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Prima sede del Comando Militare del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale

Il 2 novembre 1943 Mario Carità, grazie ad una spia, riuscì ad entrare in contatto con il colonnello Frassineti e a sequestrare dei documenti che gli permisero di arrestare l’intero Comitato militare del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale (CTLN). Riuscirono a fuggire solo Sinigaglia e Medici Tornaquinci. Durante l’operazione che avvenne in via Masaccio n° 93, dove era solito riunirsi il comando, venne arrestato anche l’avv. Giancarlo Zoli. Gli arrestati vennero condotti da Carità nel quartier generale della Banda Carità in Via Benedetto Varchi n°22.

Ai primi di giugno del 1943 venne proposto dai comunisti di sostituire il Comitato militare con il Comando militare unico poi denominato Comando Marte. Il Comando fu formato dal comandante Nello Niccoli del Partito d’Azione, da Nereo Tommasi della Democrazia Cristiana, da Achille Mazzi del Partito Liberale Italiano (PLI), Luigi Gaiani del Partito Comunista Italiano (PCI) e infine Dino del Poggetto del Partito Socialista Italiano (PSI).

Si trattava di tutti i partiti che componevano il Comitato Toscano di Liberazione Nazionale e se pur di ideologie diverse si trovarono uniti nella battaglia contro i tedeschi e i nazisti. Vennero divisi i compiti e gli incarichi, ogni formazione espose l’attività che svolgeva, gli impegni e gli armamenti che aveva, di cosa aveva bisogno, in denaro e in armi.

Indirizzo: via Masaccio n. 93




Casone dei ferrovieri

Il Casone dei Ferrovieri era un complesso di alloggi per i dipendenti delle Ferrovie in cui trovò forma l’organizzazione antifascista divenendo presto il nucleo delle organizzazioni clandestine partigiane della zona, il quartiere delle Cascine. L’edificio situato tra via Rinucci e via Paisiello si contrapponeva alla Manifattura Tabacchi occupata dai tedeschi e si distinse per un ottima fornitura di viveri, per un buon settore sanitario e per la formazione di una commissione dedita agli arresti di fascisti. Il settore militare era composto dalle Squadre di Azione Patriottica (SAP) ma dall’11 agosto 1944 venne rafforzato dal controllo delle brigate Lanciotto e Sinigaglia. I combattenti del Casone si trovarono al centro di diversi scontri dove persero la vita quattro membri: Enrico Rigacci caduto nel parco di Villa Demidoff, Alberto Casini, Luigi Svelto e Achille di Carlo. Presso l’ingresso del Casone si trova oggi una targa che ricorda i caduti.

Indirizzo: tra via Rinucci e via Paisiello.

 




Caserma di Rovezzano

Il 27 aprile 1944 nella caserma di Rovezzano vennero fucilati due renitenti alla leva e un disertore, il sottotenente Luigi Ferro che era fuggito qualche giorno prima dalla prigione. Dopo la fuga Ferro era stato catturato dalla Guarda Nazionale Repubblicana, la forza armata fascista, durante un rastrellamento di partigiani. Il padre Naldi, cappellano della carceri, assisté alla fucilazione.

I renitenti erano il contadino Alfredo Ballerini e il giovane ventenne Onorio Coletti Perruca, figlio di una famiglia benestante. Mentre dell’uccisione di Ballerini non si conoscono le motivazioni, Coletti risultava una persona scomoda essendo in contatto con il Comitato di Liberazione Nazionale. Per fuggire ai nazisti il giovane si era nascosto rifugiandosi in casa di suo padre ma fu presto scovato dalla banda di Carità. Il giornale clandestino della Democrazia Cristiana, “Il Popolo”, il 18 luglio 1944 raccontò i minuti prima della fucilazione dei tre. I genitori di Coletti chiesero aiuto a diverse conoscenze per salvare la vita del figlio. Prima si rivolsero a Mussolini poi si appellarono all’Arcivescovo ottenendo l’attribuzione della grazia. Purtroppo il generale Adami Rossi impedì l’arrivo della richiesta. Coletti fu fucilato il 28 aprile 1944.

Indirizzo: Via Aretina n° 354.




Le Chiese “degli ebrei”

Su impulso del cardinale di Firenze Elia Dalla Costa e grazie all’impegno del clero, varie chiesa della città divennero rifugio per gli ebrei braccati dai nazifascisti.

Chiesa di San Gaetano

Indirizzo: Piazza degli Antinori – via de’ Tornabuoni

Il parroco della chiesa di San Gaetano, monsignor Giuseppe Capretti, durante l’occupazione nazista prestò aiuto a numerose famiglie ebree perseguitate. La chiesa di San Gaetano era anche sede della comunità religiosa tedesca, il cui parroco era Theodor Bützler, il quale svolse funzioni di interprete e mediatore con il Consolato e i comandi germanici. Il parroco Bützler tentò inoltre di salvare degli ebrei tedeschi che si erano trasferiti a Firenze ed erano entrati a far parte di circoli di emigranti antinazisti.

