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Casa del colonnello Gobbi

Una delle prime azioni dei gappisti fiorentini contro la gerarchia fascista fu l’uccisione del Colonnello Gobbi.
Dopo l’8 settembre, il Tenente Colonnello Gino Gobbi si era messo al completo servizio dei tedeschi e insieme a loro aveva dato disposizioni per la sistemazione del Distretto Militare che si occupava di richiamare i giovani alla leva. I gappisti decisero che uccidere Gobbi avrebbe portato ad una paralisi temporanea del Distretto permettendo, così, a molti giovani di evitare il reclutamento.
L’operazione venne organizzata per il 1 dicembre, dopo varie settimane di appostamenti per riuscire ad individuare quali fossero le abitudini del Colonnello. A capo del gruppo era il noto gappista Rindo Scorsipa, detto il Mongolo, insieme a Bruno Fanciullacci e a Faliero Pucci.
Il Colonnello fu freddato da tre colpi di pistola mentre si apprestava a rincasare; il giorno successivo la stampa clandestina pubblica un articolo intitolato “1 dicembre 1943 – un atto di giustizia”:
“ Il Colonnello Gobbi, collaboratore dei tedeschi nell’opera di persecuzione contro i militari che non si presentano alle armi ed alacre organizzatore del costituendo esercito repubblicano, è freddato da mani giustiziere. Chi ha effettuato il colpo? È il primo gesto dei GAP […]. I fascisti accusano il colpo. Comprendono che il popolo non li teme più e vuol rendere loro dura la vita”.




Lo Stadio

Nei primi di febbraio del 1944 Adam Rossi istituì il Tribunale Militare Straordinario, che aveva giurisdizione su tutta la Toscana e aveva il compito di punire tutti i giovani che non avessero risposto alla chiamata alle armi della Repubblica di Salò. Una delle sentenze più tristemente note che fu emessa da questo tribunale fu l’esecuzione dei cinque giovani renitenti alla leva: Leanro Corona, Ottorino Quiti, Antonio Raddi, Adriano Santoni e Guido Targetti.
I ragazzi che furono fucilati provenivano da Vicchio ed è probabile che i cinque siano stati scelti proprio a causa del loro comune di provenienza. Il paesino era stato il centro della protesta di 250 contadini che il 25 febbraio si erano riuniti sotto il palazzo comunale per contestare l’imposizione di consegnare altri prodotti all’ammasso.
La sentenza del Tribunale Militare Speciale venne eseguita il 22 marzo allo Stadio Comunale, alla presenza di Mario Carità. Don Angelo Bacherle, tenente cappellano, assiste i ragazzi fino al momento della loro esecuzione. Il parroco ricorda la notte trascorsa con i giovani, che attendono di essere fucilati: molti chiedono della famiglia e tutti urlano disperati di essere innocenti e di non voler morire. Nel racconto di don Angelo Bacherle il momento dell’esecuzione è il più tragico: quindici soldati, che si erano arruolati per paura di ritorsioni, vengono obbligati a formare il plotone di esecuzione, pena lo scambio di posizione con i cinque. “Quiti cominciò a tremare, voleva alzarsi e scappare: anche il Raddi e il Corona ebbero un momento di terribile esasperazione: riuscii a quietarli dicendo loro «Pensate al Paradiso, il Signore vi aspetta, non abbiate paura siete nelle mani di Dio e della Madonna! Coraggio!». Con queste parole si riuscì a far tornare la calma: allora feci un balzo indietro e subito avvenne la scarica del plotone. Il Targetti, il Raddi ed il Santoni morirono subito. Non così il Quiti, che ancora vivo, legato alla sedia si dimenava e gridava « Mamma, mamma!». […] Fu il maggiore Carità, il famigerato comandante delle SS, che dopo alcuni istanti intervenne e diede il colpo di grazia”.
Oggi in ricordo di questa terribile tragedia sotto la Curva Ferrovia, nel punto esatto dove i cinque giovani furono uccisi, è stata posta una lapide in loro memoria.




