a terra a cui si aggiungono altri 8 civili uccisi per aver tentato la fuga durante il rastrellamento. Dalle case vicine vengono requisiti mobili e gettati sui corpi dei cadaveri accendendo un falò il cui fumo si intravede a chilometri di distanza.

Perché le formazioni partigiane non hanno tentato un’azione per salvare i civili? Era bastato infatti che un aereo poche ore dopo sorvolasse Massa dei sabbioni sganciando delle bombe perché i soldati tedeschi corressero ai ripari permettendo a 12 civili  di salvarsi. La risposta probabilmente è nel piccolo borgo di San Martino situato a 3 km da Castelnuovo. Qui vengono infatti catturati 50 cittadini. Dieci di questi vengono liberati perché possano raccontare che gli altri sono tenuti ostaggi contro eventuali attacchi partigiani nella zona. La strategia ha perfettamente successo: le truppe Castellani vengono fermate dai civili. La stessa richiesta di non agire arriva anche all’altra formazione partigiana la “Chiatti” il cui commissario politico è in quei giorni gravemente ammalato rendendo ancora più difficile una decisione così delicata.

L’emergere di nuova documentazione negli archivi militari tedeschi ha aperto nuove ipotesi sulle motivazioni di questa strage che sembrerebbe non sia stata compiuta direttamente come rappresaglia per le azioni partigiane dei mesi precedenti. Il territorio di Cavriglia rientrava infatti lungo la linea di ritirata della Wehrmacht. Per questo per l’esercito tedesco era assolutamente necessario rendere sicuri quelle zone infestate di ribelli con un’operazione dal nome in codice “Seidenraupe”, baco da seta.