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Gli Ospedali fiorentini tra guerra, occupazione e Resistenza

Ospedale di Careggi

Indirizzo: Largo Brambilla n°3

Nel agosto del 1944 l’ospedale di Careggi vide triplicare il numero di 1500 degenti, con l’arrivo di perseguitati e gruppi di partigiani che vennero rifugiati nei sotterranei. Il recinto dell’ospedale era sorvegliato dai tedeschi e poteva essere oltrepassato solo dai medici. Presto però venne scoperta una via sotterranea di fuga, il percorso delle fogne che conduceva in Piazza Dalmazia. Alcuni tedeschi scoprirono questo passaggio segreto e con una mina gettata in un tombino riuscirono a catturare i feriti portati all’ospedale: si tratta di Gino Coli e Ugo Ferri che vennero fucilati il 27 agosto 1944.

Il 20 agosto l’ospedale venne colpito da un cannone tedesco riportando almeno 12 morti. Il 24 agosto una cannonata lanciata dagli Alleati distrusse i depositi idrici e causò cosi tanti feriti da dover richiedere l’invio di ambulanze della Croce Rossa delle forze alleate.

Ospedale militare via San Gallo

Indirizzo: via San Gallo n°112

Nell’ospedale militare di via San Gallo venivano ricoverati combattenti con gravi ferite e la maggior parte non riusciva a salvarsi. L’ospedale era collegato attraverso alcuni cortili interni a piazza Ciano, luogo presidiato dai franchi-tiratori tedeschi. Durante un pattugliamento il 17 agosto 1944 il comandante delle polizia inglese Taylor e Jannaccone, il tenente dei Carabinieri, vennero feriti da un arma da fuoco proveniente dalla piazza. Lo stesso giorno il comandante della brigata Lanciotto ordinò di far esplodere un ordigno nel passaggio sotterraneo che attraversava piazza Ciano, ritenendolo la causa dei numerosi scontri. L’azione eseguita da tre partigiani provocò più tardi un contrattacco tedesco. Infatti venne lanciata un granata sull’ospedale militare che sfondò il tetto di una camerata ferendo due partigiani ricoverati.

Ospedale via Giusti

Ospedalino Meyer

Indirizzo: via Luca Giordano

L’ospedale Meyer era una clinica pediatrica posta nelle vicinanze della stazione di Campo di Marte, una zona frequentemente colpita da violenze durante l’occupazione nazista. Considerato i pericoli in cui poteva trovarsi la struttura, venne deciso di spostare i bambini ricoverati in un luogo più sicuro, nella zona di Maiano. Il trasferimento avvenne in modo rapido e senza portare tutto l’occorrente per svolgere le operazioni mediche. I degenti del reparto Infettivi vennero trasferiti nella villa “Il Garofalo” in via della Piazzuola, che era provvista di rifugio anti-aereo, mentre gli altri nella villa Bencistà a Fiesole. I piccoli degenti dovettero attendere la fine di Agosto, un pò meno quelli del reparto Infettivo, per vedere i rifornimenti di viveri e medicinali portati dalle brigate partigiane.

Nella villa “Il Garofalo” un bombardamento tedesco che colpì il rifugio causò la morte di alcuni dipendenti dell’ospedale e di alcune madri dei bambini.

 Ospedale Camerata

Indirizzo: via della Piazzuola n°68 e viale San Domenico

Durante l’occupazione nazista l’ospedale Camerata, situato nella zona di Fiesole, ospitava 102 degenti ma era anche luogo di postazione dei tedeschi che da lì cercavano di ostacolare i partigiani in cammino per Fiesole. L’ospedale esaurì presto i medicinali perciò tentò di recuperarli dall’ospedale di Sant’Antonino, ma il tentativo venne impedito dai tedeschi. Verso il 20 agosto 1944 alcune pattuglie di partigiani riuscirono a portare qualche soccorso ai degenti. Il 25 agosto i tedeschi dell’ospedale di Camerata risultarono essersi spostati all’Istituto biologico Dessy, infatti nelle vicinanze vennero trovati alcuni soldati morti.

 




La Cripta dei caduti fascisti

Il 27 ottobre del 1934 per volontà di Mussolini nella cripta della Chiesa di Santa Croce vennero messi i corpi di trentasette «martiri» di Firenze, caduti per la causa fascista prima della marcia su Roma o in seguito alle ferite riportate negli scontri. Per questo motivo il luogo sacro assunse il nome di “cripta dei caduti fascisti”. Il 23 marzo del 1944 i gappisti fecero esplodere una bomba all’ingresso della cripta dei caduti fascisti, in piazza Santa Croce, durante un ricorrenza fascista.

Oggi nella cripta di Santa Croce si trova una lapide a ricordo dei trentasette caduti fascisti.