Chiesa San Felice in Piazza

 Indirizzo: Piazza San Felice n°5

Durante la seconda guerra mondiale e l’occupazione tedesca, la Chiesa di San Felice in Piazza divenne uno dei luoghi più attivi della resistenza in Oltrarno e per la protezione degli ebrei perseguitati. Il parroco di San felice in Piazza, don Bruno Panerai, aprì le porte della sua parrocchia a partire dagli inizi di settembre del 1943. Tra le numerose azioni svolte offrì ospitalità al sottocomitato di liberazione d’Oltrarno, distribuì viveri e sussidi in denaro, allestì un ospedale nei giorni dell’emergenza. Inoltre nascose per circa sei mesi, in una stanza annessa all’archivio parrocchiale, un ebreo straniero di nome Habermann e fece ospitare altri ebrei da famiglie della parrocchia facendogli visita periodicamente. L’azione di Panerai non si rivolse solo agli ebrei ma anche ai soldati reduci o evasi, agli ufficiali e renitenti alla leva, ai ricercati dalle SS (Schutzstaffel o squadre di protezione), etc. La parrocchia quindi accolse, dette rifugio e aiuto a molti ebrei e perseguitati grazie al buon animo di Don Bruno Panerai, che rappresentò una delle figure di spicco della resistenza cattolica dell’Oltrarno.

 

Chiesa dei Santi Gervasio e Protasio

 Indirizzo: Piazza Ss.Gervasio e Protasio

Durante la seconda guerra mondiale e il periodo dell’occupazione tedesca, la Chiesa dei Santi Gervasio e Protasio divenne uno dei principali punti di riferimento dell’antifascismo fiorentino. Il parroco, don Pio Carlo Poggi, fu impegnato in un’intensa attività assistenziale. Si impegnò per l’allestimento di un rifugio antiaereo destinato agli abitanti del rione Oltrarno e di un ambulatorio, che trasformò durante il periodo dell’emergenza in un piccolo ospedale. Don Poggi nascose armi destinate alle formazioni partigiane e dette rifugio a numerosi ex-militari, giovani renitenti alla leva, ricercati politici ed ebrei. Con lui collaboravano Edoardo Da Fano, antifascista cattolico e numerosi medici. Per l’opera prestata durante l’occupazione, a don Poggi fu conferita nel 1947 la medaglia di bronzo al valor militare.

 




L’ospedale di via Giusti

Ferito nel corso della cattura, Bruno Fanciullacci, esponente di primo piano dei GAP fiorentini, è in cura dal professor Aldo Greco nell’Ospedale di via Giusti: le sue condizioni migliorano notevolmente, nonostante lui stesso si allarghi le ferite. I fascisti della banda Carità ne chiedono ogni giorno le condizioni, dichiarando di volersene occupare personalmente e di volerlo portare a Villa Triste.
I GAP decidono di liberarlo. Molte sono le motivazioni che potrebbero farli desistere dall’impresa: in primo luogo il compagno è ferito, costantemente sorvegliato, ed è necessaria una macchina per il trasporto; in secondo luogo il posto non si presta ad un’azione irruenta; in ultimo, ma non meno pericoloso, l’abitazione di Carità è situata proprio in via Giusti e sorvegliata giorno e notte da fascisti e militi in borghese.
Elio Chianesi, detto il Babbo, organizza la liberazione di Fanciullacci.

Il primo tentativo viene compiuto il 4 maggio. Luciano Suisola, detto Topino, Pilade Bani ed Umberto Mazzoli, detto Rigore, gironzolano nella zona. Topino, percorrendo in bici Borgo Pinti, viene fermato dagli uomini di Carità: la pistola non viene scoperta. I compagni, però, credendolo in pericolo, si avvicinano: cominciano a sparare, uccidendo uno dei fascisti, ma l’altro rimane ferito e riconosce il Bani. Pochi giorni dopo viene arrestato Rigore che ammette di conoscere il Bani, premurandosi di farlo avvertire perché scappasse dalla città. L’avvertimento però non giunge in tempo e il Bani viene arrestato dalla polizia fascista, condotto a Villa Triste e inviato in un campo di concentramento nazista, non facendone più ritorno.

Il secondo tentativo è dell’8 maggio. Giuliano Gattai presta la sua automobile, una Topolino, ai GAP e diventa loro compagno.
Alle sei di pomeriggio arrivano in via Giusti sulla Topilino Giuliano Gattai alla guida, Giuseppe Martini fasciato e macchiato di sangue di coniglio ed Elio Chianesi in funzione di aiuto del finto ferito. In bicicletta li seguono Luciano Suisola, Italo Menicalli e Aldo Fagioli. Chianesi e Martini salgono le scale del pronto soccorso, per le quali si accede anche alle corsie. Con l’aiuto di una crocerossina, mentre Topino e Menicalli bloccano ogni tentativo di fuga o di richiesta di aiuto dal centralino telefonico, Chianesi e Martini raggiungono la corsia di Fanciullacci e uccidono il milite posto alla sua guardia. Avvolgendo Fanciullacci in un impermeabile, lo portano giù per le scale e infine nella macchina che va via velocemente. Topino e Menicalli, subito dopo, lasciano la portineria, non sospettati dal piantone sul cancello.