La sede dell’Azione cattolica

La seconda ondata di arresti contro la comunità ebraica iniziò il 26 novembre 1943.
Nel pomeriggio del 26 novembre nella sede dell’Azione Cattolica, che si trovava in Via dei Pucci n°2, si stava concludendo la riunione del comitato di assistenza ai profughi quando all’improvviso fecero irruzione un gruppo di militi fascisti e di tedeschi che arrestarono tutti i presenti.
Nel corso dell’azione vennero arrestati Nathan Cassuto, il capo rabbino della comunità ebraica fiorentina, Don Leto Casini, Joseph Ziegler e Felice Ischio. Furono tutti trattenuti dalla banda Carità e rilasciati solo Ziegler e Ischio.
Joseph Ziegler e la sua famiglia erano profughi provenienti dalla Francia meridionale, erano diretti a Roma, ma il viaggio era divenuto troppo pericoloso e avevano deciso di rifugiarsi a Firenze, dove entrarono in contatto con Cassuto, al quale offrirono circa un milione di lire per aiutare il suo comitato di assistenza.
Gli Ziegler fecero amicizia anche con il giovane Felice Ischio, ma non sapevano che a Torino, città in cui aveva vissuto prima di trasferirsi a Firenze, era stato una spia dei fascisti. E lo fu anche a Firenze.
Ziegler e Ischio nel 1943 quindi divennero membri del comitato per l’assistenza dei profughi. Ischio riuscì ad ottenere tutti gli indirizzi dei luoghi in cui avevano trovato rifugio gli ebrei. È quasi certo che fu lui ad avvertire i fascisti della riunione in via dei Pucci e fu sempre lui a dare ai nazifascisti gli indirizzi dei conventi che furono razziati la notte del 26 novembre.
Nathan Cassuto e gli altri ebrei catturati in via dei Pucci furono deportati ad Auschwitz, nessuno fece ritorno a Firenze. Don Leto Casini invece rimase nelle mani di Carità fino alla Vigilia di Natale del 1943 quando fu finalmente rilasciato.




Convento del Carmine

Uno degli episodi a stampo antisemita ebbe luogo la notte del 26 novembre 1943 quando i nazisti entrarono all’interno del convento del Carmine.
La notte del 26 novembre alcuni reparti tedeschi seguiti dalla banda Carità irruppero all’interno del Convento del Carmine, dove nei mesi precedenti avevano trovato rifugio decine di donne e bambini ebrei. La razzia del 26 novembre inizia alle ore 3 del mattino quando una trentina di nazifascisti si presentano all’ingresso del Convento e lo forzano per entrare dal giardino e sorprendere così gli ebrei. Le suore avevano ideato un piano per mettere al sicuro gli ospiti in caso di una visita sgradita, ma la prontezza dell’azione dei tedeschi impedì che questo potesse essere attuato. Il piano prevedeva che al suono delle campane le ebree si rifugiassero con i bambini all’interno del reparto di clausura mentre le suore dovevano rimanere nelle loro celle in preghiera.
I tedeschi riuscirono a catturare ogni ospite del Convento e tutti furono radunati all’interno della Sala del Teatro che divenne una sorta di prigione. La prigionia durò quattro giorni, durante i quali le donne furono costrette a subire ogni tipo di violenza. Non mancarono ricatti e violenze sessuali. Alcuni testimoni durante i processi contro la banda Carità dichiarano che: “I fascisti cercarono di abusare delle donne giovani e delle ragazze offrendo in cambio la libertà e commettendo una serie di oltraggi”, “Allora ci fu una […] che per salvare le ragazze si offrì lei di darsi a quei fascisti, ed essi ne abusarono in un angolo della stanza dove eravamo noi tutti, però nessuno fu liberato”.
Le donne e i bambini in quei giorni sperimentarono per la prima volta la totale perdita del diritto all’integrità del corpo tipica dei campi di sterminio. Solo poche donne riuscirono a salvarsi dalla deportazione grazie all’intervento delle suore che cercarono in tutti i modi di nasconderle. Quattro giorni dopo l’irruzione, il 30 novembre, tutti gli ebrei che erano stati catturati furono mandati a Verona e da lì deportati ad Auschwitz. Nessuno fece ritorno.




La Sinagoga

La comunità ebraica fiorentina nel 1940 era composta da circa 2500 persone e il rabbino capo era Nathan Cassuto. Dopo che la città di Firenze fu occupata dai nazisti, l’11 settembre 1944, la Sinagoga e tutti gli edifici adiacenti furono posti sotto stretta sorveglianza.
Per cercare di aiutare la loro comunità, Cassuto e Raffaele Cantoni organizzarono un comitato di assistenza per i profughi che si proponeva di aiutare gli ebrei a scappare o a nascondersi. Anche il Cardinale Elio Dalla Costa cercò di aiutare la popolazione ebraica fondando un’associazione che si occupò di aiutare dalle 300 alle 400 persone.
La situazione per gli ebrei a Firenze non era drammatica come lo era in altre città italiane, per questo motivo nessuno era pronto quando i tedeschi decisero di attaccare direttamente la comunità.
La mattina del 6 novembre 1943 alcuni militari tedeschi e dei militi fascisti circondarono la Sinagoga e irruppero all’interno del Tempio. Memo Bemporad per pura casualità proprio quella mattina stava scappando insieme alla famiglia e notò un certo trambusto in prossimità del Tempio, però non si allarmò pensando che fossero gli anziani che andavano a pregare.
Alcuni testimoni, sopravvissuti alla guerra, hanno reso testimonianza di quanto avvenuto quella mattina: “Il Tempio Maggiore fu invaso, furono distrutti alcuni arredi sacri e parte dell’arredamento”(Avv. Giuseppe Castiglioni).
Gli arresti attuati dai nazisti non si fermarono alla sinagoga, ma proseguirono in tutta la città;
In Via Masaccio i nazisti trovarono la famiglia Segrè, una delle figlie riuscì a sfuggire alla cattura perché si trovava dal tabaccaio sotto casa e da lì assistette alla cattura della sua famiglia.
Nel corso della giornata furono arrestate oltre duecento persone che furono deportate e mandate ad Auschwitz il 9 novembre.