Prima sede del Comando Militare del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale

Il 2 novembre 1943 Mario Carità, grazie ad una spia, riuscì ad entrare in contatto con il colonnello Frassineti e a sequestrare dei documenti che gli permisero di arrestare l’intero Comitato militare del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale (CTLN). Riuscirono a fuggire solo Sinigaglia e Medici Tornaquinci. Durante l’operazione che avvenne in via Masaccio n° 93, dove era solito riunirsi il comando, venne arrestato anche l’avv. Giancarlo Zoli. Gli arrestati vennero condotti da Carità nel quartier generale della Banda Carità in Via Benedetto Varchi n°22.

Ai primi di giugno del 1943 venne proposto dai comunisti di sostituire il Comitato militare con il Comando militare unico poi denominato Comando Marte. Il Comando fu formato dal comandante Nello Niccoli del Partito d’Azione, da Nereo Tommasi della Democrazia Cristiana, da Achille Mazzi del Partito Liberale Italiano (PLI), Luigi Gaiani del Partito Comunista Italiano (PCI) e infine Dino del Poggetto del Partito Socialista Italiano (PSI).

Si trattava di tutti i partiti che componevano il Comitato Toscano di Liberazione Nazionale e se pur di ideologie diverse si trovarono uniti nella battaglia contro i tedeschi e i nazisti. Vennero divisi i compiti e gli incarichi, ogni formazione espose l’attività che svolgeva, gli impegni e gli armamenti che aveva, di cosa aveva bisogno, in denaro e in armi.

Indirizzo: via Masaccio n. 93




Casone dei ferrovieri

Il Casone dei Ferrovieri era un complesso di alloggi per i dipendenti delle Ferrovie in cui trovò forma l’organizzazione antifascista divenendo presto il nucleo delle organizzazioni clandestine partigiane della zona, il quartiere delle Cascine. L’edificio situato tra via Rinucci e via Paisiello si contrapponeva alla Manifattura Tabacchi occupata dai tedeschi e si distinse per un ottima fornitura di viveri, per un buon settore sanitario e per la formazione di una commissione dedita agli arresti di fascisti. Il settore militare era composto dalle Squadre di Azione Patriottica (SAP) ma dall’11 agosto 1944 venne rafforzato dal controllo delle brigate Lanciotto e Sinigaglia. I combattenti del Casone si trovarono al centro di diversi scontri dove persero la vita quattro membri: Enrico Rigacci caduto nel parco di Villa Demidoff, Alberto Casini, Luigi Svelto e Achille di Carlo. Presso l’ingresso del Casone si trova oggi una targa che ricorda i caduti.

Indirizzo: tra via Rinucci e via Paisiello.

 




Caserma di Rovezzano

Il 27 aprile 1944 nella caserma di Rovezzano vennero fucilati due renitenti alla leva e un disertore, il sottotenente Luigi Ferro che era fuggito qualche giorno prima dalla prigione. Dopo la fuga Ferro era stato catturato dalla Guarda Nazionale Repubblicana, la forza armata fascista, durante un rastrellamento di partigiani. Il padre Naldi, cappellano della carceri, assisté alla fucilazione.

I renitenti erano il contadino Alfredo Ballerini e il giovane ventenne Onorio Coletti Perruca, figlio di una famiglia benestante. Mentre dell’uccisione di Ballerini non si conoscono le motivazioni, Coletti risultava una persona scomoda essendo in contatto con il Comitato di Liberazione Nazionale. Per fuggire ai nazisti il giovane si era nascosto rifugiandosi in casa di suo padre ma fu presto scovato dalla banda di Carità. Il giornale clandestino della Democrazia Cristiana, “Il Popolo”, il 18 luglio 1944 raccontò i minuti prima della fucilazione dei tre. I genitori di Coletti chiesero aiuto a diverse conoscenze per salvare la vita del figlio. Prima si rivolsero a Mussolini poi si appellarono all’Arcivescovo ottenendo l’attribuzione della grazia. Purtroppo il generale Adami Rossi impedì l’arrivo della richiesta. Coletti fu fucilato il 28 aprile 1944.

Indirizzo: Via Aretina n° 354.




Le Chiese “degli ebrei”

Su impulso del cardinale di Firenze Elia Dalla Costa e grazie all’impegno del clero, varie chiesa della città divennero rifugio per gli ebrei braccati dai nazifascisti.

Chiesa di San Gaetano

Indirizzo: Piazza degli Antinori – via de’ Tornabuoni

Il parroco della chiesa di San Gaetano, monsignor Giuseppe Capretti, durante l’occupazione nazista prestò aiuto a numerose famiglie ebree perseguitate. La chiesa di San Gaetano era anche sede della comunità religiosa tedesca, il cui parroco era Theodor Bützler, il quale svolse funzioni di interprete e mediatore con il Consolato e i comandi germanici. Il parroco Bützler tentò inoltre di salvare degli ebrei tedeschi che si erano trasferiti a Firenze ed erano entrati a far parte di circoli di emigranti antinazisti.