Poligono delle Cascine

Cinque patrioti, Luigi Pucci, Armando Gualtieri, Orlando Storai, Oreste Ristori e Gino Manetti, sono prelevati dal carcere e assassinati per ordine di Manganiello capo della Provincia, a titolo di rappresaglia per l’uccisione di Gobbi, compiuta dai GAP il primo dicembre 1943.
Nessuna sentenza fu letta alle vittime, perchè nessuna sentenza esisteva. La zona antistante al Poligono di tiro alle Cascine è bloccata da un battaglione di militi fascisti.

Chiusi in una stanza del Poligono, insieme ad un sacerdote, aspettano. Carità tiene un discorso al plotone di esecuzione. I condannati vanno a prendere posto sulle sedie e alcuni si rivolgono al maggiore Carità e inneggiano alla Russia e a Stalin. Mentre il tenente della milizia che comanda il plotone impartisce le istruzioni preliminari, i cinque condannati intonano l”Internazionale. Vengono crivellati dai colpi di moschetto. Alcuni di loro non muoiono subito e vengono finiti a colpi di rivoltella. Il fratello del colonnello Gobbi infierisce sui cadaveri con parole ed è seguito con le azioni di alcuni altri militi fascisti.

La comunicazione dell’esecuzione avviene attraverso dei manifesti gialli affissi al muro, come per gli annunci cinematografici. L’impressione sulla popolazione è enorme.




Bar Paskowski (Piazza della Repubblica già Vittorio Emanuele)

L’8 febbraio 1944 Antonio Ignesti e Tosca Bucarelli, che recitavano già da tempo il ruolo di fidanzati per spiare senza dare nell’occhio le mosse di Carità, entrano nel bar Paskowski, ritrovo abituale di una clientela elegante ed in quei giorni di guerra frequentata da alti ufficiali tedeschi e repubblichini o fascisti in borghese, che occupavano posti di rilievo nelle cariche amministrative e nella polizia politica.
Il pretesto era offerto da un’aggressione avvenuta nello stesso mese: alcuni clienti avevano aggredito e massacrato di botte un passante, colpevole di essere nero.
I due, in abiti borghesi, si siedono al tavolino stabilito. La Bucarelli estrae la bomba avvolta in carta velina e Ignesti, accendendo con un fiammifero una sigaretta, accende anche la bomba. Il gancio apposto per sistemare la bomba è però troppo stretto rispetto al grosso anello: la Bucarelli istintivamente spegne la micca e ripone la bomba nella borsa. Quel movimento ha insospettito un vicino che chiede di poter vedere il contenuto del fagotto. Portato all’esterno, la donna riesce a fuggire, ma il suo compagno è stato catturato. La ragazza torna indietro, senza un piano definito, preoccupata solo della salute cagionevole dell’Ignesti, che con i suoi polmoni malati non avrebbe potuto resistere alle percosse.
Ignesti riesce a fuggire e ad informare i compagni che la Bucarelli è stata catturata. Condotta a Villa Triste, dopo molte sevizie che le causarono una permanente lesione al fegato, senza mai rivelare niente, viene portata al carcere di Santa Verdiana.
Fu il primo, penoso arresto per i Gap.




Piazza San Marco

Durante le manifestazioni pacifiche del 27 luglio 1943 per chiedere la fine della guerra, all’indomani della destituzione del Duce, a cui partecipano in molti, disertando anche il lavoro, in piazza San Marco si radunano molti studenti. I carabinieri, da via degli Arazzieri e dal comando del Corpo d’armata di via Cavour, intervengono con la forza e caricano la folla. Alle violenze e agli arresti le donne si rifugiano nella chiesa di San Marco, gli uomini fuggono verso la Corte d’Appello, nel Museo del Beato Angelico.

Ma la piazza passa rapidamente da spazio di speranze e sogni a luogo simbolo dell’occupazione.

L’11 settembre, arrivata in Piazza San Marco, una colonna blindata tedesca occupa il Comando del Corpo d’armata. Gli ufficiali del comando sono fatti prigionieri dai tedeschi. Il generale Chiappi Armellini, comandante territoriale di Firenze, fedele agli ordini di Badoglio, rifiuta di concedere le armi al popolo per la mobilitazione contro i tedeschi.Trattando la resa ai tedeschi, si rifiuta di aderire alla Repubblica di Salò ed è deportato in Germania, dove morirà.