Via Villani, casa Mazzuoli

Il 17 gennaio del 1944 i gappisti organizzano un altro colpo contro la gerarchia fascista, questa volta i GAP mirano ad uccidere Averardo Mazzuoli, che era l’autista degli assassini di Matteotti.
Il colpo prevedeva che i gappisti, guidati da Fanciullacci, uccidessero Mazzuoli mentre stava uscendo di casa, ma qualcosa quel giorno andò storto infatti la moglie di Mazzuoli era affacciata alla finestra e notò che due giovani erano appostati sul portone quindi urlò al marito di stare attento.
I gappisti riuscirono a ferire Mazzuoli solo lievemente.




Cercina

Durante l’occupazione nazifascista nella zona di Cercina, piccola frazione del comune di Sesto Fiorentino situata alle pendici di Monte Morello, si ebbero vari scontri tra i gruppi partigiani e le truppe nazifasciste, ma la zona è anche nota per i rastrellamenti della pasqua del 1944 e l’omicidio di molti partigiani, tra cui i membri di Radio Cora.
Il primo avvenimento che coinvolse la piccola comunità di Cercina ebbe luogo il 10 aprile del 1944 quando un gruppo di fascisti si presentò alla porta del Dott. Fanelli e con lui prelevarono altri cinque giovani contadini.
Gli abitanti di Cercina in un primo momento pensarono che i sei fossero stati prelevati perchè i fascisti potevano aver avuto bisogno di maggiore forza lavoro per qualche compito particolarmente pesante; in realtà oggi sappiamo che gli arresti avvenuti a Cercina rientravano all’interno dei tristemente noti “Rastrellamenti di Pasqua” portati avanti dai tedeschi della Divisione Goering che portarono all’arresto di oltre 300 persone.
L’operazione della Goering ebbe inizio il 10 aprile come atto di ritorsione contro gli attacchi partigiani che si erano verificati nelle settimane precedenti: in questo quadro va quindi inserito l’eccidio che ebbe luogo a Cercina.
Fu la madre di uno dei cinque ragazzi che cinque giorni dopo l’arresto, vagando per la campagna alla ricerca del figlio, come riportato da un testimone: “Scorse sotto una balza di terreno sulla costa del monte un grande cumulo di sassi. Dal cumulo sporgeva una gamba, il piede di suo figlio. Ricoperti con poca terra, schiacciati sotto grandi pietre erano ammucchiati i cadaveri dei sei giovani, crivellati dai colpi dei fucili”.
Gli antifascisti presenti nella zona diedero a Don Alfonso Nannini, noto fascista, la colpa per la morte dei sei. Il 30 maggio quatto partigiani si recarono nella canonica e lo uccisero a sangue freddo.
A Cercina per ricordare l’eccidio del 10 aprile nel 1995 è stata posta una lapide in memoria dei caduti.




Campo di Marte, teatro del primo bombardamento aereo su Firenze

Il 25 settembre del 1943 Firenze fu per la prima volta colpita da un bombardamento degli Alleati. L’obbiettivo era lo snodo ferroviario di Campo di Marte da cui partivano molti convogli militari tedeschi. Le bombe sganciate dagli Alleati colpirono, oltre alla stazione, anche le zone limitrofe del quartiere.
Alcuni testimoni come Ugo Cappelletti hanno descritto la scena: “Qualcuno ancora allo scoperto, fra un rumore assordante, si azzardò a guardare quella potente formazione mentre le bombe cadevano. Viste da lontano sembravano strani grappoli, ma quando si abbatterono a terra fu l’inferno”.
Molte abitazioni vennero colpite e nonostante il duro lavoro dei militi della U.N.P.A. (Unione Nazionale Protezione Antiarea) morirono 215 persone e si contarono centinaia di feriti.
Nel 1983 in via Mannelli è stata affissa una lapide per ricordare le vittime del bombardamento.