Chiesa San Felice in Piazza

 Indirizzo: Piazza San Felice n°5

Durante la seconda guerra mondiale e l’occupazione tedesca, la Chiesa di San Felice in Piazza divenne uno dei luoghi più attivi della resistenza in Oltrarno e per la protezione degli ebrei perseguitati. Il parroco di San felice in Piazza, don Bruno Panerai, aprì le porte della sua parrocchia a partire dagli inizi di settembre del 1943. Tra le numerose azioni svolte offrì ospitalità al sottocomitato di liberazione d’Oltrarno, distribuì viveri e sussidi in denaro, allestì un ospedale nei giorni dell’emergenza. Inoltre nascose per circa sei mesi, in una stanza annessa all’archivio parrocchiale, un ebreo straniero di nome Habermann e fece ospitare altri ebrei da famiglie della parrocchia facendogli visita periodicamente. L’azione di Panerai non si rivolse solo agli ebrei ma anche ai soldati reduci o evasi, agli ufficiali e renitenti alla leva, ai ricercati dalle SS (Schutzstaffel o squadre di protezione), etc. La parrocchia quindi accolse, dette rifugio e aiuto a molti ebrei e perseguitati grazie al buon animo di Don Bruno Panerai, che rappresentò una delle figure di spicco della resistenza cattolica dell’Oltrarno.

 

Chiesa dei Santi Gervasio e Protasio

 Indirizzo: Piazza Ss.Gervasio e Protasio

Durante la seconda guerra mondiale e il periodo dell’occupazione tedesca, la Chiesa dei Santi Gervasio e Protasio divenne uno dei principali punti di riferimento dell’antifascismo fiorentino. Il parroco, don Pio Carlo Poggi, fu impegnato in un’intensa attività assistenziale. Si impegnò per l’allestimento di un rifugio antiaereo destinato agli abitanti del rione Oltrarno e di un ambulatorio, che trasformò durante il periodo dell’emergenza in un piccolo ospedale. Don Poggi nascose armi destinate alle formazioni partigiane e dette rifugio a numerosi ex-militari, giovani renitenti alla leva, ricercati politici ed ebrei. Con lui collaboravano Edoardo Da Fano, antifascista cattolico e numerosi medici. Per l’opera prestata durante l’occupazione, a don Poggi fu conferita nel 1947 la medaglia di bronzo al valor militare.

 




Palazzo dell’Arcivescovado di Firenze

Palazzo sede dell’Arcivescovo e luogo di attenuazione dei contrasti politici tra fascisti e antifascisti. L’archidiocesi fu retta dal cardinale Elia dalla Costa che fu apprezzato per l’aiuto prestato agli ebrei. Grazie al sostegno dei propri collaboratori, monsignor Meneghello e monsignor Tirapani, e di tutto il clero fiorentino, Dalla Costa realizzò una vera e propria rete di protezione a difesa degli ebrei perseguitati.

Dopo l’uccisione del colonnello Gobbi e la fucilazione di cinque antifascisti il presule con una notifica al clero (dicembre 1943) condanna la violenza e raccomanda “umanità e rispetto” suscitando perplessità. Inoltre la curia divenne luogo di collegamento fra notabili e diplomatici fiorentini impegnati nella attribuzione a Firenze città dello status di città aperta nell’estate del 1944. Nonostante questi tentativi la città di Firenze non fu risparmiata dalla guerra e dai suoi disastri.

Nel 1945 fu concessa la cittadinanza onoraria al cardinale Della Costa, riconoscimento per l’azione tendente a salvaguardare Firenze dalle offensive della guerra.

 




Le Fabbriche Lucchesi e Campolmi (Prato)

Il Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia proclamò per il 1° marzo 1944 lo sciopero generale in tutti i territori ancora occupati dai nazi fascisti: era un modo per consolidare i primi successi ottenuti dalla lotta per la Resistenza, per chiedere la fine della guerra e per reclamare migliori condizioni per i lavoratori; era insomma un segnale perentorio di lotta frontale al nazifascismo.

lucchesi pratoA Prato lo sciopero iniziò sabato 4 marzo e l’adesione fu totalitaria: ne rimasero sorprese non solo le autorità nazifasciste, sconvolte da quetso “affronto”, ma anche gli organizzatori e l’antifascismo locale. Le fasi di preparazione della mobilitazione avevano coinvolto tutto il territorio pratese, da Quarrata a Galciana, dal centro di Prato alla Val di Bisenzio. Proprio il lanificio Forti della Briglia fu la prima fabbrica ad aderire massicciamente allo sciopero, grazie anche a picchetti, posti di blocco e qualche colpo di arma da fuoco che convinse anche i più restii. Sul muro del lanificio nella notte erano comparse scritte inneggianti alla lotta e al comunismo e i volantini dello sciopero erano dappertutto. Da qui l’astensione dal lavoro dilagò per tutte le fabbriche di Prato.
L’adesione allo sciopero fu talmente massiccia che la notizia giunse anche all’orecchio di Hitler, che per rappresaglia impartì l’ordine di deportazione in Germania nei campi di sterminio del 20% della forza lavoro pratese, che in quei giorni avrebbe significato la cattura di almeno 1900 uomini; l’impresa era mastodontica e fortunatamente impossibile da realizzare per i fascisti pratesi, che si misero comunque subito a lavoro, chiamando rinforzi da Firenze e Lucca. I primi arresti in seguito allo sciopero generale del 4 Marzo avvennero il giorno stesso.
campolmi-lazzeriniLa prima azione fascista fu di andare a cercare nelle abitazioni dei sospetti antifascisti, poi fu organizzato un rastrellamento meticoloso, con un imponente schieramento di forze per lo sbarramento degli incroci principali della città: porta al Serraglio, piazza S.Agostino, piazza Mercatale, piazza S.Marco, piazza delle Carceri, furono luoghi utili alla cattura dei passanti.
Molte persone furono catturate il giorno 7 marzo in Piazza S.Agostino, sconvolta come se non bastasse da un bombardamento alleato che aveva colpito anche piazza Mercatale e distrutto il tabernacolo di Filippino Lippi; altri vennero catturati dalle ronde volanti che partendo dalla Fortezza, sorprendevano i malcapitati ovunque fosse possibile.
Le aziende furono obbligate a consegnare l’elenco dei dipendenti che avevano scioperato: il maresciallo dei carabinieri Giuseppe Vivo si recò con i suoi militi allo stabilimento di Leopoldo Campolmi; la cimatoria Campolmi era forse la più grande rifinizione cittadina e si trovava proprio in centro, addossata a porta Frascati (oggi sede della biblioteca comunale A. Lazzerini). Il maresciallo chiamò gli operai che avevano scioperato e ne portò via 14.
Allo stabilimento di Vasco Sbraci di via Ferrucci i fascisti si recarono mentre i dipendenti erano alla mensa; li chiamarono nel piazzale e fecero due gruppi, poi quelli che avevano scioperato furono fatti salire sull’autobus che attendeva fuori e portati via, ma lo Sbraci, noto fascista che aveva fatto scrivere a lettere cubitali W IL DUCE sulla ciminiera del suo lanificio a dimostrazione della propria fedeltà al regime, preoccupato per il destino dei suoi operai e forse anche di più per il futuro della sua azienda, riuscì con le sue conoscenze a farli rilasciare.
Ultima incursione dei fascisti fu al lanificio Lucchesi, in zona Macelli: qui furono prelevati 18 operai che avevano scioperato. Dal Lucchesi lo sciopero era stato totale, ma molti riuscirono a scamparla fuggendo da una porta secondaria.
Molto si è dibattuto sul ruolo degli industriali pratesi durante la cattura delle loro maestranze: sembrò inizialmente che ci fosse stata collaborazione, ma i documenti e le testimonianze trovate in seguito smentiscono questa ipotesi. Gli stessi imprenditori furono presi alla sprovvista dal rastrellamento e se non fecero niente per evitarlo è perché non poterono o arrivarono troppo tardi.

pietre d'inciampo pratoTutti i fermati tra il 4 e l’8 marzo 1944 furono portati alle scuole Leopoldine a Firenze in Piazza S.Maria Novella; destinazione era la Germania nazista e i suoi campi di concentramento: Mauthausen, Ebensee, Linz, Gusen.
L’11 marzo il treno con il suo triste carico giunse alla stazione di Mauthausen in Austria. Dei 137 deportati pratesi soltanto 21 tornarono a casa, 18 dei quali erano operai arrestati in seguito allo sciopero, gli altri tre in momenti diversi.
Recentemente nei pressi della fabbrica Lucchesi e della cimatoria Campolmi sono state installate dall’artista tedesco Gunter Demnig alcune “pietre d’inciampo”, dei piccoli sanpietrini d’ottone inseriti nel tessuto urbano della città che colpiscono lo sguardo del passante, con l’intento di perpetuare la memoria dei cittadini pratesi deportati nel marzo 1944.

Scheda compilata a cura della Fondazione CDSE e delle classi III dell’istituto comprensivo F. Lippi di Prato, nell’ambito del progetto Mappe della Memoria, finanziato dalla Regione Toscana per il 70° della Resistenza.